Bad habits

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    the devil inside;

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    Immersa in quel mare piatto, calmo, tra i fiumi di vapore, il suono della sveglia le era giunto ovattato solo dopo tantissimo tempo. Fissava una campagna innevata, spoglia, ai suoi occhi inconsistente. Non sapeva dove si trovasse, ma aveva come l'impressione di averla già vista. Un sogno famigliare, come famigliare erano le sensazioni che le avevano istillato quegli ultimi istanti prima di svegliarsi. Seppur fosse arrabbiata, non lo era affatto. Quei sentimenti, quelle emozioni, quel pungersi e lasciarsi pungere era tanto fastidioso quanto delizioso. « WALLACE! » Si mise a sedere si colpo sgranando gli occhi. La sveglia che continuava a suonare e l'espressione contrariata di Stacey che la osservava a braccia incrociate ai piedi del letto. « Ti devi sbrigare. » Mia annuì passando la mano sul viso pesantemente. « Come accidenti fai a dormire con questo casino? » Fermò la sveglia con un veloce colpo di bacchetta per poi scendere dal letto ascoltando l'amica solo in parte. « Ho fatto tardi ieri. Cazzo abbiamo bevuto come spugne, un po' di empatia! Finisco qua e arrivo. » « Sarà meglio. Hanno spostato le partenze di un'ora. Hanno paura che la posizione del prigioniero non sia più sicura. » Cazzo. Sarebbe stato solo naturale che a quel punto della sua vita Mia Audrey Wallace avrebbe già trovato un equilibrio. E invece, a giudicare dal disordine generale in cui giaceva la sua dimora, Mia non aveva ancora capito nulla. Dopo la partenza di Raiden poco meno di due anni prima, la vita dell'ex Serpeverde, così come quella di tutti, era completamente cambiata. La chiamata alle armi del giovane Yagami in Giappone, aveva scongiurato una catastrofe annunciata; non solo aveva salvato la vita di tanti lycan, ma aveva anche svelato la rete internazionale del Progetto Minerva che avrebbe a lungo andare portato alla completa implosione del mondo magico e soprattutto del Credo. Chiusa la parentesi di quello sventurato evento, i lycan avevano finalmente occupato il posto che spettava loro ovunque nel mondo. In assenza delle diffamazioni di Minerva in giro per il mondo, i governi non solo si erano mostrati più aperti all'idea di una duratura collaborazione, ma avevano proposto al Credo di continuare la propria missione al fianco dei Ministeri della Magia di tutto il mondo. Ora i guerrieri scelti del Credo venivano ovunque selezionati per entrare in quello che era diventata la divisione più segreta e speciale dei Corpi Auror di tutto il mondo, occupandosi proprio di quelle attività della Loggia che non erano mai cessate. In fondo, seppur alcuni esponenti di Minerva erano stati imprigionati o addirittura eliminati , molti altri erano ancora a piede libero e il moltiplicarsi dell'attività della Loggia ne era solo il più evidente indizio. Ce ne era voluto davvero tanto di tempo, affinché il Credo potesse camminare a testa alta tra i maghi senza sentirsi qualcosa di estraneo, ma ora, a conti fatti, guardando il panorama fuori dal bell'appartamento a Manhattan da cui avrebbe levato le tende in un paio d'ore.. « ..- fanculo mi sono proprio rotta di questa città. » Quanto a Mia, dopo la partenza di Raiden era andata sotto un treno. Dalla festa di Halloween e fino ai primi rintocchi della primavera, il tempo non era stato tanto, ma insieme lo avevano reso indimenticabile. In pochi mesi, tra continui avventure attraverso le campagne inglesi e un dolcissimo viaggio a Natale a casa dei suoi, il loro legame era diventato così forte che quando la chiamata di lui era giunta, Mia era sul punto di lasciare la scuola e seguirlo. Non era accaduto. La loro separazione era stata tanto dolorosa quanto complessa, ma in fondo, che il loro tempo fosse limitato, lo avevano sempre saputo. Dopo le prime settimane di vuoto, erano stati gli amici a rimetterla in sesto. Ci era voluto tempo e tanto impegno, ma alla fine, aveva deciso di trattare quella questione nella stessa maniera in cui ne aveva affrontate tante altre: facendo finta che non esistesse, almeno finché non si fosse diplomata. Ci aveva messo tanto impegno nella scuola. L'aiuto ricevuto dal suo ormai lontano amato l'aveva aiutata a colmare molte lacune, e così Mia aveva concluso il suo percorso scolastico dignitosamente. Ma il peggio doveva ancora avvenire. Gli echi della battaglia in Giappone l'avevano portata paradossalmente sempre più lontana dai suoi piani iniziali. La rete di Minerva che aveva quasi sterminato i lycan giapponesi non poteva di certo esimersi dal tentare di colpire anche la principale roccaforte americana del Credo. Le pedine seminate tra i maghi e le streghe di New Orleans, avevano quasi fatto crollare la Riserva, e così, Mia era stata costretta a tornare a casa; tutto poteva sopportare tranne l'idea che i luoghi della sua infanzia, la sua eredità, il santuario dei suoi antenati crollasse per mano dei maghi oscuri infiltrati tra le fila delle streghe woodoo della zona. Alla fine, nonostante fosse il suo grande sogno, al college non è mai andata e dopo aver seguito l'iter tra le reclute speciali del Credo a Inverness, era entrata nella Squadra Speciale degli Auror. Era stata in un certo qual modo fortunata, Mia; uscire allo scoperto e confessare dove fosse stata durante l'anno della sua scomparsa, insieme all'impegno che ci aveva messo nel lavorare sodo, l'aveva portata a lavorare su una delle più grandi piaghe che il la sua gente doveva contrastare. Il contagio dei fuochi fatui non aveva un nome, né una fonte, ma ormai, che Minerva ne fosse coinvolta e che ciò li portasse a essere sempre un passo avanti a tutti, era evidente. La stessa presenza di Mia a New York ne era la prova. Un piccolo gruppo della sua squadra era stato invitato più di un mese prima sulla East Coast per raccogliere informazioni in seguito all'apertura di un varco nella Loggia che aveva creato non pochi danni. Non si tirava più indietro da quei compiti; dopo tanto duro lavoro, Mia aveva lentamente cominciato a scendere a patti con le sue esperienze mettendole a frutto a favore della vera guerra. Quella mattina, avrebbe preferito fare diversamente, specialmente alla luce del viaggio che avrebbe dovuto compiere nell'arco della giornata. Quel sogno, così reale, così lontano dalla sua realtà, doveva essere un sintomo di ciò, un ritorno a una dimensione che non era mai avvenuta e che non avrebbe nemmeno mai potuto immaginare. Il muso di Mochi la spintonò appena; le fusa, un vero trattore, la portarono a sorridere appena. « Hai fame? Sarà meglio prepararci per il viaggio. » Ringo dal canto suo, appollaiato sul davanzale della finestra, saltò al seguito della padrona non appena il segnale dell'arrivo della pappa fu chiaro ad entrambi i gatti.

    A Tokyo, Mia non ci era mai stata, né mai si sarebbe immaginata di arrivarci a quel punto. In verità, si sarebbe ben volentieri sottratta all'avventura se solo il dovere non glielo avesse imposto. C'era più di una ragione per cui avrebbe preferito starne alla larga. Tuttavia, l'attacco subito sulle strade di New York nei giorni immediatamente precedenti a Natale ad opera di un cittadino giapponese aveva complicato ulteriormente le cose. Se l'ipotesi iniziale più accreditata era stata quella di avere a che fare un cittadino misto residente nel continente americano, a una più attenta analisi, la questione era risultata ben diversa. L'uomo aveva contatti con Minerva, ma ciò che appariva davvero strano agli occhi dei suoi superiori era il fatto che il ragazzo aveva servito nell'esercito giapponese fino a poco prima della liberazione del Giappone. Mia però, conservava un pezzo di informazione che non si era sentita di condividere con il resto della sua squadra, non tanto perché pensasse potesse metterla nei guai, quanto piuttosto perché non era certa come avrebbe potuto spiegare che per tutto quel tempo non ne aveva mai fatto parola. Il prigionero, che si era ben guardato dal aprire bocca in tutto quel periodo, era sulle tracce di Mia già da parecchio; glielo aveva confessato lui stesso mentre la riempiva di calci e pugni alla ricerca di una vendetta che non avrebbe di certo riportato in vita il fratello maggiore. A Mia era stato riservato lo stesso trattamento di Raiden in Inghilterra - veleno e dolore -, solo che, questa volta, oltre a trattarsi di un modo per eliminare target specifici del Credo, si trattava anche di una faccenda privata. Quando avrò finito con te, passerò al resto della tua famiglia e poi porterò la tua testa al cane assieme al quale hai ucciso mio fratello, puttana. Il tuo branco di luridi animali cadrà. Mia non aveva ucciso quell'uomo, ma dell'occultamento del suo cadavere era comunque complice. Ricordava ancora la sua mano penzolante e la curiosità di un piccolo Mochi intento a capirne la natura. Insomma, se avesse potuto sottrarsi, lo avrebbe fatto, ma era chiaro che senza nemmeno accorgersene si era fatta dei potenti nemici, ed era suo dovere tenere a bada e chiudere la questione. Così, mentre il prigioniero veniva condotto in luogo sicuro, Mia era stata accompagnata nell'appartamento che le era stato assegnato per la sua permanenza. Nella missiva che aveva mandato al Ministero della Magia aveva semplicemente chiesto un piccolo posto dove poter trascorrere il tempo in cui sarebbe rimasta a disposizione delle autorità giapponesi. Sarebbe ben volentieri rimasta nella roccaforte del Credo se solo non fosse stata così distante dalla capitale e da tutti i luoghi di interesse. A partire era una piccola squadra; oltre a lei c'era Logan, il fratello maggiore, che le aveva salvato la vita la notte dell'assalto a New York, e che, avendo partecipato alla liberazione del Giappone ed essendo rimasto a Tokyo per diverso tempo, ne sapeva un po' di più circa le usanze del posto. Poi, il warlock assegnato alla loro operazione e due altri lycan provenienti da Inverness. Posati quindi a terra i bagagli nel tardo pomeriggio, la giovane Wallace sgranò appena gli occhi basita dalla definizione delle autorità giapponesi di piccola accomodazione. L'appartamento ai piani alti, era talmente spazioso che Ringo e Mochi avrebbero potuto mettere su una vera e propria maratona di New York. A sua disposizione addirittura elfi domestici, e quanto più potesse desiderare. Nell'avvicinarsi alle ampie finestre dell'appartamento tirò tuttavia un lungo sospiro angosciato. Lì, sotto i suoi piedi, si espandeva un fitto reticolo di strade, palazzi e luci, e soprattutto persone. Un mare di persone come non ne aveva mai visto. Da una giungla urbana all'altra. Soffriva molto quel saltare da una città all'altra. Tolte le poche occasioni in cui era riuscita a fermarsi a New Orleans e Hogsmeade, la sua vita si era per lo più svolta tra grandi città. Lei, amante della campagna e degli spazi aperti, provava sempre di più un senso di oppressione rispetto a quella vita, che sembrava sbatterla da un imprevisto a un altro. Istintivamente si roteò il diamante sull'annullare della mano sinistra. Dovrei chiamarlo. Ma a dirla tutta, di trascinare avanti l'ennesima discussione con Scorpius non ne aveva voglia, specialmente in quel momento. Seppur non volesse minimamente pensarci sapeva che lì da qualche parte c'era un pezzo del suo passato, e alla luce della posizione che Raiden Yagami aveva in Giappone, ignorarlo e evitarlo sarebbe stato impossibile. Per un istante, una piccola tentazione s'insinuò insidiosamente nella sua indole; aprire il contatto e cercare sarebbe stato così semplice. Tuttavia, non lo fece; non aveva senso. Non era opportuno. Per dire cosa? Per fare cosa? Non capiva per quale ragione quell'incontro la rendesse così nervosa. Immaginava fosse naturale; la storia di Raiden e Mia aveva comunque avuto un forte impatto su di lei. Però alla fine sono rimasta comunque solo la scopata del venerdì sera. E cazzo, ora è tutto così strano. Istintivamente si accese una sigaretta mentre con movimenti veloci della bacchetta disfaceva i pochi bagagli, sistemando sul tavolo in salotto le armi e le pozioni che portava sempre con sé in un baule apposito. Trovò il tempo di sistemare le ciotole dei gatti, per poi gettarsi in doccia e togliersi di dosso tutta la stanchezza e lo stress dovuto alle norme tenute per trasportare un prigioniero da un continente all'altro. Si prese tutto il tempo del mondo per schiarirsi le idee e concentrarsi sulla giornata seguente in cui sarebbe entrata nel vivo del lavoro. Una volta concluso il suo rituale, con una fame da lupi, decise che avrebbe contattato il resto della squadra per assicurarsi che si fossero sistemati a loro volta, e proporre loro di andare a prendere un boccone ed esplorare i dintorni. Erano pur sempre in una città che doveva offrire un po' di tutto e di più. Mia l'aveva percorsa diverse volte nei racconti di Raiden, e se ne era incuriosita tantissimo. Ci avevano scherzato tante volte sul fatto che ci sarebbero andati insieme, che lei sarebbe andata a trovarlo e insieme si sarebbero girati ogni ristorante, night club e freak show della città. Non era mai accaduto, ma Mia a Tokyo ci era arrivata comunque. Un po' troppo tardi. A ciò, tuttavia, non volle proprio pensarci e così, mentre prendeva il cellulare tra le mani, venne tuttavia attirata dal bacano nel salotto che la portò a spostarsi, solo per rendersi conto che i gatti stavano seguendo una palla luminosa nel bel mezzo del salotto, facendo rocamboleschi salti per acchiapparla. Le bastò toccarla affinché una voce femminile iniziasse a leggere un veloce messaggio. « Gentile Miss Wallace, benvenuta a Tokyo; sono Sakura e sarò il suo assistente personale. Spero possa trovarsi bene durante la sua permanenza. In vista del primo interrogatorio del prigioniero 0842351, è invitata a un incontro con uno dei nostri rappresentanti disegnato per le indagini, per discutere le strategie di azione. Qualora dovesse accettare, la invito a indicare l'ora a cui desidera essere prelevata. Le ricordo inoltre che è altamente sconsigliato lasciare l'edificio non accompagnata. Il nostro protocollo le assicura costantemente un accompagnatore e interprete che possa indicarle le zone sicure della città. In attesa di una sua risposta, la ringrazio per la collaborazione. Se vuole passare a un registro più informale dica si. » Prelevare? Ma che davvero? Sono per caso un pacco? « Ma che - diavolo! » « Mi dispiace. Non ho capito. Se vuole passare a un registro più informale dica si. Altrimenti dica no. » Sbatte le palpebre un paio di volte, per poi scorrere velocemente il messaggi che si era scambiata con una delle segretarie del Quartier Generale della Squadra Speciale, che aveva organizzato la sua permanenza in città. Ah cazzo, questa è Sakura. Mi aveva detto di non dare di matto. « Si. » « Ciao, Mia. Piacere di conoscerti. Sono Sakura. Ti prego di indicare l'ora a cui desideri essere scortata al luogo del tuo primo appuntamento. » Istintivamente guardò l'orologio per poi scuotere la testa. « Boh non lo so! Mezz'ora? Non è che ho molto da fare al momento. » La palla sembrò lampeggiare per diverso tempo, prima di tornare a parlare con una voce metallica che sapeva già l'avrebbe mandata su tutte le furie. « Ti propongo le 18. Tra esattamente 46 minuti e 13 secondi. » « Va bene tra 46 minuti e 13 secondi. Ora puoi tipo andare? Cazzo sto parlando con una palla fluttuante luminosa. Non ci credo. Sakura puoi andare via? Stai facendo impazzire i gatti. » « Ok. » Non a caso, la palla luminosa fluttuò sul bancone della cucina dove si spense automaticamente rimanendo ferma. Ancora leggermente scioccata, decise di sgranocchiare qualcosa dall'immensa dispensa piena zeppa di roba prima di vestirsi e scendere di sotto all'ora prestabilita. [...] Nonostante fosse leggermente in anticipo, rimase comunque di sasso non appena si rese conto che nell'atrio dell'edificio c'era niente meno che -
