Mi giro a guardare se perdo parti di me.

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1.     +1    
     
    .
    Avatar

    Member
    ★★★

    Group
    Member
    Posts
    153
    Reputation
    0

    Status
    Anonymes!
    Quando era piccola, Lexie aveva paura del buio. Sua madre le aveva comprato una di quelle lucette che proiettano sul soffitto un cielo stellato. C’era anche un pulsante e se veniva premuto l’aggeggio cominciava a suonare una musichetta che Lexie non conosceva. Avrebbe scoperto solo più tardi che si trattava de la ninna nanna di Brahms. La Cooper, però, non premeva quel pulsante quasi mai perché con il passare del tempo il carillon all’interno si era probabilmente danneggiato e la melodia usciva in modo strano, metallico, a tratti inquietante, avrebbe osato dire. Nonostante stelle e pianeti danzassero nel suo soffitto, quando tutti andavano a dormire e in casa Cooper regnava il silenzio più assoluto, la bambina dai capelli ramati tirava il lenzuolo su’, fino a coprire la testolina, rannicchiandosi su sé stessa e restando in silenzio. A volte si concentrava per respirare il più piano possibile, come se temesse che qualcuno potesse sentirla, come se temesse che chiunque si celasse nel buio della sua stanza avrebbe potuto sentirla. Restava così finché non crollava dal sonno, troppo orgogliosa per andare a piagnucolare nel lettone di mamma e papà, come però avrebbe voluto fare. Si perché era stato suo padre a dirle che non c’era niente di cui doveva avere paura e che doveva essere coraggiosa. Preferiva essere mangiata dal mostro che si nascondeva sotto il letto piuttosto che mostrare a suo padre la sua codardia. Crescendo, poco alla volta, si era resa conto che in verità non c’era niente di male nel buio. Era facile avere paura di qualcosa che non si conosce, di qualcosa che nasconde ciò che si ha ad un palmo dal naso. Eppure ad un certo punto Alexandra aveva accolto l’oscurità, convivendoci. C’erano momenti in cui persino la bramava, momenti in cui non desiderava altro che chiudersi in una stanza buia e respirare. Si può fare ciò che si vuole nell’oscurità, senza essere visti, senza essere giudicati. Aveva anche capito che esistono molti tipi di oscurità diversi, alcuni più pericolosi di altri, alcuni più adrenalinici, dei pozzi di oscurità bui e profondi, facili da scendere ma quasi impossibili da risalire. Aveva accolto l’oscurità quella volta che si era accasciata strafatta nel pavimento della cucina ed aveva passato lì la notte. L’aveva accolta quella volta in cui aveva detto a suo fratello che lo odiava, anche se non era vera. L’accoglieva ogni volta che non si sentiva abbastanza per scegliere e allora continuava a farsi scegliere. Era più facile, così. Era più facile quando si faceva e lasciava che fosse la droga a muovere i suoi istinti, senza doversi scervellare troppo, senza dover mettere in ballo qualcosa che la costringeva a pensare anche quando non voleva. Si era resa conto, in realtà, che c’erano molte cose più eccitanti nel buio che nella luce. [...]
    «Ehy, tutto bene, Coop?» Chris le si affiancò al bancone del bar, dandole un colpetto sul braccio con il gomito. Fu come essere colpita da una scossa elettrica. Si voltò di scatto, realizzando, solo quando lo vide, che si trattava dell’amico. Le ci volsero alcuni secondi per rilassarsi un po’ ed a stirare un sorriso in faccia. Fu più o meno in quell’istante che realizzò di essere più nervosa del previsto. Alexandra si era sempre definita una persona più fisica che brava con le parole. Trovava difficile esprimere con i vocaboli ciò che le si muoveva dentro, forse perché non era abituata a farlo. Quando ci provava era come se qualcosa la bloccasse, impedendole di scrollarsi di dosso quella corazza che si era costruita intorno per proteggersi. Le parole iniziavano a danzarle davanti agli occhi in modo confuso e tutte non sembravano abbastanza, non sembravano giuste per tradurre i suoi pensieri. Era più facile quando tutto restava dentro la sua testa. Era più facile quando, distesa nel suo letto, intenta a fissare il soffitto con la poca luce che filtrava dalla finestra, si era immaginata il discorso da fare ad Adam. Non era un vero e proprio discorso, a dire la verità. Era sconclusionato, senza un inizio ed una fine. Aveva solo un concetto che le fluttuava in testa. Il problema era che quando si concentrava su quello, da esso partivano un sacco di altri pensieri, diramandosi come le radici di un albero. Era stancante. Per questo, ad un certo punto, aveva mandato tutto al diavolo e aveva deciso di farlo lo stesso, senza pensare troppo perché sì, era così che era abituata a fare le cose: senza rimuginarci troppo sopra, ascoltando la pancia più che la testa. «Alla grande.. Dai, ti offro da bere!» sorrise, colpendogli piano il braccio, come aveva fatto lui poco prima. Si girò nuovamente verso il barista, aggrappandosi al piano del bancone, tamburellando le unghie sul marmo lucido. Si sporse leggermente in avanti, facendo ben attenzione a mettere in mostra il decolté ben visibile grazie alla canottiera leggera che indossava. Non appena incontrò lo sguardo del ragazzo dietro il bancone, sfoderò un sorriso ammaliante, sventolando le lunghe ciglia un paio di volte. Piegò la testa in parte, sistemando i capelli sulla spalla. «Due Caipiroska, grazie.» Infilò una mano nella tasca dei jeans e tirò fuori due galeoni che posò sul bancone. Afferrò i due cocktail e ne porse uno a Chris. Scontrarono i bicchieri per poi prendere entrambi un bel sorso dalla cannuccia. Subito dopo, Chris spalancò appena gli occhi come se gli fosse appena venuto in mente qualcosa. «Hai visto Allison?» le si avvicinò all’orecchio, alzando un po’ il volume della voce per sovrastare quello della musica. Lexie lottò con sé stessa per reprimere il desiderio di roteare gli occhi. «Mi pare di averla vista in pista con Cherry.» Ed è bene che rimanga lì ancora per un po’.. Almeno per il tempo sufficiente. Era certa che se la biondina si fosse accorta dell’arrivo di Adam, le sue probabilità di parlare con lui si sarebbero abbassate precipitosamente. Non aveva detto nulla a nessuno dell’arrivo del lycan, proprio per evitare che Allison si piazzasse davanti all’ingresso per poi appiccicarsi come una cozza al ragazzo. A proposito.. Tirò fuori il telefono, lanciando uno sguardo allo schermo. Era appena passata la mezzanotte e non aveva ricevuto altri messaggi. Forse aveva cambiato idea e non si sarebbe presentato. A quel punto non sapeva dire se ci sarebbe stata un’altra occasione. C’era un motivo se gli aveva chiesto di incontrarsi in un locale affollato. Il "Lair of the White Rabbit" era un posto a lei familiare e la presenza di altre persone la faceva sentire al sicuro. Il solo pensiero di parlare in un luogo tranquillo, faccia a faccia, le faceva venir voglia di correre lontano. Quel locale era un compromesso. Il suo compromesso. Aveva intenzione di scusarsi, ma l’avrebbe fatto a modo suo, in un luogo dove si sentiva al sicuro, dove era quasi sicura di potercela fare. Scusarsi.. Che poi, forse non l’avrebbe neppure definito così. Avrebbe preferito termini come “chiarirsi” o “confrontarsi”.. Sì, perché era difficile ammettere che durante l’attacco ad Hogsmeade, mentre se ne stava barricata dentro i “Tre Manici di Scopa” insieme al resto dei clienti terrorizzati, non riusciva a smettere di pensare a quanto fosse impreparata, a quanto tempo aveva gettato via, a come avrebbe potuto essere utile. Era difficile ammettere di non riuscire a smettere di pensare a se Adam, Ginny e i bambini fossero al sicuro e stessero bene. Tamburellò le dita sul telefono prima di rimetterselo in tasca. «Sai, conosco un tipo qui che può procurarci della roba interessante..» Chris sciabolò le sopracciglia prima di farle un occhiolino per sottolineare cosa intendesse con le sue parole. Le labbra di Lexie tremarono impercettibilmente. Cavolo se avrebbe voluto. Rilassare un po’ i nervi era ciò di cui aveva bisogno. Ma non sarebbe stata una buona idea. Per niente.
    3d27b74cfc3c0186a937469ad278f597ff53ac79
    Scosse la testa, alzando il pollice in modo che indicasse l’uscita sul giardino. «Meglio di no, Chris.. Credo che andrò a fumare una sigaretta.» Il ragazzo annuì, bevendo un sorso e girando i tacchi per immergersi nella folla della pista. A quel punto la Cooper si fece largo, raggiungendo l’esterno, evitando accuratamente coppiette intente ad amoreggiare e gruppetti di gente sbronza. Tirò fuori il pacchetto di sigarette e se ne infilò una in bocca, lasciandola penzolare dalle labbra, per poi accenderla. Fece vagare lo sguardo tra la gente presente fuori, ma di Adam non c’era traccia. Forse non si sarebbe presentato. Era un’eventualità. Sfilò la sigaretta reggendola tra indice e medio. «Eeeehy.» «No.» La ragazza si voltò nella direzione da cui era venuta la voce, incrociando lo sguardo sorpreso di un tipo che si trovava solo a qualche passo da lei. Questo alzò le mani come a voler dire ”mi dichiaro innocente” per poi girare i tacchi allontanandosi borbottando qualcosa che aveva a che fare sulla presunta indole da poco di buono della Cooper. Sospirò prendendo un altro tiro di sigaretta.
     
