Arabella

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    Una pioggia torrenziale si riversa sul terriccio arido da mesi. Sembra quasi una benedizione, un evento atmosferico di quelli che promettono davvero bene, una riappacificazione della natura con l'umanità che la abita. Eppure non è una giornata particolarmente serena per Caél Cousland, che del rispetto di obblighi sociali non è mai stato un pioniere. Non che in questo specifico caso gli sia imposto un qualche obbligo, affatto - è solo che, allo stato corrente, inspiegabilmente, il ragazzo di ghiaccio percepisce l'intero contesto come inclusivo della propria persona. In breve: non è obbligato a partecipare o ad alcuna altra azione, non ci si aspetta nulla da lui né, tanto meno, si potrebbe mai immaginare che effettivamente la sua presenza sia contemplata - al contrario, se lo fosse sarebbe quanto di più assurdo la coscienza di una qualsiasi forma di essere umano possa ipotizzare. Eppure, Cay avverte come un presentimento - lui che ha sempre considerato di poco conto la sfera delle premonizioni e dei significati nascosti dietro le apparenze, lui che è sempre stato cinico e razionale su qualsiasi argomento e ad ogni costo. Sente di doverci essere, non sa se per se stesso o per qualcun altro. Avrebbe scoperto, alla fine, che la risposta giusta fosse "per entrambi". [...] Casper gli porge, a rotazione, tutto l'occorrente. L'ultimo indumento che indossa è una cravatta nera. «Troppo?», domanda, più a se stesso che all'Elfo che ha tentato disperatamente di liberare e allontanare, fallendo in ogni tentativo sino al punto di desistere. Casper non se n'è mai voluto andare, neanche dietro la promessa dell'eterna autodeterminazione. Il piccoletto scuote la testa, gli occhioni azzurri grandi e illuminati dal più profondo dei sensi di appartenenza. Lo riempie di complimenti sul suo portamento, la sua perfezione e la correttezza della propria scelta. Cay non risponde, limitandosi a conservare nella tasca dei pantaloni dal taglio rettilineo, di un tessuto che sulla pelle è come una carezza, il portafoglio, alcuni documenti potenzialmente utili, e la bacchetta, riposta al sicuro nella tasca interna. E' la prima volta che lascia il territorio difeso con le unghie e con i denti dalla sovranità di Inverness, e vorrebbe evitare di trovarsi impreparato. Infine, si reca allo studentato Grifondoro, dove sa che troverà il qualcuno che è stato il movente dell'intera situazione. Zelda Kane, che pure non gli ha chiesto niente. Fosse stato per lei, immagina il Serpeverde, neanche gliel'avrebbe detto - l'ha scoperto per caso, dal fratello della sua migliore amica. Un giro di confessioni che si fa prima a vivere che a raccontare, tanto è tortuoso. Un po' come il loro stesso rapportarsi. Ad ogni modo, Caél ha semplicemente voluto trovarsi lì, senza una particolare ragione dietro, com'è solito fare. Non dà spiegazioni, non dà conferme - agisce, nell'esatto istante in cui vuole farlo, e nell'esatto modo in cui vuole farlo. E non c'è nulla che possa distoglierlo da un proposito che ormai ha accolto. «Hai tutto con te?», chiede, scrutando le ombre del viso della bionda per leggervi un eventuale accenno di dolore e sofferenza. Non sarebbe così tanto strano, in fondo. Arabella era la sua bisnonna, e per quanto il giovane Cousland ne sappia potrebbero aver avuto un legame stretto, magari come quello che unisce lui e la zia Penelope. Alla stazione delle Passaporte di Hogsmeade, ormai sotto la giurisdizione di Inverness, una volta superati i doverosi, minuziosi e incredibilmente attenti controlli, ecco che un barattolino di marmellata ancora sporco li attende, inducendo Cay a chiedersi perché mai sia necessaria tutta quella messinscena se, comunque, ci si trova nel contesto di confini magici, sia nel punto di partenza che nel punto di destinazione. Cosa sarebbe necessario camuffare attraverso l'espediente di quel barattolino di vetro, e a chi? Se ci sono babbani su territorio magico, è perché già sanno perfettamente dell'esistenza della magia. Potrebbe capire quella scelta a Central Park, nei pressi del Colosseo romano, di fronte a Buckingham Palace. Ma in un collegamento Hogsmeade-Irlanda del Sud magica, dove sta il motivo di viaggiare grazie ad un barattolino di marmellata consumato, quando persino una Ricordella che passa di mano in mano sarebbe più igienica? Ma non si può pretendere che siano tutti competenti o quanto meno razionali, ragion per cui Caél Cousland ci mette una pietra sopra e, poco prima che la Passaporta prenotata si attivi per loro due, nell'atto di sfiorarla, evoca l'incantesimo che ben conosce. Uno strappo all'altezza dell'ombelico, una sensazione di vuoto sotto i piedi e i due maghi vengono catapultati in una vasta distesa di rocce che cadono a picco in una spiaggia isolata. L'erba che cresce rigogliosa tra gli scogli, in quel punto, è così alta da sfiorare le ginocchia. «Spero non ti dispiaccia la deviazione. Ho studiato il percorso.», commenta, Caél. L'ennesima mossa che compie senza chiedere e senza chiedersi perché. Forse voleva soltanto gustare un attimo di pace prima di osservare il dolore consumarsi sul volto degli altri. «A piedi sono dieci minuti.», aggiunge, lo sguardo perso nelle onde del mare che diventano schiuma infrangendosi contro la sabbia. E' allora che inizia ad incamminarsi, in silenzio, reputando l'attività fisica, l'aria frizzante di Settembre e il solletico dell'erba sulla pelle una medicina ben più utile e sana di altre. «Respira», dice a Zelda, chiudendo gli occhi solo per un secondo. E' già stato lì, Caél. Aveva sette anni. I suoi genitori l'avevano portato ad un incontro con dei ricchi Purosangue irlandesi, una volta scoperto fossero estremamente legati alla figlioletta minore, Niamh - che guarda caso aveva la stessa età di Caél. Stavano giocando proprio lì, a rincorrersi, quando lei aveva preso una storta ed era caduta giù, giù, sempre più giù. Aveva sbattuto la testa. Caél era troppo distante per soccorrerla - Niamh era velocissima, schizzava via come un fulmine. L'affare tra le famiglie non era mai andato in porto. Caél ne aveva subito le conseguenze. «Sono lì.», commenta, a un certo punto, riferendosi ad un drappello di persone poco distanti in lontananza. «Vogliamo andare?», domanda, quasi sovrappensiero. Finché un brivido non lo percorre da capo a piedi. Rimane come bloccato. Paralizzato. Come se gli avessero strappato il cuore dal petto. Ricorda questo dolore - erano state le sue ultime parole, mesi fa, quando al San Mungo gli avevano iniettato anti-dolorifici attraverso una flebo. La stessa flebo che Coriolanus Cousland si era preoccupato di interrompere - anche solo per pochi secondi - con una semplice e leggerissima pressione del dito indice e pollice. Quanto è facile.. - gli aveva detto. Ed ora eccolo lì.
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    Ma no, non può essere. Non può davvero essere. Cay strizza gli occhi, certo di aver avuto un'allucinazione. Non fosse stato per quella dannata chioma bianco ghiaccio, con alcune striature argentate, non fosse stato per quella singola rosa bianca che adesso si trova sulla bara di Arabella. Non fosse stato per la consapevolezza delle proprie emozioni, che in presenza del capostipite Cousland si fanno cupe come incubi tenebrosi. Stringe la mano sana a pugno, Caél, conficcandosi le unghie nel palmo. Deve poggiarsi su uno scoglio per non cadere. Coriolanus è già andato via. Forse non l'ha visto. Anzi, con ogni probabilità non l'ha visto, o l'avrebbe Schiantato seduta stante per ricondurlo a sé, come tempo addietro aveva giurato di fare, una volta appresa la scelta dei nipoti di fuggire sotto l'ala protettiva di Inverness. «E' tutto a posto.», biascica, mentendo. Non è a posto proprio niente. Perché quella rosa? Cosa c'entra lui con Arabella? - è pura follia. Questa situazione è pura follia. «..Sto bene.», mente, ancora. A se stesso più che a Zelda. Non può accettare, di fronte a se stesso, di essere ancora così terribilmente condizionato dalla presenza del Vecchio. Tossisce. Si schiarisce la voce. «L'hai visto anche tu?», è inutile mentire. Ha avuto una reazione troppo sconvolta per poter anche solo pensare di tenere in piedi una farsa.
    Sono ancora nascosti dietro lo scoglio. A breve inizierà.
