Metti un po' di musica leggera.

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    Un gran frastuono costrinse tutti quelli presenti in corridoio a voltarsi nella direzione da dove era venuto il rumore. Qualcuno alzò gli occhi al cielo e scosse la testa nel ritrovarsi davanti Murphy Macmillan inginocchiata a terra intenta a raccogliere un imbarazzante numero di pennelli e tubetti di colore caduti da una cartella a tracolla alla quale si era appena rotto un passante. Ad ogni oggetto che rimetteva nella borsa ormai andata seguiva un’imprecazione che la Tassorosso recitava a bassa voce e a denti stretti, come un mantra. Sua madre sarebbe inorridita nel sentirla dire certe cose. Ci aveva provato per un po’ a tirar su una signorina per bene, nonostante fin da subito fosse evidente che Murphy non sarebbe mai diventata la principessina che lei desiderava tanto. Susan aveva fatto l’ultimo tentativo iscrivendo la figlia a danza. Il suo sogno era vedere Murphy volteggiare in aria come una libellula fasciata da un tutù bianco ricco di brillantini. Non senza fatica la bambina era arrivata al saggio finale e i signori Macmillan, come il resto dei presenti in sala, avrebbero potuto vantare in futuro di aver assistito alla vera morte del cigno quando Murphy inciampò, travolgendo la bambina che le ballava accanto, e slogandosi una caviglia. Al tempo, suo fratello aveva solo cinque anni, ma fu uno di quegli aneddoti che ricordava perfettamente e non tardava a raccontarlo ad ogni singolo pranzo di famiglia, con tanto di imitazione messa in scena. Chissà come, era uno spettacolino che tutti riascoltavano volentieri. Infilò anche l’ultimo pennello nella borsa che sistemò tra le braccia, trasportandola come un fagotto, pregando solo di non rovesciare nuovamente tutto a terra. Sorpassò a passo deciso anche quegli studenti che erano rimasti a fissarla, come si fissa un incidente stradale dal quale non si riesce a distogliere lo sguardo. Raggiunse l’aula di arte e posò la borsa su uno dei banchi che erano stati posti ai lati della stanza così da lasciare libero il centro dove, sopra una colonnina decorata, troneggiava un bel cesto di frutta fresca. Tutti intorno si ergevano dei cavalletti da pittore. Murphy si sedette in uno degli sgabelli, tirando fuori i colori e spremendoli un po’, uno ad uno, sulla tavolozza costellata da macchie incrostate di tinte secche. Tirò fuori i pennelli, non prima di aver dato uno sguardo all’orologio di Topolino che aveva avvolto intorno al polso. Le sedici erano passate da cinque minuti e nessuno si era ancora presentato. A quanto pareva, anche quel giorno, non si sarebbe presentato nessuno. Impregnò le setole del pennello di rosso e lanciò un’occhiata alla mela che troneggiava in cima al cesto. La giovane Macmillan era stanca di dipingere frutta. Aveva disegnato mele di ogni modo: rosse, gialle, verdi, piccole, grandi, ammaccate, perfettamente lisce, lucenti e più opache. Ne aveva le tasche piene delle mele. Eppure eccola ancora lì. Pensando di poter dare una botta di vita a quegli esercizi quotidiani, la settimana precedente aveva appeso in bacheca un annuncio dove cercava studenti coraggiosi in grado di stare immobili per un po’ per farsi fare un ritratto. In cambio avrebbe offerto loro il frutto del suo lavoro e un sacchetto di gelatine “Tutti Gusti +1”. Sull’annuncio, credendo di risultare più simpatica e accattivante, aveva aggiunto che non era necessario avvisare il proprio avvocato perché non avrebbe chiesto a nessuno di spogliarsi. Ma erano passati sei giorni e non si era mai presentato nessuno.