    .
  2.     +1    
     
    .
    Avatar

    Member
    ★★★

    Group
    Member
    Posts
    223
    Reputation
    0

    Status
    Anonymes!
    Uscire dalle mura di Inverness è ormai come uscire letteralmente di casa. Gli sembra quasi di respirare aria nuova non appena si addentra nella ricca e folta vegetazione che rende difficoltoso avvicinarsi alla Santa Città se non effettivamente esperti di quelle foreste. Respira a fondo, riempiendosi i polmoni di quella brezza serale che rende l'estate più sopportabile. Si incammina con quella strana sensazione nelle ossa, che gli formicola sotto lo stato più superficiale delle sue membra. E' quasi eccitante sentire lo stomaco sobbalzare al pensiero di fare qualcosa al di fuori dagli schemi, qualcosa che non abbia nulla a che fare con il suo lavoro, con i suoi doveri nei confronti della sua famiglia e dell'intera Mano di Dio. Qualcosa di tanto spensierato e libero da essere perfettamente adeguato alla sua età, nonostante sia conscio di dimostrare più anni del dovuto, grazie a quella sua vita fatta molto più di sacrifici e responsabilità che di quelle libertà che la giovinezza dovrebbe regalare. Se non si è chiaramente eredi al trono, divisi tra due mondi, con quel costante senso del dovere addosso che ti stritola le viscere e ti fa mancare il fiato per la presa energica. Non che non abbia effettivamente vissuto, questo no. Quando era più piccolo, i propri spazi è sempre riuscito a ritagliarseli, vivendo in parallelo quasi due vite, tanto fatta di rigore e disciplina una quanto fatta di leggerezza e dissolutezza l'altra. Ma la morte di Eve ha fatto da spartiacque. C'è stato un Adam prima e c'è un Adam dopo. Un'Adam, quello attuale, che probabilmente mai avrebbe valutato di andare a ballare in una situazione tanto critica e poco stabile come quella tra lo Stato Inglese e quello di Inverness. Che di conseguenza rende altrettanto instabile la sua vita come erede al trono di Svezia e come lycan non dichiarato, per ovvie ragioni. Ma è probabilmente tutto questo concentrato di difficoltà e incertezze che lo spingono a muoversi verso il punto dove ha nascosto la moto, lì dove gli alberi si infittiscono ancora di più, magicamente occultata agli occhi di chiunque al di fuori del suo proprietario. Nessuno più di Alexandra gli ha insegnato quanto sia utile staccare la testa, mai completamente nel suo caso, ma abbastanza da passare alcuni attimi in compagnia di quella pace mentale a lui sconosciuta ultimamente. Sale in sella alla moto, infilando il casco sopra quei lineamenti che non gli appartengono realmente ma che sono ormai il suo unico lasciapassare quando si tratta di mettere il naso fuori casa, al di fuori della fortezza arroccata di Inverness. Gli occhi, tendenti al grigio, più chiari dei suoi, si fissano sugli specchietti ai lati del manubrio e c'è una parvenza di divertente trepidazione ad animarli. Parte nella notte, alzandosi al di sopra degli alberi per superare le basse nuvole che si sono andate formando sopra di essi, con il benestare di un incantesimo trasfigurativo che rende veicolo e guidatore invisibili. Guida con la musica nelle orecchie che da sempre è un calmante per i suoi nervi mentre mette chiarezza tra i suoi pensieri. Il fatto che Alexandra, infine, gli vuole parlare è stato per lui un fulmine a ciel sereno, inaspettato e confuso. Non sa decisamente cosa aspettarsi, soprattutto se accostato al luogo dell'appuntamento: una rinomata discoteca dove è altrettanto risaputo che non sia facile confrontarsi e parlare. Un luogo tutt'altro che idoneo ad una chiacchierata, pensa prima di decidere di non anticipare i tempi ma di sbarazzarsi invece di qualsiasi pensiero di troppo. La sua mente diventa allora una tavola bianca per gli ultimi minuti di viaggio che lo separano dal locale. Lo stesso che, sorvolandoci sopra, è fin troppo colmo per i suoi gusti essendoci fin troppa gente all'esterno. Decisamente non idoneo. Registra ancora una volta mentalmente mentre scende dalla moto, una volta parcheggiata, abbandonando giacchetto e casco sotto la sella per poi darsi un'occhiata attraverso uno specchietto per risistemarsi i capelli. E' con nonchalance - e con la rassicurante pesantezza della fiaschetta di Polisucco nella tasca - che attraversa il vialetto alberato che dà sull'entrata della discoteca, lì dove sono raggruppate le persone più disparate dai più improbabili tassi alcolemici. Fa per entrare quando assiste ad una scenetta alquanto singolare che richiama la sua attenzione nell'istante in cui riconosce la criniera ramata. Il ragazzo sgattaiola via dopo un no deciso da parte di Alexandra e lui si ritrova a piegare un angolo delle labbra con divertimento. L'osserva per qualche istante, in lontananza, con il favore non soltanto del buio ma dell'anonimato. Anonimato di cui lei, non vedendola né sentendola da mesi, non sa assolutamente nulla. Fuma indisturbata mentre si guarda intorno. Un punto interrogativo piuttosto superbo e sicuro di sé gli fa domandare se non sia lui che sta cercando tra i volti sconosciuti che ha intorno. Sì che mi stai cercando. Si avvicina a lei con questa consapevolezza e un'espressione piuttosto neutra sul proprio viso. « Ehy non sembra piacerti particolarmente -» si introduce con voce bassa «- opterò per un "Ciao. Bella serata dentro?" » Un sorriso sardonico fa capolino tra i suoi lineamenti squadrati, con i peli della barbetta che gli pizzicano le labbra per qualche istante. « Ho visto quel poveraccio leccarsi le
    b7262611dd25412d9570c71314fb64c7eac45d46
    ferite mentre si allontanava con la coda tra le gambe. L'hai fatto proprio a pezzi. »
    Scherza su, felice che se inopportuno e importunante, la rossa l'abbia fatto volatilizzare tempo zero. « Avresti una sigaretta per quest'altro poveraccio che ha lasciato tutto a casa? » Le domanda poi. Con sembianze diverse, in tempi diversi e in confidenze nettamente differenti, non si era fatto problemi a sfilargliene via una direttamente dalla tasca posteriore dei jeans. Ma in queste condizioni non gli passa nemmeno per l'anticamera del cervello; non sarebbe soltanto inopportuno ma una molestia bella e buona. « Te la ricompro, tranquilla. » Un guizzo illumina il suo sguardo nel citarsi, lanciandole quello che per lui è un indizio bello e buono, rimando piuttosto chiaro ad una situazione simile già vissuta. « Hai già avvertito tutti del mio arrivo? » Dice dopo qualche minuto di silenzio passato ad osservare l'inizio e il declino immediato di una piccola rissa tra ubriachi. Poggiate le spalle contro il muro e allungate le gambe di fronte a sé, le lancia un'occhiata enigmatica che lei chissà se coglierà. Il sorrisetto, inevitabile, arriva subito dopo, prima di abbassare ulteriormente la voce. « Mi auguro vivamente di no. Ufficialmente non ho mai rimesso piede su suolo scozzese e sono ancora a Stoccolma a fare quello per cui sono nato. » Un'eredità, quella, che gli pesa ora più che mai ma che non dà a vedere, ancora una volta. Ricerca negli occhi di lei una qualche reazione a quella rivelazione accogliendo il tutto con una stirata di labbra, sapendo di non poter dare chissà quali spiegazioni lì, in mezzo ad altre persone - che per quanto ubriache rappresentano comunque orecchie indiscrete - e alla musica piuttosto alta persino da fuori. « Finiamo di fumare ed entriamo a parlare? » Il sopracciglio si inarca scherzosamente, sbuffando fuori una risata bassa. « Questa canzone in particolare mi sembra un perfetto sottofondo per una chiacchierata. Soprattutto il volume. » Il sarcasmo affilato, se ancora Alexandra avesse qualche dubbio, non può che confermarle che sotto quelle spoglie altro non vi sia che Adam Lindstörm.
     