     
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    Non appena ha saputo della morte di Arabella, Zelda Kane ha passato le ore successive a mettere soqquadro il proprio armadio, alla ricerca di qualcosa di nero, che potesse essere abbastanza dignitoso da essere indossato a quello che sarebbe stato il primo funerale al quale partecipa. Il primo nella sua famiglia. Ormai come posseduta da un pilota automatico che mandava avanti il suo intero organismo in completa autonomia, ha continuato a lanciare in aria vestiti su vestiti, ignorando le chiamate di sua nonna, fingendo di non sentire i messaggi di sua madre, accompagnata dai miagolii interdetti di un Kuzko che non capiva cosa stesse succedendo alla padrona. « Mi serve qualcosa di nero. » Accoglie così l'entrata di Tony in stanza, lanciandole da sopra la spalla un'occhiata colpevole per il macello che regna in camera. « Non ho niente di nero, io sono colorata, ho un sacco di colori, veri? Sono verde, poi giallo, poi rosso e arancione, azzurro, fucsia - oh sì, mi piace proprio tanto essere un evidenziatore - ma non ho niente di nero, non mi piace nemmeno il nero. Non pensavo di aver bisogno di essere nero. » Tony, a cui ancora non ha detto nulla della morte della sua bisnonna, la guarda con quella che la bionda pensa essere compassione, probabilmente immaginando ci sia qualcosa di più sotto quell'improvviso e isterico problema di moda. E allora Zelda prende a tremare, se di tristezza o isteria, non è dato saperlo, prima di scoppiare a piangere, con il sapore salato delle lacrime che le esplode in bocca mentre continua a ripetersi, come in una cantilena irritante. « Non ho niente di nero, capisci? Come posso non aver niente di nero nell'armadio? Che persona strana sono? » Fissa negli occhi la Trambley che fa di tutto per calmarla, chiedendole più volte, anche in maniera piuttosto tagliente, di sedersi con lei sul letto. Ma Zelda non ascolta, piange e prosegue sulla sua strada. « Secondo te posso mettere questa maglia -» tira su dal cumulo di vestiti una t-shirt verde lime «- ad un funerale? » Scuote la testa. « No che non posso, penso che nonna Bella si farebbe una risata nel vedermi conciata così al suo funerale ma posso solo immaginare la ramanzina di nonna Brianna, chi la vuole sentire. » Ma farei ridere nonno Flynn..oddio nonno Flynn, chissà quanto starà soffrendo, forse dovrei chiamar- Il pensiero si interrompe lì perché Tony, con uno strattone, la tira a sé per poi abbracciarla. La bionda è certa che, se non è direttamente la prima, al massimo è la seconda volta che la canadese l'abbraccia. Riesce a trasmetterle caldo per quanto la sente piuttosto rigida, è confortante soprattutto perché, essendo ora un po' più lucida, Zelda sa quanto le stia costando. E se n'approfitta di quel calore, aggrappandosi a lei mentre piange, ignorando il cellulare che continua a squillare. Piange, sperando di prosciugare ogni riserva di acqua che ha in corpo, butta fuori tutto fin quando non si addormenta, con Kuzko sopra la testa, le mani ancora strette in quelle di Tony. In mezzo ai vestiti che ancora tappezzano il pavimento, aspettando che l'indomani arrivi. [..] Alla fine è proprio Tony a rimediarle una camicetta nera, di simil seta, e dei jeans altrettanto scuri, che ha dovuto leggermente allargare con la magia ma che ora le calzano a pennello. E' con un sorriso dolce che saluta la compagna di stanza, alla quale ha ripetuto più volte che non deve accompagnarla, che non ce n'è bisogno. "C'è mamma, tranquilla", le ha detto mentre si infilava gli anfibi - sempre d Tony - neri. Poi ci sarà anche Brianna, un capitolo di quella vita che non sono pronta ad affrontare. Per questo, alla fine, preferisce andare da sola, senza il supporto di alcuna spalla amica, certa che può farcela benissimo da sola. Ha visto morire davanti agli occhi numerosi amici durante il Lockdown, e sono ancora qui, pensa, senza sottolineare quanto la sua sanità mentale ne abbia risentito. Ma in fondo non è questo l'importante, l'importante è esserci oggi. Per nonna Bella, per nonno Flynn. Si piega in avanti, con la testa all'ingiù e scrolla i capelli per cercare di dar loro una qualsivoglia forma. Ma quando si dimostrano niente di meglio che un po' volumizzati, se ne infischia, raccoglie il giubbottino verdognolo e se lo passa sopra le spalle, certa che avrà bisogno anche dell'ombrello in Irlanda. Fa per uscire, spalancando la porta, per poi ritrovarsi di fronte Caél. « Che.. » ci fai qui? La domanda rimane in sospeso tra di loro, mentre una leggera spruzzata di porpora le colora le guance. Perché seppur lui non dica niente, è vestito interamente di nero. E sei sempre così dannatamente figo, ma com'è possibile? Lei, d'altra parte, non è solo struccata ma ha anche due fossette violacee sotto gli occhi leggermente gonfi. Vorrebbe chiedergli come fa a saperlo, chi gliel'ha detto, perché effettivamente si trovi alla sua porta ma l'unica parola che le esce dalla bocca è un flebile « Ciao », accompagnato da un sorriso imbarazzato. «Hai tutto con te?» Annuisce per poi ricordarsi che no, non ha il portafoglio. E potrebbe essere essenziale avere i propri documenti dietro in uscita da Inverness. Rientra in camera, rovista sul fondo del suo solito zainetto, dalle tinte olografiche poco adatte ad un contesto di cordoglio, e recuperato l'oggetto si tira dietro la porta, affiancando il biondo. E' la prima volta che si trova in difficoltà nel trovare cosa dire: tutto quello che pensa, infatti, potrebbe risultare strano. Bizzarra quasi come la situazione nel quale si ritrovano. "Perché?" è la domanda che gli brucia sulla punta della lingua, facendole pizzicare le pareti della bocca ogni istante in più in cui rimane a rosolare lì, a fuoco lento. Non ce n'era bisogno, davvero, è questo ciò che le verrebbe da dirgli mentre gli lancia un'occhiata di sottecchi, sentendosi a disagio in quel silenzio che non dice niente ma che, allo stesso tempo, sembra voler dire tutto. « Grazie » le scappa di bocca inaspettatamente, un sorriso imbarazzato ma sincero le gonfia le guance per la prima volta dopo un paio di giorni di tenebre. « Per esserci » un soffio, quello, che si perde nelle spire del vortice in cui entrano prima di essere catapultati a chilometri di distanza. E' l'aria salmastra a stuzzicarle immediatamente il naso, facendoglielo pizzicare leggermente. Sorride, le fa sempre questo effetto tornare a casa, per quanto passi la maggior parte del tempo a cercare di insabbiare quelle sue origini che tante persone non capirebbero. Merda, la realizzazione la colpisce in pieno viso, come uno schiaffo deciso e tagliente. Caél, come d'altronde tutti al di fuori di Tux, non sa niente di quel mondo e l'idea che entri in contatto con esso la mette a disagio. Già le cose non sono assolutamente chiare tra di loro, cristallizzate nella consapevolezza di aver scopato, avendo rischiato fortemente di diventare genitori ma comportandosi ora come due amici. O quasi. Non sa dirlo Zelda, estremamente confusa dai lunghi silenzi, dalle occhiate di lui di cui spesso si ritrova ad essere oggetto. Ben più di una volta ha avvertito il profondo desiderio di fargli domande, di costringerlo a risponderle seppur, ormai l'ha capito, non sia nella sua natura. Ben più di una volta avrebbe voluto tirarlo a sé, perdendosi in un bacio dal quale sa che avrebbe fatto fatica a riemergere per prendere fiato. Eppure non l'ha mai fatto, cercando di mantenere un profilo basso, che non creasse ulteriori imbarazzi e che andasse a spezzare la piacevole sintonia che si è andata creando tra di loro, al di là di qualsiasi impulso fisico. Quella calma apparente è però ora minacciata da una persona sopra tutte: Brianna Kane. Cristo, devo scrivere a mamma di tenercela lontana. Il pensiero della nonna e Caél nell'arco di pochi metri di distanza la fa raggelare. «Spero non ti dispiaccia la deviazione. Ho studiato il percorso. A piedi sono dieci minuti.» Quell'attenzione del biondo, che reputa incredibilmente peculiare e premurosa, la distoglie qualche istante dal sudore freddo che sente imperlarle la schiena. « Hai studiato addirittura il percorso? » Lo incalza con un sorrisetto che sembra saperla lunga. « Attento che potrei cominciare a credere che tu ci tenga davvero a me. » Non sa perché l'ha detto, la lingua è stata più veloce dello stesso cervello nel bloccarla e lei sgrana gli occhi mentre continua imperterrita a tenerli fissi di fronte a sé. « Sto scherzando.. » si affretta a dire mentre le mani, bisognose di far qualcosa, prendono a giocherellare con l'erba che le arriva a metà coscia, il solletico che le provoca la calma. « Lo sai che sdrammatizzo sempre. » Che in quel momento non sia esattamente vero è tutta un'altra storia. «Respira» Incuriosita gli lancia un'occhiata e lo guarda mentre tiene gli occhi chiusi. La sua pelle, carezzata dal sole settembrino d'Irlanda, le appare quasi luccicante, le folte ciglia sembrano quasi albine. Deglutisce Zelda e respira, così come lui le