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    Sospirò, e la mano tracciò sicura un cerchio rotondo che avrebbe fatto da scheletro della sua mela. Intinse le setole nel rosso e aggiunse un tocco, solo una punta, di giallo. Non passò troppo tempo prima che si rendesse conto che la sua mano dipingeva, ma la sua mente era altrove. Era difficile concentrarsi ogni giorno su di uno stupido cesto di frutta. Che poi non era che il professore si impegnasse molto nella fantasia della composizione. Per esempio: c’erano sempre mele, banane e pere, ma mai che si fosse visto un ananas o, che ne sapeva, una noce di cocco. Cosa aveva il professore contro le noci di cocco? Non gli piacevano? L’avevano colpito in testa da piccolo e quindi nutriva odio nei loro confronti? Non lo sapeva. La certezza era che amasse follemente mele, banane e pere. O forse era solo questione di pigrizia. Magari ogni mattina si presentava dal fruttivendolo sotto casa e gli bastava dire “il solito” per venir accontentato. Era sicuramente uno sbattimento in meno rispetto al dover elencare da capo tipologie di frutta del tutto nuove. Esisteva un comitato che proteggeva frutta discriminata? Forse avrebbe dovuto pensarci lei. Magari da quel giorno in quel cesto sarebbero apparse quelle dannate noci di cocco. Si alzò dallo sgabello, posando sul tavolino di fianco la tavolozza e il pennello. Sollevò le braccia verso l’alto roteando le spalle e stiracchiandosi un po’. Aggiustò lo spallino della salopette che era scivolato nuovamente giù. Si avvicinò alla borsa, tirando fuori il pacchetto di gelatine “Tutti Gusti +1” e lo fissò per un po’. Infondo.. Perché no? Era chiaro che oramai, anche quel giorno, non si sarebbe presentato nessuno. Aprì il sacchetto senza troppe cerimonie e ne pescò una a caso per poi ficcarsela in bocca. Non appena ne percepì il sapore non poté fare a meno di chiudere gli occhi per poi sospirare in maniera evidentemente scocciata. Stiamo scherzando, vero? Mela. Santo Obi-Wan, era una persecuzione, quella! Persecuzione vera e propria. Si potevano denunciare le mele per stalking? Ne afferrò una seconda, infastidita. Il gusto era terribile e la costrinse ad arricciare le labbra prima di cercare freneticamente un fazzoletto su cui sputare la caramella dal sapore indefinito. A quanto pare non era proprio giornata. Tornò al suo sgabello, fissando lo sguardo sul quel poco che aveva disegnato. Incrociò le dita dietro la nuca, inspirando e passando l’aria da una guancia all’altra, gonfiandole in modo alternato. Rilasciò l’aria in un lungo sospiro. Guardò l’orologio. Le sedici erano passate da quasi venti minuti. Aveva senso restare ancora lì? Era ormai chiaro che non si sarebbe presentato nessuno. Si alzò di scatto e nel farlo fece tremare in tavolino al suo fianco. Il pacchetto di gelatine barcollò per un attimo, prima di cadere, rovesciando sul pavimento gran parte delle caramelle. «Ma porco Saruman!» ringhiò allargando le braccia per poi farle ricadere con energia lungo i fianchi. Si abbassò sul pavimento, gattonando alla ricerca delle caramelle, raccogliendole in una mano, continuando ad imprecare con frasi che sua madre non sarebbe stata felice di sentire.