    .
  3.     +1    
     
    .
    Avatar

    Member
    ★★★

    Group
    Member
    Posts
    153
    Reputation
    0

    Status
    Anonymes!
    Alexandra alzò leggermente il mento verso l’alto mentre espirava fuori un filo di fumo denso che restava compatto per un po’ prima di disperdersi nell’aria della notte. Passò una mano tra i capelli, dalla fronte alla nuca, dove si soffermò per qualche secondo prima di ricadere lungo il fianco. Non le piaceva aspettare. Fin da bambina, la giovane Cooper non eccelleva per quanto riguarda la pazienza. Voleva tutto e subito, detestava dover attendere per qualsiasi risultato. Non sempre, però, reagiva allo stesso modo quando si concentrava su qualcosa che sembrava irraggiungibile: a volte lasciava perdere, altre -invece- si focalizzava solo su quello, escludendo tutto il resto. Diventava come un’atleta che si allena ogni giorno per la maratona della vita. Ci mette anima e corpo, infischiandosene di ciò che pensavano gli altri. Delle volte, più la sfida si rivelava difficile, più facile era che si concentrasse su di essa. Per quanto riguardava aver scoperto di essere una sin eater -quella sera in cui aveva vomitato copiosamente melma scura direttamente nelle scarpe di Adam- si era spaventata così tanto da restarsene chiusa in casa per due giorni. Aveva annegato ciò che era successo con litri di alcol, fino a che ciò che era successo non cominciò a sembrarle solo un pessimo effetto della sbronza. Forse non era addirittura mai successo, si era detta, forse era solo qualcosa che la sua mente aveva creato unendo sprazzi di realtà alla fantasia. Ma passati gli effetti dell’ubriacatura e di tutto a cui aveva sottoposto il suo fisico, la realtà aveva inevitabilmente finito per bussare alla sua porta. E lei l’aveva ignorata. Era come se avesse scoperto di avere una malattia e invece di affrontarla, invece di capire come fare per poterla affrontare al meglio, aveva chiuso gli occhi fingendo che non esistesse, ignorando le ricadute, fingendo che tutto ciò non esistesse, che fosse frutto di un brutto sogno. Testarda come un mulo, avrebbe detto qualcuno. In realtà era solo una sciocca perché nessuno sano di mente può ignorare così a lungo qualcosa, sottovalutando le cause, dando continuamente a sé stessa spiegazioni che a malapena si reggevano in piedi. Aveva mollato prima ancora di provarci, sperando che il problema, prima o poi, sarebbe sparito da solo. Non aveva considerato, però, il continuo corso degli eventi, non aveva considerato ciò che era successo, non aveva considerato che il mondo stesse andando in subbuglio e che ad un certo punto alcune cose sarebbero diventate più importanti di altre. Se ripensava a quel pomeriggio il suo stomaco andava in subbuglio e lo percepiva, lo sentiva, qualcosa che le risaliva su per la gola, dandole la nausea. Prese un altro tiro di sigaretta, lanciando l’ennesima occhiata alla gente che le passava accanto. E’ così dannatamente da te farti aspettare tanto. Quel pensiero le attraversò la mente, senza nessuna glaciale ironia, tutt’altro. Sembrava quasi divertita da quel pensiero. Scosse appena la testa, rialzandola solo quando qualcuno le rivolse la parola. « Ehy non sembra piacerti particolarmente opterò per un "Ciao. Bella serata dentro?" » Ah, alla buon’ora.. Si voltò verso il punto da cui era venuta la voce, le labbra dischiuse come se stesse per dire qualcosa, ma le si strozzarono in gola nel momento in cui il viso che si ritrovò difronte non era quello che si aspettava. Sbatté le palpebre un paio di volte per essere sicura che non si stesse sbagliando. Forse era colpa della musica se quel tipo aveva la voce così simile alla sua. Raddrizzò la schiena, riducendo le labbra ad una linea netta, squadrando il tizio dall’alto al basso e viceversa. «Bellissima, per questo me ne sto qua fuori.» commentò, alzando un solo sopracciglio che le si inarcò sulla fronte, donandole l’aria di chi ha appena ricevuto una domanda davvero stupida. Li guardò di nuovo intorno, inspirando ed espirando sonoramente, come se la sua pazienza fosse davvero arrivata ad un punto di non ritorno. Dove cazzo sei? « Ho visto quel poveraccio leccarsi le ferite mentre si allontanava con la coda tra le gambe. L'hai fatto proprio a pezzi. » Come? Si girò nuovamente a guardarlo, stavolta con un’aria interrogativa mentre ripensava all’affermazione da lui appena fatta. Ah, doveva parlare del tipo di prima, quello che, nell’andarsene, le aveva rivolto davvero tante parole carine. «Senti -» puntò gli occhi su quelli di lui prima di fare un altro tiro di sigaretta «- sto aspettando... Mio fratello! Un tipo geloso -» arricciò il naso ed arricciò le sopracciglia, scuotendo la testa, come se volesse mettere in evidenza la gravità della situazione. «- e probabilmente è meglio che tu te ne vada prima che mi veda parlare con te..» Si strinse nelle spalle in un silenzioso “mi dispiace” con tanto di faccia ferita. Che sfiga, però. Si ritrovò a pensare. Era un bel tipo ma con un pessimo tempismo. Se fosse apparso in tutt’altra occasione, sarebbe stata la prima a provarci. Ma non era quello il momento adatto. Doveva essersi fottuta il cervello. La vecchia lei ci avrebbe messo due secondi a prendere il telefono, mandare un messaggio ad Adam per dirgli che aveva avuto un contrattempo, prendere il tipo sottobraccio e offrirgli da bere prima di cominciare a provarci senza pudore. E invece ora se ne stava lì. Bastardo di un Adam Lindstörm. « Avresti una sigaretta per quest'altro poveraccio che ha lasciato tutto a casa? » Continuò a fissarlo, la mascella serrata e l’espressione di chi pensa che allora sì, quel tipo