ha suggerito di fare e si domanda se non sia proprio a se stesso che ha indirizzato il consiglio, dati gli occhi serrati. Il silenzio che li separa dal raduno funebre, inspiegabilmente, le diventa amico, non più un temibile avversario dal quale sfuggire ad ogni costo. E' forse addolcito dall'infrangersi pacifico delle onde, che sembra renderlo conciliante alle sue orecchie. Fissa il mare e ammette a se stessa che vorrebbe essere lì, con i piedi nudi che alzano la sabbia mentre corre e si spoglia dei vestiti per lanciarvisi dentro. Invece sta andando al funerale di sua nonna. La stessa che le ha insegnato ad amare la mitologia, con cui andava a cavallo, che.. « Sai che mi ha insegnato lei a ballare la Riverdance? » Si ritrova a dire, quasi sovrappensiero, con un sorriso triste che balugina sulle sue labbra. La Riverdance, in fondo, è un ricordo che ha condiviso proprio con lui neanche un anno prima. Non sa perché ma sente il bisogno di dirglielo, donandogli così un pezzetto di nonna Arabella, permettendogli di conoscerla un po' per non partecipare il funerale di una perfetta sconosciuta. «Sono lì. Vogliamo andare?» Posso dire di no? Pensa mentre le fissa sovrappensiero prima di annuire e riprendere a muoversi verso il drappello. « Non sarà un funerale tradi- » le parole si perdono nell'aria mentre lei si accorge che Caél ha smesso di camminare. Qualche buon passo indietro, constata guardandosi alle spalle. Sembra come paralizzato, con gli occhi sbarrati. « Cay..» lo chiama, colmando la distanza tra di loro per osservarlo da vicino. « Che.. » «E' tutto a posto. Sto bene.» Lei annuisce senza credergli davvero. E' allora che si sporge ancora oltre lo scoglio e guarda verso il gruppetto di persone raccolte intorno alla pira su quale è adagiato il feretro di Arabella. Deglutisce nel fissare lo sguardo ambrato sulla bara, lì dove c'è la sua bisnonna, che non pensa più, che non sorride più, che non respira più. Che non vive più. Ha un tuffo al cuore, per un attimo sente la terra tremarle sotto i piedi e vorrebbe scappare via, quanto più lontano possibile da lì. Così che Arabella possa ancora vivere, lontano da quel punto definitivo che è il rogo che l'avvolgerà, infine. «L'hai visto anche tu?» E' troppo immersa nei propri pensieri per aver visto veramente qualcosa. O qualcuno, sì, deve essere un qualcuno per forza. Scrolla la testa. « Chi? » Chi c'era? Segue lo sguardo di lui, alla ricerca di qualche indizio. Fissa di nuovo la bara, lì dove c'è una rosa bianca. Casa tua non era tappezzata di rose bianche per quella vostra festicciola intima? Cerca di ragionare, la bionda, seppur non trovi effettivamente un senso a quella supposizione. In fondo è un fiore come un altro, seppur sia l'unico effettivamente candido nel mucchio dai colori variopinti. Una donna, dalla lunga treccia rossa, invita le persone a prendere posto e Zelda, in tutta risposta, affonda la mano in quella di lui prima di alzare gli occhi ad incontrare i suoi. Tu ci sei per me, io ci sono per te. Senza aggiungere parole alla stretta nella quale stringe le dita del biondo, copre i pochi metri che li dividono dall'ultima fila di sedie. Intercetta con la coda dell'occhio la madre, decisamente in disparte, che tenta di farsi vedere per dirle di sedersi di fianco a lei. L'idea l'imbarazza non poco ma in effetti Andromache è totalmente fuori dalla portata di Brianna, dal capo esattamente opposto, insieme al nonno e a qualche consorella della congrega. « Eccoti qui, finalmente! » L'abbraccio nel quale viene avvolta la fa irrigidire all'istante, disorientata dal non capire all'istante a chi possa appartenere. « Zenzy, sono io, Tessa. » L'amica d'infanzia le sussurra all'orecchio e solo allora la bionda si scioglie, ricambiando goffamente la stretta. « Scusa, è che.. » questi giorni sono semplicemente un po' scossa. Non serve che finisca la frase, la rossa ha già capito tutto e le sorride, facendo un passo all'indietro. Non prima di aver lanciato un'occhiata eloquente alla mano con la quale sta stringendo quella di Caél. All'istante, Zelda lo lascia andare. « Ahm sì, Tessa lui è -» « E' sempre bello quando porti i tuoi amici a casa, seppur tu non abbia mai portato nessuno in occasioni del genere. » Brianna Kane si erge di fianco a lei, con la sua treccia formata da filamenti argentati ben salda alla base della nuca. Mamma mia, per avere oltre settant'anni è più veloce dei vampiri di Twilight. La fissa con un sorriso quasi materno prima di rivolgersi al biondo. E' impercettibile ma Zelda la conosce bene e sa che c'è stato un cambio d'animo al di sotto di quel sorriso, è cambiata una leggera sfumatura. Lo sta squadrando, dall'alto verso il basso. Comincia a percepire dei chiari brividi lungo la schiena, Zelda, ed è certa non sia per colpa della brezza marina. E' una situazione, quella della collisione di quei suoi due mondi interni, che non ha minimamente valutato e che non è pronta ad affrontare proprio nel bel mezzo del funerale di Arabella. Nota il movimento di sua madre sulla destra, pronta evidentemente a darle supporto. « Nonna, anche io avrei preferito rivederti in occasioni più piacevoli. » Le sorride, un po' meccanicamente, mentre si allunga per lasciarle un bacio sulla guancia. E nel farlo si accorge di Flynn alle sue spalle. O meglio, la pallida ombra di ciò che è suo nonno. « Oh nonno.. » le si spezza la voce mentre gli si tuffa tra le braccia,
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    per stringerlo a sé. « Croí, ora che sei qui posso finalmente respirare un po'. » Le confida, facendole gonfiare gli occhi di lacrime. « Mia madre era terribilmente anziana, sono anni che scherzavamo sopra la sua dipartita, pensavo di essere pronto eppure..eppure eccomi qui, con il fiato corto e il cuore dolorante. » La voce dell'uomo è rotta ma è anche piena della sua solita dolcezza. La stessa alla quale si aggrappa con tutta se stessa. « Tu lo sai che è insieme a Namoyr, vero? Riesco a vederla mentre cavalcano insieme nei prati dell'infinito. » L'uomo tira su con il naso e fa un passo indietro per ringraziarla, con un sorriso. La bionda si pulisce il viso velocemente, con il polsino della giacca e si volta, tornando alla realtà quando vede Caél tra Tessa e Brianna. Merda. « Flynn, caro, scusami se mi impiccio ma..sbaglio o mi è sembrato di vedere proprio Coriolanus aggirarsi qua intorno? Poi quella rosa bianca..» La donna, Zelda non la conosce, abbassa la voce alla ricerca della discrezione ma tutto ciò che ottiene è la faccia di suo nonno che diventa paonazza. « Non voglio sentirlo nemmeno pronunciare quel nome. Non qui, non nel giorno in cui dico addio a mia madre. » La voce dell'uomo è dura ma Zelda è già corsa con gli occhi a Caél. Eccolo, quel tuo "qualcuno". Non ci sta capendo nulla ma l'unica cosa che riesce a fare, dopo non aver saputo trattenere il nonno dall'andare a togliere la rosa bianca dalla pira, buttandola a terra con sfregio, è quella di affiancare Caél per poi scrollare la testa. Non dire niente, non ancora. Lo invita invece a prendere posto di fianco a sé, cercando di deglutire tutto il nervosismo che le si è accumulato addosso. La funzione comincia con una poesia recitata in gaelico, mentre i figli di Arabella si portano ai quattro punti cardinali, intorno alla pira. Tiene duro, Zelda, con i pugni stretti sui fianchi ma quando le cornamuse prendono a suonare, le lacrime le scorgano dagli occhi e semplicemente le lascia fare. Piange per la perdita di una donna che ha sempre fatto di tutto per farle vivere la vita che desiderava, lontana da quella comunità che aveva scomunicato la sua stessa madre. La brezza le fa volare all'indietro i capelli, rendendo più fresche quelle scie salate che si sono andate formando lungo le sue guance. E poi il fuoco consacra la vita di Arabella: avvolge la sua bara, lì dove è stata accompagnata in quel suo ultimo viaggio dalle tracce che ha lasciato di sé. Stringe gli occhi, Zelda Kane, per il fumo bluastro che si alza dal rogo. « L'ultimo saluto ai defunti noi lo facciamo consegnando loro una nostra paura, un nostro dolore che possa essere consumato nelle fiamme così da permettere all'anima di aiutarci ancora una volta, un'ultima volta. » Perché la morte, si sa, è una questione irrisolta soltanto per i vivi. Gli lancia un'occhiata, deglutendo. « Io non so cosa ti abbia fatto tuo nonno.. » sussurra quasi in un filo di voce. Conosceva il suo disprezzo per quell'uomo ma la reazione avuta appena mezz'ora prima le suggerisce che ci sono verità più dolorose e torbide dietro la maschera che Caél indossa. « E non so nemmeno cosa c'entri lui con la mia famiglia.. -» fa una piccola pausa per riprendere fiato «- ma potresti consegnare lui alle fiamme, sono certa che mia nonna saprebbe come vegliare sul tuo dolore. » Le loro mani entrano in collisione e Zelda lascia scivolare il dorso contro quello di lui, socchiudendo appena gli occhi. « E' la tua occasione, permettiti di tornare a respirare. » Di liberarti dalle sue catene.

