Have Yourself A Merry Little.. Birthday!

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    «MAMMAAAAAAAAAAAAA! ETHAN HA ROTTO LA MIA MIA MOLLETTINAAAAAAAAAAA!!» Le guance della figlia maggiore dei Macmillian erano diventate paonazze per quanto fiato aveva tirato fuori. Davanti a lei, il fratellino, seduto sul pavimento con in mano una mollettina spezzata, la fissava con gli occhi spalancati terrorizzato tanto quanto gli fosse stato lanciato contro un anatema mortale. Murphy incrociò le braccine al petto mentre sulla sua faccia si materializzava un sorriso che le arrivava da un orecchio all’altro. Nel frattempo, dal corridoio, come in un film dell’orrore, si udiva chiaramente il suono di qualcuno che saliva velocemente le scale con passo pesante. «Adesso sono cavoletti tuoi.» Disse quelle parole in silenzio, articolando ogni lettera in modo che Ethan potesse capire ciò che le stava dicendo anche semplicemente leggendole il labiale. E sì, disse “cavoletti”. Susan Bones non era mai stata una madre tollerante per quanto riguardava le imprecazioni -o “parole impronunciabili”, come le chiamava lei-. Per ogni parolaccia che veniva fuori dalla bocca di un membro della famiglia, quella persona avrebbe dovuto mettere un galeone nel barattolo che si trovava in cucina e il suo nome sarebbe stato impresso con le fiamme in un bigliettino appiccicato sul tappo. In realtà non venivano usate le fiamme, ma solo una piuma rossa con cui scriveva la signora Bones, ma a Murphy piaceva raccontarla in quel modo perché faceva apparire la situazione molto più tosta. Dunque, c’era voluto un po’, ma la bambina aveva imparato a sostituire eventuali parolacce con parole che gli somigliavano, ma che non significavano nulla. “Faccia di cuculo” era una di quelle che diceva più spesso. «ETHAN!» Nonostante sapesse che sua madre stava arrivando, il suo delicato tono di voce la fece comunque sobbalzare. «Potete, gentilmente, almeno a Natale, provare ad andare d’accordo? Trovo ridicolo dovervi mettere in punizione anche oggi!» COSA? «Ma io non ho fatto niente!!» «Hai fatto la spia, Murphy.» COOOSA? «Ma... Ma...» La bambina guardò prima la madre, poi il fratello, nuovamente la madre e ancora il fratello. «Ma Ethan...» «Ethan ti ricomprerà la molletta, ti chiederà scusa e apparecchierà la tavola per una settimana.» «Ma Murphy-» Susan lanciò uno sguardo severo al figlio che rimase a fissarla con la bocca aperta, come se il resto della frase gli si fosse congelata in gola. «Vogliamo fare due settimane?» Il bambino non rispose. «Bene. E chiudi la bocca, Ethan, non sei un merluzzo.» Il bambino serrò immediatamente le labbra. «Ok, adesso, da bravi, finite di prepararvi. Usciamo tra cinque minuti.» Detto questo girò i tacchi ed uscì dalla camera dei bambini. Aveva lo sguardo di chi non accetta repliche. I bambini rimasero a guardare il punto in cui la madre era sparita e fu solo dopo una manciata di secondi che si riguardarono nuovamente negli occhi. Fu Murphy la prima a parlare. «Allora?» incrociò nuovamente le braccia al petto, come faceva Susan, con l’intenzione di sembrare più grande di quanto fosse in realtà. «Che c’è?» Il bambino tirò su con il naso. Sembrava cercare con tutto se stesso di non piangere. «Devi chiedermi scusa. Lo ha detto la mamma.» Così, come se quelle fossero le parole definitive, le parole che non permettevano repliche. «No.» BOOOOOOOOOOOOM! Fu come se qualcosa esplodesse nella stanza. «Come?» Murphy sbatté le palpebre, come se le avessero appena rivelato qualcosa di impossibile. «Ho detto di no!» Ribadì il bambino sedendosi sul suo letto e infilandosi le scarpine. Non la guardava. «Sei proprio una faccia di cuculo, Ethan!»