se la sta proprio cercando. E non si parla di pugni, qua. « Te la ricompro, tranquilla. » Te la ricompro, tranquilla. E’ a quel punto che spalanca gli occhi, prima di socchiuderli appena, come se in quel viso stesse cercando qualcosa di familiare, senza riuscirci. Era possibile o si trattava solo di una coincidenza? Un flash, una vita fa. Te la ricompro, tranquilla. Aveva smesso di credere da tempo nelle coindidenze. Non si era sbagliata, allora. Adam? Sbuffò, alzando all’insù un lato delle labbra. Me l’hai fatta, mhm? «Che c’è, non ti ricordi dove sta il pacchetto?» lo canzona riferendosi al fatto che la volta scorsa non si era fatto nessun problema a sfilarglielo via dalla tasca posteriore dei jeans. Ed è proprio da lì che lo prende, aprendolo e porgendo il contenuto all’uomo che le stava davanti. « Hai già avvertito tutti del mio arrivo? Mi auguro vivamente di no. Ufficialmente non ho mai rimesso piede su suolo scozzese e sono ancora a Stoccolma a fare quello per cui sono nato. » Oh sì, ceeerto, così passerei la serata a tradurre ciò che dici mentre mi rispondi con la lingua di Allison ficcata in bocca. «Ah, non hai visto i cartelli affissi all’ingresso?» chiese con un’espressione meravigliata, come se fosse quasi impossibile che non avesse notato degli eventuali cartelloni con su scritto “Adam Lindstörm sta arrivando!” Inspirò ancora dal filtro della sigaretta, un’ultima volta prima di lasciarla cadere a terra e schiacciarla con la punta della scarpa. Quindi era per questo che aveva quella faccia: non sarebbe dovuto essere lì. « Finiamo di fumare ed entriamo a parlare? » Il sopracciglio gli si inarca e sbuffa fuori una risata. La stava prendendo in giro? « Questa canzone in particolare mi sembra un perfetto sottofondo per una chiacchierata. Soprattutto il volume. » Alexandra sospira sonoramente, innalzando e riabbassando le spalle in modo teatrale. «Ed ecco che sei riuscito a rovinare questa bella faccia.» commentò agitandogli in senso circolare una mano aperta davanti al viso. «Sempre a sciupare tutto, principessa Il suo tono è sarcastico, ma c’è qualcosa nei suoi occhi, una scintilla di divertimento, che non riesce a nascondere. «Avanti, seguimi.» Ed è così che gli fa strada, guardandosi per l’ultima volta intorno, come se si stesse assicurando che nessuno la vedesse e che nel frattempo Chris o Allison o chissà chi altro fosse uscito. C’era un piccolo parco adiacente al "Lair of the White Rabbit", uno di quelli con le altalene dove di giorno portano i bambini a giocare. Ed è lì che Lexie va a sedersi, su una di quelle altalena, stendendo le gambe davanti a sé, lasciandosi dondolare appena. Si sentivano ancora la musica e gli schiamazzi della gente, in lontananza, ma il parco era totalmente deserto. Qualche anno fa, Lexie e quelli che al tempo erano i suoi amici andavano lì a fumare e a sballarsi. Ci siamo. E’ come quando vuoi che un momento arrivi a tutti i costi e quando si presenta non hai la più pallida idea di cosa dire. «Se avessi saputo che non potevi farti vedere in giro ti avrei chiesto di vederci da un’altra parte.» O forse no. Perché nonostante il senso di familiarità della musica, erano comunque lì a parlare di cose tutt’altro che semplici. Aveva sottovalutato la situazione. Prese un grosso respiro. Non era certa che Adam avrebbe capito il suo punto di vista, la difficoltà della situazione e di ciò che comportavano quelle parole. L’unica cosa che poteva fare era provare. «Mi.. dispiace essermene
    andata in quel modo.»
    cominciò, strofinando i palmi delle mani e posizionandole tra le ginocchia ossute. L’altalena non dondolava più. «Era la prima volta che mi trovavo davanti ad un lycan..» Era la prima volta che ti vedevo in quel modo. «E tutto è diventato improvvisamente troppo grande, improvvisamente reale..» Sospirò, inghiottendo a vuoto ed abbassando lo sguardo come se stesse cercando le parole sull’erba, come se stesse cercando di riacciuffare quel filo di pensieri logici che le era sfuggito di mano. «Mi ero convinta di non poterlo sopportare..» Fece una pausa durante la quale non alzò mai lo sguardo. Fu solo quando riprese a parlare che puntò gli occhi su quelli di lui. Ora che gli diceva quelle cose le pareva di scorgerlo aldilà dell’aspetto così diverso. «Ero al lavoro quando è successo quel casino. Un tipo è entrato nel bar gridando che lì vicino si stava svolgendo una rivolta o qualcosa del genere. Ci siamo barricati dentro. Non è entrato nessuno. Abbiamo solo sentito delle urla, ma nulla di più.» Si strinse nelle spalle. Probabilmente non erano mai stati davvero in pericolo, ma aver anche solo pensato di esserlo l’aveva messa davanti a delle verità, verità che aveva deciso di voler confidare ad Adam. Si morse le labbra prima di prendere un grosso respiro. «Il fatto è che mentre me ne stavo lì, dietro il bancone con la bacchetta in mano, non riuscivo a smettere di pensare. A pensare che avrei voluto avere più tempo, a pensare che se solo fossi stata più forte, più capace, forse avrei potuto aiutare qualcuno..» Sfilò dalla tasca una seconda sigaretta e l’accese. Era più nervosa di quanto pensasse. «Ma soprattutto non riuscivo a smettere di chiedermi se tu, Ginny e i bambini eravate al sicuro.» La sigaretta parve tremarle tra le dita. ’fanculo, ‘fanculo, ‘fanculo. Doveva restare lucida. Aprirsi così tanto per la prima volta con qualcuno la stava destabilizzando più di quanto potesse immaginare. «Tutto questo per dire -» tagliò corto, come se non volesse dare alle parole dette in precedenza più importanza del dovuto «- che mi dispiace di essere andata via e che.. Credo di essere pronta a riprovarci..»