     
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    « Grazie. Per esserci. », lo sguardo sempre ostinatamente neutrale di Cay si acciglia giusto un secondo. Di solito non gli capita di ricevere ringraziamenti, così come non gli capita di elargirne. Con Zelda sembra, tuttavia, che le nuove esperienze siano all'ordine del giorno. Persino quelle di vita e di situazioni estremamente comuni quali elementi di relazioni interpersonali. Non le risponde. La guida e basta in quello che ha stabilito sia il percorso da fare, e nel frattempo si chiede tante cose, ma una spicca sopra tutte. Siamo davvero così simili anche se ci crediamo diversi? Così simili da non volere, entrambi, nessuno ad accompagnarci al funerale della nostra nonna o bisnonna che sia? - soltanto questo può dedurre, il Cousland. E non gli risulta una deduzione così lontana dalla realtà, dato che la Trambley non li sta seguendo in direzione delle terre irlandesi ed è un'informazione di pubblico dominio che le due ragazze, Tony e Zelda, siano in estrema sintonia. Deve averlo necessariamente chiesto lei. Zelda. Deve aver chiesto lei che non la seguisse nessuno. E non c'è nulla di più simile, di più affine a Cay, di questo. « Hai studiato addirittura il percorso? Attento che potrei cominciare a credere che tu ci tenga davvero a me. », la capacità della Grifondoro di sdrammatizzare, come lei stessa confermerà poco dopo, strappa a Cay un'alzata di sopracciglia. «Questo lo chiedi perché non ti sembro tipo da studiare i percorsi -», io che sui percorsi ci ho fondato un'agenzia, «- e quindi uno sprovveduto -», magari questo non sarebbe tanto falso, «- o perché vuoi sentirti dire che ci tengo?», sa precisamente che con l'ultima frase genererà un'atmosfera che va ben al di là della chiacchierata tra due conoscenti, un'atmosfera che deliberatamente sfocia nella sfera delle emozioni, delle cose non dette. Non è mai stato chiaro il rapporto tra loro, e di certo non è nelle intenzioni di uno stronzo come lui andarlo a definire. Soprattutto dopo tutto quello che è successo. Soprattutto visto e considerato quanto invero potrebbe tenerci. E allora perché agire tanto irrazionalmente? Allora perché andare a scavare lì dove non vorrebbe assolutamente si investigasse? Lì, nel pozzo inaccessibile del proprio sentire. Del sentire di Zelda. Smette di porsi domande all'istante, Cay, banalizzando quel "tenerci", che per lui affatto banale non è, dicendo: «Attenta, potrei accontentarti.», utilizza un tono scherzoso, quasi tra due amici tra i quali è assolutamente naturale, consequenziale, tenere l'uno all'altro. Per la diretta definizione di amicizia, appunto. Eppure per lui non lo è. Caél usa le persone e poi le getta via quando ha finito di farlo. Si fa usare, eventualmente, se conviene a lui stesso, e quando non serve più si volatilizza via, lascia dietro di sé una scia di noncuranza e totale apatia. Si è persino sposato, per gioco, ed ha persino divorziato quando c'è stata l'occasione. E' per questo che il solo fatto di tenerci non sia per nulla banale, per lui, nonostante finga il contrario. « Sai che mi ha insegnato lei a ballare la Riverdance? », Zelda lo ridesta da quelle riflessioni. Ha lo sguardo perso in direzione del mare. Sulle sue labbra, un sorriso. Quello stesso sorriso che più volte l'ha fatto vibrare. Quel sorriso che lo fa vibrare tuttora. Deve compiere un incredibile sforzo fisico per non sfiorarla. Per non muoversi. Per non fare niente. Per non creare ancora più confusione di quanta non ce ne sia già tra loro. «Diamine, questa donna sì che ha fatto la storia.», la provoca. Sa che è l'unico modo per distrarla dal dolore. Scherzarci sopra. Sdrammatizzare. E' proprio quello che ha fatto la stessa Zelda poco fa. La guarda, sbruffone, un sorriso sghembo dipinto sulle labbra. La sfida a non ridere, anzi, la sfida ad insultarlo. Se lo merita, lui al posto suo lo farebbe. E quando è il momento, si avvia con la bionda al punto di raccolta, dove si è già formato un cumulo di gente. Dove, infine, non ci sarà più spazio per le risate e per lo scherzo - o almeno, questo Cay crede. Questo suppone. « Non sarà un funerale tradi- Cay..», si è bloccato. Il respiro è diventato affannoso, pesante. Introdurre aria nei polmoni gli costa da morire. Brucia tutto. Ha gli occhi ghiaccio iniettati di rosso. Di sangue. Di rabbia. Di odio. Quegli occhi tanto simili ai suoi. Sono sempre stati così simili, lui e Coriolanus. Nessuno potrebbe mai negare siano nonno e nipote. Nessuno al mondo, per quanto il giovane Cousland possa ardentemente desiderarlo. Deglutisce. Non può essere vero. Attribuisce quella eventuale allucinazione, visione, alla stanchezza. Chiede a Zelda se per caso l'abbia visto anche lei. « Chi? », evidentemente no. «Non importa. Mi sbagliavo.», si sente quasi rassicurato da questa convinzione. Vi si lancia come unica ed indissolubile verità. Ad ogni modo la conversazione non si approfondisce, perché il rito sta per iniziare. Zelda gli stringe le dita della mano. E' un contatto che promette calore nonostante il gelo da lui avvertito poco prima. « Eccoti qui, finalmente! - Zenzy, sono io, Tessa. » « Ahm sì, Tessa lui è -» « E' sempre bello quando porti i tuoi amici a casa, seppur tu non abbia mai portato nessuno in occasioni del genere. », visibilmente disorientato dalle molteplici voci che piombano da ogni lato, dalle strette di mano, dai saluti dei familiari, Caél quasi non si accorge che la signora vicina a Zelda si stia riferendo... Praticamente a lui. Le rivolge un cenno cordiale di saluto. Non aggiunge altro, poiché Zelda stessa non lo fa - anzi, gli sembra persino che stia cercando di liquidarla con una frase di circostanza. Tant'è che dice: « Nonna, anche io avrei preferito rivederti in occasioni più piacevoli. », e poco dopo si allontana per parlare con quello che ha tutta l'aria di essere il nonno. Il figlio di Arabella, presumibilmente. Dal dolore che gli si legge in faccia non può che essere lui. « Non ti preoccupare, ci si abitua subito. », Tessa gli sussurra quella frase all'orecchio, senza farsi sentire dai presenti. «Dici?», le domanda Cay, dubbioso. Si domanda anche come mai gli stia parlando una perfetta sconosciuta, ma sceglie di non leggervi altro che il tentativo di... metterlo a proprio agio. « Ma sì, è giusto la fase iniziale in cui tutte le paia di occhi presenti sono concentrate su di te.. Perché non ti conoscono. Ma dopo passa tutto, fidati. », schiude le labbra, fa per dire qualcosa ma poi torna indietro. Annuisce soltanto. « Comunque.. spero di vederti più spesso da queste parti. », con uno sguardo interrogativo, Cay corruga la fronte in un'espressione sorpresa. Che paradossalmente risulta buffa. « Oh. No! Non intendevo ad altri funerali! », Tessa ride, strappando una risata anche a lui. Qualche testa si volta in direzione del baccano. Ottimo, non ci facciamo mancare niente - penseranno che sono uno stronzo a ridere al funerale di una donna che neanche conosco. Annesso all'ultimo pensiero di Cay, in ogni caso, ve n'è un altro: e da quando ti interessa come appari alle persone?. E annesso a questo, un altro ancora: c'entra forse il fatto che le "persone" in questione siano... la cerchia di Zelda?. Scuote vigorosamente la testa, cacciando via ogni forma di debolezza. « Intendevo.. Di vederti in giro. Con.. Qualcuno. », e indica la Grifondoro con la coda dell'occhio. Cay inarca le sopracciglia. Le rivolge un'espressione terribilmente da paraculo. «Non so davvero di cosa tu stia parlando.», dice, ma il sorrisino che gli figura tra le labbra ha tutto un altro sapore. E Tessa se ne accorge, tant'è che gli sorride di rimando. « Certo. Certo. Non lo sai.. », il loro siparietto viene tuttavia interrotto da una scena oltremodo suggestiva. Il nonno di Zelda afferma di non voler più sentire quel nome. Si avvicina alla bara che accoglie Arabella. Straccia via la rosa bianca su essa deposta - l'unica rosa bianca. Inizialmente Cay non collega. Poi lo fa. E' la sua rosa. E' la rosa Cousland. Un brivido gli percorre la nuca. « Beh, che dire. Ha fatto bene. », conferma un’altra ragazza al loro fianco. Cay stringe le labbra. E' d'accordo, ma non è questo il punto. « Sai, io non posso ricordare, ma i miei genitori me l'hanno raccontato. Arabella.. Ha sofferto così tanto. Per colpa sua. », sul suo viso si legge disgusto. «Di chi?», si ritrova a chiedere Cay, che ancora si ostina a credere che Coriolanus non c'entri nulla in tutto quel discorso. Sarà un'altra rosa bianca. Non la sua. Non la... nostra. « Di quel mostro. Cousland. », il suo nome, pronunciato con il tono della sconosciuta, ha quasi un sapore di morte. Di male. Di peccato. Cay sta per chiederle di più, sta per cercare di collegare i pezzi. Ma Zelda si frappone tra lui e il resto del mondo, lo porta via, lo.. costringe a prender posto. Caél non ascolta una sola parola dei discorsi che seguono. Ha gli occhi persi nel vuoto. Non comprende il significato di tutto questo. Percepisce solo il duro sguardo di Flynn sulla propria sagoma. O forse se lo sta soltanto immaginando... O forse è vero e devo smetterla di convincermi che non lo sia. « L'ultimo saluto ai defunti noi lo facciamo consegnando loro una nostra paura, un nostro dolore che possa essere consumato nelle fiamme così da permettere all'anima di aiutarci ancora una volta, un'ultima volta. », ha quasi dimenticato che se è lì che si trova, Caél, è per stare al fianco di Zelda. Ancora una volta, l'ombra di Coriolanus gli impedisce di essere l'uomo che vorrebbe, lo rende carne impotente come accaduto sin dalla più tenera età. Si concentra sulla voce della Grifondoro. Non esiste altro che quella.