     
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    « Davvero vuoi andarci? » Jared Patel, dall’alto del suo scetticismo, lo osserva con un’espressione confusa -ancora più del normale- stampata sul volto leggermente barbuto. « Perchè non dovrei? » Risponde un piuttosto annoiato Tuesday Mortimer. Stringe tra le mani un foglietto stropicciato, appena staccato dal chiodino rosso che lo teneva fermo in bacheca. « Non ho nemmeno niente da fare, oggi » « Sei serio? » « Guardare i porno con te non lo ritengo un impegno, Patel » « Non è un porno. Si chiama Trono di Spade » « E vuoi dirmi che un film che si chiama Trono di SPADE non è un porno? » « Sei un idiota. » « Lo so, è per questi che mi ami! » Jared grugnisce, mentre Tuesday sorride, a trentadue denti. Vuole bene a quel caso umano, dopotutto. E’ felice, non lo abbiano accoppato durante la presa di Hogwarts. Questo però, ovviamente, non glielo dirà mai. « E comunque, non la conosci nemmeno.. » « Perchè, con te che ti conosco ci ho guadagnato di più? » « La vuoi finire? » « Vieni qui, dammi un bacetto » Senza nemmeno dare tempo all’amico per ritrarsi, l’ex Serpeverde gli stampa un bacio sulle labbra, con tanto di schiocco, oltre che mani avvinghiate alle guance. SMACK! « LA VUOI FINIRE? » Urla il poveretto, strofinandosi nervosamente la bocca con la manica della felpa. « Che schifo! » Tuesday ride, riprendendo a camminare. « Vabeh, sai che ti dico, mi sono rotto - « L’ho detto io che con la roba dei cinesi non si sa mai » - Fai un po’ tu. » « E tu te ne intendi di fai da te vero? » « Fanculo Mortimer! » Paonazzo in viso per la rabbia, Jared aumenta il passo, superandolo di gran lunga. Tuesday, che a stento riesce a trattenere le risate, alza una mano. « Ti voglio bene anche io, cucciolo! Usa la cremina stasera, lo sai che hai la pelle delicata! » « Fottiti! » « Solo quando ci sei tu con me! »
    Murphy Macmillan. Si ripete quel nome mentalmente, Tuesday, come a volersela figurare. Le parole di Jared Patel, dopotutto, non erano propriamente vere. L’aveva conosciuta, Murphy. In una maniera anche piuttosto imbarazzante, se proprio vogliamo esser sinceri, ma quelli erano dettagli ai quali uno come lui -figuriamoci- non avrebbe mai fatto caso. Quella stramba ragazzetta, infatti -ai tempi una Tassorosso, se ricordava bene- aveva deciso una sera di piombare in camera sua, nell’enorme -quanto lugubre- maniero Mortimer. E sì, piombare è proprio il termine giusto, perchè quella sera di Halloween -il suo compleanno, tra le altre cose- Murphy Macmillan si era letteralmente buttata dentro la sua stanza, entrando per la finestra. Beh, a questo punto potremmo anche dire, senza trovare poi troppe obiezioni, che se Tuesday Mortimer non fosse stato…Beh, Tuesday Mortimer, quella serata non sarebbe finita granchè bene per la poverina. Una denuncia per infrazione, dopotutto, non gliel’avrebbe tolta nessuno. Ma Tuesday era Tuesday, e quel gesto, in quella serata che si prospettava già una rottura di palle infinita, l’aveva trovato.. Divertente. Murphy Macmillan era strana, era strana davvero, così come si diceva in giro. Gli erano bastati pochi istanti per capirlo (in fondo gli era pur sempre entrata in camera dalla finestra, diremmo che non ci sarebbe voluta chissà quale mente geniale per farlo). Ma quello strano, a Tuesday piaceva. Piaceva tanto che quella sera erano rimasti a parlare per un po’, nonostante al piano di sotto la festa fosse già cominciata da un pezzo. Lei ancora poggiata al davanzale della finestra, lui, divertito, seduto sul materasso del proprio letto. Non che si fossero detti chissà cosa, è chiaro -insomma, a parte farle conoscere il fantasma di sua nonna nel chiaro (ma invano, a quanto pare) tentativo di spaventarla- ma quando poi Murphy aveva deciso di trotterellare verso la porta d’ingresso, forse intenzionata a recarsi di sotto -con uno strano, tuttavia, rossore sulle guance- il biondino si era ritrovato piuttosto… Dispiaciuto, forse? Chi lo sa. Di certo non si era interrogato poi tanto, sulla questione, e qualche giorno dopo, a scuola, tutto era tornato alla normalità. Beh, certo, a parte il fatto che, ogni qualvolta tentasse di avvicinarsi, o anche solo salutarla da lontano, la ragazza sembrava spesso a disagio. Tuesday il perchè non lo capiva proprio, nè l’aveva capito più in là, convincendosi alla fine che forse, a Murphy Macmillan, lui stesse sulle scatole. In fondo, quella non sarebbe stata di certo una novità.