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    « Raiden? » Quando le era stato detto che avrebbe incontrato uno degli appartenenti alla Squadra Speciale, non si aspettava di certo lui. Nelle gerarchie del Credo, il giovane Yagami era in ogni caso di molto al di sopra di Mia; si sarebbe aspettata di certo una persona ben diversa. « Sei qui per.. » In quel momento avrebbe di certo preferito che Sakura la mettesse al corrente della persona che avrebbe incontrato, anche solo per prepararsi psicologicamente alla questione. Evidentemente però le intelligenze artificiali non sono abbastanza intelligenti da nessuna parte. Che cazzo però. Sorrise leggermente, prima di scuotere la testa. « Ciao. » Si. Ciao. Tentò di contare fino a dieci corrugando la fronte prima di tornare in sé sospirando. « Quanto tempo.. è davvero un botto.. si.. » A quel punto guardandosi le mani come se non le appartenessero si allungò appena dicendosi che la cosa più naturale da fare fosse accoglierlo con un abbraccio. Uno che risultò comunque un po' imbarazzante ma che la portò comunque a soffermarsi per qualche istante in quella posizione, senza sapere esattamente quando fosse adeguato staccarsi « Ti trovo molto bene. Scusa.. » Abbassò lo sguardo affondando le mani nelle tasche della giacca, per poi tornare a osservarlo per la prima volta in un muto silenzio che durò qualche istante. Si. Lo trovava davvero bene. Molto bene. Era come se non fosse cambiato nulla. Solo che è cambiato proprio tutto. « ..non mi aspettavo ci fossi tu. Cioè si, ci vivi, non fraintendermi - lo so che ci stai anche tu. Non mi aspettavo che ci fossi adesso.. mi avevano detto che avrei incontrato.. non so.. si.. va beh hai capito. » Deglutì scoppiando a ridere. « E' bello rivederti. » Come lo strappo di un cerotto. « Come va? »



     
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    Non sapeva di preciso cosa aspettarsi, standosene lì in silenzio, con la schiena appoggiata contro il muro accanto alla porta del bagno in cui Mashiro si era chiusa. Era la prima volta che il ciclo le faceva ritardo e inevitabilmente le aspettative di entrambi si erano alzate così come, nel caso di Raiden, un senso di nervosismo che solo in quel momento realizzava. Era ragionevole pensare che potesse finalmente essere rimasta incinta, dato che di solito il ciclo della moglie arrivava puntuale come un orologio svizzero, ma allo stesso tempo, messo di fronte a quell'eventualità adesso più tangibile, il giovane Yagami si sentiva come se non fosse capace di immaginare quell'avvenimento nella propria vita. Era strano: sapeva di essere pronto, sapeva di volere una famiglia, ma ciò che prima era stata solo un'immagine astratta nella propria mente, ora era diventato improvvisamente un concetto difficile da collegare alla propria reale quotidianità. Ma immagino che sia normale. È così che va, no? Pensi sempre di essere pronto ma poi non lo sei mai per davvero. Quei minuti di attesa sembravano interminabili: una lenta tortura che lo obbligava a confrontarsi con se stesso, con ciò che voleva, con la realtà che esisteva al di là del semplice mondo delle idee. Quando era tornato in Giappone, il giovane Yagami non aveva aspettative, forse sotto sotto pensava che quella per liberare il proprio paese sarebbe stata l'ultima battaglia. Aveva senso, no? Morire lì, da eroe. Il proprio ultimo atto sarebbe stato quel gesto nobile a chiusura di un cerchio disegnato appositamente per il suo martirio. E a dirla tutta ci era andato vicino: in quella battaglia, quella decisiva, Raiden ci aveva quasi lasciato le penne. Era sfuggito alla morte per miracolo: l'adrenalina in circolo aveva impedito al suo corpo di percepire pienamente il dolore della pugnalata alle spalle. In seguito allo scontro, i medici gli avevano detto che era stato fortunato: se solo la lama fosse affondata di un centimetro in più, sarebbe stato colpito direttamente al cuore e non ci sarebbe stato nulla da fare. Vivo per un soffio, come al solito. Molti dei suoi compagni, tuttavia, non potevano raccontare la stessa storia. Ricordava ancora quanto distrutto fosse quando era stata indetta la festa per celebrare il ritorno della democrazia. Raiden vi si era presentato con lo stomaco attorcigliato in un nodo amaro; quando i nomi dei caduti erano stati letti per rendere omaggio al loro sacrificio, avrebbe solo voluto farne parte, avrebbe solo desiderato che quella lama fosse arrivata un centimetro più in là. Ricordarli faceva male, come faceva male ricordare tutte le persone che aveva perso nel tempo alla medesima maniera. Si era aggirato per quella festa come uno spettro, sorridendo meccanicamente a tutte le persone che a turno si presentavano per dargli i propri omaggi. Non era pienamente in sé quando la moglie del primo Ministro reintegrato gli aveva presentato la figlia, né tanto meno lo era stato quando l'aveva invitata a ballare per pura formalità. Qualunque cosa lei gli avesse detto, Raiden non la ricordava: ricordava solo i suoi occhi grandi pieni di ammirazione e le violente vampate rossastre sulle sue guance. Quella sera, il giovane Yagami non era però tornato a casa pensando a Mashiro. L'aveva dimenticata immediatamente dopo essersene congedato. Piuttosto aveva preferito rintanarsi in una bettola insieme a Hiroshi e qualche altro compagno, puntando poi al bordello più vicino. Col passare dei giorni, il pensiero di Mashiro era tornato a galla; non in maniera naturale, ma piuttosto in seguito all'invito a cena del Primo Ministro. A quel punto era diventato piuttosto chiaro che la famiglia di lei volesse fare di tutto per farli sposare e Raiden, semplicemente, si era lasciato trascinare. Era la cosa giusta, no? A quel punto mettere su famiglia sembrava la cosa più naturale, e forse, subconsciamente, il giapponese pensava che questo sarebbe riuscito in qualche modo a colmare il vuoto che sentiva nel petto dal momento in cui aveva lasciato l'Inghilterra. Si era detto che avrebbe imparato ad amarla, col tempo, e che non fosse poi così difficile: in fin dei conti Mashiro era una ragazza dolce e affettuosa, buona come il pane, ed era disposta a dedicarglisi completamente. Raiden aveva bisogno di questo, di qualcuno così, qualcuno che con la propria presenza rendesse le pareti di casa propria un po' meno spoglie. A modo suo, la giovane ci era riuscita, facendo pian piano breccia nel cuore del moro per portarvi conforto e compagnia. Che Raiden le volesse molto bene era fuori discussione, ma in cuor suo, sebbene non in maniera consapevole, sapeva che quello era più affetto che amore. Sulle prime avevano deciso di non tentare ad avere figli: c'erano ancora troppe cose da sistemare, troppe cose in sospeso che richiedevano l'attenzione di Raiden ed era giusto che quel poco tempo a disposizione venisse usato per aggiustarsi meglio l'uno all'altro. Dopo circa un anno e mezzo, tuttavia, avevano iniziato a tentare e dopo diversi mesi passati a non avere successo, adesso quella scelta sembrava prossima a concretizzarsi. Quando la porta del bagno si aprì, gli occhi del moro corsero subito alla figura della moglie. « Allora? » nella voce c'era un filo di trepidazione mentre staccava la schiena dal muro per raddrizzarsi di fronte a lei, la quale stese le labbra in un'espressione mesta e sospirò, allungandogli il test. « Nulla. Falso allarme. » Mashiro proferì quelle parole in un filo di voce, tenendo gli occhi bassi sui propri piedi nudi. « Non importa. Sarà presto, me lo sento. » Più che credere a ciò che diceva, Raiden voleva rassicurarla. Sapeva quanto lei ci tenesse e quanto quel ritardo l'avesse fatta sperare: aveva addirittura iniziato ad organizzarsi per la stanza che avrebbero adibito a nursery. Per qualche istante Mashiro rimase in silenzio, limitandosi ad annuire piano, ma presto il suono del suo naso che tirava su si fece troppo evidente per essere ignorato. « Hey.. dico sul serio, arriverà. » Il tono di Raiden si fece più delicato mentre si avvicinava di un passo per asciugare le lacrime che rigavano lente le guance di lei. « È così ingiusto. Ci ho sperato così tanto, l'ho voluto così tanto. Io non so cosa fare, Raiden. Mi sento inutile. Ho paura che ci sia qualcosa di sbagliato in me e che non avremo mai un bambino. » A quella confessione, la voce della ragazza si ruppe del tutto, sfociando in un singhiozzo forte che la portò a coprirsi il viso con le mani. Istintivamente Raiden avvolse le braccia intorno alla sua figura minuta, stringendola al proprio petto e cullandola nel tentativo di darle consolazione con qualche bacio tra i capelli. Gli si spezzava il cuore a vederla così vulnerabile. « Non sei inutile.. e non c'è nulla di sbagliato in te. Semplicemente si vede che non è il momento. Ma arriverà, te lo prometto. Arriverà quando meno ce lo aspettiamo e ci farà una bellissima sorpresa. » Le mani di lei scivolarono via dal viso per avvolgere le braccia intorno al busto di Raiden, lasciandosi andare a quel pianto catartico in silenzio. Anche Mashiro sapeva di non poterci fare nulla, ma sfogare quella frustrazione e quella tristezza era tutto ciò che aveva. La pressione di dover affrontare continue domande riguardo quella situazione non era indifferente, e col tempo stava cominciando a pesare sulla giovane. Non è bello quando desideri qualcosa e la gente non fa altro che ricordarti che non ce l'hai. E dunque Raiden rimase così, al suo fianco, tentando come poteva di darle consolazione e supporto in quel momento di sconfitta finché il suo pianto non cominciò lentamente ad esaurirsi. « Se vuoi posso rimanere. Mando un messaggio a lavoro e gli dico che non posso andare. A me non pesa, lo sai. » In tutta risposta, Mashiro scosse velocemente il capo, districandosi dall'abbraccio per asciugarsi le lacrime con il dorso della mano. « No, devi andare. Il tuo lavoro è più importante e comunque non c'è bisogno. Ho solo bisogno di distrarmi un pochino. Penso che chiamerò Misa per sentire se è libera. Magari ci prendiamo un tè insieme. » « Sei sicura? » Mashiro annuì, sollevando finalmente lo sguardo negli occhi di lui per rivolgergli un sorriso più convinto. « Sì, davvero, ho solo avuto un attimo di sconforto ma so che hai ragione tu: devo essere paziente. Le cose belle non arrivano subito e sono sicura che quest'attesa verrà ripagata da una gioia ancora più grande. »
    [..] Alla fine, seppur sovrappensiero, Raiden si era presentato al lavoro. Non poteva fare a meno di sentirsi un po' in colpa per averla lasciata sola, ma non voleva nemmeno pressarla troppo. Forse avrei dovuto insistere di più, però.. non so.. magari ha davvero solo bisogno di distrarsi, e con me intorno potrebbe tornarle il pensiero. Non era certo di quale fosse la cosa giusta da fare e con Mashiro era difficile a dirsi dato che sembrava metterlo sempre al primo posto qualunque scelta facesse. Non si ricordava di una volta in cui si fosse offesa o gli avesse tenuto il muso per qualcosa. Stasera le porterò un bel mazzo di fiori e magari per domani prenoto un buon ristorante per sollevarle un po' l'umore. La cosa che gli dispiace di più era che si fosse definita inutile - come se il suo valore venisse unicamente dettato dalla capacità di dargli un figlio. Quelle parole, inevitabilmente, lo avevano intristito, portandolo ad arrivare sul posto di lavoro con la testa affollata da tutti quei pensieri. « Hey Yagami! Dove vai? Oggi arriva l'americana, non ti ricordi? » Era in procinto di dirigersi verso il proprio ufficio quando uno dei colleghi lo fermò nel mezzo del corridoio, guardandolo con fare confuso. « Ti ho dato il fascicolo dell'operazione. L'hai letto, vero? » Solo in quell'istante il giovane Yagami tornò alla realtà, ricordandosi dell'incarico che gli era stato affidato. « Oh sì, hai ragione. Scusa, mi ero dimenticato che fosse oggi. Nell'atrio, giusto? » « Sì, dovrebbe arrivare tra una decina di minuti. » E così aveva percorso la strada a ritroso, tornando nell'atrio principale in cui si sarebbe incontrato con la lycan americana. Non gli era stato dato un nome quando l'incarico era stato messo sulla sua scrivania, ma solo delle informazioni generali sull'operazione che la ragazza era lì per svolgere. Rimase quindi di sasso quando la figura che varcò la soglia d'ingresso fu niente meno che quella di Mia Wallace. « Raiden? » « Mia! » Il nome di lei sfuggì dalle sue labbra con un tono involontariamente stupito. Quello stupore, tuttavia, gli si sarebbe comunque letto bene in faccia. Quando gli era stato detto che una lycan sarebbe arrivata dall'America era stato naturale per lui correre col pensiero a Mia, ma era stata più una fantasiosa considerazione passeggera che altro. In fin dei conti l'America era un territorio vasto e di lycan ce ne stavano molti, dunque non avrebbe mai pensato che si trattasse proprio di lei. « Sei qui per.. » « Il caso che devi seguire. Sì. Ti hanno affidata a me. » Questi burloni. Direi che è tempo di cambiare il protocollo e mettere nei fascicoli preliminari tutte le informazioni sul lycan che segue l'indagine. Probabilmente, se Raiden fosse stato al corrente da subito dell'identità di chi aveva di fronte, avrebbe rinunciato all'incarico per passarlo a qualcun altro. A rigor di logica non aveva senso, perché in fin dei conti lui e Mia non si erano lasciati in cattivi rapporti e la loro era stata una parentesi che, per quanto bella, erano entrambi consapevoli fosse destinata a finire. Tuttavia un trascorso c'era pur sempre stato, e il giovane Yagami era abbastanza consapevole da sapere che mischiare il lavoro con gli affari personali non fosse mai una buona idea. « Ciao. Quanto tempo.. è davvero un botto.. si.. » Si irrigidì istintivamente quando Mia si fece avanti per abbracciarlo, ricambiando quella stretta con una un po' più meccanica. Tornato in patria da ormai due anni, Raiden non era più abituato a quel tipo di effusioni, e ricevere quel saluto lo lasciò leggermente spiazzato per qualche istante. Non c'era nulla di male, lo sapeva, era solo una questione di differenze culturali, ma non poté fare a meno di sentirsi in lieve imbarazzo - specialmente quando notò gli sguardi scioccati degli altri presenti. « Sì, davvero un sacco. Benvenuta in Giappone, Mia. Spero che il tuo arrivo sia stato confortevole. » disse, una volta riprese le distanze. « Ti trovo molto bene. Scusa.. non mi aspettavo ci fossi tu. Cioè si, ci vivi, non fraintendermi - lo so che ci stai anche tu. Non mi aspettavo che ci fossi adesso.. mi avevano detto che avrei incontrato.. non so.. si.. va beh hai capito. » Annuì, stirando un sorriso più divertito. Dal modo in cui parlava, Mia sembrava non essere cambiata troppo. « In realtà è una sorpresa anche per me. » Fece una pausa. « Gradita, ovviamente. » « E' bello rivederti. Come va? » Sospirò, affondando le mani nelle tasche della divisa e stringendosi leggermente nelle spalle. « Non mi lamento. Ho rimesso in sesto la mia vita.. è bello avere una qualche forma di stabilità. Non ho poi molto da raccontare.. il che immagino che sia un bene. » Ridacchiò, inclinando il capo di lato. « Tu, piuttosto.. hai finito la scuola, viaggi.. devi avere una vita più movimentata della mia. » Per la prima volta lo sguardo del giovane sembrò captare il punto luminoso all'anulare della ragazza. Un'occhiata veloce, che tornò presto sul viso di lei, senza rivelare alcuna espressione. Evidentemente anche Mia doveva aver trovato un compagno - qualcuno abbastanza speciale da smuoverla a prendersi un simile impegno. Istintivamente l'idea gli portò un pizzico di curiosità mista a fastidio, come se sotto sotto avesse sperato che l'americana fosse ancora single. Era un ragionamento egoista, il suo. D'altronde anche lui si era sposato e non poteva di certo pretende che lei non andasse avanti con la propria vita, ma una parte di sé, per quanto irrazionale e illogica, avrebbe voluto proprio quello. Attesa la risposta della ragazza, fece schioccare la lingua contro il palato, accennandole col capo al corridoio principale che portava agli ascensori. « Beh, ti faccio strada. Possiamo parlare meglio nel mio ufficio e metterci al lavoro, che ne dici? » Così l'aveva scortata per gli ambienti del palazzo, mostrandole i punti di principale interesse fino a giungere alla sede della propria divisione e infine al proprio ufficio. L'ambiente era ampio e confortevole, attrezzato di tutte le necessità ma con un gusto minimale. « Mettiti pure comoda. Posso offrirti qualcosa? Del tè? Oppure preferisci qualcosa di alcolico? » Fece una breve pausa, lanciandole un sorriso rassicurante. « Per oggi dobbiamo solo parlare, quindi è permesso. » Qualunque cosa lei avesse desiderato, Raiden l'avrebbe comunicata all'elfo dell'ufficio, il quale avrebbe poi portato il tutto nel giro di pochi minuti. Per sé, il giovane Yagami ordinò un semplice caffè. A quel punto, senza ulteriori indugi, il moro si lanciò nel discorso relativo all'indagine, sperando che in questa maniera anche un po' del naturale imbarazzo sarebbe andato pian piano a sciogliersi.