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    « Io non so cosa ti abbia fatto tuo nonno.. E non so nemmeno cosa c'entri lui con la mia famiglia.. - ma potresti consegnare lui alle fiamme, sono certa che mia nonna saprebbe come vegliare sul tuo dolore. », gli occhi di ghiaccio viaggiano sul contatto tra le loro mani. «Non credo lo meriti.», afferma Cay. Di bruciare attraverso queste fiamme. Che la sua fine sia tanto poetica e semplice. «Non ha sofferto abbastanza in questa vita.», lo conferma con naturalezza. Non v'è alcuna forma di pentimento nelle sue parole. Ti spaventa, per caso, Zelda? Ti spaventa che io possa provare certe cose? Che io possa desiderare il suo dolore più che la sua morte? - vorrebbe chiederglielo, Caél, per conoscere la sua risposta. Poiché da essa dipende tutto. Dipende quanto a fondo possano conoscersi. Dipende quanto a fondo lei possa accettarlo. Ma non è una parentesi che ha intenzione di aprire adesso, il primogenito della famiglia Cousland. La pira va gradualmente attenuandosi, il calore delle fiamme lascia spazio a cenere bruciata che rivoli di vento tiepido spazzano via. I presenti al funerale porgono le proprie condoglianze a Flynn e alla famiglia. Tessa sembra pregare. Il tempo sembra fermarsi. E un istante dopo - anche se, in realtà, pare trascorsa una vita - una voce si accende alle spalle di Caél, sussurrandogli una frase a denti stretti. « Vattene via, ragazzo. Non dovresti essere qui. Prima che Flynn capisca chi sei. », non fa in tempo a voltarsi, il Serpeverde, che l'interlocutore gli ha già dato le spalle, rendendogli impossibile riconoscerlo. Non che sarebbe comunque stato in grado di farlo, non avendo mai visto prima d'ora nessuno del clan dei Kane. E' a quel punto che Caél agisce in modo totalmente dissonante rispetto al proprio essere. Questo perché di regola non permette a nessuno di dirgli cosa fare. Nessuno può imporglielo. Nessuno può arrogarsi quel diritto se non lui stesso - dopo tutto quello che ha subito. Dopo tutte le imposizioni che ha già dovuto sopportare. Ma questa volta è diverso. Questa volta non si tratta di lui. Si tratta di Zelda e del suo dolore. E la presenza di un Cousland, per un motivo a lui sconosciuto ma, da parte propria, a prescindere condivisibile e comprensibile, non è gradita. «Ha ragione.», non ha idea se Zelda abbia sentito o meno le parole dello sconosciuto - probabilmente a lei noto - ma è questo il suo commento. Si alza in piedi, si trascina via. Raggiunge lo scoglio usato come rifugio dopo l'allucinazione - che di fatto allucinazione non era - avuta circa la presenza di Coriolanus. « Tu. Serpe. », una ragazza gli sta puntando la bacchetta esattamente tra le scapole. Cay non si volta. Cerca soltanto, lentamente, di recuperare la propria. Evidentemente la nemica è troppo concentrata a riversare su di lui il proprio odio, perché in effetti il biondo ci riesce senza difficoltà. « Come diavolo hai osato. Ti ha mandato lui, vero? Deve per forza essere così. Continua ad essere un infimo viscido persino il giorno del suo funerale. Ti ha mandato lui per - per.. », la voce femminile si va incrinando. E' sull'orlo del pianto. « Infangare la sua memoria. Spero che muoia. Avrebbe dovuto morire lui. », breve pausa. « Spero muoia anche tu. Spero muoiate tutti voi. »


    Edited by indesiderabile n.1 - 17/11/2022, 11:23
     
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    «Non credo lo meriti. Non ha sofferto abbastanza in questa vita.» Gli occhi di lui la fissano, con un'intensità tale da farla sentire con le spalle al muro. Con la voglia di scappare via, più lontano possibile, o di rimanere lì, così, per quanto più tempo le venga concesso. Deglutisce, inclinando la testa di lato. « Lui no ma te sì. » Alla fine risponde, senza osare abbassare lo sguardo, sentendo il bisogno che lui capisca quanto lei lo senta il dolore che lui emana. Lo sente trasparire da ogni cosa che dice, dalla sfumatura dura che incrina il suo tono di voce, da ogni minima smorfia millimetrica che riesce a sfuggire al suo controllo, dalle spalle che si contraggono e dagli occhi in cui si alza una specie di cortina di fumo, impenetrabile. « Non parlavo di un'assoluzione per lui ma di un sollievo per te. Di un po' di pace, per te, perché vorrei davvero saperti più sereno, non spaventato e congelato come prima. Perché tu lo meriti. Di lui non me ne frega un emerito cazzo. » Per quanto mi riguarda può pure marcire all'inferno. Quel pensiero la sconvolge per l'impeto con il quale la investe. Non lo conosce, l'ha visto giusto mezza volta, non sa praticamente niente di lui eppure lo percepisce attraverso l'odio di Caél e tanto le basta. Non le interessa nemmeno sapere tutta la storia, la immagina già, costellata di traumi, di dolori che hanno portato il biondo ad essere la fortezza invalicabile che è, con tutti i problemi di fiducia che non gli permettono di rilassarsi troppo nemmeno quando sono soltanto loro due e nessun altro, quando potrebbe semplicemente scivolare fuori da quella maschera di risolutezza e imperturbabilità e mostrarsi per quello che davvero c'è al di sotto. Perché se lui non si dà un minimo di chance, Zelda ne è certa, è per colpa delle ferite che gli ha inferto suo nonno. Ed è con questo sentimento che si approccia alla pira. Ha portato con sé la maglia che indossava il giorno dell'attacco al campus, avrebbe voluto buttare quella ferita ancora fresca nel fuoco ma alla fine decide per altro. Raccoglie da terra la rosa bianca, mela della discordia in quella che sarebbe dovuta essere una tranquilla cerimonia di passaggio per Arabella. La guarda, stesa sul palmo della sua mano, non ha spine, probabilmente perché il vecchio Cousland non voleva macchiare ancora di più le sue mani di sangue ma i petali sono sgualciti dall'incontro con Flynn Kane. Prenditi cura della sua sofferenza, una tacita richiesta a sua nonna. E dà in pasto alle fiamme la rosa, credendo fermamente che quella tradizione possa rivelarsi vera, quasi quanto Peter Pan faceva nelle fate. « Zenzy.. » La voce di Tessa le arriva dalle spalle, si volta e se la ritrova lì, non si era nemmeno accorta che fosse dietro di lei, in fila. La mano della rossa le carezza il braccio e Zelda sorride, debolmente, felice di quel contatto caldo. « È stato molto carino ad accompagnarti qui, nonostante tutto.. » « Tu sai qualcosa di questa storia di suo nonno? Chiederei a nonna ma la situazione mi sembra già abbastanza tesa e non vorrei svegliare il can che dorme. » La bionda sa che della ragazza dagli enormi occhi scuri che ha davanti si può fidare e Tessa, di rimando, la guarda stringendo le labbra. « Non ne sapevo niente anche io, fino a mezz'ora fa. Poi Niamh ha aperto bocca.. » E quindi ora per forza sai tutto, Niamh è la pettegola di quartiere da queste parti. « Sembra che suo nonno e Arabella stessero insieme, prima di Brian. Un amore tormentato.. » I racconti di quell'amore, improvvisamente, schiaffeggiano Zelda. Nonna Arabella gliene aveva parlato, di quel ragazzo senza nome a cui aveva donato il suo cuore. E ora un nome ce l'ha. Fa fatica, Zelda, a far combaciare quella figura austera, fredda, altolocata con quel ragazzo. Fa fatica ad immaginare un tipo come Coriolanus con Arabella, due tempre e due spiriti totalmente agli antipodi, di due pianeti differenti. Come me e Caél. Quella realizzazione la colpisce in pieno facendole più male del previsto, costringendola a stringere la presa della mano destra sulla coscia quasi a palesare il bisogno di rimanere ancorata a terra, di tornare con i piedi per terra. O forse di sostituire quel fastidio con un altro dolore. « Ha detto anche un'altra cosa poi.. » La bionda non è certa di volerla sapere, dopo aver visto negli occhi di Tessa l'angoscia, ma le fa comunque cenno di continuare. « Niamh dice che Flynn è sempre stato convinto che dietro la morte di Brian ci sia proprio il signor Cousland, troppo geloso della felicità ritrovata di Arabella. Senza di lui. » Se fosse in un cartone animato, a Zelda cadrebbe di certo la mandibola a terra per lo sgomento. « Non può essere vero. » Lo dice come se la persona da convincere di quelle parole non sia proprio lei. Scrolla il capo, mentre gli occhi dorati vagano tra le teste, superando file di sedie su sedie per trovare quelli di Caél. « Grazie, Tes » lo dice continuando a guardare altrove prima di riconettersi allo sguardo scuro dell'irlandese. « Davvero, ma devo.. » Lascia all'abbraccio che segue il compito di terminare la frase, poi sguscia via, accelerando il passo non appena vede qualcuno avvicinarti a Caél. « [..] prima che Flynn capisca chi sei. » Sente solo la parte finale ma riesce ad intuire l'inizio. È una situazione tanto imbarazzante quanto complicata, che Zelda non sa gestire, sentendosi una bambina alle prese con le questioni adulte. Ma tu sei una dannatissima adulta. Lo devi essere, non hai più solo diciannove anni, devi crescere perché il mondo corre e te non riesci a stargli dietro. « Quello è un deficiente. » Commento molto maturo, non c'è che dire. « Non devi dare peso alle parole che hai sentito..la gente di qui crede al folklore, è di vedute strette, figurati che.. » «Ha ragione.» « No.. » cerca di fermarlo raggiungendone la mano ma lui gli scivola tra le dita, senza nemmeno guardarla. Un magone le risale lo stomaco mentre prende a seguirlo. « Cay.. » « Mo