     
    .
  4.     +1    
     
    .
    Avatar

    Member
    ★★★

    Group
    Member
    Posts
    223
    Reputation
    0

    Status
    Anonymes!
    «Senti sto aspettando... Mio fratello! Un tipo geloso e probabilmente è meglio che tu te ne vada prima che mi veda parlare con te.» Fra tutte le scuse che avrebbe potuto usare per allontanare il classico marpione di turno, quella del fratello geloso gli risulta effettivamente divertente tanto da abbozzare una risata, con un solo angolo delle labbra che si alza, sghembo. Ed è con quella faccia che prosegue, aspettando di vedere comparire nei suoi occhi scuri la scintilla della realizzazione. Che non tarda ad arrivare, con gli occhi che le si spalancano per la sorpresa. «Che c’è, non ti ricordi dove sta il pacchetto?» Piega la testa di lato, allora, con un sorrisetto accennato. « Venendo da un completo sconosciuto, sarebbe stata più una molestia che una confidenza fin troppo esuberante. » Commenta sfilando una sigaretta dal pacchetto. « Poi avrei dovuto rimettere al suo posto quel gelosone di tuo fratello, non mi andava granché di sporcarmi le mani questa sera. » C'è sicuramente del sarcasmo nel suo tono di voce ma si avverte più una serpeggiante e fredda convinzione in quelle parole. «Ah, non hai visto i cartelli affissi all’ingresso?» Si stringe nelle spalle, senza rispondere. E' certo di non volerlo fare perché se aprisse bocca, sa per certo che ciò che direbbe potrebbe incrinare quell'incontro ancor prima che cominci. Perché se c'è una cosa su cui Adam non può mettere la mano sul fuoco è l'agire della rossa. Non sa mai cosa farà, cosa le passa per la testa, dove è posta la sua lealtà, se la sua parola è data dalla salda e sicura convinzione o dall'effetto dell'ennesimo oppiaceo che le scorre nelle vene. Lo sa, il Lindstörm, che per quanto possa raccontarsi, per quante belle parole possa usare per convincersi, nel profondo lui non si fida della donna che ha di fronte. Non può materialmente farlo, non del tutto. Non era certo delle condizioni psicofisiche di Alexandra prima di vedersela lì, se non del tutto lontana dall'alcol, abbastanza lucida da poter sorreggere il suo sguardo senza che le palpebre la tradiscano, appesantite e stanche. E non sapendo come stesse, non poteva essere certo che il loro scambio fosse rimasto effettivamente tra di loro. Per questo motivo negli ultimi mesi non le ha mai detto veramente dove si trovasse. Una volta o due, quando era in Svezia, le aveva mandato qualche foto dei nipoti, giusto per non dire che fossero scomparsi tutti nel nulla, conscio che seppur fosse entrata in collisione con Ginny, lei mai avrebbe rovinato i suoi piani d'anonimato, pensati nei minimi dettagli. «Ed ecco che sei riuscito a rovinare questa bella faccia. Sempre a sciupare tutto, principessa. Avanti, seguimi.» Scuote la testa mentre incastra la sigaretta tra le labbra divertite. « Non potevo deludere le tue alte aspettative. » La canzona buttando fuori una prima nuvola di fumo rado prima di prendere a camminarle al fianco. Lentamente le luci del locale si perdono dietro le loro spalle, lasciandoli lì ad essere avvolti dalla penombra che sfocia sempre più in ombra. Gli occhi cristallini, abituati a vedere perfettamente nel buio, scorgono allora il profilo di un'altalena e capisce immediatamente di essere nel parchetto dove è stato un paio di volte con i nipotini. Un sorriso pieno gli piega le labbra per qualche istante mentre si appoggia all'impalcatura del gioco con una spalla, osservando la rossa sedersi. Poi silenzio. Lui non apre bocca e lei fa altrettanto, lasciando che l'unico rumore ad aleggiare tra di loro sia il cigolio delle cinghie che tengono sospesa la ragazza. «Se avessi saputo che non potevi farti vedere in giro ti avrei chiesto di vederci da un’altra parte.» Lui semplicemente scrolla la testa. Per quanto abbia trovato peculiare la scelta del luogo d'incontro, è stato comunque felice di poter avere una scusa diversa dall'obbligo e dal dovere per uscire da Inverness. Seppur sappia già che quella che verrà, con ogni probabilità, non sarà una conversazione di piacere, rimane il fatto che è piacevole fare altro. «Mi.. dispiace essermene andata in quel modo.» L'assenza del cigolio, ormai entratogli in testa, è la prima cosa che avverte. Poi arriva il dispiacere che Alexandra gli sta comunicando, un sentimento che, seppur l'Empatia non rientri nelle sue skills acquisite, percepisce distintamente nella sua voce. Anche se è buio, la tristezza è ben visibile nei suoi lineamenti. «Era la prima volta che mi trovavo davanti ad un lycan.. E tutto è diventato improvvisamente troppo grande, improvvisamente reale..Mi ero convinta di non poterlo sopportare..» Quella rivelazione lo lascia interdetto, con il sapore di curiosità sulla punta della lingua. Com'è possibile che tu non abbia mai visto un lycan trasformato prima d'ora? Si domanda del passato di lei, dove abbia vissuto durante il lockdown, dove abbia vissuto durante la Guerra Santa. Si chiede quanto non sappia di quella ragazza dalle spalle ricurve in avanti che gli indicano quanto per lei sia difficile farsi avanti e dirsi dispiaciuta per un proprio comportamento. «[..] Il fatto è che mentre me ne stavo lì, dietro il bancone con la bacchetta in mano, non riuscivo a smettere di pensare. A pensare che avrei voluto avere più tempo, a pensare che se solo fossi stata più forte, più capace, forse avrei potuto aiutare qualcuno..» Ascolta il suo resoconto emotivo in religioso e rispettoso silenzio, immagazzinando ogni sua parola per soppesarla e capirne l'importanza, la medesima che lei le sta attribuendo nel momento in cui gliela consegna. L'impotenza, la vulnerabilità: le sensazioni che conosco meglio e che ho giurato a me stesso che mai più avrei provato dopo la morte di Eve. Riesce quindi ad empatizzare con lei, tanto da fare un passo in avanti per non rimanere un secondo di più in piedi, al di sopra, quasi ad un livello superiore. Si siede sull'altalena libera, di fianco a lei, al suo pari. «Ma soprattutto non riuscivo a smettere di chiedermi se tu, Ginny e i bambini eravate al sicuro.» Ripensare a quel giorno, seppur tutti i membri della sua famiglia fossero perfettamente al sicuro, lontano da tutto, riesce ancora a scomporlo. Ha vissuto tutto in differita, da lontano, con un'ansia ingiustificata che l'aveva portato a chiedere ad Elijah di controllare I Tre Manici, non appena avesse potuto. Di controllare che Alexandra, l'unica incognita al di fuori dal suo schema perfetto, stesse bene. Butta fuori l'ennesimo tiro di fumo e prende a ciondolare, avanti e indietro, con i ganci che stridono sotto il suo peso. «Tutto questo per dire che mi dispiace di essere andata via e che.. Credo di essere pronta a riprovarci.» Sa già che la ragazza non aggiungerà altro, sapendo già alla perfezione quanto le sia costato dover ammettere ad alta voce quelle verità. Un prendere consapevolezza che sarà stato più arduo proprio per lei stessa. Sa già che ha concluso la sua arringa eppure rimane in silenzio per degli attimi interminabili, utili per finire la sigaretta. Con un colpo di bacchetta poi riduce in
    81c3c2f647ff3bd3283f58febf2a7f552bbb90e3
    polvere volatile il mozzicone. « Grazie per esserti confidata con me, so bene lo sforzo che ti sei richiesta per farlo. » Una constatazione lineare che carica di empatia, quella stessa di cui sa essere capace tanto da aver intrapreso il percorso lavorativo dello psicoterapeuta. Lo stesso in cui deve rivelarsi un orecchio attento e conciliante ma anche una lingua sincera e rivelatrice. « E mi dispiace davvero per il trauma che hai vissuto. » Se fossi stato qui avrei provato a prendermi il peso della tua paura, rassicurandoti sulle nostre condizioni e mettendoti al sicuro. Che sia un dovere verso se stesso o verso quel filo che lo lega a lei, decide che è inutile confidarle quell'ipotetico "Se", quel finale differente che comunque non si è mai avverato. Controproducente parlare per ipotesi a fronte di un trauma ormai innescato. « Lexie, ti fidi di me? » Blocca il suo movimento non appena quelle parole si palesano come figure ingombranti tra di loro. « Perché mi rendo conto che so davvero poco di te. Non sapevo nemmeno che non avessi mai visto un lycan trasformato prima di me, convinto che avessi vissuto nei territori di Inverness durante la Guerra Santa o che avessi visto qualcuno di noi trasformarsi durante le varie guerre che hanno visto Hogsmeade bersaglio. » Scuote la testa e punta il naso verso il cielo. Riesce a scorgere qualche stella oltre gli spruzzi di nuvole soffici qua e là. « Sai per quanto vorrei veramente, veramente, crederti, non riesco davvero a fidarmi di te. Nel profondo, so che non mi possono bastare solo le parole. Non di nuovo. » Sospira e socchiude gli occhi, ancora rivolti verso il cielo. Si sente terribilmente infastidito nel confidarle che, nonostante il suo impegno nell'essere lì, a dirsi dispiaciuto, per lui non bastano più soltanto i discorsi e le belle parole. « Chi mi dice che alla prossima difficoltà, alla prossima cosa troppo grande da gestire per te, semplicemente tu non te ne vada nuovamente, correndo dalla parte opposta, lasciandomi lì da solo, a dover reggere il peso da solo? » Non mette in mezzo Ginny, i nipoti. No, questa volta parla soltanto di sé perché lui vorrebbe fidarsi di Alexandra a tal punto da sapere di poterle affidare la sua stessa vita, dandole le spalle con la consapevolezza che lei gliele guarderà fino alla morte. Esattamente come farei io. Ma allo stato attuale lui semplicemente non può fidarsi, non fin quando non avrà qualcosa per le mani che gli faccia affermare, con sicurezza, il contrario. Porta gli occhi in quelli di lei e la inchioda sul posto, fissandola con un'intensità tale da sentire il resto svanire ai lati del suo sguardo. « Dimostrami che fai sul serio. » La voce dura e risoluta sotto il peso del suo bisogno. « Dammi una prova certa, tangibile, che questa volta ci sei dentro, al cento per cento. Che non importa cosa succederà, tu semplicemente ci sa-sarai. » Qualcosa si incrina nel suo tono, tanto da intrappolarlo nella reminiscenza di quel tartagliare che ha segnato così duramente la sua infanzia. Si schiarisce la voce, fingendo un colpo di tosse e aspetta qualche istante per riprendere. « Mostrami che posso affidarti la mia stessa vita. » Senza dovermi guardare le spalle tutto il tempo per paura che tu possa scappare via, a gambe levate, lasciandomi a me stesso.