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    [..] Uno sguardo all'orologio da polso gli diede la misura di quanto tardi si fosse fatto. Per quanto il mettere a punto la strategia d'azione fosse ormai stato concluso, Raiden sapeva bene che i suoi doveri non finivano lì e che non avrebbe potuto realisticamente farcela a tornare a casa per l'ora di cena. « Puoi scusarmi un secondo? Devo avvisare mia moglie che tornerò più tardi. » Stese le labbra in una linea retta, congedandosi per qualche attimo dall'ufficio per raggiungere la scrivania della segretaria d'ufficio. « Keiko, potresti mandare un messaggio a Mashiro? Dille di non aspettarmi per cena e che farò un po' più tardi. Se qualche fioraio è ancora aperto, mi piacerebbe che il messaggio arrivasse con un mazzo di camelie. » « Certo, provvedo subito. » « Grazie mille. » Sistemato questo, si diresse nuovamente in ufficio, dove rivolse un altro sorriso tiepido a Mia nel momento in cui varcò la soglia. « Perdonami per l'attesa. Non volevo che si preoccupasse o aspettasse fino a tardi per mangiare. » Sospirò, portandosi l'orologio da polso sotto lo sguardo una seconda volta. Erano quasi le otto. « Beh.. direi che per oggi abbiamo finito, no? Immagino che avrai anche fame, quindi se vuoi possiamo andare da qualche parte a mangiare un boccone: qui intorno ci stanno degli ottimi ristoranti. » Solo in quel momento, però, realizzò di non aver preso in considerazione una variabile piuttosto importante. Lo sguardo di Raiden si spostò velocemente negli occhi di Mia, fissandola da sotto le ciglia. « Sempre che tu non abbia qualcuno a casa ad aspettarti per cena, ovviamente. » Fece una breve pausa, schiarendosi la voce. « In caso sarebbe comunque il benvenuto. Vi posso far vedere un po' di posti carini e darvi qualche dritta per tutte le vostre necessità. »


     
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    Era strano. Nonostante non lo trovasse affatto diverso, il momento in stesso in cui si diede slancio per abbracciarlo, si rese conto di aver superato la soglia del concesso. Non lo diede a vedere, ma provò comunque un senso di tristezza e delusione di fronte a quella reazione. Raiden e Mia aveva a lungo comunicato a gesti, tramite carezze, sorrisi e attenzioni costanti. Un abbraccio dopo tutto quel tempo era il minimo che potesse fare per non sembrare troppo strana. « Benvenuta in Giappone, Mia. Spero che il tuo arrivo sia stato confortevole. » Si disse che le cose dovessero andare a così. Che quella formalità era necessaria. In fondo, seppur mantenesse lo stesso spirito sbarazzino e avesse ancora non poche difficoltà a tenere insieme la sua vita personale, sul lavoro anche Mia osservava tanta serietà e responsabilità. Certo, diventava un po' più difficile quando sbatteva il muso contro qualcuno che le era tutto fuorché indifferente. « Stai scherzando? Mi hanno dato un posto enorme tutto per me. Assurdo! » Se tanto tanto l'appartamento di Logan è un po' più piccolo me lo rinfaccerà per il resto dei miei giorni. « In realtà è una sorpresa anche per me. » « Ah, ecco. » Seppur tentasse di rimanere indifferente, una parte di sé non poté fare a meno di rimanerne delusa. Si aspettava forse che nel venire a conoscenza del suo arrivo, Raiden sbracciasse per avere la possibilità di parlarci e addirittura di lavorarci insieme. Una delle tante fantasie senza senso che le erano passate per la testa non appena aveva appreso che il suo prossimo passo sarebbe stato partire per Tokyo. « Gradita, ovviamente. » Ridacchiò appena annuendo mestamente prima di passare oltre, ascoltando in silenzio i suoi brevi racconti circa la sua vita. La formula forma di stabilità la portò a deglutire appena. Certo, Raiden non le aveva mai nascosto il fatto che volesse ritrovare la propria stabilità economica, avere un vero lavoro e in generale portare avanti una vita equilibrata. Stipato nella stanzetta dello studentato Grifondoro, soffriva molto l'impossibilità di fare tante cose, quelle quali Mia tendeva a sdrammatizzare molto. La condizione del giovane Yagami non era mai stata un impedimento. Era strano; seppur a propria volta cercasse un ordine che non sapeva come raggiungere nella propria vita, il fatto che Raiden fosse tutto fuorché solido e sistemato, non si era mai dimostrato un problema. Immagino mi piacesse il brivido. E alla fine quel brivido era stata la loro disfatta. « Tu, piuttosto.. hai finito la scuola, viaggi.. devi avere una vita più movimentata della mia. » Per la prima volta Mia si sciolse in una risata più rilassata scuotendo la testa. Non era proprio così. Andava ovunque la mandassero proprio in virtù del fatto che aveva dato una disponibilità che molti non erano disposti a concedere. « Ho finito la scuola con un Eccezionale in Difesa contro le Arti Oscure, valutata da niente di meno che Holden Morgenstern, prego! La mia impresa più ardua. » Evitò di aggiungere che in realtà era un Eccezionale meno meno; per Mia, l'apprezzamento di Holden Morgenstern era valso più di qualunque altra cosa. Evitò anche di dire che in parte, era anche merito suo. Nonostante passassero tanto tempo a non fare assolutamente nulla e a dedicare l'uno all'altro, Raiden aveva aiutato non poco Mia nei suoi studi, e i risultati si erano visti sin da subito. Magari i metodi non erano proprio tradizionali, però, mi sa che non eravamo proprio le persone più tradizionali proprio in generale. « Scherzi a parte, non la metterei proprio così. Sono solo stata.. fortunata. Si. » E aveva avuto un sacco di tempo libero per le mani. Cosa avrebbe dovuto farne se non concentrarsi sul tentare di fare il suo dovere? Quello, e il branco, erano la cosa più importante della sua vita; la loro missione era l'unica cosa che riuscisse a mantenere Mia in un certo qual modo focalizzata su qualcosa. Il lavoro la teneva lontana da riflessioni troppo personali circa dove stesse andando, cosa stesse facendo e in generale che persona stesse diventando. Di certo, era diversa da come si sarebbe immaginata. Tutto quel caos e rumore che aveva sempre auspicato nella propria esistenza, si erano dimostrati meno interessati di quanto pensasse. Spesso faceva tardi la sera, usciva di continuo, girovagava in ogni anfratto dei posti in cui si trovasse pur di non dover fare i conti con se stessa. Era stata fortunata, ma non lo era per davvero. Si lasciò quindi condurre nell'ufficio di Raiden, prestando molta attenzione a tutti i punti di interesse che le mostrava lungo il tragitto. Il la sede del Ministero della Magia di Tokyo era decisamente diversa rispetto a quella inglese. Più moderna, minimalista, arredata da tenui colori caldi in grado di dare un'atmosfera abbastanza famigliare. Anche l'ufficio di Raiden era simile. Molto semplice e minimale nell'arredamento ma molto di buon gusto. Era molto spazioso, a riprova del fatto che in poco tempo il giovane Yagami aveva scalato le gerarchie anche nelle istituzioni oltre che nel branco. « Wow! » Esclamò solo un po' sorpresa. « Questo si che è un ufficio. » Era luminoso e aerato e odorava di buono e di pulito. Un posto perfettamente ordinato come ogni ambiente che vedesse il tocco del ragazzo. Immagino che certe cose non cambiano mai. « Mettiti pure comoda. Posso offrirti qualcosa? Del tè? Oppure preferisci qualcosa di alcolico? Per oggi dobbiamo solo parlare, quindi è permesso. » Per quanto un buon bicchiere di scotch sarebbe stato utile a distenderle i nervi, reduce dalla serata precedente in cui aveva letteralmente bevuto di tutto e di più, trovò più adeguato non lasciarsi tentare. Per giunta, non voleva fare brutta figura, e così tentò di mostrarsi risoluta rispetto alla proposta. « Per me solo un bicchiere d'acqua. » E così si misero al lavoro. Una situazione davvero paradossale. Un tempo il rapporto di Mia e Raiden era ben diverso. Lei era la ragazzina incerta che gli chiedeva letteralmente qualunque cosa e lui, il giovane senza arte né parte con sin troppi segreti da nascondere sotto il tappeto. Entrambi erano dominati dai loro traumi passati, dalle esperienze vissute e dalle troppe delusioni personali e non. Non sapeva se lui avesse effettivamente rimesso in sesto la propria esistenza. In realtà lo spero. Nonostante tutto lo spero davvero. Quanto a mia la speranza moriva di fronte alla consapevolezza di non aver ancora capito nulla né su cosa volesse, né su dove stesse andando. Remava solo avanti, nella speranza che prima o poi una risposta l'avrebbe ricevuta.
    Concentrarsi sul lavoro aveva reso la situazione in un certo qual modo più semplice. Seppur le facesse strano parlare con Raiden di piani d'azione su cose ben più grandi di una scampagnata nelle Highlands, quella distanza sembrava aver paradossalmente sciolto l'imbarazzo iniziale. D'altronde, cosa altro potevano fare? Non c'era ragione alcuna per cui non dovessero voler lavorare insieme, e il fatto che nessuno dei due potesse più sottrarsi rendeva le cose anche più difficili. Eppure, ad un certo punto si ritrovò a fantasticare sulla soddisfazione che avrebbe provato nel rifiutarsi di lavorare con lui, dare sfogo a quell'intrinseca forma di frustrazione che aveva provato nei suoi confronti e a cui non aveva mai davvero dato sfogo. Quel barlume di fantasia venne tuttavia meno di fronte a studi di cartine, fascicoli e redazione di domande per interrogatori vari ed eventuali. Il tempo sembrò passare in un batter d'occhio, tant'è che quasi non si accorse di quanto in fretta fosse passato il tempo. Il fuso orario poi, aveva ulteriormente allungato la sua giornata, ma nonostante questo non sembrò mostrare comunque segni di cedimento. « Puoi scusarmi un secondo? Devo avvisare mia moglie che tornerò più tardi. » « Uhm? - oh sì, certo. Prego. » E così si ritrovò da sola in quel grande ufficio silenzioso. Faceva così strano sentir parlare Raiden di sua moglie, quella ragazza le cui fotografie aveva visto in una notizia sul giornale mentre mostrava il proprio anello di fidanzamento quasi fosse Kate Middleton. La ricordava come una bella ragazza; almeno per quei cinque secondi in cui aveva osservato la pagina della rivista prima di bruciarla sotto gli occhi di Ronnie, Nessie e Shay. Non associava l'annuncio di una futura signora Yagami a un bel periodo della propria esistenza. In cuor suo, Mia non si sarebbe mai aspettata una cosa del genere. Non immaginava che questo bisogno di stabilità di Raiden dovesse tradursi nel prendere un impegno così definitivo con una persona. Io credevo che soffrissi la mancanza di un lavoro, il fatto che stessi fingendo di fare lo studente quando non sentivi quella come una posizione che ti apparteneva. Ci era rimasta malissimo. Aveva sperato per molto tempo che Raiden, al pari di Mia, avesse solo bisogno di tempo, ma avrebbe comunque cercato prima o poi di ritrovarsi. Si era sentita così stupida per aver pensato così tanto al momento in cui si sarebbe liberata per andare a trovarlo, fantasticando sul momento in cui l'avrebbe nuovamente riabbracciato, accarezzato, baciato. Ora tutto era sbagliato, a partire da quel abbraccio che aveva avuto il sapore di una pugnalata. Il passato però è passato, e con questo, Mia doveva fare i conti. Così, di colpo allungò la mano sulla scrivania per raggiungere la cornice della foto che ritraeva i due. Sorridevano e sembravano felici. Lei alzava lo sguardo nella sua direzione con ammirazione e completa devozione, mentre lui la osservava con un'espressione mite e affettuosa. Anche dopo tutto quel tempo, Mia avrebbe solo voluto sbattere quella cornice a terra e frantumarla sotto il peso dei propri stivali. Non fece nulla di tutto ciò e anzi, ne sistemò la posizione non appena sentì lo scatto della maniglia. « Perdonami per l'attesa. Non volevo che si preoccupasse o aspettasse fino a tardi per mangiare. » « Nessun problema. » Asserì in un filo di voce prima di costringersi a sorridere. « Beh.. direi che per oggi abbiamo finito, no? Immagino che avrai anche fame, quindi se vuoi possiamo andare da qualche parte a mangiare un boccone: qui intorno ci stanno degli ottimi ristoranti. Sempre che tu non abbia qualcuno a casa ad aspettarti per cena, ovviamente. In caso sarebbe comunque il benvenuto. Vi posso far vedere un po' di posti carini e darvi qualche dritta per tutte le vostre necessità. » Per un istante rimase un po' perplessa. Certo, non c'era nulla di strano rispetto al fatto che Raiden si mostrasse accomandante. Una collega giunta da fuori, piuttosto disorientata dal posto e le usanze in cui si trovava, avrebbe avuto bisogno di tutto l'aiuto necessario per orientarsi, anche solo per quella breve permanenza. Tuttavia, considerando che fino a quel momento avevano parlato solo ed esclusivamente di affari ufficiali, trovarsi in uno spazio anonimo, lontano dal lavoro, poteva essere il momento perfetto per parlargli delle questioni più personali insite in quegli affari. Indipendentemente da tutto il resto, Raiden aveva il diritto di conoscere la verità e decidere da sé con comportarsi.« Uhm.. no no, sono da sola. » Fece una leggera pausa tempo in cui lo osservò senza nessuna nota di colore sul volto, quasi stesse testando una qualche reazione che evidentemente non sarebbe arrivata. « Però.. sei sicuro? Non mi offendo se preferisci tornare a casa. Mangerò qualcosa per strada. Sono abituata. Cioè.. » Scosse la testa passandosi una mano tra i capelli stringendosi nelle spalle. Non sei obbligato. Va bene lo stesso. [...] Evidentemente però, in Giappone ci tenevano molto a risultare accoglienti, motivo per cui, rendendosi conto che non avrebbe schiodato Raiden, decise di acconsentire all'idea di andare a mangiare qualcosa insieme. In fondo aveva davvero tanta fame e considerando che lo stomaco le aveva dato fastidio per diverso tempo durante la giornata, ormai il senso di fame si faceva parecchio sentire. Così, lasciato il Quartier Generale si incamminarono lungo le strade ghermite di gente ignara, portando istintivamente Mia a guardarsi attorno con una certa curiosità. Tokyo viveva in una sorta di bolla, sospesa tra una sfrenata modernità e un affascinante senso della tradizione. Dopo un po', il silenzio che si creava tra loro tra una breve conversazione e un'altra, la porò ad agganciarsi a qualcosa di leggermente meno generico tipo il meteo di Tokyo. « Sai, è proprio come l'avevi descritta - Tokyo dico. Però devo ammettere che quando dicevi che ci sta tanta gente non immaginavo ce ne fosse così tanta. » I fiumi di gente passavano loro accanto senza curarsi della loro presenza. All'ora di cena tutti erano diretti da qualche parte. Era una sensazione soffocante eppure in un certo qual modo rassicurante. In mezzo a così tante anime si sentiva anonima, seppur a giudicare dagli sguardi di alcuni giovani uomini, Mia, da quelle parti, al pari di una qualunque occidentale era tutto fuorché anonima. « Nell'ultimo mese sono stata a New York. Anche lì la situazione non è migliore. Dal mio appartamento vedevo tutte queste minuscole persone che ronzavano sulle strade freneticamente - però Tokyo è un'altra cosa. » Era affascinante; tutte quelle luci, i colori, i maxi schermi e al contempo i negozi più tipici, le bancarelle del cibo, i ristoranti, i locali. « Onestamente non credevo che sarei arrivata a vederla di persona. » Una frase che disse un po' sovrappensiero prima di scuotere la testa sorridendo mentre guardava avanti con un'espressione un po' pensosa. Già. A questo punto non avevo più ragione alcuna si farlo. Gli diede modo di mostrargli la strada verso il posto che avrebbe scelto senza imporsi troppo sulla scelta. Sperava solo non scegliesse nulla di troppo pomposo. Lungo il percorso aveva notato molti ristoranti estremamente eleganti, ma Mia sapeva si sarebbe trovata meglio in una quasi-bettola, una di quelle in cui si mangiava davvero bene fino a doversi sbottonare i pantaloni. Una volta seduti al tavolo si lasciò consigliare su cosa scegliere affidandosi alla conoscenza di Raiden, prima di attendere che il cameriere andasse via. Era solo che naturale che andasse così; Mia poi non conosceva il giapponese e con il contatto di entrambi chiuso, era solo che naturale lasciare che facesse gli onori. Seduti faccia a faccia senza un mucchio di fascioli da osservare, Mia si prese qualche momento per osservarlo senza dire molto. Sorrideva solo, senza sapere esattamente cosa dire e senza nemmeno sentire davvero il bisogno di interrompere quel silenzio. Imbarazzante sì, ma pur sempre meglio di realizzare che ormai potevano al massimo parlare di argomenti generici. Avrebbe voluto chiedergli tante cose, ma in verità, ogni percorso mentale che seguisse, temeva potesse portare ad argomenti su cui non voleva sentire poi molto. Alla fine tuttavia, sentì quasi la necessità di spezzare il silenzio, facendosi appena più vicina al tavolo quasi volesse confessargli chissà quale segreto. « Rispetto a prima.. sai, forse non sono stata del tutto onesta con te. Sul fatto che sono sola.. » Ridacchiò appena scuotendo la testa.
