Who lives, who dies, who tells our story

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    Spesso nel corso della propria vita Byron si era interrogato riguardo la legittimità di scegliere chi potesse vivere e chi invece dovesse morire. Un tempo aveva creduto che quella scelta non fosse sua: gli veniva commissionata ed era in mano al miglior offerente. Non era tuttavia proprio lui, quello ad eseguire? Certo, sarebbe stato comunque qualcun altro al suo posto se avesse rifiutato, ma questa era solo una stupida consolazione che lo stesso Cooper sapeva essere fallace. Durante la prima ribellione si era pian piano ricreduto, e la rabbia per le ingiustizie che vedeva attorno a sé lo avevano portato a credere fermamente che nessuno avesse un simile diritto - che nessuno potesse sostituirsi a Dio in una simile scelta e che compito degli uomini fosse quello di garantire sicurezza a quante più persone possibili. Ma cosa succede quando sono gli altri a non volersi salvare? Quella domanda era sorta spontanea all'indomani della presa di Hogwarts - il culmine di un processo che negli anni aveva lentamente mostrato a Byron quale fosse la vera natura della società in cui viveva. Io mi credevo disincantato. Quando ho fondato i Ribelli, pensavo di aver visto tutto del mondo che ci circondava - quanto meno di quello terreno. Ma è stato il dopo a mostrarmi quanto in realtà mi sbagliassi - quanto siamo una razza condannata a ripetere ricorsivamente i medesimi errori. Quelle riflessioni tornarono alla sua mente anche in quel soleggiato giorno di Luglio, mentre, affacciato al balconcino dell'ufficio del preside, osservava le piccole formichine che si muovevano lente nella tenuta. Studenti, insegnanti, collaboratori di Inverness. La vita era tornata pressoché normale - con alcuni ovvi cambiamenti - e presto o tardi un equilibrio si era ristabilito. Precario, se dovete chiederlo a me. Ai suoi occhi quell'intera situazione sembrava più una polveriera che altro: warlock, lycan e giovani maghi sotto lo stesso tetto, minacciati da un lato da una realtà metafisica di cui ancora non comprendevano tanto quanto avrebbero dovuto e dall'altro da uno Stato che non vedeva l'ora di ridurli in brandelli. Non avrebbe dovuto essere così. Non era questo il mondo che avevo immaginato. Dopo la prima guerra.. credevo che avremmo imparato, che avremmo messo da parte le stupide divergenze che ci rendono solo più deboli agli occhi predatori delle Logge. Credevo che quella situazione ci avrebbe insegnato ad essere più inclusivi, a fidarci di più l'uno dell'altro e a capire che in fin dei conti, in quanto umani, siamo tutti sulla stessa barca. Ma non è stato così, non è vero? « Perché gli uomini sono per loro natura egoisti. » Si voltò in direzione del giovane warlock alle sue spalle, uno psichico a cui aveva concesso accesso alla propria mente in virtù dell'appuntamento di quel giorno. Voleva che vi facesse dimestichezza, entrando in confidenza col tenore dei suoi pensieri e le flessioni naturali del suo animo. « L'egoismo non dovrebbe essere guidato da una pulsione di sopravvivenza? » Il ragazzo sorrise, abbassando leggermente il capo come se Byron avesse detto qualcosa di estremamente ingenuo. « Sì, ma ti stupiresti di quanto le nostre stesse menti riescano a ingannarci a riguardo. L'egoismo, per quel che ho potuto vedere, è spesso irrazionale.. a tratti stupido e autodistruttivo. » Sospirò, allontanandosi dal balcone e chiudendo le grosse finestre venate dall'impalcatura dorata. Autodistruzione - un concetto piuttosto familiare a Cooper, che per quella strada era già passato una volta nel suo momento più buio. A volte ancora non riusciva a capacitarsi di come fosse riuscito a uscirne, se fosse stata Renton a guidarlo inconsapevolmente fuori da quel tunnel, o se tramite le ribellione avesse semplicemente trovato la propria strada. Forse si trattava di entrambe le cose: un mix indistinguibile che non avrebbe potuto esistere senza ciascuno di quei piccoli elementi che lo componevano. « Ho paura di arrivare a quel momento in cui è troppo tardi - che gli occhi si aprano solo un