    Perchè dunque avesse accettato quella proposta, non lo sapeva nemmeno lui. Forse davvero quel giorno non aveva voglia di sentenziare con Jared Patel sulle tette di Daenerys Targaryen -nulla togliere, ovviamente, era un gran bel paio di tette-. O forse, semplicemente, aveva bisogno di qualcosa di… Leggero. Qualcosa di diverso che lo distraesse da una routine forzatamente dinamica. Era da un po’ di tempo a questa parte, infatti, che Tuesday stava cercando -per l’ennesima volta, direte voi- di riprendersi. Niente droga, niente autolesionismo, e soprattutto niente voci. Sembrava addirittura essersi convinto, da qualche settimana, a cominciare una terapia psicologica, cosa che -prima d’ora- aveva sempre denigrato come fosse la peste. Se non voleva farlo per il suo bene, era giunto alla conclusione, avrebbe provato a farlo quanto meno per il bene di chi gli stava accanto. Ci sarebbe riuscito? Probabilmente no. Ma almeno avrebbe potuto dire di averci provato. Una cosa che gli era stata consigliata, dunque, era quella di impegnarsi. Impegnare il suo tempo, in qualsiasi modo volesse, purchè fosse costruttivo.
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    « Permesso? » Eccolo dunque, pronto a varcare la soglia di quella che sembra, a tutti gli effetti, l’aula di Storia dell’Arte. Tutto attorno a sè, nota nei primi istanti in cui la porta semiaperta gli concede un rapido sguardo sull’ambiente circostante, è completamente tappezzato di disegni. Bozzetti, schizzi, fotografie, o veri e propri quadri, di ogni tipologia e dimensione. E rimarrebbe a fissarli per qualche altro minuto ancora, Tuesday, particolarmente affascinato da un piccolo quadretto in fondo, raffigurante qualcosa di amorfo, forse un incubo, o chissà, se non fosse per.. «Ma porco Saruman!» ..Beh, tutte quelle imprecazioni che riescono alla fine ad attirare la sua attenzione ancora più di un inquietante quadro appeso al muro. Cala lo sguardo dunque, leggermente confuso, ma divertito. Lì per terra, quella che gli sembra a tutti gli effetti Murphy Macmillan è alle prese con i corpi ormai senza vita di alcune..Caramelle? O gelatine, forse, tristemente riversi sul pavimento. Una risata, divertita, gli scuote il petto, e deve trattenersi davvero molto, per non farsi sentire. Ridere di lei, ne conviene, non sarebbe effettivamente carino..Ma ciò nonostante decide comunque di rimanere un po’ lì, fermo, con le spalle ancora poggiate contro la porta, per godersi lo spettacolo. Quando però la sua attenzione viene catturata da quello che sembra un busto in..Argilla, immagina, pericolosamente traballante sul tavolino, che rischia di precipitare ben presto dritto dritto sulla testa della poverina, Tuesday si lancia in avanti. Per fortuna le sue gambe sono lunghe, ed in poche falcate è già lì. Inginocchiato per terra, le braccia protese dinnanzi a sè per fermare il busto d’argilla assassino. E Murphy Macmillan tra di loro. Sente la fronte della ragazza sbattergli contro il petto, in quello slancio brusco e improvviso, e allora, solo dopo essersi assicurato della stabilità di quella potenziale arma del delitto, abbassa il capo. « Oh, scusami » Mormora, guardandola « Ti sei fatta male? » La loro vicinanza è fin troppa. Se solo si protraesse di qualche centimetro, pensa, potrebbe sfiorarle il viso con la punta del naso. Decide allora di ritrarsi un po’, lasciandole il giusto spazio; in fondo è ancora convinto che lei lo odi, e non è poi tanto sicuro voglia rimanere stretta al suo petto, dunque. « Ti stava cadendo addosso » Asserisce, ancora inginocchiato per terra, alludendo al busto d’argilla alle sue spalle, con un cenno del capo. « Evitiamo di morire di questi tempi, mh? E’ alta stagione, non si trova posto » Le fa un occhiolino, prima di ridacchiare. Poi cala lo sguardo per terra, storcendo il naso. « Dai, ti aiuto » Decide, cominciando a raccogliere alcune gelatine. Ne agguanta una, di un magenta acceso, e rimane fisso ad osservarla, per un po’. E’ sporca di polvere. E..