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    « Si e no. Cioè non sono proprio sola sola. » E quindi, per meglio spiegarsi, tirò fuori il cellulare dalla tasca scorrendo le foto della propria galleria per poi mettere il telefono sul tavolo. Il video ritraeva un Mochi ormai adulto intento a stiracchiarsi sul letto rotolando senza sosta alla ricerca di coccole. « Ti sembra famigliare? » Le sarebbe sembrato strano il contrario. Mochi era ormai diventato parte della loro quotidianità. Quando Raiden aveva lasciato l'Inghilterra, Mia si era offerta di tenerlo e prendersene cura. Era la cosa più naturale. Oltre al ragazzo, Mia era la persona che più vedeva e a cui maggiormente si era affezionato. Con la partenza di Raiden, la Wallace ci aveva messo non poco per rimetterlo in sesto, perché in fondo, seppur si fosse attaccato anche a Mia, colui che lo aveva nutrito con una siringa prima ancora che sapesse zampettare in giro senza inciampare era stato comunque Raiden. « Infatti se sapessi indicarmi un negozio di animali te ne sarei davvero grata. Se torno a casa senza la pappa potrei essere soffocata nel sonno. Faccio parte del loro branco solo finché li nutro. » Scoppiò a ridere tra se e se ricordandosi senza volere tutte le volte in cui aveva dovuto separarli durante inutili lotte di supremazia. Poi di colpo scosse la testa e si sciolse in un sorriso un po' più imbarazzato. Se da una parte era facile scordare che quello non era più il Raiden che lei conosceva, dall'altra farlo anche solo per un istante la portava a ritrarsi istintivamente per paura di sembrare inopportuna. Per un istante rimase in silenzio, meditando sulle proprie parole. Era davvero inutile cercare di nascondersi dietro un dito. Fare finta che non si conoscessero era più difficile dell'ammettere che effettivamente qualcosa, tra loro c'era stato. Prendiamo il toro per le corna, va.« Senti, Raiden. Ora che siamo fuori dall'ufficio, volevo dirti che in realtà sono contenta che si tratti di te. » Pausa. « Cioè, non fraintendermi. Mi dispiace per questa improvvisata. Se avessi saputo che saremmo finiti in squadra insieme, ti avrei avvertito. Non volevo, non so.. hai capito cosa intendo. » Ci capiamo ancora? Non so. Però spero davvero che tu non veda questa cosa come inopportuna. « Però sarei comunque venuta a cercarti - non so quando o come, ma sarebbe avvenuto in ogni caso. » Si prese una pausa tempo in cui lo osservò con attenzione. « Ci sono delle cose riguardanti il prigioniero che ho evitato di segnalare nei resoconti di New York. Ho pensato.. ho pensato fosse giusto parlarne e decidere insieme come gestire la situazione - perchè in parte è personale e riguarda Hogsmeade. » Attese che il cameriere posasse le varie pietanze che Raiden aveva ordinato prima di continuare. « Però non voglio approfittarmene del tuo tempo, né questo è il luogo adatto in cui parlare. » Se quella gente era venuta a cercare Mia, evidentemente li avevano tenuto a lungo d'occhio. Abbastanza quanto meno da sapere che Raiden e Mia erano stati sufficientemente legati da essere complici. Forse avevano ulteriori prove, forse le avevano addirittura ottenute tramite le logge. Di certo, in ogni caso, osservare estrema cautela era indispensabile, specie mentre si trovavano in Giappone. Se sono riusciti a rintracciarmi a New York, qui giochiamo proprio nel loro territorio. « Però.. è comunque rincuorante sapere che c'è una persona di cui mi fido a guardarmi le spalle. » Pausa. « Non dirlo però a Mochi e Ringo, potrebbero davvero prenderla malissimo. Loro sono gli unici che possono assicurarsi che non soffoco nel sonno - se li ho nutriti. » Tentò così di sdrammatizzare scoppiando a ridere, quasi volesse il più possibile allontanarsi da discorsi troppo significativi e personali. Eppure questa intera missione presenta una faida privata. Come cazzo si fa a non andare sul personale non lo so. « Se vuoi, un giorno finché sono qui puoi venire a vederlo. Secondo me ti riconosce ancora. Credo.. credo che gli farebbe piacere. »







     
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    Ovviamente aveva insistito per accompagnarla a mangiare qualcosa. Il fatto che non fosse arrivata in Giappone accompagnata da qualcuno sembrò per Raiden solo una motivazione ulteriore per dedicarle quel tempo; in fin dei conti, Mia in quel paese non era mai stata, non parlava la lingua e non conosceva le usanze del posto: per quanto il Giappone potesse apparire accogliente ad un primo sguardo, barcamenarvisi come straniero non era affatto semplice, e Tokyo più di qualunque altro luogo era piena di insidie che potevano sfuggirle per una semplice mancanza di dimestichezza. Ma a prescindere, Raiden aveva già sufficienti motivazioni per insistere, e il lavoro non era nemmeno la principale; lasciar girovagare di sera per le strade della città una ragazza straniera sola era fuori discussione. Così, raccolte le proprie cose, uscirono dal Quartier Generale per tuffarsi nella giungla urbana di Tokyo, piena di persone che camminavano spedite per tornare a casa o per dirigersi in qualche bar a bere in compagnia dei propri colleghi. Nel tragitto si era fermato presso un piccolo negozio di souvenir, comprandole - a dispetto delle proteste cortesi di lei - un piccolo libricino contenente alcune frasi di uso comune che le sarebbero potute tornare comode durante la sua permanenza. Le aveva infatti spiegato che non erano in molti in Giappone a parlare bene l'inglese, dunque era bene che per i giorni a venire imparasse qualcuna di quelle frasi in modo da potersi occupare delle proprie necessità senza troppi problemi. « Sai, è proprio come l'avevi descritta - Tokyo dico. Però devo ammettere che quando dicevi che ci sta tanta gente non immaginavo ce ne fosse così tanta. » Ridacchiò, affondando le mani nelle tasche della giacca e giocherellando con alcune monete al loro interno. « Può essere un po' soffocante quando non sei abituato. » Fece una pausa. « Io personalmente non ci vivrei se non fosse per il fatto che tutti i miei affari sono qui. Certo, potrei prendere una casa in campagna e smaterializzarmi per andare a lavoro - cosa che faccio comunque quasi tutti i giorni - però è diverso quando sei vicino a tutto ciò che ti serve. » Si strinse nelle spalle. « Per ora non mi pesa troppo, ma non mi ci vedo a lungo andare. Preferirei farmi la pensione in campagna. » Sempre che ci arrivi, alla pensione. Il che non era mai troppo scontato, dato il lavoro che faceva. Con Mashiro ne avevano parlato diverse volte e lei si era mostrata concorde, tuttavia Raiden non poteva fare a meno di pensare che la ragazza fosse tutto tranne che tagliata per la vita rustica. Quel discorso sarebbe stato in realtà più lungo e complesso, ma non pensava fosse il caso di coinvolgere troppo Mia in quelle delicate faccende personali. « Nell'ultimo mese sono stata a New York. Anche lì la situazione non è migliore. Dal mio appartamento vedevo tutte queste minuscole persone che ronzavano sulle strade freneticamente - però Tokyo è un'altra cosa. Onestamente non credevo che sarei arrivata a vederla di persona. » Stirò le labbra in un sorriso, tenendo lo sguardo di fronte a sé senza dire nulla. Ai tempi, Raiden le aveva parlato spesso di quella città, e altrettanto spesso le aveva detto che un giorno gliel'avrebbe mostrata. Non immaginavo che sarebbe stato proprio così, ma allo stesso tempo, quelli erano tempi in cui potevo immaginare più di quanto fosse effettivamente realizzabile. Una volta rimesso piede in patria, per il giovane Yagami era risultato evidente che la vita del college non fosse conciliabile con il contesto in cui si trovava. Razionalmente aveva sempre saputo che il suo tempo in Inghilterra fosse solo una parantesi di sospensione, ma era stato solo col ritorno in Giappone - col ritorno alla propria vita vera - che se ne era reso conto in maniera più consapevole. Da lì, il resto era venuto da sé. Sapeva di non poter chiedere a Mia di chiudere baracca e burattini per trasferirsi in Giappone, e al contempo lui non era disposto a sradicarsi. E poi per cosa? Se pure Mia avesse accettato di vivere lì, cosa poteva aspettarsi? Sarebbe stata un pesce fuor d'acqua, e di quella condizione avrebbe solo sofferto, finendo poi per prendere una di due strade: andarsene, e quindi tornare punto e a capo, oppure omologarsi allo stile di vita di Raiden perché banalmente non c'era altra scelta. Il giovane Yagami aveva un lavoro che gli consentiva di vivere una vita da adulto, e le sue prospettive miravano solo a consolidare ancor di più quella stabilità tramite un matrimonio e una famiglia; sarebbe stato solo ingiusto e crudele chiedere a Mia di compiere quei passi prima del tempo. Non mi pento di ciò che abbiamo avuto, non me ne pentirò mai, ma credo che fosse giusto per il momento in cui c'è stato, per il punto della vita in cui ci trovavamo. Vivevamo vite simili, seppur per ragioni diverse. Ma la verità è che nel lungo termine non remavamo nella stessa direzione - avevamo bisogno di cose diverse e se uno avesse seguito l'altro, saremmo solo finiti per tarparci le ali a vicenda e creare risentimento. Alla fine, insomma, si era confermata l'idea con cui era partito: ovvero che nella vita, l'amore non fosse tutto.
    Scelse un ristorante a conduzione familiare che conosceva bene, non troppo grande ma abbastanza affollato; lì cucinavano del cibo buonissimo e i prezzi erano ottimi per le enormi porzioni che venivano servite. Era certo che Mia avrebbe gradito un posto del genere, ed era anche contento di farle provare dell'autentico cibo giapponese che non fosse una trappola per turisti. Al tavolo, le consigliò alcuni piatti dal menu, lasciandole poi la scelta prima di dare l'ordinazione al cameriere e farsi portare una bottiglia di sakè caldo. « Rispetto a prima.. sai, forse non sono stata del tutto onesta con te. Sul fatto che sono sola.. Si e no. Cioè non sono proprio sola sola. » Aggrottò leggermente la fronte, scoccandole un'occhiata confusa mentre versava il liquore nei rispettivi bicchieri. « Ti sembra famigliare? » Un genuino sorriso colmo di affetto nostalgico si disegnò sulle labbra del ragazzo nel vedere il video di Mochi. Era cresciuto molto da quando lo aveva lasciato, ma quel musino non lo avrebbe mai confuso con nessun altro. « Ma è proprio gatto di merda! » esordì, lasciandosi trascinare da una risata piena e divertita. « È diventato proprio una palla di pelo. » Scosse il capo tra sé e sé, ancora sorridente per quelle immagini che rievocavano in lui i ricordi del tempo passato in compagnia di quell'affettuosa bestiola. Gli era dispiaciuto molto lasciarlo indietro, ma non aveva potuto fare altrimenti: quando aveva scelto di tornare, la situazione era ancora troppo pericolosa e precaria, e non voleva rischiare che quel gatto ormai abituato alle cure domestiche si ritrovasse a soffrire senza un padrone. « Infatti se sapessi indicarmi un negozio di animali te ne sarei davvero grata. Se torno a casa senza la pappa potrei essere soffocata nel sonno. Faccio parte del loro branco solo finché li nutro. » Annuì. « Certo. Immagino che Ringo mangi ancora come un bue, quindi non vorrei essere la causa del suo indispettirsi. » Figuriamoci, già non gli stavo troppo simpatico prima. « Senti, Raiden. Ora che siamo fuori dall'ufficio, volevo dirti che in realtà sono contenta che si tratti di te. Cioè, non fraintendermi. Mi dispiace per questa improvvisata. Se avessi saputo che saremmo finiti in squadra insieme, ti avrei avvertito. Non volevo, non so.. hai capito cosa intendo. » Annuì ancora una volta, facendole cenno col capo di non preoccuparsi. In fin dei conti nessuno dei due poteva aspettarsi di ritrovarsi a lavorare così a stretto contatto con l'altro. « Però sarei comunque venuta a cercarti - non so quando o come, ma sarebbe avvenuto in ogni caso. Ci sono delle cose riguardanti il prigioniero che ho evitato di segnalare nei resoconti di New York. Ho pensato.. ho pensato fosse giusto parlarne e decidere insieme come gestire la situazione - perché in parte è personale e riguarda Hogsmeade. » All'arrivo del cameriere, Mia si interruppe, riprendendo poi il discorso quando questo si fu nuovamente allontanato. Nel frattempo, Raiden si avvicinò la scodella di ramen, aggiungendo qualche condimento e salsa in più al brodo. « Però non voglio approfittarmene del tuo tempo, né questo è il luogo adatto in cui parlare. » Non aveva modo di predire più di tanto cosa ci fosse sotto a quella situazione, ma poteva capire dalle parole di Mia che si trattasse di qualcosa di spinoso che probabilmente lo interessava tanto quanto interessava lei. « Va bene. Possiamo parlarne in seguito, in un luogo un po' meno affollato. Tanto immagino che questi giorni bazzicherai spesso per l'ufficio, quindi ne avremo occasione. » « Però.. è comunque rincuorante sapere che c'è una persona di cui mi fido a guardarmi le spalle. » Sollevò lo sguardo dalla ciotola per rivolgerle un sorriso gentile e affettuoso, tornando poi a mescolare il proprio ramen prima di prenderne un boccone. « Non dirlo però a Mochi e Ringo, potrebbero davvero prenderla malissimo. Loro sono gli unici che possono assicurarsi che non soffoco nel sonno - se li ho nutriti. » Sbuffò una risata dalle narici, sciabolando poi le sopracciglia. « Hai la mia parola. Sarò una tomba. » « Se vuoi, un giorno finché sono qui puoi venire a vederlo. Secondo me ti riconosce ancora.