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    istante prima di venir chiusi per sempre. »
    Ho paura che tutta la fatica, tutto il sangue e tutti i morti che abbiamo visto negli anni, in realtà non siano serviti a nulla. Ma allo stesso tempo, Byron sapeva di aver fatto il possibile. Sapeva bene che le proprie capacità si fermassero alla soglia della volontà altrui e che, semplicemente, non fosse in suo potere - o di nessun altro, a dirla tutta - salvare chi non voleva essere salvato. Si può solo combattere per chi un sogno ancora ce l'ha. E questo, almeno in suo parere, lasciava davvero poche persone. Scrollò dunque la spalle, agitando piano una mano come a lasciar intendere che non avesse bisogno di una risposta a riguardo. « È arrivata? » chiese dunque, per spostare il discorso sull'impegno del giorno. Negli ultimi mesi si erano fatti molti tentativi per ripristinare parti di memoria a quella donna che avevano trovato in stato confusionale all'interno dell'ufficio. Nulla sembrava aver sortito effetto e l'unica rivelazione a cui erano giunti - più per logica che per altro - era la sua appartenenza alla comunità warlock. Nessuno, tuttavia, sembrava conoscerne l'identità. Per questa ragione era stata trattenuta nei confini di Inverness, sotto una stretta sorveglianza che cercavano di rendere meno asfissiante possibile. La guardia, tuttavia, non era mai stata abbassata, e anche in quel caso Byron non se la sentì di rischiare. Deciso a provare ancora una volta ad aiutare la donna senza interventi troppo invasivi da parte di altri psichici, l'irlandese aveva chiesto l'aiuto di un paio di persone: un lycan e uno psichico di comprovata fiducia. Durante la chiacchierata che intendeva fare con lei, i due sarebbero rimasti appena fuori dalla porta dell'ufficio - il lycan con il legame aperto e lo psichico coi sensi all'erta per tener traccia dell'attività mentale di Byron. Avevano istruzione di intervenire al minimo segnale insolito. « Sì. » Rispose dopo un po' lo warlock. « Dovrebbe essere qua fuori. » Byron annuì a quelle parole. « Va bene, allora possiamo procedere. » Con quella sentenza fecero spazio ai due lycan che avevano avuto il compito di scortare la giovane donna verso l'ufficio, e una volta congedati, se ne andarono lasciando il posto ai soli coinvolti nella faccenda. Una volta soli nell'ufficio, indicò alla mora il posto a sedere su uno dei divanetti, sedendosi a propria volta su quello opposto. Non voleva mettersi alla scrivania del Preside - gli sembrava un terribile modo in cui instaurare una conversazione di quel tipo. « Come ti senti oggi? Immagino nessun progresso. » disse, stirandole un sorriso gentile mentre con un giro di bacchetta si avvicinava un vassoio con una teiera e due tazze. Versò il tè in entrambe, curandosi di bere per primo per mostrarle che non avesse nulla di cui preoccuparsi - la bevanda non era corrotta da nessuna magia. « Ti ho chiesto di vederci qui perché immaginavo che, essendo il posto in cui ti abbiamo trovata, potrebbe essere utile tentare di tracciare a ritroso gli eventi di quel giorno. » Fece una pausa. « Potresti illustrarmi nuovamente cosa ti ricordi della presa di Hogwarts e cosa hai provato? Tranquilla, non sforzarti troppo a riempire i buchi di memoria: dimmi solo ciò che ti viene in mente e ciò che invece trovi più vago nei tuoi ricordi. Possiamo partire da lì. »




     
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