è un capello, quello? « Mi sa che queste non sono più commestibili.. » Mormora, in una smorfia di disgusto « Se ti va, dopo andiamo da Mielandia a comprarne delle altre. E’ abbastanza vicino… » Annuisce, sorridendole. Da quella distanza ravvicinata, potrebbe contare tutte le lentiggini che le sporcano il nasino all’insù. Sono carine, pensa. « Sono qui per l’annuncio in bacheca » Dice d’improvviso, distogliendo lo sguardo. Non imbarazzato, ma.. Stranito? « Scusa, forse aspettavi qualcun altro? »
     
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    Murphy non era mai stata una persona coordinata. Quando era piccola, sua madre Susan -entusiasta di aver avuto una figlia femmina da poter vestire come una bambolina- aveva provato a farle fare qualsiasi tipo di sport sprizzasse stereotipi femminili. A cinque anni l’aveva iscritta a danza. Quale madre non sogna di vedere la propria bimba esibirsi su un palcoscenico con addosso il tutù più rosa e sdolcinato del mondo? Ma fin da subito fu piuttosto chiaro che la bambina non fosse portata: suo padre, in macchina nel viaggio di ritorno dalla lezione, non riusciva a smettere di ridere sulla scena che aveva visto come protagonista Murphy e una bambina sfortunata che si era ritrovata per sbaglio nella traiettoria di quella che doveva essere una piroetta della giovane Macmillan. Sua madre, invece, continuava a riempirlo di gomitate sferrate all’altezza del braccio, dicendo che non era divertente e che era una fortuna che quella bambina non si fosse fatta male. Neanche due settimane dopo, Murphy scoprì di non essere più iscritta al corso di danza, ma a quello di ginnastica artistica. Alla terza lezione inciampò sul proprio nastro e si slogò una caviglia. Dovette tenersi un gesso per venti giorni. A pallavolo si era guadagnata presto il soprannome di faccia di gomma perché, a detta dell’allenatore, la sua resistenza alle pallonate dritte in faccia era strabiliante. L’ultima cosa che tentò -o meglio, che sua madre la obbligò a tentare- fu il pattinaggio artistico. Non appena mise piede in pista scivolò e si ruppe un polso. Le venne persino rimborsato il costo della lezione. Da allora, Susan si era arresa al fatto che la cosa meno pericolosa da lasciarle fare fosse farla colorare con i pennarelli. E Murphy se ne stava lì, buona buona, a disegnare su fogli grandi, sopra un tavolino di plastica colorato. Era fin dalla tenera età, infatti, che Murphy si era mostrata portata per il disegno. Quando aveva capito che era quella la sua strada i suoi genitori si erano mostrati felici per lei seppur sapesse, sotto sotto, che avrebbero preferito qualcosa di più stabile e sicuro per lei. Avrebbe sicuramente avuto più soddisfazioni personali se avesse scelto un altro lavoro, un lavoro dove non sarebbe stato difficile trovare un posto fisso, stabile, in grado di darle sicurezza economica. Nonostante tutto, i suoi genitori non le avevano mai fatto pesare le sue scelte, incoraggiandola in tutto, spronandola a dare il meglio di sé sempre. Raccolse l’ennesima caramella, riponendola su palmo della mano opposta, testando quanto fosse appiccicosa e il modo in cui il colorante alimentare si era incollato alle sue dita. Ma è a