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    Credo.. credo che gli farebbe piacere. »
    Il fatto che avesse la bocca piena gli diede l'alibi perfetto per rimanere un po' in silenzio, studiando accuratamente cosa dire. Sapeva che la proposta di Mia fosse innocua e priva di secondi fini, e a lui in primis avrebbe fatto piacere rivedere Mochi, ma sapeva anche che per i costumi della propria cultura non fosse appropriato andare a casa di una ragazza sola. Se per qualche ragione la voce fosse arrivata alle orecchie sbagliate, sarebbero potute partire una serie di dicerie poco gradevoli. Considerando poi come l'opinione pubblica giudicava le ragazze occidentali, per molti non ci sarebbe stato dubbio sul fatto che si trattasse di un affare losco. Una parte di lui avrebbe voluto mantenersi sul neutrale, evitando di appesantire una conversazione che già per entrambi era velata da un certo imbarazzo. Tuttavia lasciare cose in sospeso o giocare sull'ambiguità nella speranza di scamparsela non era mai stato nel carattere di Raiden. « Mi farebbe piacere. » Si interruppe. Una pausa che rendeva piuttosto evidente il fatto che quella frase fosse solo una premessa volta a scansare l'ipotesi che stesse rifiutando quell'invito per mancanza di volontà o piacere. « Però qui le cose funzionano in maniera un po' diversa. Non è.. mh.. ben visto che una ragazza e un ragazzo si ritrovino da soli nell'appartamento di uno dei due. Viene dato abbastanza per scontato che sia per motivi poco limpidi. » Sospirò, prendendosi una breve pausa mentre portava lo sguardo negli occhi di lei. « Tokyo è grande, ma le malelingue corrono tanto veloci quanto ad Hogsmeade. Mio suocero è il Primo Ministro e portargli imbarazzo potrebbe avere un impatto poco felice. » Quell'uomo voleva molto bene a Raiden e gli era anche molto grato per tutto ciò che aveva fatto per il paese e per la sua famiglia, ma il giovane Yagami non era così stupido da illudersi che quell'affetto fosse del tutto incondizionato. Non fosse stato per le sue gesta e per le brillanti prospettive di carriera che queste avevano aperto, il Primo Ministro non lo avrebbe mai nemmeno considerato per sua figlia. Chiaramente una cosa piccola e arginabile come quella non avrebbe di certo messo tutto ciò a repentaglio, ma avrebbe comunque creato un precedente e una base di sfiducia che presto o tardi avrebbe avuto effetti più concreti. « Immagino che nemmeno al tuo fidanzato farebbe troppo piacere. » aggiunse, indicando con un cenno del mento l'anello piuttosto vistoso che Mia portava al dito. Non l'avrebbe mai fatta il tipo da quel genere di gioielli, ma in fin dei conti non aveva avuto nemmeno l'opportunità di sondare una simile ipotesi. « È un bellissimo anello, complimenti. » Falso. Non gli piaceva per nulla e lo trovava vistoso al punto da sfociare nel pacchiano, ma era giusto mostrarsi cortese e poi, soprattutto, voleva cambiare argomento a tutti i costi. « Si vede che ci tiene molto a te. Sono contento che tu abbia trovato la tua strada e qualcuno con cui percorrerla. » Fece una pausa, bevendo un sorso di sakè che improvvisamente sembrava aver preso un gusto più amaro. Evitò accuratamente di chiederle chi fosse il fortunato perché sotto sotto aveva paura che si trattasse di qualcuno che conosceva, cosa che lo avrebbe inevitabilmente freddato e un po' infastidito. « Avete già deciso la data delle nozze? Immagino che sarai un sacco impegnata coi preparativi. » Onestamente non sapeva come immaginarsi il matrimonio di Mia. Gli era sempre sembrata una persona semplice, il tipo da desiderare una cerimonia sobria e tra pochi intimi, ma a giudicare dal tipo di gioiello che aveva al dito tutte quelle impressioni dovevano essere rimesse in discussione. Prese alcuni spaghetti tra le bacchette, portandosi un boccone pieno alle labbra e masticando accuratamente. Sentiva di dover aggiungere altro, consapevole di aver gettato per forza di cose un'ombra più cupa sulla loro conversazione. « Comunque non volevo risultare scortese e non vorrei che tu ti fossi offesa. È solo che.. beh, te ne ho parlato diverse volte: qui la gente è un po' più rigida quando si tratta di certe cose e io non sono nella posizione di potermene fregare. » Ma alla fine sono davvero così rigidi? Non so, io fossi il tuo fidanzato e dovessi venire a scoprire che hai invitato a casa il tuo ex - anche solo per vedere un dannato gatto - sarei abbastanza girato di culo. Fece una pausa. « Ma se ci sarà occasione, in compagnia, mi farebbe davvero piacere. Però non voglio imbucare gente a casa tua, quindi davvero.. non sentirti in imbarazzo. »

     
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    Prima ancora che Raiden potesse rispondere, si pentì di avergli fatto quella domanda. Lei non ci vedeva assolutamente nulla di male, né quella proposta era stata dettata da chissà quale pensiero malizioso. Però potrebbe sembrare. Seppur sperasse che Raiden la conoscesse ancora a sufficienza da capire la differenza tra una proposta indecente e una avventata, avrebbe comunque voluto sotterrarsi sotto un cumulo di macerie. « Mi farebbe piacere. Però qui le cose funzionano in maniera un po' diversa. Non è.. mh.. ben visto che una ragazza e un ragazzo si ritrovino da soli nell'appartamento di uno dei due. Viene dato abbastanza per scontato che sia per motivi poco limpidi. » Mia stesse un sorriso gentile abbassando lo sguardo sul proprio piatto annuendo appena. « Tokyo è grande, ma le malelingue corrono tanto veloci quanto ad Hogsmeade. Mio suocero è il Primo Ministro e portargli imbarazzo potrebbe avere un impatto poco felice. » Già. Fece del suo meglio per mantenere il sorriso proprio invariato mentre tornava a osservarlo con un'espressione vagamente rassegnata. Era questo il modo in cui dovessero andare le cose e per quanto desiderasse tentare in qualche maniera di colmare le distanze quanto meno per evitare di sentirsi così tanto in imbarazzo in sua presenza, era evidente che le cose dovessero andare semplicemente così. Non poteva però nascondere il fatto che la questione le provocasse un senso di tristezza. In fondo però, era stata proprio Mia a dirgli in tempi non sospetti che nulla è per sempre e che le persone sono, prima o poi, destinate a deluderci o a lasciarci. Non ci credeva fino in fondo a quelle cose; d'altronde, Mia poteva vantare alcuni legami che esistevano nella sua vita sin da quando era bambina, e né il tempo, né la distanza, né la separazione, aveva cambiato le cose. Forse noi però eravamo destinati davvero a una sola stagione - letteralmente. E' stato bello, ma ad un certo punto, immagino dovesse semplicemente finire. Le cose vanno così, e bisogna solo accettarlo. « Immagino che nemmeno al tuo fidanzato farebbe troppo piacere. » Istintivamente lo sguardo di lei cadde sull'anello di fidanzamento di Scorpius. Sarebbe stato tanto semplicemente rispondergli che lei faceva ciò che voleva, e se al suo fidanzato dava fastidio qualcosa, forse avrebbe dovuto rianalizzare le basi su cui era costruito il loro rapporto. A dirla tutta, a cosa potesse pensare Scorpius, Mia non ci aveva pensato. Insieme stavano bene; riuscivano a trovare un buon equilibrio di coppia. Forse il più grande problema era il fatto che avessero due stili di vita completamente differente. Per lavoro, anche Scorpius viaggiava molto, ma la sua specializzazione in Trasfigurazione lo aveva portato a stabilirsi in maniera abbastanza permanente nel campus di Hogsmeade. Era passato al rango di ricercatore da poco; Mia doveva letteralmente trascinarlo fuori dalla biblioteca o dal suo studio, per portarlo a fare festa, o semplicemente fare qualche sciocchezza insieme. La giovane Wallace dal canto suo, mal sopportava le occasioni a cui spesso doveva presenziare al fianco di Malfoy. Cene di un certo livello, discorsi un po' troppo impostati e nessun vero contatto con la realtà. Ad un certo punto, per continuare a funzionare, avevano semplicemente dovuto accettare che le esigenze di uno, non erano necessariamente quelle dell'altro. E così tentavano di scendere a compromessi, valorizzando il più possibile ciò che volevano reciprocamente. Ciò che per Mia stonava, tuttavia, era il fatto che quei compromessi non avevano mai il sapore di qualcosa che tentavano di fare insieme e in cui trovare un terreno comune. Piuttosto lui è quello silenzioso alle feste e alle serate dei miei amici, mentre io vorrei strapparmi le orecchie e la lingua alle cene dell'alta società. Mia voleva tanto bene al suo parabatai; era attenta ai suoi sentimenti, al suo benessere, alle cose più stupide e infinitamente insignificanti che lo riguardassero. All'inizio, tra loro andava molto bene; poi, le differenze hanno semplicemente iniziato ad allontanarli. All'implicita domanda di Raiden, Mia si strinse nelle spalle scuotendo la testa senza sapere esattamente cosa dire. « Beh, non c'è nulla di male. » Decise di liquidare la questione in quella maniera, senza aggiungere nulla. « In fondo, il gatto era anche tuo. » In fondo, non vedeva alcuna ragione per cui Scorpius dovesse risentirsi di fronte a quella situazione. Piccolo dettaglio insignificante: Mia non gli aveva mai parlato di Raiden, né trovava necessario farlo. Vista la mancanza di interesse nei confronti del gossip del giovane Malfoy, dubitava potesse aver sentito qualcosa in seguito, e in fondo, se anche fosse, è acqua passata giusto? Non c'è ragione alcuna per cui alterarsi. « È un bellissimo anello, complimenti. » Dici? Di colpo un leggero rossore pizzicò le sue guance; poteva sembrare imbarazzo, e invece Mia si sentiva solo frustrata. Seppur avesse voluto dire che in realtà lo trovava un po' eccessivo, il proprio orgoglio le impedì di mettersi così a nudo con Raiden. Sotto sotto non voleva lamentarsi dei brandelli fuori posto della propria vita con Raiden. Io non ho proprio voglia di essere sincera con Mister-moglie-perfetta-lavoro-perfetto-vita-equilibrata-stabile-meravigliosa. Fanculo Raiden. Fanculo. « Trovi? E' un po'.. all'antica, però ci teneva tanto. E' rimasto in famiglia per generazioni - una cosa tipo che prima era della nonna. » Era vistoso e difficile da indossare nella maggior parte delle situazioni, ma nonostante tutto, Mia lo portava comunque. Immaginava fosse il suo modo per convincersi che aveva preso un impegno e che quella era la sua vita. « Si vede che ci tiene molto a te. Sono contento che tu abbia trovato la tua strada e qualcuno con cui percorrerla. Avete già deciso la data delle nozze? Immagino che sarai un sacco impegnata coi preparativi. » Nonostante non ci fosse assolutamente nulla di male nelle parole di Raiden, Mia si sentì comunque tampinata da tutte quelle osservazioni e domande che il ragazzo portava avanti. Per l'amor del cielo, Yagami, per uno che non parla mai, hai un sacco di cose da dire. Così annuì, impugnando un po' maldestramente e con un certa frustrazione le bacchette. Era molto più semplice mangiarci quando si poteva attingere alla conoscenza di un nativo. Durante le serate passate a mangiare il terribile cibo del Tokyo, Mia sembrava una maestra nell'arte di mangiare con le bacchette. Ora faceva fatica, e la cosa aggiungeva solo altro imbarazzo sopra a tutto il resto. « Beh, io e Scorpius siamo molto impegnati al momento. Mia madre insiste affinché sia quest'anno - lo sai com'è mia madre, non la schiodi - soprattutto perché mia cognata Meredith, non so se te la ricordi, è rimasta incinta e quindi avrà molto meno tempo per andare in Inghilterra e occuparsi di tutto quanto assieme ai Malfoy quando il piccolo arriverà. » Tanto semplice. In quel piccolo quadretto, Mia realizzò che Raiden sapeva così tante cose di lei; gli aveva dato accesso alla sua famiglia, ai suoi affetti, alle cose che più le stavano a cuore. Mia, d'altro canto, non sapeva assolutamente nulla di come fosse la vita di Raiden lì. Certo, forse se ne avesse avuto modo, lo avrebbe fatto. Ma lo avresti fatto? Se ti vergogni anche di venire a casa Mia, temendo le male lingue, mi avresti davvero portata in Giappone alla luce del fatto che boh.. in fin dei conti non eravamo niente. « Onestamente credo che questa storia andrà degenerando, se lo chiedi a me. Per questa ragione preferisco lasciare che siano gli altri a pensarci. Ho abbastanza per le mani con sicari, logge e drammi tra amici.. credo che ai fiori e al menu del ricevimento possa pensarci tranquillamente qualcun altro. » Scosse la testa sospirando. Per quel che le importava, poteva anche non esserci una festa. Ma vallo a dire ad Astoria Greengrass che non può invitare mezza corte a festeggiare il matrimonio del figlio. E così decise di chiudere la questione buttando giù metà del proprio bicchiere, prima di continuare a mangiare. Quel cibo era davvero delizioso. Nulla in confronto alla cucina giapponese che aveva mangiato all'estero. « Comunque non volevo risultare scortese e non vorrei che tu ti fossi offesa. È solo che.. beh, te ne ho parlato diverse volte: qui la gente è un po' più rigida quando si tratta di certe cose e io non sono nella posizione di potermene fregare. Ma se ci sarà occasione, in compagnia, mi farebbe davvero piacere. Però non voglio imbucare gente a casa tua, quindi davvero.. non sentirti in imbarazzo. » Se solo fosse stata quella la fonte di imbarazzo di Mia probabilmente tutto sarebbe stato più semplice. Non sembrò scomporsi di fronte alle spiegazioni di lui; spiegazioni che, oltrettutto non le doveva e a dirla tutta, con una punta di dispetto no voleva neanche. « Guarda che posso accettarlo un no. » Asserì di colpo con tono scherzoso mentre si portava alle labbra il bicchiere di saké per bere ciò che ne restava d'un fiato. « Ci sta. Anzi, scusami se ti ho messo in una posizione strana. » Non lo aveva fatto con doppi fini, né aveva pensato a cosa potessero vederci gli altri, Indipendentemente da chi si trattasse. Immagino che per un istante mi sono dimenticata che non siamo più a Hogsmesde. Che non posso più proporti la cosa più disparata convinta che tu mi diresti comunque di si. Le mancava. Avere qualcuno che affrontava con vivida curiosità qualunque esperienza, anche le più disparate, trovandone i lati positivi anche solo per stare insieme all'altra persona. « È meglio così. » Disse di colpo stirando un sorriso mite, prima di tornare a versarsi altro liquore nel bicchiere bevendone un po'. After all you don't get to work with someone you've been with everyday. Gettò quella frase lì con noncuranza quasi come se stesse dicendo che una volta sono andati a prendersi un aperitivo. Studiò la sua reazione da sotto le ciglia senza aggiungere altro, pizzicando qua e là tra tutte le pietanze. If you wanted you could have done it. Visit, I mean. All you had to do was just - knockNon era successo. Forse, le motivazioni di lui erano semplicemente dettate da una fortissima paura. O forse invece non era così. Aveva importanza? Immaginava che fosse un po' tardi per i rimpianti e anche per chiedersi quali ragioni avessero spino quella situazione nella direzione che aveva preso. « In fondo è solo un gatto. Mangia e dorme tutto il giorno.. non avrei nemmeno dovuto menzionare la cosa. Scusami. » Forse era solo il suo modo per cercare di riconnettere, perché nonostante tutto Mochi aveva riempito le loro giornate di tante risate. Se Raiden aveva deciso di salvarlo, nonostante sapesse che non avrebbe potuto tenerlo, un po' forse gli importava. Ma anche così, Mia decise di minimizzare. Forse era la cosa migliore. Certo che avrei potuto parlargli di mille cose e invece ho pensato di tirare fuori proprio il gatto. Che cazzo però. Svuotò ancora il bicchiere di saké annuendo tra se e se e poi stirò un altro sorriso. A quel punto le pause e i silenzi erano diventati di troppo. Erano tante le cose che Mia avrebbe voluto dire, ma nessuna di queste poteva dirsi appropriata. Fremeva dalla voglia di fargli domande in merito al periodo in cui si erano persi, ma decise invece di non parlare ulteriormente di questioni personali. Si attaccò letteralmente alla bottiglia. Caldo poi, il saké scendeva giù liscio. Per lo più, per di verso tempo Mia si lasciò rapire dalle luci oltre le vetrate, parlando del più e del meno, cercando di scrollarsi di dosso quella pesantezza. Non poteva rovinare tutto; chissà quanto ci sarebbe voluto prima che potesse lasciare Tokyo. Più avrebbe dato ascolto a quelli evidenti momenti di scompenso, più sarebbe stato difficile mantenere un rapporto professionale stabile ed equilibrato. Raiden era un collega; doveva trattarlo da tale e nient'altro.
    « Comunque, hai ragione. Il Tokyo faceva davvero schifo. Cioè questa roba è tutta un'altra cosa. A ripensare a quella poltiglia che chiamavano zuppa di miso. Che robaccia. » Mia però ci era affezionata. Il cibo schifoso, la stanzetta dello studentato, la pizza surgelata riscaldata nel microonde, il cinema che proponeva gli stessi film a intervalli regolari, le serate a base di incendiario scadente e arrosticini bruciati nel forno di Gabriela, qualche spinello di erba allegra e un sacco di risate erano tutte cose che avevano reso quel periodo indimenticabile e irripetibile. Anche le botte sulle pareti dei vicini di stanza, le scampagnate, quella volta che ci hanno quasi beccati negli spogliatoi dell'Alveare. Erano stati mesi avventurosi, avvincenti e lo schifo del Tokyo ne era un tratto distintivo. « Cos'altro si fa a Tokyo la sera? » Mise le mani avanti. « Tranquillo, troverò la mia strada da sola. Non intendo sottrarti ai doveri coniugali ulteriormente. Mi piacerebbe però testare un po' la vita degli animali notturni. Boh.. con tutte le luci, sembra il tipico posto in cui trovi serate niente male. » Pausa. « Accetto ben volentieri consigli. Magari non mi girerò ogni ristorante, night club e freak show della città - però qualcuno ogni tanto.. » Si stringe nelle spalle appoggiando entrambi i gomiti sul tavolo. « Ho sentito che da qualche parte a - Shibuya? - fanno i migliori cocktail del paese. » Sollevò il mento e le sopracciglia inclinando conseguentemente la testa di lato. « Spunta il rospo, Yagami. E non mi propinare quelle stronzate turistiche tipo the japanese way e poi in realtà è una cazzata per spillare soldi. » Il sorriso sul volto di lei si allargò appena. « A giudicare dalle allusioni dei tuoi amici inglesi, ne sai un po'. » Non era propriamente una richiesta disinteressata quella di Mia, però, certe cose è meglio che tu non le sappia.