     
    .
  5.     +1    
     
    .
    Avatar

    Member
    ★★★

    Group
    Member
    Posts
    153
    Reputation
    0

    Status
    Anonymes!
    L’aria sembrava essersi fatta improvvisamente più gelida. Era come se la temperatura fosse calata drasticamente da un momento all’altro facendosi così pungente da essere quasi insopportabile per le braccia nude della giovane Cooper. Lo percepiva insinuarsi sotto la pelle, scavarle nelle ossa fino a raggiungere le viscere. Era stato come togliersi di dosso qualcosa di pesante, un cappotto avvolgente cucito su misura con le proprie sicurezze. Si sentiva vulnerabile come non era mai stata prima. Si morse le labbra. Incapace di reggere lo sguardo di Adam puntò gli occhi sulla punta delle scarpe che avevano smosso leggermente la terra compatta sotto l'altalena. Si sentiva come una bambina beccata con le mani infilate dentro il barattolo di marmellata. Aveva scelto di dare la colpa a qualcuno perché così era più facile. Attribuire ad un capro espiatorio tutte le responsabilità era il modo migliore che aveva trovato per sopportare quella situazione. Il fatto che l'uomo seduto sull’altalena al suo fianco stesse riuscendo a sgretolare quell’armatura di sicurezze che tanto ci aveva messo per costruirsi pazientemente addosso, la faceva sentire nuda ed esposta. Era come se, improvvisamente, gli occhi del mondo fossero puntati su di lei e la stessero giudicando. Sentiva un occhio di bue puntato su di sé ed era come se il pubblico si stesse aspettando di vedere qualcosa che lei non riusciva a dargli. Da quanto tempo persisteva quel silenzio assordante? Perché Adam non parlava? Magari non era passato così tanto come sembrava. I secondi sembrava essersi dilatati, malleati dalle mani esperte di un artigiano del tempo. « Grazie per esserti confidata con me, so bene lo sforzo che ti sei richiesta per farlo. E mi dispiace davvero per il trauma che hai vissuto. » Resta in silenzio, lo sguardo fisso davanti a sé su qualcosa ce non saprebbe neanche definire. Non sa se vuole ascoltare la risposta del lycan. Aveva messo in conto di fare ammenda, di liberarsi di un peso, di qualcosa che la opprimeva da tempo ma aveva pensato il meno possibile al fatto che questo comportasse anche la possibilità di ricevere una risposta che non le sarebbe piaciuta, che le avrebbe fatto male, che avrebbe scavato ancora dentro le sue ferite fino a farle sanguinare. Non trattarmi come uno qualsiasi dei tuoi pazienti. Non cercare di psicanalizzarmi. « Lexie, ti fidi di me? » Fu solo a quel punto che risollevò la testa girandola verso l’uomo che celava l’identità di Adam Lindstörm. Le sue labbra si dischiusero appena, gli occhi si allargarono un poco mostrando quanto inaspettata fosse giunta quella domanda. Ti fidi di me? Come potevano quattro parole sprigionare qualcosa di così grande? Cosa significava fidarsi di qualcuno? L’esperienza l’aveva portata ad essere sospettosa, a non affezionarsi troppo alle persone, ad allontanarsi prima che avessero la possibilità di ferirla. Dare fiducia a qualcuno è un rischio dove la maggior parte delle volte si perde. Fu impossibile impedire alla mente di ripensare a ciò che avevano passato: dal momento in cui gli aveva vomitato nelle scarpe, alle molteplici litigate, a quella volta nello studio in cui si erano aperti a vicenda, ritrovandosi a confessare verità che mai avrebbe creduto di rivelargli. E forse quella era la prova che, volente o no, una parte di lei doveva per forza fidarsi di lui. « Perché mi rendo conto che so davvero poco di te. Non sapevo nemmeno che non avessi mai visto un lycan trasformato prima di me, convinto che avessi vissuto nei territori di Inverness durante la Guerra Santa o che avessi visto qualcuno di noi trasformarsi durante le varie guerre che hanno visto Hogsmeade bersaglio. » Si morde le labbra, abbassando lo sguardo di nuovo. «Non... Non intendevo...» Si ritrovò a balbettare come ad un’interrogazione alla quale non era preparata abbastanza. Il vuoto che si era formto in mezzo al suo stomaco sembrava avesse cominciato a risucchiarla. «Ho visto altri lycan prima d’ora..» Avvolse le mani attorno alle catene che reggevano l’asse dell’altalena. Strinse così forte che le unghie laccate di uno spiccato rosa shocking rischiarono di restarle infilzate nei palmi delle mani. «Quello che volevo dire era che era la prima volta che mi trovavo davanti ad un lycan che... Che conosco..» Era la prima volta che mi trovavo davanti un lycan che fosse te. « Sai per quanto vorrei veramente, veramente, crederti, non riesco davvero a fidarmi di te. Nel profondo, so che non mi possono bastare solo le parole. Non di nuovo. » Se una parte di lei si sente ferita da quelle parole, un’altra non può fare a meno che dargli ragione. Lei stessa non si fidava di sé. Non si fidava di sé in quanto sapeva con quanta facilità riusciva a perdere il controllo, non si fidava di sé perché cambiava idea di continuo, perché un giorno era buono e l’altro no. Con che coraggio avrebbe potuto contraddirlo? « Chi mi dice che alla prossima difficoltà, alla prossima cosa troppo grande da gestire per te, semplicemente tu non te ne vada nuovamente, correndo dalla parte opposta, lasciandomi lì da solo, a dover reggere il peso da solo? » Lo guarda, senza dire nulla. Nessuno. Nessuno può dirtelo. Ma probabilmente fidarsi significa anche fare un Atto di Fede. «Chi ti dice che nel panico totale non sarei in grado di Smaterializzarmi