Flindrikin

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    lindrikin - luogo pubblico.



    Questa discussione rientra nel progetto quotidianità


     
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    Daphne Baker si sentiva osservata. Aveva coperto le cicatrici sul collo -ormai quasi totalmente invisibili- annodandoci attorto la vecchia sciarpa dei Grifondoro, quella che aveva dal primo anno di scuola. Su quelle nel viso aveva steso un po’ di trucco. L’aveva aiutata sua madre, nonostante le avesse ripetuto più volte che non ce n’era bisogno, che non si vedevano più. Eppure Daffy le vedeva. Erano sempre lì, ogni volta che si guardava allo specchio. Aveva l’impressione che le avrebbe viste per sempre come un promemoria atto a rammentarle costantemente quanto fosse impreparata, quanto fosse incapace di provvedere a sé stessa, ma anche -in un certo senso- a quanto fosse fortunata da essere sopravvissuta per ben tre volte. Il Lockdown, il treno di
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    Capodanno, il trambusto del Campus.
    C’erano delle volte in cui nei sogni i flash di ricordi si confondevano, mescolandosi tra loro, afferrando il peggio di ogni esperienza e dilatando le sensazioni. C’erano anche notti buone, però. Suo padre aveva insistito per farle incontrare uno strizzacervelli e -nonostante la riluttanza iniziale- usciva da quelle sedute più serena. C’era un pensiero fisso, però, nella sua mente che non poteva fare a meno di ignorare, che rispuntava fuori: prima o poi questa ondata di fortuna sarebbe finita. A quel punto e c’erano solo due cose che avrebbe potuto fare: arrendersi o lottare. Al momento galleggiava in un limbo. Aveva bisogno di certezze per decidere. Certezze di qualsiasi tipo. Mentre procedeva a passi misurati per la stradina che attraversava il minuscolo centro di Flindrikin incrociò lo sguardo di alcuni uomini che indossavano quella che doveva essere la divisa che indossavano le forze dell’ordine. Ebbe l’impulso di abbassare il volto, come faceva quando le cicatrici erano più visibili nel tentativo di nasconderle. Non le dissero una parola e lei continuò a camminare. Era certa di non rappresentare un pericolo per loro. La sua bacchetta era stata tracciata ancora prima di varcare il confine con il villaggio ed erano stati ispezionati i suoi effetti personali. L’aria era pesante, quasi irrespirabile. O forse era solo una sua impressione. Forse stava cominciando a ricordare come ci si sente quando si aspetta impazientemente qualcosa. Sembrava passata una vita dall’ultima volta che aveva visto i suoi amici, le persone a cui voleva bene. Il suo corpo formicolava, come incapace di contenersi. Lilac Scamander era il suo primo contatto con ciò che c’era aldilà del confine, il suo primo contatto con la sua vecchia vita dopo tanto tempo. Il primo contatto con la Daphne di prima. Avrebbe dato qualsiasi cosa per riavere indietro la sua vecchia vita. Prima di tutto. «Lily!» Si erano date appuntamento nella piazza principale e quando la vide trattenne il fiato, prima di accelerare il passo, correrle incontro e gettarle le braccia al collo. La strinse forte, un abbraccio che aveva dentro di sé paure ma anche sollievo. La guardò mentre il sorriso sul suo volto si allargava così tanto da dare l’impressione che gli angoli delle labbra avrebbero sfiorato le orecchie. «Per le mutande di Merlino, come fai? Siamo praticamente in mezzo ad una gara su quale Stato ce l'abbia più lungo e tu sembri appena uscita da un pisolino di bellezza!» Un piccolo risolino le risalì su per la gola. «Sono così felice che tu sia qui!»