     
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    E quindi è Scorpius Malfoy. D'altronde, con un nome del genere, era piuttosto difficile che Mia fosse casualmente finita insieme ad un omonimo. Quando ancora lei e Raiden si frequentavano, il giapponese le aveva sentito parlare del ragazzo, sebbene in maniera abbastanza ridotta e senza particolari dettagli. Non poteva dire di conoscerlo o di avere una vera e propria nozione di che tipo di persona fosse, ma la sua esistenza non gli era del tutto nuova. A più riprese il giovane Yagami lo aveva un po' preso in giro per quel nome che portava, ma in quell'occasione si guardò bene dal fare battute. Certo però non è semplice. Mio Dio, ha proprio un nome orribile. Cioè ci sono tanti nomi bruttini al mondo, ma credo che Scorpius li batta proprio tutti. Tu pensa essere una ragazza, andare a letto con uno e ritrovarti a dire "sì, Scorpius, continua". Tuttavia, come in un moto di automatico disgusto e auto-preservazione, Raiden soppresse presto quell'immagine dalla propria mente, provando un'irrazionale senso di fastidio al solo pensiero. Si limitò dunque ad annuire alle parole di lei, commentando di tanto in tanto con qualche banalità mentre continuava a consumare il proprio cibo. « Guarda che posso accettarlo un no. Ci sta. Anzi, scusami se ti ho messo in una posizione strana. » « No, tranquilla, davvero. Non potevi saperlo. » In fin dei conti, per quanto spesso e volentieri Raiden le avesse parlato delle differenze culturali tra Giappone e Inghilterra, dubitava che Mia se le ricordasse tutte e di certo non pretendeva che lo facesse o che si presentasse lì con la stessa coscienza di un nativo. Quante volte, quando ero ad Hogsmeade, sono andato in camera di Delilah? Ho perso il conto. Non c'era nulla di male, e nessuno mi guardava strano. Qui però una cosa del genere sarebbe impensabile. All'inizio era stato difficile per Raiden adattarsi agli usi e ai costumi di una cultura che non conosceva: molte cose gli erano sembrate strane, e in determinate circostanze si era sentito anche a disagio, ma col tempo e l'abitudine aveva imparato ad adattarsi e a non guardare troppo alle usanze altrui da dietro le lenti delle proprie. Immaginava che per Mia, piombata lì dal giorno alla notte, l'esperienza non fosse troppo dissimile; chiaramente nel suo caso si trattava di un periodo più ridotto, che dunque non richiedeva la capacità di amalgamarsi chissà quanto alla società del paese, ma comunque doveva essere strano per lei sperimentare quelle differenze sulla propria pelle e senza una vera e propria preparazione. Per questa ragione non ci aveva visto nulla di strano nel suo invito, ma aveva comunque voluto metterla al corrente delle reali ragioni del suo rifiuto. Perché io ti conosco e posso sapere cosa intendi realmente, ma magari un'altra persona no, e questa incomprensione potrebbe portarti dei problemi. « È meglio così. » After all you don't get to work with someone you've been with everyday. Sollevò lo sguardo sul viso di Mia, aggrottando leggermente la fronte con un'aria confusa, incapace di comprendere cosa intendesse davvero con quelle parole. If you wanted you could have done it. Visit, I mean. All you had to do was just - knock. Sospirò, appoggiando le bacchette sul bordo della scodella. « Mia.. » Non aggiunse altro, limitandosi a inclinare il capo e fissarla con uno sguardo che la diceva lunga. Voleva davvero intraprendere quella strada? Voleva seriamente scoperchiare il passato? Raiden, dalla sua, non se la sentiva di entrare in un discorso che non avrebbe portato a nulla di buono. In cuor suo sperava che Mia avesse capito le motivazioni dietro al suo prendere le distanze e che non lo biasimasse per qualcosa che, per quanto dolorosa, era pur sempre la scelta più salutare per entrambi. Che bene avrebbe mai portato tenerci in costante contatto? Saremmo solo finiti per fare scelte sbagliate, o nella migliore delle ipotesi farci del male a vicenda rigirando il coltello nella piaga. Non l'ho vissuta bene nemmeno io, ma sapevo che fosse la cosa giusta da fare a lungo termine. E infatti guardaci adesso: abbiamo trovato la nostra strada, no? Sarebbe stato lo stesso se fossimo rimasti attaccati a qualcosa che non poteva realisticamente durare? In quel periodo, quello del suo ritorno in Giappone, Raiden non era stato affatto bene: Mia gli mancava, gli mancavano le loro chiacchierate fino a tarda notte, le risate che si facevano, ma anche solo condividere lo stesso spazio in silenzio sapendo di aver conforto l'uno nell'altra. Di quella situazione ne aveva parlato con poche persone, specificamente con i due fratelli, che gli erano stati vicino passo passo per aiutarlo ad uscire da quella situazione di profonda tristezza. In questo senso, Eriko era stata la sua roccia: non lo aveva mai spinto in nessuna direzione, non si era mai espressa in termini troppo categorici, ma lo aveva comunque aiutato a realizzare che prendere le distanze in maniera definitiva fosse l'unico modo per evitare ad entrambi una sofferenza inutile. Alla fine la sofferenza c'è stata lo stesso, non posso negarlo, ma so bene che se fossimo rimasti in contatto la tua presenza non avrebbe fatto altro che ricordarmi quanto stessi di merda. Quelle cose, tuttavia, Raiden non le disse a Mia, sperando che il proprio sguardo e il proprio silenzio potesse comunicarle ciò che in fondo anche lei doveva sapere. « In fondo è solo un gatto. Mangia e dorme tutto il giorno.. non avrei nemmeno dovuto menzionare la cosa. Scusami. » Rimase in silenzio per un breve istante, scuotendo poi il capo mentre accennava un sorriso tiepido. « Non importa. Nel dubbio dagli qualche grattino dietro le orecchie da parte mia. » Preferì chiudere così il discorso, senza andare troppo a fondo in quella strada buia da cui non avrebbe saputo come trovare l'uscita. Si versò quindi un altro po' di sakè caldo nel bicchiere, prendendone un lungo sorso prima di rimettersi a mangiare, un po' più silenzioso di prima. « Comunque, hai ragione. Il Tokyo faceva davvero schifo. Cioè questa roba è tutta un'altra cosa. A ripensare a quella poltiglia che chiamavano zuppa di miso. Che robaccia. » Ci pensò lei a riportare l'umore su una maggior serenità, facendogli sbuffare una risata al ricordo di quel ristorante in cui avevano mangiato sin troppe volte per i suoi gusti. « Ecco, adesso puoi capire il mio disappunto. Quella roba sembrava fatta letteralmente di plastica e non aveva alcun sapore. » Quante volte Raiden aveva preso in giro la cucina occidentale per la mancanza di condimento? C'era da perdere il conto. Però era piuttosto evidente che le vere pietanze giapponesi fossero di gran lunga più saporite. Anche quelle ordinate da Mia, che Raiden aveva chiesto al cameriere di fare un po' meno piccanti per non mandarla all'ospedale, erano comunque più gustose di qualunque piatto disponibile in Inghilterra. « Cos'altro si fa a Tokyo la sera? » « Per lo più si beve. Alcuni addirittura fino al punto di addormentarsi a Shibuya e tornare al lavoro qualche ora dopo. » Non era una visuale così rara, quella dipinta da Raiden, e la diceva piuttosto lunga sulla vita notturna della città. C'erano stati tempi in cui anche Raiden aveva fatto parte della schiera di uomini collassati sulle aiuole del quartiere, ma ormai si trattava di ricordi lontani o eventi piuttosto rari. « Tranquillo, troverò la mia strada da sola. Non intendo sottrarti ai doveri coniugali ulteriormente. Mi piacerebbe però testare un po' la vita degli animali notturni. Boh.. con tutte le luci, sembra il tipico posto in cui trovi serate niente male. Accetto ben volentieri consigli. Magari non mi girerò ogni ristorante, night club e freak show della città - però qualcuno ogni tanto. » Scosse il capo con veemenza a quelle parole. « Scherzi? Non ti manderei mai in giro da sola per la città di notte. Specialmente per locali. » Il Giappone era un posto piuttosto sicuro in cui vivere, ma ciò non significava che per una ragazza straniera fosse saggio andare in giro da sola per certi posti, a maggior ragione se aveva intenzione di bere. « Ho sentito che da qualche parte a - Shibuya? - fanno i migliori cocktail del paese. » Inarcò un sopracciglio, sorridendo tra sé e sé. « Sputa il rospo, Yagami. E non mi propinare quelle stronzate turistiche tipo the japanese way e poi in realtà è una cazzata per spillare soldi. A giudicare dalle allusioni dei tuoi amici inglesi, ne sai un po'. » « Diciamo che in linea generale è difficile sostenere che a Tokyo ci sia un posto che faccia i migliori cocktail del paese. » Per quanto la metropoli fosse piena di luoghi interessanti ed ottimi prodotti, Raiden aveva sempre trovato che la qualità non fosse paragonabile a quella di altre città meno turistiche. « Però sì, ci sta qualche buon bar a Shibuya. » Fece una pausa. « In realtà ci stanno un po' ovunque, dipende solo dall'atmosfera che cerchi. Se vuoi la party life, sicuramente Shibuya è la meta giusta. » Ormai Raiden ci andava più poco, ritrovandosi molto più spesso ad uscire a Ginza, quartiere in cui viveva anche. Tuttavia dubitava che fosse il tipo di posto che Mia aveva in mente. « È dove vanno di solito i più giovani perché ci stanno anche diverse discoteche. Altrimenti ci sta Shimokitazawa che è un po' più.. mh.. tipo hipster. » Ne parlava mentre cercava di ricapitolare mentalmente i luoghi della città, scartando quelli che potevano non essere nei gusti dell'americana. « O Kabuchiko se vuoi vedere gli spogliarelli. » Rise, buttando poi giù un sorso di sakè. « Comunque penso che Shibuya possa essere adatto per la prima sera. È molto animato. Ti piacerebbe sicuramente. »
    [..] E infatti alla fine, dopo aver pagato svelto la cena, era lì che l'aveva portata, ignorando platealmente ogni puntualizzazione di Mia sul fatto che avesse solo bisogno di indicazioni e non di una vera e propria scorta. Raiden non aveva sentito bisogno di spiegarsi ulteriormente sul punto: se già di base non avrebbe mai lasciato un collega straniero solo per la città, a maggior ragione non lo avrebbe fatto con qualcuno che conosceva e che si dava il caso essere pure una ragazza. Tra chiacchiere di circostanza avevano così raggiunto il quartiere famoso per la vita notturna, trovandolo già ampiamente animato da studenti e giovani adulti intenti a dare inizio alla serata. « Questo lo chiamano il vicolo degli ubriaconi. » Nonbei Yokocho era un vicolo piuttosto anonimo di Shibuya, uno di quei posti che un turista avrebbe probabilmente sorpassato senza guardarsi indietro due volte, e che pure era una delle cose più caratteristiche dell'intero quartiere. Si trattava di una viuzza piuttosto stretta e buia, illuminata solo dalla luce fioca delle lanterne in pieno contrasto agli accecanti neon delle strade principali. I bar e i ristoranti, uno in fila all'altro, erano appena visibili e potevano ospitare solo pochissime persone alla volta per quanto piccoli. A differenza del resto del quartiere, lì quasi tutti i clienti erano giapponesi, e chi vi lavorava spesso non spiccicava una mezza parola di inglese. « Non è proprio modernissimo, come avrai notato. Questi posti sono stati tutti costruiti nel periodo showa e mantenuti in quello stile nonostante la modernizzazione del resto del quartiere. » Era carino, e per quanto dissonante rispetto alle strade da cui emergeva, aveva uno strano aspetto confortevole nella sua rustichezza. « Non sarà proprio il centro della movida, ma valeva la pena farci una visita anche solo per un drink. Di certo l'alcol è migliore rispetto a quegli intrugli sovrapprezzati dei grossi bar. » Spesso e volentieri, in tempi un po' più lontani, Raiden e i suoi colleghi ci andavano per bere fino a tardi, oppure come tappa intermedia quando la serata era più movimentata. Le fece dunque strada all'interno di un bar che aveva frequentato abitualmente e che dalle dimensioni poteva sembrare più un chiosco che altro. Il barista lo riconobbe subito, dandogli il bentornato e scambiandoci qualche chiacchiera di circostanza prima di indicare Mia e chiedere chi fosse la ragazza. « È una mia collega inglese. È arrivata oggi a Tokyo e voleva vedere un po' la città di notte, quindi non poteva non portarla a bere qui. » rispose nella sua lingua nativa, provocando una risata orgogliosa da parte dell'uomo, che si voltò in direzione di Mia per darle il benvenuto in Giappone e chiederle cosa volesse bere. « Non parla giapponese. » disse a lui, prima di voltarsi in direzione dell'americana. « Ti ha dato il benvenuto in Giappone e ha detto che ti farà bene bene e che puoi ordinare quello che vuoi. Nota a margine: è un chiacchierone ma non parla inglese, quindi.. mh.. non so, posso tradurre io, ma se preferisci parlarci più liberamente apro il contatto. » L'idea di farlo, a maggior ragione perché si trattava di Mia, non lo entusiasmava troppo - o quanto meno creava in lui un senso di timore. Sebbene mettere a disposizione l'uso della lingua fosse giusto e doveroso, il contatto non funzionava in maniera selettiva: non si poteva scegliere cosa condividere e cosa no, e se in quel momento la situazione era piuttosto tranquilla, di certo non poteva prevedere come sarebbe andata in seguito. Ma in fin dei conti non c'è nulla di cui preoccuparsi, no? Cioè al massimo si percepirà un po' di disagio se dovesse venire fuori qualcosa di simile al discorso di prima al ristorante, però insomma.. non c'era bisogno del contatto per vederlo, quel disagio. « Se vuoi una birra, quella che beviamo di più qui è la Asahi. Ce l'hanno anche alla spina. Altrimenti se vuoi provare qualcosa di diverso ci sta lo shochu - che è più o meno simile al gin e lo puoi combinare ad altro come un cocktail - oppure di whisky giapponesi ne trovi quanti te ne pare e sono buonissimi. Il Matsui Mizunara Cask te lo consiglio, è uno dei miei preferiti. » « Mizunara Cask? » chiese l'uomo, cogliendo quella come unica parola nel discorso tra i due. « Per me sì. On the rocks. » Si voltò nuovamente verso di lei. « Mia? » Quando l'americana fece la propria scelta e il barista si mosse un po' più in là per iniziare a preparare i loro drink, Raiden si issò a sedere su uno degli sgabelli, tamburellando le dita sul legno spesso del bancone mentre la osservava con un leggero sorriso indecifrabile. « Tranquilla, poi ci andiamo nei posti più casinari, però non volevo farti bere quella robaccia annacquata. E poi hai detto che non volevi roba da turisti, no? » fece una breve pausa, guardandosi intorno nel piccolo locale con pochi tavoli ma abbastanza clienti da riempirlo. « Allora.. ti piace? »

     
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    Come si divertissero i giovani giapponesi era del tutto un mistero per Mia, non che facesse poi molta differenza. Voleva solo conoscere i posti più affollati, quelli in cui avrebbe potuto rifugiarsi durante le settimane a venire in attesa di ritornare alla sua quotidianità. Ne aveva bisogno; nel rumore si sentiva al sicuro, protetta, un granello di polvere in mezzo a tanti altri, insignificante nella dimenticanza, anonima. Era in un certo qual modo rincuorante esserci e non esserci affatto. Proprio quella assenza/presenza, le aveva permesso di assopire quanto le facesse più male. La crudezza della notte aveva un fascino non indifferente su di lei, al punto che, non poche volte cercava riparo nella tempesta, in attesa che quanto di un lento quietarsi del suo stesso spirito. Quelle abitudini non partivano da una base di serenità; semmai era il sintomo di una forte insoddisfazione. Mia cercava sempre nuovi stimoli, qualcosa che la portasse a provare qualcosa, qualunque cosa, in verità. Non era certo insensibile, né il tempo l'aveva privata della sua empatia e umanità, ma la gentilezza nei confronti della sua stessa persona era lentamente svanita. « Per lo più si beve. Alcuni addirittura fino al punto di addormentarsi a Shibuya e tornare al lavoro qualche ora dopo. » Letteralmente il suo tipo di posto. Non credeva fosse in grado di bere fino ad addormentarsi su una panchina; forse però, fino a quel momento non era mai accaduto perché qualcuno disposto a riportarla a casa c'era sempre stato. Non erano tuttavia poche le volte in cui Mia beveva fino a perdersi frammenti del suo stesso vissuto. Si diceva di amare le feste; a chiunque glielo chiedesse rispondeva che non sarebbe rimasta giovane per sempre e quindi tanto valeva godersela finché ancora poteva. In verità, proprio grazie al frenetico ritmo di alcune sue serate, aveva scoperto una peculiarità dei suoi stessi simili di cui non era mai stata a conoscenza fino ad allora. I più intrepidi la chiamavano braindance o anche semplicemente la danza. Quando era nel suo periodo peggiore, era stata Stacey a farle scoprire quella peculiarità e abitudine di molti elementi giovani del branco. E' strano da spiegare come funziona la danza. In un certo qual modo è come esserci e non esserci affatto. Come spingerti sull'orlo di un precipizio, chiudere gli occhi e gettarti nel vuoto. Solo che non atterri mai. Continui a cadere senza mai fermarti. Passi da una situazione all'altra, da un'indole a un'altra senza mai fermarti. E' come se premessi un pulsante randomico saltando da un'esperienza all'altra, da una personalità all'altra sperimentando contemporaneamente ogni vissuto, ogni emozione, ogni sensazione. Ti trovi dappertutto, fino al punto in cui ti senti frammentato. Ed è proprio in quel momento, quando ti perdi tra gioia, tristezza, disperazione, rabbia, rimpianti e delusioni, tra risate e pianti, quando ti trovi contemporaneamente in mezzo a una lite e del buon sano sesso, quando sei al tavolo insieme a tanti amici e in mezzo a una battaglia contemporaneamente, senti come se il cuore fosse sul punto di esploderti nel petto. E' troppo, eppure, al contempo non ne hai mai abbastanza. Alla danza puoi partecipare consapevolmente o inconsapevolmente. A volte la cerchi, altre volte sono altri a trovarti, ma la loro presenza nella tua indole è talmente breve che nemmeno te ne accorgi. Sei solo un granello di sabbia nella loro esperienza, ma per loro, per te che balli, ogni granello costituisce un sentire intenso, più forte di qualunque droga, più intenso di molte altre esperienze che potrai mai vivere. Alla danza, Mia partecipava consapevolmente e ci metteva del proprio, affinché qualcun altro potesse a propria volta trovare di lei uno dei tanti flesh catartici di quel susseguirsi caotico di esperienze e comune sentire; quelle serate frenetiche erano il suo personale contributo proattivo per qualcun altro. La musica rimbombante, l'alcol, l'elettricità nell'aria, l'odore di lussuria misto a una triste mancanza di inerzia, era ciò che riusciva a mettere sul piatto. In mezzo alle folle, fruire di quell'esperienza era mille volte più intenso. E tutto questo perché? Perché quando impari a condividere troppo con un tuo simile, qualunque altra cosa appare insignificante; ricevi così tanti stimoli contemporaneamente che privartene ti sembra meno. Nessuno ha scritto delle avvertenze in merito alla condivisione tra due amanti in grado di raggiungere un simile livello di intesa, e la verità è che è una fregatura. Ogni altra cosa è vuota; anche le cose belle, non sono altrettanto appaganti. Quanto alla dimensione più fisica - cazzo quella resta sempre uno schifo. E anche in quello, Mia aveva imparato a cercare nuove strade. Non ne aveva mai parlato col suo fidanzato - sarebbe stato troppo mortificante anche solo tentare di spiegargli la questione. Così, aveva semplicemente di utilizzare la danza anche in quei momenti. Chiudeva gli occhi e si lasciava andare. Cercava esperienze simili alla loro e ne traeva soddisfacimento condividendo. Non era comunque la stessa cosa, ma era sicuramente più semplice rispetto al tentare di non fare nulla. Paradossalmente l'assenza di Raiden le aveva permesso di conoscere meglio la sua natura; ma lo aveva fatto nella maniera più crudele. Poi un giorno, durante una serata tra ragazze a casa di Ronnie, sulla scia di un po' troppo alcol, Stacey aveva sputato il rospo dicendo esattamente ciò che tutti pensavano, e ciò che Mia non avrebbe voluto sentirsi dire. Dai Mia.. il problema è che voi non eravate due lycan-scopamici. In quell'occasione Mia e Stacey avevano litigato in maniera abbastanza pesante, al punto che Mia era quasi arrivata a metterle le mani addosso. In breve, ciò che Stacey intendeva e che Mia aveva metabolizzato in maniera ben più lenta, è che il materiale affettivo che i due avevano condiviso, andava ben oltre le semplici esperienze fisiche, all'amicizia che li legava e alla caparbietà con cui si ostinavano a volersi convincere di essere leggeri. La giovane Wallace si era innamorata; forse per la prima volta, in una maniera talmente viscerale che estirpare quel corredo emotivo dalla propria indole era quasi impossibile, specialmente perché l'idea di legarsi a un altro lycan era completamente fuori discussione. Non avrebbe mai e poi mai rischiato di imbattersi nella stessa situazione - sempre che sia possibile. Sempre che sia davvero ripetibile.