leannan, no. » La presa delle dita di Brianna Kane sul suo braccio ne arrestano quasi sul nascere la fuga. « Nonna, lasciami. » Non si accorge nemmeno di quanto sia sibilante il suo tono di voce, non fin quando fissa la donna che la guarda con occhi sgranati. « Allora è così, ci hai portato in casa il nipote di quell'essere lì e ora ci volti le spalle. Per un ragazzo. » Le ultime tre parole le escono di bocca come una bestemmia, come qualcosa di schifoso, che dovrebbe farla vergognare, nel profondo. « Lasciami andare, nonna, ora. » « Zelda, ricordati che siamo la tua famiglia. » « La stessa che ha voltato le spalle a mia madre quando si è azzardata a mettere il naso fuori da Kilkenny, per vivere la sua vita. » Capisce all'istante di aver ferito la donna dalla scintilla di dolore che appare nei suoi occhi tanto simili ai propri. Sospira dal naso, rumorosamente, prima di poggiare la mano libera sopra quella di lei, che le fa da carceriere. « Nonna, mi dispiace. » Vorrebbe aggiungere altro ma delle urla attirano a sé la sua totale attenzione, tanto da portarla a scacciare la mano della donna per correre lungo il pendio. « [..] Infangare la sua memoria. Spero che muoia. Avrebbe dovuto morire lui. Spero muoia anche tu. Spero muoiate tutti voi. » January urla contro Caél, come una pazza accecata dal suo stesso dolore e Zelda si muove senza pensare. Non appena le è vicina, arresta la corsa e le strattona il braccio con cui tiene la bacchetta. Sortisce l'effetto di fargliela cadere a terra, scansandola da lui. « Ma ti senti, Jane? » Le urla in fraccia fronteggiandola, prima di guardare oltre la sua spalla, lì dove si sono avvicinate altre persone, curiose, per assistere a quella che si aspettavano essere la decapitazione del giovane e mostruoso Cousland. « Ma vi rendete conto di quanto tutto questo sia ridicolo? » « Ridicolo? Stai facendo rivoltare nonna nella tomba, ingrata che non sei altro. » Le mani si stringono a pugno lungo i fianchi mentre digrigna i denti per lo sforzo che fa per non tirarle un pugno in pieno viso. « Se fosse qui, nonna si vergognerebbe di te -» le dice dandole una spinta per farla indietreggiare «- e di tutti voi. Così come mi vergogno io. Avete preso di mira una persona, un ragazzo, sulla base di cosa? Di errori che non ha commesso lui, di colpe che non gli appartengono. » « Tu non sai.. » « No, io non so e nemmeno voglio sapere. So solo che l'avete condannato alla lapidazione pubblica soltanto per avermi accompagnato e tanto mi basta. » « Smettila Zelda. Non stai facendo soltanto una piazzata ma stai anche distruggendo il cuore di tuo nonno. » E il suo di cuore si ferma in quell'esatto istante. Senza fiato, ansimante, lascia scivolare lo sguardo in quello di suo nonno, al fianco di Brianna. Con la coda dell'occhio vede avvicinarsi sua madre, di corsa. In suo soccorso. Probabilmente realizza soltanto in quel momento di quanto sia effettivamente pubblica la sceneggiata che ha contribuito a creare. Ma non è colpa mia, non ho cominciato io, non ha cominciato lui. Gli occhi di suo nonno la trafiggono con la sofferenza e la delusione che vi legge dentro. Non è nemmeno arrabbiato, solo ferito a morte, e quello stesso sentimento si riflette nello sguardo della nipote. « Le colpe dei padri non si riversino sui figli. » Usa quel poco di greco che Flynn Kane è riuscito a farle entrare in zucca durante gli anni passati a raccontarle di quel mondo antico che ha sempre costituito la sua eredità. E la frase citata è proprio un passo da uno dei suoi tanti libri impolverati, tratto dalla storia di Ulisse che vagava per mari e persone. C'è una scintilla che non sa decifrare negli occhi dell'uomo. Sua madre fa un passo avanti, come a voler aiutare, facendo qualsiasi cosa ma Zelda scuote la testa. Ha ancora il ritmo irregolare ma è meno accaldata di prima. Incontra per un istante gli occhi di January e capisce che non ha risposto alle sue accuse solo perché la gemella l'ha trascinata via e ora la guarda truce. L'espressione generale, comunque, è sgomenta e giudicante e Zelda sa che la cerimonia per lei finisce lì. L'unico senso di colpa che prova, sul momento, è solo nei confronti dell'addio a sua nonna completamente rovinato. Anche se il rito è bello che finito, ora ci sarà solo l'abbuffata generale. Cerca di giustificarsi. « Vuoi venire con me? » Affianca Caél dando le spalle a tutti, gli lancia un'occhiata veloce che è carica del bisogno che ha di non rimanere da sola in quel momento. O forse vorrebbe rimanere da sola ma con lui. Deglutisce prima di prendere a camminare velocemente per allontanarsi quanto più possibile dal luogo del delitto, da quelle persone che amava ma che l'hanno messa a disagio con quel loro comportamento che stentava a riconoscere, dall'ennesimo casino che aveva provocato. Sono un cazzo di disastro, quando crescerò? Qualcun altro, più adulto e maturo di lei, avrebbe lasciato semplicemente perdere, avrebbe girato i tacchi e se ne sarebbe andato senza alzare un polverone. Come ha fatto Caél. Con un'occhiata laterale cerca di capire se deve aspettarsi anche la sua rabbia nei propri confronti. Per una volta decide comunque di tacere, ancora visibilmente rossa in faccia, forse anche per quella camminata che sa di corsa disperata verso quello che, dopo aver attraversato una ricca vegetazione, appare di fronte ai loro occhi. Il mare. Non appena è al limitare con la sabbia, scalcia via scarpe e calzetti, tira giù la zip della felpa e
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    lancia dietro di sé anche quella. C'è ancora abbastanza sole da permetterle di non congelarsi seduta stante e senza pensarci due volte avanza verso il mare, arrancando per la pesantezza che i vestiti bagnati le provocano, si tuffa poi dopo qualche metro. Le si mozza il fiato all'istante, a differenza dell'aria fuori, l'acqua è congelata. Ma è quello che le serve. Nuota sotto il pelo del mare, cercando di trattenere quanto più le è possibile il fiato perché non vuole risalire. Vuole rimanere lì dove tutto è attutito, tutto è lontano, persino il dolore. Nonno non mi guarderà più in faccia, quella consapevolezza la ferisce a tal punto da costringerla a risalire. Non riesce a respirare a quel pensiero, ricurva su se stessa nello sforzo che ci impiega per riempirsi quanto più possibile i polmoni di ossigeno. Poggia i piedi sul fondo del mare e avverte un grido ben distinto, sempre più vicino. Capisce che è proprio lei ad urlare solo dopo qualche istante, quando sembra risvegliarsi da quello stato di trance e diventa improvvisamente lucida. Urla con tutto il fiato che ha nei polmoni, buttando fuori il tormento che fino a quel momento si è tenuta dentro. Il viso bagnato dall'acqua marina e dalla lacrime salate che si fondono con essa. Si rende conto che non le frega niente che qualcuno può vederla e sentirla, neanche se quel qualcuno è Caél. Già, Caél.. Di colpo si blocca e si porta una mano davanti alla faccia per tirarsi indietro i capelli. Lo vede e allora gli va incontro, inciampando sui suoi stessi passi. Una nuova furia calda le si riversa nelle vene mentre gli arriva di fronte e lo fissa, con gli occhi sgranati dalla rabbia. « Tu. » Entrambe le mani si puntellano contro il suo petto per spingerlo all'indietro. « Perché sei venuto. » Un'altra spinta, poi un'altra, più debole, prima di sentire un'ondata di lacrime risalirle gli occhi per la frustrazione. Scrolla allora la testa per trattenersi e si allontana nell'acqua. « Perché cazzo sei venuto qui se te ne volevi andare lasciandomi qui da sola? » Lo devo sapere, me lo devi. Almeno questo me lo devi. « Non ti capisco proprio...perché sei qui? Dammi una cazzo di risposta per una volta, cazzo. »
     
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    « Lui no ma te sì. », quell'affermazione gli brucia dentro. E' quasi una pugnalata. E' la conferma che qualcun altro, in questa terra, abbia visto - o quanto meno intuito - la sua fragilità. Un suo tentennamento. E' capitato ben poche volte prima di adesso, la gran parte delle quali l'hanno visto protagonista insieme a Coriolanus, lo spettro che da sempre lo tormenta e perseguita, vicino o lontano che sia. E forse sarà capitato quel primo di Marzo, quando nell'oscurità della Buiopesto e per un curioso giro di incantesimi ed esplosioni, ha perso la mano principale, che ora stringe a pugno quasi a volerne confermare la presenza, l'attaccatura, il funzionamento di muscoli e articolazioni. « Non parlavo di un'assoluzione per lui ma di un sollievo per te. Di un po' di pace, per te, perché vorrei davvero saperti più sereno, non spaventato e congelato come prima. Perché tu lo meriti. Di lui non me ne frega un emerito cazzo. », vorrebbe chiederle cosa le faccia pensare che lui lo meriti. Quale proprio peccato debba dimenticare o seppellire nel dimenticatoio affinché un accenno di assoluzione possa effettivamente tangerlo. «Non posso vivere in pace, una frase che per Caél racchiude tutto, ma per il mondo circostante può avere un'infinità di sfumature e significati. I suoi occhi di ghiaccio fissano un punto indistinto in lontananza; tutto, ma non lo sguardo di Zelda - il rischio sarebbe un'altra lettura. Un'altra dimostrazione di quanto sia in grado di comprenderlo, percependo ben più di quanto non dovrebbe. Non posso vivere in pace finché respira anche lui. E' questa