e tagliare la corda?» Glielo aveva chiesto quella volta nel suo ufficio. « Non mi interessa questo, se te ne volessi andare, smaterializzandoti più lontano possibile, cosa potrei mai dirti? Non è per sentirmi le spalle protette che te lo sto chiedendo. Ti chiedo solo di darti una chance, qualche possibilità in più. Di allenarti per sapere perlomeno come sopravvivere, ti si dovesse presentare l'occasione. » Non lo biasimava se ora che le prospettive di una guerra erano ancora più concrete le chiedeva più sicurezze. L’avrebbe fatto anche lei al suo posto. Forse era così che la vedeva Adam: un fardello. Perché sì, sarebbe stato da ipocriti non ammetterlo: il destino era stato davvero bastardo con Adam Lindstörm nel momento in cui aveva deciso che Alexandra Cooper sarebbe stata la sua sin-eater. Ci si aspetta che queste cose abbiano un senso e invece, spesso, il Fato si diverte a mischiare le pedine sulla scacchiera. « Dimostrami che fai sul serio. » Gira il capo di poco, quel tanto che basta per guardare dritto negli occhi l’uomo seduto al suo fianco. Ebbe a malapena il tempo di elaborare la domanda che Adam parlò di nuovo. « Dammi una prova certa, tangibile, che questa volta ci sei dentro, al cento per cento. Che non importa cosa succederà, tu semplicemente ci sa-sarai. » Una prova tangibile. E’ come un’esplosione di silenzio quella che si manifesta nella sua testa, quella che si manifesta intorno a lei. Una detonazione. C’è quell’altalena e nient’altro. Tabula rasa. Metabolizza le parole una alla volta, soffermandosi con più attenzione su alcune prima di guardare la frase nella sua interezza. Una prova certa. « Mostrami che posso affidarti la mia stessa vita. » Vita e morte. Un binomio che si era insinuato nella sua vita in un modo più profondo di quanto si aspettasse. Affidarti la mia stessa vita. Il peso di una responsabilità tale da farle mancare il fiato. Le parole vorticavano nella sua testa, sfuggendo dalla sua presa un attimo prima che lei potesse afferrarle. Una prova tangibile. Ma se per una manciata di secondi intorno a loro c’è solo il silenzio, all’improvviso scoppia il rumore. Conosce quel ronzio, quell’accalcarsi di parole l’una sopra l’altra, quel formicolio all’altezza della nuca: accade ogni volta che sta diventando meno lucida, che l’istinto sta per prendere il sopravvento. Inspira a fondo, ma le labbra tremano in modo impercettibile, ultimo ostacolo di ciò che sta per uscire senza essere passato prima dalla mente. Attaccare il lycan significherebbe gettare al vento l’enorme sforzo che ha compiuto fino a quel momento cercando di imbastire una conversazione più o meno normale e lineare. Eppure non può fare a meno di sentirsi ferita da quelle sue ultime parole. Come fai a non vederlo? Scatta in piedi e ancor prima di rendersene conto si trova in piedi davanti a lui. Ha a mascella serrata in un atto disperato di non mostrare quanto in realtà si senta ferita. «Vuoi una prova tangibile, Adam? Ecco la tua dannata prova tangibile.» Si volta, dandogli le spalle per poi abbassare di colpo lo spallino sinistro della canotta, quel tanto che basta per far sì che il tatuaggio dia mostra di sé. Quel tatuaggio che ha fatto nel

    momento in cui ha deciso di restare . Ha deciso di farlo in quel punto, sulla scapola, per non averlo costantemente sotto gli occhi. «Puoi toccarlo. E’ abbastanza tangibile Nonostante si stia impegnando con tutta sé stessa è più che certa che ci sia una sfumatura di dolore nella sua voce. Tira su lo spallino con un colpo secco, per poi voltarsi di nuovo. «Io sono abbastanza tangibile Ispira profondamente prima di andare avanti. «Perché io sono qui, mentre tutta la mia famiglia si trova dall’altra parte. E... E credi che sia stato facile per me non prendere la strada più semplice?» Pensi sia stato facile per una come me abituata a pensare solo a sé stessa? Nonostante i rapporti in casa Cooper fossero fatti di alti e bassi, restavano comunque la sua famiglia ed era stato impossibile per lei non provare un grosso dolore e desiderio di fare i bagagli e partire nel momento in cui i suoi genitori e suo fratello avevano deciso di stabilirsi nello Stato Inglese. «Tempo fa mi hai detto che dobbiamo imparare a fidarci l'uno dell'altra ed esserci e che va bene anche farsi vedere per come si è, spaventati e piccoli. Bhè, sai una cosa, allora? Io adesso sono terrorizzata.» Perché non ti accorgi di quello che ho fatto? Di quanto sia stato difficile per me restare... Decidere... «Perché sono qui e tu non mi vedi.» Allarga le braccia per poi farle ricadere lungo i fianchi. «Perché sono qui e questo dovrebbe almeno farti capire che ho deciso dove stare e credimi se ti dico che non è stato per niente facile.» Non aveva mai compreso fino a fondo quanto la sua famiglia potesse mancarle. «E, davvero, mi dispiace non poter dissipare tutti i tuoi dubbi. Sarei un’ipocrita se ti dicessi che d’ora in poi sarà tutto semplice. E mi dispiace non essere all’altezza di tutto questo..» Mi dispiace non essere la sin-eater che ti aspettavi di avere. «Ma se può farti sentire meglio, se può farti sentire più sicuro, dimmi cosa devo fare.» Sospirò, alzando e riabbassando le spalle. Sospirò, respirando quell’attimo di silenzio. «Non posso costringerti a fidarti di me, Adam.» Scosse la testa, stranamente tranquilla. Forse dovresti essere uno sconsiderato per farlo. «Ma se può anche solo tranquillizzarti almeno un po’... Trasformati. Non fuggirò.»
     