    Forse chiedere a Raiden non era stata la cosa più saggia, o forse, sotto sotto, voleva chiedergli perché al pari di un serial killer che voleva essere scoperto, Mia voleva essere colta in flagrante. Di certo, se così fosse, non ne era consapevole, e anzi, si sentì decisamente in difficoltà nel vederlo insistere ad accompagnarla in giro per la città. « Scherzi? Non ti manderei mai in giro da sola per la città di notte. Specialmente per locali. » « No no davvero, non è necessario. A parte che avrai un sacco di cose da fare, ma poi sono abituata a uscire da sola. Cioè al massimo per questa sera mi faccio solo un giro. » Bugia. Ci sarebbe andata dritta per dritta nel locale più rumoroso che le fosse stato consigliato. Quella sera più che mai aveva bisogno proprio di quello; fare un salto nel vuoto e dimenticarsi di essere nella città del tipo che ha mandato in cortocircuito il suo sistema limbico. Non c'era niente da fare; in seguito a una sommaria spiegazione del enorme parco delle attrazioni di Tokyo, Raiden non sembrò minimamente intenzionato a lasciarla andare da sola. Per quanto avesse insistito, ripetendogli diverse volte che era in grado di prendersi cura di sé, dopo un po' semplicemente rinunciò, stabilendo mentalmente che si sarebbe annotata i posti che le veniva indicati per tornarci eventualmente in autonomia nelle serate seguenti. « Comunque, sia chiaro, questa cosa del pagare va un attimo ridiscussa. Tu hai pagato la cena, io pago da bere, altrimenti.. » Oddio altrimenti cosa? Altrimenti niente, non ho proprio nulla da dire. « ..dai, facciamo metà e metà. Non devi spendere così. » Stese un sorriso scuotendo la testa mentre affondava le mani nelle tasche seguendolo lungo le strade affollate del quartiere. « Questo lo chiamano il vicolo degli ubriaconi. » Pareva appropriato per i propositi della serata, ma non di certo caotico come se lo aspettava. « Non è proprio modernissimo, come avrai notato. Questi posti sono stati tutti costruiti nel periodo showa e mantenuti in quello stile nonostante la modernizzazione del resto del quartiere. Non sarà proprio il centro della movida, ma valeva la pena farci una visita anche solo per un drink. Di certo l'alcol è migliore rispetto a quegli intrugli sovrapprezzati dei grossi bar. » Nonostante ciò Mia sembrò tutto fuorché delusa. Si guardava attorno, sollevando lo sguardo sulle costruzioni abbastanza basse in cui erano stipati i vari localetti precedendo il passo di Raiden solo per fermarsi a metà stradina facendogli segno di fare altrettanto. Per un attimo non disse niente e chiuse solo gli occhi indicando il proprio orecchio. « Lo senti? » Il silenzio. Erano stati così tanto immersi nella folla, tra il rumoroso ristorantino e le strade affollatissime che solo adesso si accorgeva di quanto fosse piacevole il silenzio. « Pazzesco. » A parte il suono di qualche radiolina e televisione in lontananza, il rumore delle folle appariva lontano. Un sottofondo che appariva quasi irreale rispetto alla desolazione del vicolo in cui si trovavano. Ridacchiò appena, scossa dalla quella realizzazione prima di stendergli un ampio sorriso. Eccola, lì da qualche parte, quella vivace capacità di stupirsi di fronte alle cose più sciocche, esisteva ancora e si manifestò in quel momento nella più genuina delle maniere. Stipata tra folle, sbattuta da una pesante cumulo di asfalto all'altro, non veniva a contatto con una tale oasi nel bel mezzo della giungla metropolitana da un sacco di tempo. Era così evidente che le mancasse la sua solita vita, i luoghi più tranquilli, più semplici, magari immersi nel verde. Certo, quella viuzza era tutto fuorché artificiale, ma preservava comunque uno spirito autentico relegato a tempi più tranquilli in cui la stessa capitale giapponese non era assaltata dai turisti e dalla fame di capitale. Così, decisamente più incuriosita, si lasciò condurre all'interno si un piccolissimo locale ben riscaldato. Istintivamente si sfregò le mani mentre osservava Raiden parlare in giapponese con l'uomo dall'altra parte del bancone. Suonava così diverso in giapponese. Certo, non era la prima volta che lo sentiva parlare. A volte si divertivano a parlarci anche solo perché Mia adorava sentirsi in grado di emulare i suoni di una lingua di cui non aveva minimamente conoscenza. Era incredibile come il loro cervello fosse in grado di recepire quei suoni anche senza averne la minima conoscenza. In assenza del contatto invece, Mia non riuscì a riconoscere più dei saluti. Anche quando l'uomo le si rivolse direttamente con uno spirito conviviale, Mia non poté fare altro se non sorridere e annuire. « Ti ha dato il benvenuto in Giappone e ha detto che ti farà bene bene e che puoi ordinare quello che vuoi. Nota a margine: è un chiacchierone ma non parla inglese, quindi.. mh.. non so, posso tradurre io, ma se preferisci parlarci più liberamente apro il contatto. » Forse avrebbe dovuto dirgli di no, rifiutare quella possibilità a prescindere. In fin dei conti Mia si era ben guardata dal fare lo stesso. A quel punto però la tentazione di un completo autosabotaggio sembrava essersi insinuata in lei senza neanche accorgersene. Si strinse quindi nelle spalle e osservò l'uomo con un'espressione un po' imbarazzata. « Fa un po' strano conversare così, non credi? » Ma si, perché no. Alla fine è tutto chiaro. Siamo apposto. Siamo colleghi. Non c'è nulla di male. Tirò quindi un lungo sospirò e abbassò di colpo le spalle come se cercare il modo di sciogliere una tensione che aveva tenuto ben saldi i suoi muscoli fino a quel momento. Nel percepire nuovamente l'indole di Raiden non disse assolutamente nulla, ma in cuor suo provò qualcosa di inspiegabile. Era un po' come tornare in un posto estremamente famigliare che non si vedeva da tanto tempo. Provò un leggero senso di calore all'altezza del petto; il sistemo circolatorio animato da un battito incalzante che premeva contro la cassa toracica di lei. Ciao. In quel silenzio privo di parole, la giovane Wallace lo osservò con grandi occhi caleidoscopici che in un batter d'occhio attraversarono l'intera gamma di colori dell'arcobaleno fino ad assestarsi su un profondo blu cristallino. Scosse la testa velocemente per un istante prima di abbassare lo sguardo e ritornare in sé facendo del suo meglio per non risultare troppo invasiva. Tuttavia, l'accesso al linguaggio, non era propriamente la cosa più superficiale dell'indole di una persona, e anche solo provare ad aderirvi portava a una comunione necessaria e in quel momento un po' dolorosa. « Se vuoi una birra, quella che beviamo di più qui è la Asahi. Ce l'hanno anche alla spina. Altrimenti se vuoi provare qualcosa di diverso ci sta lo shochu - che è più o meno simile al gin e lo puoi combinare ad altro come un cocktail - oppure di whisky giapponesi ne trovi quanti te ne pare e sono buonissimi. Il Matsui Mizunara Cask te lo consiglio, è uno dei miei preferiti. » « Mizunara Cask? » « Per me sì. On the rocks. » In tutta risposta Mia tirò un sospirò un po' più sicura di sé di fronte all'idea di poter condurre una conversazione alla pari e annuì. « Anche per me. Un amico mi ha parlato un sacco del whisky giapponese. » Nel dirlo gettò uno sguardo con la coda dell'occhio a Raiden prima di scoppiare a ridere di fronte allo stupore dell'uomo. « Hai detto che non parla il giapponese. A me sembra proprio dì si e pure bene. Sento un po' di Kansai. Sei stata dalle parti di Osaka? » Mia scoppiò a ridere, senza sapere esattamente come rispondere a quella domanda. « Una cosa così. » « Ah, lo sapevo io. Ho orecchio per gli accenti. Mettetevi comodi vi porto subito da bere. » Quasi sentì la mancanza della convivialità del barista quando li lasciò di nuovo soli con loro stessi. « Tranquilla, poi ci andiamo nei posti più casinari, però non volevo farti bere quella robaccia annacquata. E poi hai detto che non volevi roba da turisti, no? Allora.. ti piace? » Per un istante sembrò confusa da quella domanda, non tanto perché fosse strana. La associava tuttavia a qualcosa di molto specifico incastonato nella sua testa. Un tempo, ogni qual volta prendesse iniziativa, decidendo di portarla da qualche parte o di fare qualcosa di diverso, per quanto semplice e senza pretese, Raiden le faceva la stessa domanda. Allora ti piace? Associava quella domanda a un preciso tono tenero, che Raiden assumeva inconsapevolmente quando ricercava la sua approvazione. Lo aveva trovato così tante volte tenero, perché forse non era abbastanza evidente, ma non importava dove andassimo o cosa mi regalassi. Era bello il fatto che ci stessi pensando. Istintivamente volse lo sguardo nella sua direzione rivolgendogli un piccolo sorriso gentile e affettuoso. « Mi piace molto. » Disse solo, abbassando appena lo sguardo; ed era vero. A quel punto, se anche avesse voluto mentire e dire cose a metà, sapeva che sarebbe stato inutile. Fortunatamente vennero ben presto interrotti dall'arrivo dei drink. La conversazione venne rianimata dalle tante curiosità del barista che fece tantissime domande sia a Raiden per recuperare un po' di tempo perso, chiedendogli dei suoi soliti compagni di bevute, quanto a Mia, alla quale vennero riservate domande in merito al luogo da dove veniva, come trovava il Giappone e per quanto intendeva restare. Discutevano in maniera animata, buttando giù goccia dopo goccia il liquore chiedendone dell'altro. All'ennesimo bicchiere che le venne versato iniziò a comprendere come quel posto si reggesse in piedi; nonostante questo non sembrò arrestarsi. Rideva e intratteneva la conversazione in maniera naturale, dando sfoggio di tutto il suo innato spirito propenso alla convivialità. Rideva e scherzava, prendendo di tanto in tanto in giro Raiden, gesticolando animatamente e mostrandosi ben curiosa a sua volta ai racconti dell'uomo, al quale iniziò ben presto a fare a sua volta il terzo grado per saperne di più. Il proprietario era sposato e aveva due figlie di cui parlava con grande orgoglio. « È molto orgoglioso delle figlie, vero? » « Come ogni padre. Sarei un disgraziato se non ne andassi fierissimo, parola d'onore. » E lì, l'uomo si gettò per un altro po' in altri racconti circa la sua famiglia, mostrandogli la foto delle sue tre ragazze. Quell'ultima parte del discorso sembrò gettare una leggera ombra sulla conversazione, quanto meno intristì un po' Mia, seppur fosse ancora estremamente intenerita dall'affetto con cui l'uomo parlava della sua famiglia. Ad un certo punto, mentre si dedicava ad altri clienti, Mia scoppiò appena a ridere. « Certo che lui sa proprio far bere la gente. E questa roba va giù che è una meraviglia. » Osservò decisamente più leggera mentre ruoteava il liquido nel bicchiere osservandone il contenuto con uno sguardo brillo. Poi di colpo torno a guardarlo sorridendo.
    « Ti sei fatto crescere i capelli. » Pausa. « Cioè più di prima. Anche prima erano lunghetti, ma ora sono più lunghi. » Disse solo, come se lo vedesse per la prima volta. Non era affatto così, ma prima, Mia non aveva avuto di certo il coraggio di fare alcuna osservazione di natura troppo personale. Le erano sempre piaciuti i suoi capelli; forse perché Raiden aveva sempre l'abitudine di chiederle di accarezzarglieli. Era sempre morbidi e profumavano di bagnoschiuma. Amava anche quello; il profumo del suo bagnoschiuma. « Mi piacciono molto. Ti stanno molto bene. » Buttando giù il bicchiere numero-qualcosa. Forse tenere a freno la lingua stava diventando un po' complesso, ma nonostante ciò sembrò ignorare la questione inclinando appena la testa di lato, sorridendo con un'espressione un po' ebete. « Sono contenta che tu stia bene, sai? Mi ero preoccupata un sacco. Poi mi hanno detto che stavi bene - altri lycan all'avamposto. Ho chiesto di te qualche volta, là. Però non gli ho creduto troppo. » Si strinse nelle spalle con naturalezza. Non riusciva a tenere a freno la lingua o non le importava - in ogni caso non sembrò preoccuparsene. Chi se ne frega. È la verità. Ho chiesto di te, finché Hisaki non mi ha preso di petto dicendomi che forse era il caso di chiedermi perché non ci vedessimo mai. « Sono contenta di vederlo con i miei stessi occhi che stai bene. » Poi sorrise e, gettato un'occhio all'orologio sulla parete del locale, tornò a guardare Raiden convenendo che fosse il caso di andare. Prima di alzarsi Mia lo osservò con grande attenzione. Nel momento esatto in cui sembrò mettere mano al portafoglio, Mia attirò la sua attenzione scoccando le dita energicamente. « Ehi che abbiamo detto? » Istintivamente posò una mano sul dorso della mano di lui, stringendola appena. « Dai, fammi questo piacere. Stai perdendo tutto questo tempo dietro a me. Lasciami offrire. È il minimo che possa fare. » Fece una leggera pausa, tempo in cui inclinò appena la testa di lato osservandolo con l'espressione di una tenera cerbiatta. « Per favore? Guarda che mi pagano bene. Non offro dalla paghetta, giuro. » E a quel punto messa mano al portafoglio, non gli avrebbe permesso di pagare nemmeno se si fosse arrabbiato. Tirò fuori alcune banconote di valuta locale che aveva rintracciato appena arrivata, e pagò le loro consumazioni, raccomandandosi col proprietario di tenere il resto. Un caso diplomatico in vera regola che non si sciolse finché Mia non accettò quanto le spettava indietro. I giapponesi non accettano la mancia. Buono a sapersi. [...] Tornati nell'aria fresca della notte, per un attimo Mia si appoggiò contro la parete adiacente all'entrata, tirò fuori il pacchetto di sigarette e se ne accese una allungandogli il pacchetto nel caso in cui volesse servirsene. Per un po' non disse niente, si lasciò solo travolgere da quell'ondata di famigliarità. Nonostante non ci fosse nessuno con cui comunicare, non avevano ancora chiuso il contatto, e a dirla tutta, a quel punto non solo sembrava strano farlo, ma c'era anche una non indifferente volontà a non farlo. Nonostante Mia fosse costantemente in contatto con tanti dei suoi compagni di armi, quel legame le appariva diverso. Di Raiden riusciva a percepire ogni terminazione nervosa, le sensazioni più piccole e insignificanti. Posò la tempia contro la parete e sorrise senza un'apparente ragione logica. E per un po' lasciò solo che quei tanti stimoli la pervadessero, senza dire niente. « Mi era mancato. » Non disse cosa, né era necessario farlo. La danza era una cosa, ma esserci ed essere presenti, senza cadere da nessuna parte, senza perdersi, pur sentendosi più persa che mai, era una completamente differente. Di colpo sollevò lo sguardo nel suo ricercandolo con insistenza. « Puoi chiuderlo se vuoi. Non c'è più nessuno ora. Non ce ne è più bisogno. » Mia però ne sentiva un bisogno viscerale, come finalmente avesse ritrovato un po' di completezza, come se riuscisse di nuovo a riconoscersi tramite qualcun altro, percepirsi nel mondo. « Non mi offendo. » Ma mentiva. Non si sarebbe offesa, ma si sarebbe comunque sentita privata di qualcosa che le apparteneva. Quella bolla era sua. Era loro. E il desiderio di aggrapparsi con le unghie e coi denti era tanto.