la verità. E' questo il bagaglio che si porta dietro, insieme ad una sfilza di cicatrici, soprusi, umiliazioni. Tutti eventi che l'hanno reso ciò che adesso è. Congelato. Ed è qualcosa che non ha affatto intenzione di cambiare. Perché la spietatezza, la freddezza, l'atteggiamento di chi non ha intenzione di piegare la testa a nessuno, il cinismo - tutto questo viene dal proprio fardello. Forse dovrebbe ringraziare Coriolanus, perché è da lui che l'ha imparato. Ed è grazie a questo che, adesso, Caél Cousland sopravvive. Mentre là fuori si prepara una guerra, mentre il Vecchio fa i suoi calcoli, mentre il frutto del proprio lavoro alla CE si sgretola lentamente. Caél è sopravvissuto. Sopravvive. C'è solo una scintilla di minaccia che promette di farlo a pezzi davvero. Di indebolirlo, rendendolo umano come non è mai stato, se non troppo tempo addietro. Quella scintilla sta adesso raccogliendo la rosa bianca di Coriolanus, sporca di terra. La getta nella pira di Arabella. I petali al profumo di sangue vengono subito divorati dalle fiamme. Un brivido percorre la schiena di Cay. Forse sta correndo un pericolo persino più grande di quello che vive ogni giorno andando contro i propri natali, contro Coriolanus Cousland. E una voce sconosciuta glielo conferma, intimandogli di andarsene prima di essere riconosciuto. Lo dice con un tono quasi paterno: non è un obbligo, è un invito. E' qualcuno che ha compreso, e adesso gli sta soltanto dando un suggerimento. Il Serpeverde lo coglie - non potrebbe far altro. Ma ciò che minaccia di distruggerlo, ciò che gli brucia dentro come nient'altro al mondo, non ha intenzione di consentirgli di salvarsi. E' Zelda. « No.. Cay.. », sa che, voltandosi indietro, sarebbe perduto. Non lo fa e continua dritto, anche se non ha una meta, anche se non ha la reale contezza di quanto sia accaduto e di quanto stia accadendo. Vorrebbe soltanto chiudere gli occhi e lasciarsi l'avventura alle spalle, rimandare eventuali decisioni, spegnere quella cazzo di bacchetta che continua a bruciare.. Perché, poi? E' Zelda. Dev'essere per forza così. Quando in lui si accende un sentimento particolarmente intenso, sia positivo, sia negativo, per quella ragazza - ecco, la bacchetta inizia a bruciare. O a far scintille. O comunque si verificano situazioni assurde. Cosa dovrei fare? - probabilmente la scelta più semplice sarebbe tagliare ogni tipo di ponte. Lasciarsela alle spalle. Dimenticare tutto quello che è successo e che la riguarda, per un'infinità di ragioni. Perché rischia di indebolirlo, rischia di assorbirlo completamente, ha persino rischiato di diventare padre e, quel ch'è peggio, ha desiderato sin troppe altre volte che tutto potesse ripetersi all'infinito, ha desiderato poterla avere di nuovo, farla sua, ha desiderato di averla per sé ancora, di annullarsi anima e corpo dentro di lei. E non dovrebbe affatto abbassare le difese, ora. Non dovrebbe - ed è per questo che viene colto di sorpresa. Una ragazza dalla pelle ambrata lo fronteggia - lo minaccia. Gli riversa addosso il proprio odio e inizia a parlare di fatti, di collegamenti che Cay non può ancora comprendere. Probabilmente adesso gli lancerà uno Schiantesimo - è per questo che Cay evoca un Protego Totalum non verbale. E non può ancora sapere quanto gli tornerà in effetti utile. « Ma vi rendete conto di quanto tutto questo sia ridicolo? Se fosse qui, nonna si vergognerebbe di te - e di tutti voi. Così come mi vergogno io. Avete preso di mira una persona, un ragazzo, sulla base di cosa? Di errori che non ha commesso lui, di colpe che non gli appartengono. » « Tu non sai.. » « No, io non so e nemmeno voglio sapere. So solo che l'avete condannato alla lapidazione pubblica soltanto per avermi accompagnato e tanto mi basta. », Zelda non ha avuto un solo dubbio. E questo se possibile gli fa comprendere con chiarezza quanto tutto ciò sia terribilmente complicato. Loro due, le loro famiglie, le bacchette che prendono vita da sole, Coriolanus al funerale della sua bisnonna, i Kane che lo cacciano via... Forse non avrebbe mai dovuto invadere gli spazi della Grifondoro. Non avrebbe mai dovuto accompagnarla a qualcosa di così... Intimo... Personale. Eppure il cuore gli sarebbe esploso se non l'avesse fatto. Ed è quello stesso sentimento dilaniante che adesso lo porta a seguirla come connessi da una calamita. Lei si dirige verso la riva. Cay ipotizza che prima o poi si fermerà, ma non potrebbe essere più nel torto. La bionda abbandona parte dei vestiti sulla sabbia e va incontro alla spuma delle onde irlandesi. Il Serpeverde quasi prende a correre quando non la vede più risalire dall'acqua salata, ma dopo un'infinità di tempo la Grifondoro riemerge. Ed è allora che anche lei gli va incontro. Cay corruga la fronte. Nell'impatto di quei due corpi che corrono in direzioni opposte, uno verso l'altro, quasi si sbilancia all'indietro. Zelda gli punta le mani sul petto. Caél la lascia fare. Deve sfogarsi. E anche lui deve farlo. E quella specie di dolore va benissimo. Perché è fisico. Non è dentro. Se solo potesse annullarsi anche quello dentro.. « Tu. Perché sei venuto. Perché cazzo sei venuto qui se te ne volevi andare lasciandomi qui da sola? Non ti capisco proprio...perché sei qui? Dammi una cazzo di risposta per una volta, cazzo. » «Smettila..», le dice soltanto, inizialmente. Cerca di bloccarle le mani, ma lei è letteralmente furiosa, continua a.. . Ha la stessa rabbia di lui. Non potremmo essere più distanti e più simili di così.. In quel groviglio di mani, Caél scivola in acqua. Il sale gli pizzica la pelle. «Per te.», è davvero così semplice, e a Zelda sembra sfuggire ogni volta. Persino un cieco lo vedrebbe. Persino allo stesso Cay sembra una risposta così semplice, per quanto si ostini a negare ripetutamente l'evidenza. «Me ne sono andato perché restare sarebbe stato peggio. Non so se te ne sei accorta, ma pare che non stia molto simpatico alla tua famiglia.», frase da stronzo. Ma non può far altro, Caél. E' così. Vede che sta per ribattere, Zelda, ma lui non ha ancora finito. E allora la anticipa. Le si piazza davanti, bagnato fradicio come lei, il vento gelido dell'Irlanda che li colpisce entrambi attaccando ancora di più i vestiti alla pelle. «Non so cosa cazzo stia succedendo. Non sono venuto per lasciarti lì da sola - ma cosa avrei dovuto fare? Mettermi a rispondere ai tuoi parenti, per-», un rombo colpisce la bolla del Protego Totalum evocato intorno a sé. Si volta di scatto. E' lui. Probabilmente Coriolanus non aveva individuato Zelda, dietro la sagoma di Cay, o non avrebbe rischiato che qualcuno lo vedesse pubblicamente attaccarlo, duellarlo. Non avrebbe giovato all'immagine della famiglia perfetta che ha sempre cercato di costruire pur mancandogli tutti gli elementi di base per farlo. Primo tra tutti l'unione familiare. Cay è accecato. Il sangue gli ribolle nelle vene. Non tanto perché ha rischiato di morire lui stesso - non ha idea di quale incantesimo gli sia stato scagliato contro - ma solo ed unicamente perché Zelda avrebbe potuto farsi del male. Anche solo un graffio sulla sua pelle sarebbe stato troppo, da sopportare, per Cay. Gli occhi di ghiaccio sono adesso del colore delle fiamme. Sono la pira accesa sulla salma di Arabella. Sono il fuoco della rabbia, della vendetta, dell'inferno che non smetterà mai di promettere a Coriolanus. Si alza dalla riva di scatto, lo insegue. Probabilmente c'è anche Zelda dietro di lui, ed è per questo che evoca un Protego Horribilis su di lei - non ha tempo di Pietrificarla. Deve inseguire Coriolanus... Ha i polmoni in fiamme. La corsa non porta a nulla. Deve essersi Smaterializzato. Urla, Cay, sul limitare di una sfilza di scogli costellati di vegetazione. Getta la bacchetta per terra e si piega sulla sabbia inumidita dall'acqua di mare che sì, incredibile ma vero, a tratti riesce a giungere sino a quel punto di spiaggia. Riprende fiato. Si rialza. Si volta di scatto verso Zelda.
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    «Sei ferita?», l'urgenza nella propria voce lo spiazza. La blocca con le spalle allo scoglio. «Sei ferita.», nota un taglio all'altezza della sua spalla. E' microscopico ma le sta inondando la maglietta di sangue. Fa per togliergliela ma.. Non sa se incontrerà resistenza. «Zelda, stai..», sanguinando. «Toglitela.», attende che lo faccia. Punta la bacchetta contro il taglio ed evoca un Epismendo. L'emorragia cessa istantaneamente. Cay conficca le unghie nel palmo delle mani. Vorrebbe uccidere Coriolanus. Vorrebbe vederlo soffrire e sanguinare cento, mille, infinite volte più di quanto non abbia sanguinato Zelda. Vorrebbe vederlo vomitare tutto il sangue che ha nel corpo, vorrebbe vederlo stramazzare a terra perché... No, non è solo perché è Coriolanus. E' perché ha rischiato di colpire Zelda. E questa consapevolezza lo stronca, lascia Cay privo di parole, di pensieri - privo del proprio stesso respiro. «Tu con me sei in pericolo, le dice soltanto, abbassando lo sguardo su di lei, ancora incatenata in quella gabbia che è il corpo di Cay. «Ma non.. Pensare mai più..», trema praticamente di rabbia. O di altro. Non lo sa, Caél.«Che io possa mai lasciarti... Da sola.», in una situazione di pericolo. «Perché se qualcuno dovesse..», farti del male, Zelda, io non smetterei di vivere finché chi ti ha ferita non esali l'ultimo respiro.