    .
  6.     +1    
     
    .
    Avatar

    Member
    ★★★

    Group
    Member
    Posts
    223
    Reputation
    0

    Status
    Anonymes!
    «Vuoi una prova tangibile, Adam? Ecco la tua dannata prova tangibile.» Lo scatto che la rossa fa per portarsi davanti a lui non lo scompone sorprendendolo ma lo porta ad inclinare la testa, incuriosito dalla velocità in cui è riuscita ad elaborare, trovando la sua prova tangibile. La curiosità cresce quando segue i movimenti delle sue dita, che si arrischiano intorno alla spallina della sua canotta per tirarla giù. Se non fosse un momento così carico di tensione una parte di lui sarebbe portata a credere che Alexandra voglia sedurlo, in qualche modo, con il favore delle tenebre. Ma l'incontrare il suo tatuaggio gli fa solo contrarre le labbra d'impulso. «Puoi toccarlo. E’ abbastanza tangibile Il realismo che da sempre lo accompagna si blocca, scontrandosi contro la barriera dei denti, serrati per costringersi a non parlare frettolosamente. Perché no, non crede che il tatuaggio possa essere davvero abbastanza, non quando c'è gente che ha deciso di rimanere lì, facendosi tatuare, ma senza credere davvero alla causa. È sempre stato certo che molte delle persone che puntualmente incrocia al Polis, intente a sgraffignare quante più nozioni possibili sulla Loggia Nera, saranno le prime a voltare le spalle a chi ha teso loro la mano, una volta che si presenterà l'occasione e che l'istinto alla sopravvivenza avrà la meglio. Non si sente di biasimarle, Adam, ma non può di certo fidarsi di loro. Così come non riesce a farlo di Alexandra. «Io sono abbastanza tangibile? Perché io sono qui, mentre tutta la mia famiglia si trova dall’altra parte. E... E credi che sia stato facile per me non prendere la strada più semplice?» Obietterebbe che è la sua famiglia ad aver preso la strada più impervia non essendo minimamente nei piani del Progetto Minerva neanche parlare del ritorno della Loggia, figuriamoci il dare alla popolazione le armi giuste per combatterla. Hai preso la scelta più saggia, loro la più stupida, come stupido sarebbe sottolinearlo di fronte a quel divampare di rabbia che è la rossa in quel momento. «Tempo fa mi hai detto che dobbiamo imparare a fidarci l'uno dell'altra ed esserci e che va bene anche farsi vedere per come si è, spaventati e piccoli. Bhè, sai una cosa, allora? Io adesso sono terrorizzata. Perché sono qui e tu non mi vedi.» Gli angoli delle labbra hanno un tremolio, probabilmente perché sono pronte a stirarsi in un sorrisetto dalle tinte tanto placide quanto amare. Veramente? La sua espressione è abbastanza eloquente da lasciar trasparire lo stupore sarcastico che una simile affermazione riesce a provocargli, soprattutto dopo tutte le volte che l'ha davvero vista. «Ma se può farti sentire meglio, se può farti sentire più sicuro, dimmi cosa devo fare. Non posso costringerti a fidarti di me, Adam. Ma se può anche solo tranquillizzarti almeno un po’... Trasformati. Non fuggirò.» Stacca improvvisamente i piedi da terra e torna ad oscillare, lasciando che il gracchiare delle catene si unisca al frastuono ovattato che arriva dal locale vicino. Rimane così per qualche istante, valutando, pensando, soppesando ogni parola che da lì a proprio dovrà lasciare forzatamente la sua bocca. Perché rimanere in silenzio non è una possibilità, questo è chiaro.
    « Pensavo fosse ormai palese quanto io ti abbia sempre vista » prende a dire sommessamente, le mani che si aggrappano alle catene dell'altalena portandolo a sorridere al ricordo delle volte in cui in quello stesso parchetto Isak ed Elsa hanno giocato fino a cedere alla stanchezza. Alza poi gli occhi chiari, incatenandoli a quelli di lei, resi ancora più scuri dal buio serale.
    38be1c71e25bf426d3c17a87f2ccf948c6a66c4a
    « Ti ho sempre vista, Alexandra. Anche quando tu stessa non eri pronta a farlo, fuggendo persino dal tuo riflesso nello specchio. » L'angolo destro delle labbra tende verso la guancia, riempendola con una smorfia. « Ti vedo anche ora. E ti sento. Nonostante tutto, non ho mai smesso di farlo perché ho la presunzione di credere di avere sempre ragione - con uno scarto minimo di errore - e so di non sbagliare con te. Ti conosco. Non le tue fattezze esterne, non le feste, non lo sballo, non tutto questo -» smuove il palmo della mano davanti a sé, ad indicarla «- ma la vera te. » Si alza allora in piedi e le si pone di fronte con un sopracciglio arcuato, le braccia dritte lungo i fianchi. « Ti sei mai chiesta veramente perché sei rimasta? » Le chiede poi, muovendo il capo di lato fin quando i suoi occhi non riescono a fissarsi in quelli di lei. Vuole guardarla, per quanto la penombra, alla quale è decisamente abituato, glielo consente. La fissa in silenzio per qualche istante. « Te lo sei chiesta nel profondo, perché hai preferito restare, ora, prendendo una strada differente dalla tua famiglia, remando nel senso contrario? Per paura? Per sopravvivenza? Per te stessa? » Deglutisce facendo un passo avanti. « Non darmi una risposta ma trovala per te stessa. E quando avrai capito, quella sarà la tua motivazione, quel perché che ti farà alzare la mattina e ti farà continuare a combattere, senza voltare le spalle al tuo compagno, senza scappare nell'oscurità per paura perché sarai invincibile davanti ad essa. Usala come perno per vederti, vederti davvero. Per vedere cosa potresti essere sotto tutta questa superficie. » È in quel momento che le mani corrono alle sue spalle per poggiarvisi quel tanto che basta per destare e ottenere la sua completa attenzione. « Per non fuggire più non hai bisogno di vedermi trasformare, per testare i tuoi nervi saldi. Per quello ci sarà tempo. » Un flebile sorriso si accenna su quella che solitamente sarebbe una linea retta dalle rare sfumature. « Devi solo imparare a fidarti di te stessa e il resto verrà da sé. Se impari a conoscerti a fondo, se ti alleni e ti concentri, non sentirai più il bisogno di scappare perché questa sarà finalmente casa tua e tu farai parte di essa. » Farai parte veramente di qualcosa, fino in fondo, non perché lo dice il tuo sangue, ma perché lo vuoi e farai di tutto per proteggerlo. Stringe appena la presa sulle sue spalle, scrollandola un po', con un sorrisetto prima di lasciarla andare. « Non puoi costringermi a fidarti di te ma puoi farlo qualcosa per te stessa. Prova a credere in quello che Alexandra Cooper potrebbe essere, potrebbe fare di buono, di rivoluzionario, di importante. » Allunga un angolo delle labbra e la lingua produce un rumore secco, quasi divertito. « Non fidarti troppo delle sue scelte però. Specie se per parlare di cose di un certo spessore, sceglie di invitarti in un locale dove la canzone meno chiassosa supera di molto la soglia dei decibel. » Sciabola le sopracciglia, ora è un sorriso sarcastico quello che gli piega le labbra, con qualche filo di barba che gliele carezza. « O alla fine era tutta una scusa per invitarmi a ballare? » Scoppia a ridere, girando intorno all'altalena per avviarsi verso la stradina dalla quale sono arrivati. « Capisco che le mie mosse sono leggenda ma non servivano sotterfugi. Bastava chiedere. » Un occhiolino viene indirizzato verso di lei. Sembra una richiesta di tregua. Sembra un deporre le armi, giusto un po', per un po'. Sembra un punto e a capo, dov'è tutto è pronto per scrivere il fresco inizio di un nuovo capitolo.
     
    .
5 replies since 20/8/2022, 11:15   151 views
  Share  
.