    [...] La casa dei Paciock non era troppo lontana dalla loro, per questo andarono a piedi. Murphy camminava con passo svelto, avvolta nel suo pellicciotto sintetico rosa, reggendo tra le mani un pacchetto. Sulla carta c’erano disegnate delle renne con un berretto natalizio sulla testa. Gli altri li reggeva papà, ma lei aveva insistito per tenere quello. Accanto a lei camminava suo fratello. Cercava in ogni modo di ignorare lo sguardo della madre. Lo sentiva fisso sulla nuca sua e di Ethan, come se si volesse accertare che i due bambini non avrebbero ricominciato a litigare da un momento all’altro. No, non gli avrebbe dato quella soddisfazione. Sarebbe stata la bambina più angelica del mondo, almeno fino a che sarebbe stata sotto l’occhio vigile di Susan Bones. Quando arrivarono papà suonò il campanello. Si sentì del trambusto e si udì la voce di Neville aldilà della porta ancora chiusa. «Hanna, sono arrivati!» A quel punto l’ingresso si aprì e il signor Paciock li accolse con un sorriso. «Oh, ben arriva-» «Ciao Neville!» Murphy non gli fece neppure finire la frase che si issò sulle punte, dandogli un bacio sulla guancia per poi sgattaiolare oltre la porta e salire di corsa le scale che l’avrebbero portata in camera di Peter. Frequentava quella casa da sempre, da ancor prima che imparasse a camminare, perciò la conosceva come le sue tasche. Sì, era vero, aveva promesso di fare la brava bambina, ma il desiderio di sfuggire dallo sguardo inquisitore di Susan -già, in quel momento adolescenziale spesso si riferiva a sua madre usando il nome proprio- aveva preso il sopravvento su ogni altra cosa. Mentre saliva le scale le parve di sentire la voce di sua madre borbottare qualcosa. Forse si stava scusando per l’irruenza di -quella disgraziata di- sua figlia. O forse le stava solo gridando dietro di bussare alla porta invece di catapultarsi in camera di Peter come un uragano. C’erano tanti motivi per non farlo, le aveva spiegato sua madre, ma non sembrava a suo agio a dirle quali fossero. Murphy non aveva capito un granché. Forse i maschi avevano qualcosa da nascondere? Forse, ma di sicuro non Peter! Sapeva tutto di Peter!
    Per questo le parole di sua madre si persero nel vento. Non appena arrivò di fronte alla porta della camera di Peter la spalancò gridando un «INDOVINA CHI E’ ARRIVATOOOO!» come se la sua improvvisa presenza nella stanza non fosse già una risposta ovvia. «Buon Na... No, ancora non si dice. Buon compleaaa.. No, prima porta sfiga. Allora, buon qualcosa, qualunque cosa sia!» sorrise, porgendo il pacchetto al giovane Paciock, senza troppe cerimonie. «Puoi aprirlo dopo, eh! Non so quanto porti sfortuna aprire prima il proprio regalo di compleanno. Compleanno e Natale insieme, sì, se te lo stai chiedendo. Sono stata pigra, lo ammetto, ne ho comprato uno solo, ma ti ricordo che sono la regina dei regali, quindi lo troverai comunque me-ra-vi-glio-so.» cinguettò sollevando il mento verso l’alto, come per darsi chissà che arie. Si tolse il cappottino, rivelando il suo pullover a righe rosa e gialle e quella gonna con i fiori ricamati alla quale sua mamma aveva storto il naso non appena l’aveva vista. O forse erano stati i collanti rossi a non piacerle. Era difficile insinuarsi nei gusti di Susan. Si sedette sul letto con un balzo, lasciandosi rimbalzare finché le molle non smisero di cigolare sotto il suo peso. «Alloooora. Ho sentito dire che la Brown ora esce con quell’idiota di Ferguson di Corvonero. Credevo che avessero avuto entrambi la loro dose di disagio, ma forse i disagiati a questo punto sono loro...» Un po’ di gossip natalizio. Alla faccia del ”A Natale siamo tutti più buoni”. «Comunque.. Ti avverto che quando scenderemo Susan ti chiederà scusa -da parte mia- per essere entrata in camera tua in questo modo. Sentiti pure libero di dirle che mi hai detto tu che potevo fare così, ok? Saprò ricompensarti con un giro da Mielandia dove ti comprerò un dolce a tua scelta. Si, uno, non sono milionaria!» Si strinse nelle spalle, annuendo un poco come se volesse are il giusto peso e la giusta rassegnazione a quelle parole. «Muoio di fame.» sentenziò all’improvviso, forse parlando più tra sé e sé che con Peter. «Spero ci sia il budino.»
     
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