quel punto che accade qualcosa, qualcosa che le apre la mente a due pensieri ben distinti: il primo è che il suo spirito di sopravvivenza sia pressappoco inesistente. Se si fosse trovata in un film horror, probabilmente sarebbe stata quella che muore per prima in un modo assolutamente stupido. Non solo non si era accorta di qualcosa che traballava sopra la sua testa, ma nemmeno di qualcuno che era entrato nella stanza. Il secondo pensiero fu che probabilmente si era addormentata perché si, aveva probabilmente fatto un sogno -una volta- che cominciava in quel modo. O forse era svenuta dopo aver sbattuto la testa da qualche parte -perché sì, ricordava di aver sbattuto la testa contro qualcosa. Ma non un qualcosa qualsiasi. Aveva sbattuto la capoccia contro -niente poco di meno- Tuesday Mortimer. Sì, doveva essere svenuta perché, dai!, quante probabilità c’erano che davvero Tuesday Mortimer l’avesse salvata da -che cosa era?- lo stupido busto di argilla realizzato da quell’idiota di Larry Steven? Forse i colori che stava usando erano tossici e avevano rilasciato nell’aria una sostanza che inalandola dava allucinazioni. Erano tante le spiegazioni che le sembravano più che valide, più plausibili della possibilità che Tuesday Mortimer fosse davvero lì, con il viso ad una spanna dal suo. Se sono morta e questo è l’aldilà, non è poi così male... « Oh, scusami. Ti sei fatta male? » E tuuu ti sei fatto male quando sei caduto dal cielo?? BOOOOOM. Mamma mia, che frasi da rimorchio datate.. Da quanto non parli con un maschio escludendo Peter e tuo fratello? Tieni la boccaccia chiusa, Murphy. Fingiti muta e farai più bella figura. «Tu-tu-tu-tutto bene.» Cosa non hai capito delle parole “fingiti muta”? Adesso penserà che sei pure balbuziente. Ed è a quel punto, dopo quei secondi che le parvero infiniti, che lui si allontanò un poco. Per fortuna, perché se fosse rimasto lì ancora un poco Murphy non si sarebbe sicuramente più ricordata come si respira e a quel punto sarebbe svenuta davvero. Invece, riprendendo a respirare, il suo viso -di un acceso color peperone- riconquistò lentamente il suo colorito normale, seppur sempre arrossato sulle guance e sul naso. « Ti stava cadendo addosso » Se non chiudi quella bocca alla fine c’entrerà una mosca. Annuì, la Macmillan, come se fosse tutto incredibilmente chiaro, quando in realtà non ci aveva capito una mazza. Fu solo dopo che, girando di poco la testa, capì a cosa si stava riferendo Tuesday. « Evitiamo di morire di questi tempi, mh? E’ alta stagione, non si trova posto »
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    Ok, era un occhiolino, quello? CHIAMATE UN MEDIMAGO! Una risata particolarmente nasale e acuta uscì dalla bocca di Murphy, così inaspettata che poi richiuse le labbra di colpo, come se avesse detto chissà quale blasfemia. « Dai, ti aiuto » Stava per rispondere con mille cose diverse se solo fosse riuscita a mettere insieme due lettere. Alla fine, per fortuna, quello che uscì fu solo un semplice: «Grazie» pronunciato tutto d’un fiato. Riabbassò il capo così velocemente che per un attimo pensò di essersi rotta l’osso del collo. Sarebbe stato alquanto imbarazzante morire in quel modo. O d’imbarazzo.. Si può morire d’imbarazzo? Una volta aveva creduto di farlo, quando durante il saggio di Natale alle elementari sua nonna si era alzata in piedi gridando “Quella è la mia bambina” e applaudendo, nel silenzio generale. O quella volta che sua madre le aveva aggiustato le braghe davanti a tutti i bambini dell’asilo. O quella volta che per sbaglio era entrata nel bagno dei maschi. Ok, in realtà