     
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    Sente la voce di Daphne e subito, dentro di lei, qualcosa scatta. I muscoli del viso si rilassano in un sorriso che non ha nulla di artificioso - evento sempre più frequente negli ultimi tempi -, è solo la naturale conseguenza che il rivedere un'amica speciale provoca. «Daffy!!!», esclama a gran voce, quasi improvvisando una corsa nella sua direzione. E' assurdo, riflette Lilac, che esista un muro, per quanto in realtà invisibile, a dividerle. Un muro che tuttavia le delimita come appartenenti a due mondi ormai totalmente diversi e a sé stanti. «Ehm, più che un pisolino direi un incubo a occhi aperti - tu guarda che occhiaie mi ritrovo.», ridacchia, sdrammatizzando - ma poi neanche tanto. La sera prima non ha chiuso occhio perché è dovuta andare a recuperare degli studenti nella Foresta Proibita, insieme a Karma, Zelda e Tony. E fondamentalmente questo è il risultato: due occhiaie grandi quanto la voglia che adesso ha di una cioccolata calda. Cosa che propone subito a Daffy: «Ci sediamo da qualche parte?», anche perché, a dirla tutta, ha in serbo una sorpresa per lei. Tammy doveva incontrarsi con una sua amica a Flidrinkin, e Lily le ha chiesto di portare con sé Pimkie, la Puffola regalata a Daphne da Camila Davis, e adesso adottata appunto da Tammy. Per non parlare della seconda sorpresa... Che le attende all'interno della cioccolateria. Il piccolo Nacho, che Lily ha chiesto a June di poter portare con sé per far festa a Daffy. «Sono contentissima anch'io di rivederti. Mi sembra sia passata una vita. Anzi, forse è passata davvero.. Però tu..», la guarda negli occhi. Li vede tristi, nostalgici. Ma vi scorge anche la grinta di un tempo, quella stessa grinta che le consente di scherzare sulla critica situazione di Inverness contro lo Stato Inglese, con la divertente battuta sul gioco allo Stato che ce l'ha più lungo. E allora non ha dubbi, Lilac. «Tu sei sempre la stessa.»
     
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    Il suono della voce di Lilac ha un effetto balsamico sull’anima di Daphne Baker. Fu come riempirsi nuovamente i polmoni di aria fresca dopo una lunga apnea. L’uso del diminutivo, poi, sembrò scaraventarla violentemente nel passato, quando tutto quello che stavano vivendo attualmente non era altro che utopia e la loro preoccupazione maggiore era cosa indossare per la festa che si sarebbe svolta quella sera. Lì tutti la chiamavano Daphne. I suoi genitori, i medici, i colleghi di suo padre. L’unico era stato Tom a portarle una ventata di spensieratezza. Ma per una come Daphne, abituata a vivere ogni secondo come fosse l’ultimo, sembrava non essere mai abbastanza. Abbracciare la giovane Scamander le parve la cosa più naturale del mondo. La guardò, allargando sulle labbra un sorriso come non ne faceva da tempo. «Ma perfavore, Lily! Sei sempre bellissima, occhiaie o non occhiaie!» si strinse nelle spalle come a voler sottolineare un’ovvietà. Non erano parole di circostanza, le pensava davvero. Ricordò quando -le sembrava ormai una vita fa- si chiedeva come potesse Dean condividere l’appartamento con lei senza saltarle praticamente addosso. Doveva avere il prosciutto sugli occhi per interessarsi a lei e non alla biondina che le stava ora davanti. «Certo! Ti va qualcosa di caldo?» Il freddo cominciava a farsi pungente. Nascose e mani all’interno delle tasche dei pantaloni. «Sono contentissima anch'io di rivederti. Mi sembra sia passata una vita. Anzi, forse è passata davvero.. Però tu.. Tu sei sempre la stessa.» Il suo corpo si irrigidì per un attimo. Rimase a fissare la ragazza davanti a sé, senza avere la più pallida idea di cosa dire. Sembrare sempre la stessa doveva essere una cosa positiva, immaginava. Eppure, perché aveva l’impressione di raccontare una menzogna? Si sentiva diversa, seppur non sapesse in cosa. Aveva ricominciato a riconoscersi quando la sua immagine si rifletteva su uno specchio, eppure sentiva che qualcosa non andava. Qualcosa di profondo, che non riusciva a spiegarsi. Stese infine un sorriso, certa che non fosse quello il momento di interrogarsi troppo e sicura del fatto che se Lily la vedeva come al solito era una bella cosa. «Sono tanto felice di vederti.. Tutta intera Stava per dire “di vedere che stai bene”, ma cambiò all’ultimo momento. Stava a lei confidarle se stesse bene o meno. Non si sparano sentenze, pensò. «E gli altri? Come stanno?» Gli altri. Si perché si trovavano tutti dall’altra parte, alla fine. Lì aveva la sua famiglia, certo, ma era impossibile non sentirsi soli quando improvvisamente ti vengono tolte tutte le persone con cui sei abituata a condividere ogni secondo della tua vita. «Mi mancate così tanto..» Una confessione ad alta voce. Continuò a camminare, guardando la punta delle sue scarpe.


     
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