     
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    «Smettila..» Più lui prova a fermarle le mani, intrappolandole nella sua presa, più lei si dimena, rispondendo solamente alla chiamata di quell'istinto iracondo che le pompa forte nelle vene. Poco importa che Caél rientri a fatica nelle motivazioni per cui è arrabbiata, poco importa che è il senso di colpa a farle vomitare fuori tutta quella rabbia. Semplicemente non importa. Col cazzo che smetto. Pensa mentre prova a spingerlo nuovamente, cercando di fare non si sa bene cosa, forse fargli provare la sua stessa ira, forse atterrarlo, forse fargli del male, lo stesso che sente batterle forte all'interno della cassa toracica. E alla fine ci riesce, lui cade a terra e c'è la parte più infantile di lei, quella generalmente preponderante, che le solletica le labbra per farle aprire in una risata che avrebbe di certo tutte le fattezze del puro isterismo. «Per te.» Ed è come se per un attimo le si mozzasse il fiato, come se il sangue smettesse di scorrerle nelle vene, lasciando che l'incarnato del volto da un rosso porpora passi ad un bianco smorto. Privo di vita. Gli occhi color cannella sembrano ingrandirsi di fronte a quelle due semplici parole, perché seppur abbia fantasticato di sentirle dire, proprio da lui, mai avrebbe creduto che le avrebbe udite veramente, proprio da lui. Perentorie, buttate lì con fretta, senza quell'amore romantico con cui Zelda Aphrodite Pandora Kane ha sempre visto il mondo, da dietro quegli occhiali dalle lenti rosa, a forma di cuore. Si ricorda di respirare quando le braccia le ricadono addosso, appesantite dalla sensazione che ora la sta invadendo senza averle chiesto prima permesso. Vergogna. Il respiro, si accorge ora, è affaticato, corto, sconnesso come i suoi pensieri quando lo guarda dall'alto. «Me ne sono andato perché restare sarebbe stato peggio. Non so se te ne sei accorta, ma pare che non stia molto simpatico alla tua famiglia.» Si ritrova a sbuffare una risata derisoria di fronte alla stronzaggine tipica di Caél Cousland che rifà capolino dopo aver parlato, forse, per una volta con il cuore. Ma certo, rimettiamo subito i puntini sulle i altrimenti potrei anche cominciare a credere che tu tenga veramente a me. « Ti prego risparmiami dall'ennesima stron- » il movimento repentino di lui la blocca mentre si rialza dall'acqua per fronteggiarla. Inaspettamente, fa un passo indietro. Se fino a quel momento ha ricercato il contatto fisico per sfogare tutto il suo dolore, ora ha bisogno di mettere distanza tra i loro corpi. Per respirare e pensare. per chiarirsi le idee senza che il respiro di lui sulla propria pelle possa confonderla. Come fa sempre. «Non so cosa cazzo stia succedendo. Non sono venuto per lasciarti lì da sola - ma cosa avrei dovuto fare? Mettermi a rispondere ai tuoi parenti, per-» Non ha il tempo di dar voce alle innumerevoli risposte che ha sulla punta della lingua, una più stupida e infantile dell'altra, perché un rombo la investe facendola tremare. Con la coda dell'occhio si accorge della bolla, finora invisibile, dentro la quale si trovano lui e il biondo. Ma cosa.. La bolla trema leggermente, lasciandole intuire che qualcuno vi ha appena lanciato contro un incanto. Quella pazzoide di Jane, sicuro. O nonna. Ma quando vede scattare in avanti Caél capisce che c'è dell'altro, non può essere solo una di loro due. Lo chiama mentre lui comincia a correre e dopo un istante sembra riconnettere il cervello al corpo tanto che prende a muoversi per lanciarsi al suo inseguimento. Si ferma giusto un momento per prendere dalla tasca della sua felpa la bacchetta. Non sente il freddo, non sente il venticello che le solletica la nuca, non sente l'acqua appesantirle ogni passo e ogni strato di vestito che le si modella addosso come un guanto. Semplicemente corre, a perdifiato, e non si accorge del curioso caso astrale che combina un ramo secco che fa capolino tra la sabbia e la punta della sua bacchetta che prende a friggere, di sua spontanea volontà. Inciampa e cade rovinosamente a terra come un sacco di patate. « Cazzo », impreca allontanando da sé la bacchetta non appena sente un bruciore all'altezza della spalla. È frastornata, scombussolata, con i granelli di sangue che le si attaccano ovunque e si rialza a fatica. Prende a scuotere la bacchetta istericamente, cercando il modo di farla scaricare. « Perché non ti spegni, porco Godric » inveisce furiosamente, scrollando il braccio destro su e giù fin quando non decide di rilassarsi. Prende un gran respiro, talmente profondo d'avvertirlo fino ai piedi e chiude gli occhi. E solo quando è lei ad avvertirsi scaricata di qualsiasi energia impetuosa, la bacchetta non vibra più attraverso le sue dita. Socchiude una palpebra per ritrovarsi di fronte la sua punta finalmente spenta. È l'urlo impastato con il rumore del mare di Caél a rimetterla in agitazione, portandola a riprendere la corsa verso il punto in cui l'ha visto scomparire, la bacchetta riposta nella tasca posteriore dei pantaloni neri. Non passa molto prima di rincontrare gli scogli e, poco distante, il biondo che si muove meccanicamente verso di lei. « Cos'è successo? » «Sei ferita?» Scuote la testa energicamente mentre passa il corpo di lui con lo scanner che ha ora al posto degli occhi, alla ricerca del motivo che l'ha fatto urlare. «Sei ferita.» In un attimo è con le spalle al muro, bloccata dal suo corpo. « Sto alla perfezione. Cos'è successo? » Ribadisce, una vena dura nella propria voce la colpisce. «Zelda, stai..Toglitela.» Cosa? È solo allora che abbassa gli occhi, notando una piccola macchia rossastra che si propaga grazie all'acqua sulla camicetta di Tony. Merda. « Io.. » deglutisce mentre le dita si fermano intorno ai primi bottoni. Li allenta uno ad uno fin quando la spalla non può essere esposta del tutto. Un brivido - lo avverte ora - le attraversa la colonna vertebrale quando l'incanto curativo rinsalda la ferita procurata dalla sua stessa bacchetta. «Tu con me sei in pericolo Deglutisce ancora una volta, incapace di sorreggere lo sguardo di lui, improvvisamente svuotata di qualsiasi emozione forte che l'ha precedentemente animata. Però scuote la testa, fissandosi i piedi nudi sporchi di sabbia. « Sono inciampata mentre correvo. » In un altro momento, la sa per certo, sarebbe scoppiata a ridere per la propria goffaggine, marchio di fabbrica ormai bello che accettato. Ma ora quello scenario, quel suo essere spesso e volentieri sgraziata non fa altro che farle accennare un vago sorriso che muore qualche istante dopo. «Ma non.. Pensare mai più..Che io possa mai lasciarti... Da sola.Perché se qualcuno dovesse..» Il tremare di lui le rimbomba dentro, striscia sotto la pelle, unendosi al proprio battito che prende a galoppare al centro del suo petto. « Cosa? » Si sorprende da sola nel sentirsi rivolgergli quella domanda. Alza lentamente lo sguardo, soffermandosi sulle sue mani, sul suo petto che la costringe ancora contro lo scoglio, in una gabbia in cui, ne è cosciente, rimarrebbe più a lungo possibile. « Cosa faresti? » Lo incalza nuovamente, lasciando scivolare fuori la curiosità che l'ha sempre animata nei confronti di ciò che pensa. Lui e i suoi silenzi, lui e le sue azioni che entrano in totale contraddizione con le sue poche parole, calcolate, spesso spicciole, avvertite come taglienti, fredde. Parlami, dammi qualcosa al quale posso aggrapparmi davvero per non sentirmi la stupida che mi sento per stare ancora qui a provarci. La brezza che risale dall'oceano le solletica la spalla ancora scoperta e un brivido congelato le fa venire la pelle d'oca. Le dita agguantano la camicetta per coprirsi e questo non fa altro che avvicinarla ancora di più a lui. Respira profondamente, il suo profumo mescolato al sale le pizzica le narici e la inebria tanto da svuotarle la mente. Tanto da fissarne l'attenzione su una goccia che sta ricadendo giù dal suo viso, seguendo il profilo della sua gola. Allunga l'indice e il polpastrello si inumidisce subito di quell'acqua prima di imitarne il percorso al contrario, accompagnando i contorni del suo pomo di Adamo fino al mento. In quei pochi centimetri di spazio che li divide, con il volto nell'incavo del suo collo, prende a carezzargli la mandibola con la punta del naso, risalendo fin quando le due fronti non si fronteggiano in una lotta che fa ricadere i capelli bagnati di Zelda tra di loro. I nasi che si accarezzano e si respingono nello stesso momento. Lo chiama, questa volta ha un sapore diverso da quando l'ha chiamato durante la corsa, quando aveva paura per lui. La voce assume sonorità ora diverse, il nome sembra prendere significati lontani. Le sue labbra, infine, si posano su quelle di lui in un lento sfioramento che le fa quasi male fisicamente tanto ha bisogno di averne di più. Schiude la bocca e stringe le dita sulle sue braccia bagnate, sospira con le palpebre strette fin quando non realizza. No. E allora
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    si stacca, lasciandolo andare, sbattendo gli occhi come quando ci si risveglia da un sogno appagante. « No, no, no, fanculo. » Ora scuote la testa, cercando di allontanarsi da lui, per mettere quanta più distanza possibile tra di loro. Per farlo uscire da sotto la sua pelle, da quel circolo vizioso che le fa male per quanto viene desiderato. « Mi hai sentito? Vaffanculo. » Alza la voce, lo sputa fuori guardandolo dritto negli occhi, i propri pieni di onde burrascose e argini ormai definitivamente rotti. « Se sei venuto qui per me, potevi anche chiedermi di venire via con te. Potevi chiedere.. qualsiasi cosa. » Si sente la bocca secca all'istante. « Potevi fare quello per cui dici di essere venuto, comportandoti come una fottuta persona che ci tiene almeno un po' a me, per davvero. » Mentre è a ruota libera, il fiato le si fa nuovamente corto, è di nuovo affaticata mentre gli occhi vagano sul suo viso per soffermarsi sulle sue labbra. « Potevi.. » La frase non trova un finale a parole perché Zelda si sbilancia di nuovo in avanti per intrappolare la bocca di lui con la propria, le mani che corrono intorno al suo collo. Lo bacia come se non potesse fare altrimenti, come se da quelle labbra dipendesse tutto. Si abbandona contro lo scoglio mentre lo attira a sé, le labbra dischiuse per lasciar passare la lingua che ne reclama il sapore. La bacia fin quando inspira e sente i polmoni riempirsi di lui e allora porta entrambe le mani tra di loro, spingendolo indietro ancora una volta. Riprende fiato e infine decide di fare la cosa più lucida possibile: scivola via da lui, dal suo calore, dal suo profumo e mette passi di lontananza tra di loro, per proteggersi dal suo stesso corpo. È nel farlo che sente una scintilla pungolarle il sedere. Impreca nel liberare la bacchetta, ancora una volta dalla punta febbricitante. « Che problemi hai anche tu? » Inveisce contro quel pezzo di legno animato prima di lanciarlo sulla sabbia, lontana da se stessa. Che mi sta succedendo? Che problemi ho io? Non ha nemmeno il coraggio di guardare in direzione di Caél mentre vorrebbe solo che sotto di lei si aprisse una voragine nella quale sprofondare. Perché è tutto difficile, pesante, molto più grande di quanto lei è disposta a sopportare. Ho solo diciannove anni e voglio te, indipendentemente da tutto. Perché deve essere così dannatamente faticoso? « Io sono in pericolo sempre, ovunque. » Si ritrova a dirgli mentre gli dà le spalle, le mani che prendono a sfregare le braccia per donarsi un po' di calore. « Anche tu lo sei. Tutti lo siamo, pure quello stronzo di tuo nonno. Basta un fottuto cane rabbioso sputato fuori dalla Loggia Nera e vedi come si ritrova a implorare di essere risparmiato, magari chiamando la mamma come ultima cosa prima di essere divorato dalle fiamme dell'inferno. » C'è una fredda verità che serpeggia tra le sue parole, quel stesso concetto che ha accettato da qualche mese a quella parte, capendo alla perfezione come sarà la sua vita fin quando la Loggia sarà onnipresente nell'esistenza di chiunque. « Siamo sempre, costantemente, in pericolo. » Indipendentemente da te, tuo nonno, qualsiasi altro cazzone della tua famiglia che gioca a fare il sadico con la mente altrui. Si volta e nel suo sguardo, oltre al dispiacere, c'è dell'altro. Una richiesta. « O resti o te ne vai » gli dice infine. Sta solo e soltanto a te.
     
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