aveva rischiato di passare a miglior vita in diverse occasioni se davvero si potesse morire d’imbarazzo. « Mi sa che queste non sono più commestibili.. Se ti va, dopo andiamo da Mielandia a comprarne delle altre. E’ abbastanza vicino… » COOOOOOOOOOOSA!??! Rialzò la testa di scatto, spalancando gli occhi così tanto che non credeva possibile poter fare. Da Mielandia? Insieme? Dopo? «Da Mielandia? AH!» E fu a quel punto che, nell’ispirare, la sua gola e il suo naso si misero d’accordo per far uscire fuori un suono che somigliava parecchio ad un grugnito. Fu così che Murphy serrò di colpo le labbra, posando sulla bocca una mano, come a voler impedire di nuovo a quel suono orrendo di uscire. Ti prego, Merlino.. Apri una voragine sotto i miei piedi e lasciamici sprofondare dentro. Tolse la mano da davanti alla bocca, abbassandola come fosse un’arma fumante, cercando con tutte le forze di aggrapparsi a quel briciolo di dignità che le era rimasta. «Si.. Ok.. A-Anche se queste non sono per me.. Cioè, sì, le ho aperte io, ma non era mia intenzione.. Insomma.. Ho aspettato una settimana ma non si è presentato nessuno, così ho pensato che..» « Sono qui per l’annuncio in bacheca » Ah. « Scusa, forse aspettavi qualcun altro? » «OH, NO!» si accorse solo dopo di aver usato un tono di voce più alto del normale. Era scattata però, pensando che quel suo silenzio avesse fatto intendere al ragazzo che la sua presenza non fosse gradita. «No, no, voglio dire.. Non stavo aspettando nessuno.. O meglio, aspettavo qualcuno -non qualcuno nello specifico, intendo qualcuno in generale- anche se, ecco, non si è mai presentato nessuno e non credevo che alla fine qualcuno sarebbe arrivato.. E le caramelle erano per qualcuno che si sarebbe presentato..» Va bene, hai qualche altro “qualcuno” da dire? Perché secondo me ne hai usati pochi, sai? Silenzio. «Ecco, allora immagino che.. Che queste siano per te..» Aprì il palmo della mano mostrando le povere gelatine malandate e sfoderando un’espressione colpevole. «Te ne farò avere un pacchetto intero! Niente -» aguzzò la vista, avvicinando il palmo alla faccia, notando quanta robaccia fosse appiccicata a quelle caramelle «- niente schifezze appiccicate sopra, giuro.» Si chiese se sarebbe mai accaduto. Già, sarebbe mai accaduto che un giorno avrebbe incontrato Tuesday Mortimer e non avrebbe finito per sembrare un’emerita stupida? Non credeva possibile, a dirla tutta. Se ripensava a quella volta che gli era praticamente piombata in camera.. Era stato carino a non Schiantarla giù per la finestra.. Perché lei lo avrebbe fatto se qualcuno si fosse inaspettatamente issato sul davanzale della sua finestra. Non ci avrebbe pensato mezzo secondo, lei che aveva il coraggio di una mangusta. Si schiarì la gola, sedendosi sui talloni dopo aver dato un’occhiata in giro e aver appurato che non ci fossero altre caramelle sparse sul pavimento. «Quindi sei qui per l’annuncio..» Ripeté le sue parole, come se dovesse ancora capirle, assimilarle.. «Devo farti una premessa: non sono brava nel disegnare persone.. Di solito mi vengono tutti un po’ strabici, non capisco il perché, ma sembra sempre che guardino in mille direzioni diverse.. Per non parlare delle mani. Perché devono essere sempre così complicate? Cinque dita, capito? Ho pagine e pagine di mani disegnate nel mio album e non ce n’è una che somigli ad una mano vera.» Quando Murphy Macmillan cominciava a parlare era impossibile fermarla. «Immagino che dovrai accontentarti di un mezzo busto.. Un mezzo busto strabico, intendo..»

     
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