     
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    Tornare in contatto con la sfera emotiva di Mia gli portò un miscuglio di strane sensazioni. Era familiare, come l'odore inconfondibile di casa propria al ritorno da un lungo viaggio, e al contempo era diverso da come lo ricordava. L'indole di Mia sembrava come le sabbie mobili: calma solo all'apparenza, ma solo per celare ciò che c'era veramente al di sotto. Eppure, nonostante quella differenza dovuta probabilmente al passare del tempo e alle nuove esperienze adulte di Mia, Raiden riusciva comunque a riconoscere quel luogo: ci si sarebbe potuto muovere ad occhi chiusi, sapendo esattamente dove si trovava ciascuna cosa. D'altronde, un tipo di comunione come quella che avevano avuto loro, difficilmente poteva essere ripetuta o cancellata del tutto. Tornarvi era tanto confortevole quanto straziante: portava con sé tanti ricordi, per lo più belli, e con essi anche tutta la tristezza e il dolore che aveva provato quando aveva dovuto necessariamente staccarsene. Cercò tuttavia di non focalizzarsi troppo su quelle sensazioni, e di evitare il più possibile di indagare troppo a fondo quelle di Mia, nella vana speranza che sarebbero sparite da sole con l'abitudine. « Mi piace molto. » Rispose al suo sorriso con uno altrettanto gentile, annuendo appena, senza dire nulla mentre i suoi occhi rimanevano fissi in quelli di lei. Un silenzio, quello, che fortunatamente venne spezzato presto dal ritorno del barista e dalla sua chiacchiera spigliata. Era sempre un piacere parlare con lui, e scivolare in quella conversazione leggera fu piuttosto immediato, portando il giovane Yagami a rilassarsi e sciogliere un po' della tensione accumulata da quel pomeriggio. Nemmeno si accorse di quanto quella situazione li stesse riportando ai vecchi tempi e alle vecchie abitudini, allo stesso modo di scherzare e prendersi in giro bonariamente, alla stessa confidenza, alla stessa gestualità e parole chiave. Tutto ciò avvenne semplicemente in maniera naturale, senza che nessuno dei due ci facesse realmente caso. « Certo che lui sa proprio far bere la gente. E questa roba va giù che è una meraviglia. » Rise, lanciandole un'occhiata eloquente prima di buttare giù un lungo sorso del proprio bicchiere. « Lasciamo stare. Quest'uomo mi ha visto nelle mie condizioni peggiori. Non mi stupirei se sapesse più cose di me di quante ne sappia io stesso. » Nella sua forma più ubriaca, Raiden tendeva ad essere davvero un gran chiacchierone, e questo Mia lo sapeva. « Ti sei fatto crescere i capelli. » La mano che teneva il bicchiere si fermò a mezza strada tra il bancone e le sue labbra. Colpito da quell'osservazione, le scoccò un'occhiata tra il confuso e il divertito, inclinando leggermente il capo di lato. « Cioè più di prima. Anche prima erano lunghetti, ma ora sono più lunghi. Mi piacciono molto. Ti stanno molto bene. » Rise, sciolto un po' dall'alcol che aveva in corpo, mentre le parole di Mia lo portavano istintivamente a passarsi una mano tra i capelli. « Dici? Sì, ho pensato di lasciarli crescere dato che adesso posso farlo. Sai.. nessuna regola che me lo vieti esplicitamente. » Cosa che invece prima, sotto il regime, era ben diversa. Sebbene una volta uscito da Iwo Jima avesse la libertà di farseli crescere un po', le regole dell'esercito imponevano comunque di non superare una certa lunghezza. Forse non avrei mai nemmeno avuto il desiderio di lasciarli crescere se non fosse stato proprio per quella regola. « Sono contenta che tu stia bene, sai? Mi ero preoccupata un sacco. Poi mi hanno detto che stavi bene - altri lycan all'avamposto. Ho chiesto di te qualche volta, là. Però non gli ho creduto troppo. Sono contenta di vederlo con i miei stessi occhi che stai bene. » Sorrise, questa volta in maniera più contenuta, ma guardandola comunque con un misto di affetto e gentilezza negli occhi mentre annuiva piano. « Anche io sono contento di vedere che stai bene, Mia. » Fece una breve pausa. « E sono contento che tu sia qui. Volevo davvero che la vedessi almeno una volta, Tokyo. » Quando ne avevano parlato, tempo addietro e a più riprese, Raiden se l'era immaginata diversamente quella situazione, ma in fin dei conti si trattava di tempi in cui nemmeno lui sapeva quando e se avrebbe mai avuto l'opportunità di vivere il proprio paese in maniera serena. Nonostante quell'incertezza, però, era sempre stato sincero: non le aveva mai mentito riguardo il proprio desiderio di farle vedere il Giappone - semplicemente, all'epoca era solo fantasia.
    Quando fu il momento di andarsene, Raiden immerse automaticamente la mano nella tasca della giacca per estrarre il portafoglio, venendo presto bloccato da Mia. « Ehi che abbiamo detto? » Rise. « Nulla. Tu hai detto. Io non ho detto assolutamente niente. » « Dai, fammi questo piacere. Stai perdendo tutto questo tempo dietro a me. Lasciami offrire. È il minimo che possa fare. » Abbassò lo sguardo sulla leggera stretta di Mia attorno alla sua mano, sollevando poi nuovamente negli occhi di lei. Sospirò, inclinando il capo di lato. « Sei ospite. Sarebbe da cafoni. » « Per favore? Guarda che mi pagano bene. Non offro dalla paghetta, giuro. » Alzò leggermente gli occhi al cielo, accennando un sorriso. « Vuoi proprio farmi fare una figuraccia, eh? Minimo non mi faranno più entrare qua dentro. » Ma a quel punto l'unica maniera per fermare Mia sarebbe stata quella di atterrarla con una mossa di wrestling, e siccome non lo trovava opportuno, la lasciò fare a malincuore. « Grazie, ma è l'ultima volta. » disse, puntando lo sguardo ironicamente minaccioso in quello di lei mentre uscivano dal bar. Una volta fuori, vedendo Mia estrarre il pacchetto di sigarette, si fermò dal procedere. Con le mani affondate nelle tasche dei pantaloni, Raiden appoggiò una spalla contro il muro, scuotendo leggermente il capo quando lei gli offrì di favorire. Per un po' non disse nulla, abbassando lo sguardo sui propri piedi mentre faceva roteare un piccolo ciottolino sotto la suola della propria scarpa. Quando Mia appoggiò la tempia contro il muro, forse un po' troppo vicini, solo allora risollevò gli occhi, guardandola da sotto le ciglia con un sorriso indecifrabile. « Mi era mancato. » Se anche avesse voluto, sarebbe stato difficile nasconderle il senso di calore che quella semplice frase portò nel suo petto. Altrettanto difficile sarebbe stato mentire, dicendo che a lui invece non era mancata affatto la vicinanza che avevano condiviso tramite il legame. « Puoi chiuderlo se vuoi. Non c'è più nessuno ora. Non ce ne è più bisogno. Non mi offendo. » Rimase in silenzio per qualche istante, sbuffando poi una piccola risata mentre scuoteva leggermente il capo e calciava via il ciottolino. « Dai Mia, lo so che menti. » Il suono della sua risata era sottile, come sottile era il tono della sua voce, prima che sollevasse lo sguardo negli occhi di Mia con un'espressione abbastanza eloquente da non necessitare ulteriori spiegazioni. Sapevano entrambi di non voler chiudere quel contatto, e allora perché parlarne? Perché concretizzare quella volontà che era molto più semplice tacere? Tanto non andrà da nessuna parte, quindi godiamoci quel poco che abbiamo a disposizione prima di tornare ciascuno alle proprie vite. Pensieri stupidi e autodistruttivi quelli di Raiden, che solo dopo diversi bicchieri di whiskey potevano vedere la luce. Sospirò, alzando gli occhi a quella stretta striscia di cielo che poteva essere intravista dal vicolo. « Comunque ti devo dire una cosa. » Fece una pausa, mantenendo gli occhi fissi sulla coltre scura sopra di loro. « In realtà non volevo dirtela, ma penso che sia giusto farlo. » Un'altra pausa. Riportò gli occhi in quelli di lei, fissandola in silenzio con un sorriso indecifrabile sulle labbra prima di sporgersi un pochino più avanti, vicino al suo orecchio, come se stesse per confessarle il più indicibile dei segreti. « Qui non si può fumare. Se ti beccano ti fanno una multa che ti farà ricordare per sempre questo viaggio. » Rise, sciabolando le sopracciglia mentre riprendeva lentamente le distanze fino a scostarsi del tutto dal muro. « Su, finiscila veloce, così possiamo avviarci. »
    [..] A Shibuya c'erano così tanti locali notturni - magici e non - che si aveva davvero l'imbarazzo della scelta. Tuttavia Raiden era andato abbastanza a colpo sicuro, scegliendone uno non molto distante che conosceva piuttosto bene. Forse inconsapevolmente la scelta era caduta su un locale magico perché una parte di sé credeva che quel luogo affollato da persone che conoscevano il suo nome (chi più e chi meno) lo avrebbe automaticamente frenato dal fare qualsivoglia tipo di passo falso. A livello cosciente, però, optare per il Full Moon era venuto naturale sulla base del fatto che quel luogo gli piacesse per davvero e che, in quanto maghi, si sarebbero sentiti più a loro agio. Tuttavia il Full Moon non era un semplice locale della Tokyo magica, ma era il punto di ritrovo notturno quasi esclusivo per le creature. Mannari, vampiri, veela e lycan trovavano lì un safe space in cui vivere la propria natura in comunione, senza sentirsi oggetto di pregiudizi da parte del resto della comunità magica. Quei luoghi avevano una lunga storia legata alla segregazione delle creature e al fatto che ancora esistessero certi locali che non ammettevano determinate categorie, oppure luoghi in cui alcune non si sentivano sufficientemente a proprio agio. L'ingresso si trovava all'interno di un anonimo Seven Eleven: superato il banco dei gelati e lo stretto corridoio che portava ai bagni c'era una porticina che immetteva nel retrobottega, dove gli scatoloni accumulati camuffavano una porticina arrugginita. Il piccolo pad al suo fianco poteva essere sfruttato in due modi: il codice babbano avrebbe immesso nella cella frigorifera, mentre quello riservato ai maghi apriva la porta su un montacarichi. Una volta entrati, l'ascensore piombava velocemente giù di diversi metri, sterzando poi bruscamente a sinistra e proseguendo per qualche altro secondo prima di arrestarsi davanti a quella che aveva tutta l'aria di essere la reception di un ufficio di alto livello. Oltre a due grossi buttafuori piazzati di fronte ad una grossa porta, c'era solo una giovane ragazza dai capelli color rosa acceso e le iridi verdi con pupille a fessura come quelle di un gatto. « Buonasera. Posso controllare i vostri documenti? » Era prassi, trattandosi di un luogo in cui per ovvie ragioni non si poteva entrare sotto i diciassette anni. Raiden ricambiò il suo inchino, mostrandole la propria carta per poi lasciare che Mia facesse lo stesso. Fatto ciò e pagata l'entrata, la giovane estrasse da dietro la scrivania un rettangolo metallico leggermente incurvato. Premette un pulsante, facendo accendere un lato di luce rossastra, e poi un altro, che emise un breve suono acuto. « Faccia un passo avanti e tenga gli occhi ben aperti finché non sente il segnale acustico. Come da regolamento ho attivato il filtro anti-veela. » Raiden annuì, lasciandosi mettere quella barra a mo' di occhiali per poi scansarsi una volta fatto. La ragazza fece lo stesso con Mia, spiegandole che nel suo caso il filtro non veniva applicato. Funzionava così nei locali magici: il timbro di riconoscimento veniva apposto sulle iridi tramite quella visiera e controllato dai buttafuori qualora necessario tramite una piccola torcia che lo rendeva visibile. Nel caso degli uomini, al timbro veniva applicato anche un filtro magico che permetteva di non subire l'incanto veela; inutile dire che lì era piuttosto necessario per entrambe le parti coinvolte: la maggior parte di quelle ragazze volevano solo ballare in santa pace senza provocare incidenti o essere soggette alle molestie di uomini in stato di assuefazione, ma era anche capitato - prima dell'introduzione di quella misura - che diversi uomini venissero truffati e ripuliti di tutte le loro finanze da parte di veela che usavano quell'incanto in maniera consapevole. Ricordo ancora l'articolo di quel ministeriale che era stato convinto a cedere ad un gruppo di veela un paio di case e dargli quasi tutti i soldi che aveva nel conto. La moglie lo ha cacciato di casa e ci è voluto un sacco di tempo prima che riavesse tutto. Spaventoso. Erano infatti proprio le veela ad essere le creature più marginalizzate nella comunità magica giapponese e ad attirarsi la più vocale sfiducia. Lì, però, al Full Moon, quelle differenze e pregiudizi venivano momentaneamente sospesi in favore di un clima ben più aperto di quanto la società giapponese non fosse realmente. Quando i buttafuori aprirono loro le pesanti porte d'ingresso, vennero immediatamente investiti dal volume alto della musica e dai forti neon colorati che illuminavano l'ambiente a intermittenza, portando alla luce la calca caotica di persone vestite nelle più disparate maniere. « Spero che soddisfi le tue

    aspettative. »
    disse, parlando un po' più forte e chinandosi appena più vicino all'orecchio di Mia per farsi sentire sopra la musica. Le luci rosse e blu illuminarono il suo sorriso divertito mentre si sfilava la giacca della divisa per legarsela in vita, rimanendo in t-shirt. Le fece quindi cenno di seguirlo verso il grosso bancone circolare al centro dell'ampio spazio. Ovviamente c'era un sacco di gente in fila, ma questo gli permise di spiegarle che lì i cocktail costavano davvero un casino e che non ne valevano affatto la pena. « Se prendi un gin tonic tanto vale prendere una gazzosa - siamo a questi livelli. Infatti ti consiglio di andare di shot: costano un sacco anche quelli, ma almeno paghi per quello che bevi. Anche perché nei cocktail ci mettono esattamente la stessa quantità di alcol, solo che lo annacquano col resto e te lo fanno pagare il doppio. » Benvenuta a Tokyo: è così praticamente in ogni discoteca. Si strinse nelle spalle, avvicinandosi poi al bancone per ordinare due shot di tequila sale e limone. Arrivarono piuttosto velocemente, e questa volta Raiden fu più svelto a pagare. Si mise dunque il sale sul dorso della mano e con l'altra prese il bicchierino, sollevandolo leggermente in direzione di Mia per un brindisi. « Ad Hogsmeade, che era un buco di culo ma pieno di bei ricordi. » Fece una pausa. « Tipo l'alcol ad un prezzo onesto. Che è, appunto, solo un ricordo. » Rise, facendo cozzare il vetro contro quello di lei prima di buttarne giù il contenuto tutto d'un fiato, leccar via il sale dalla mano e addentare la fetta di limone, succhiandone il succo aspro. Liberatosi di tutto, si spostò più in là per lasciar spazio ad altri clienti, appoggiandosi con una spalla contro la colonnina mentre si guardava intorno. Per qualche istante non disse nulla, mordicchiandosi il labbro inferiore mentre la fissava con un mezzo sorrisino. Poi si fece avanti con una mano, sistemandole un po' i capelli per farle ricadere grosse ciocche davanti alle spalle. « Non ti conviene mostrare troppo il collo qui dentro. A volte i vampiri si fanno piccoli snack quando sono un po' ubriachi. » I migliori di loro. Tuttavia, immediatamente dopo averlo detto si portò le mani ai capelli, raccogliendone una parte per legarli con l'elastico che aveva al polso in una piccola crocchietta sulla nuca - il tutto rigorosamente sull'orlo di un sorriso divertito, noncurante della coppia di vampiri che si stava letteralmente succhiando la faccia a vicenda a due passi da lui, in maniera anche abbastanza sanguinolenta. « Insomma, mi hai chiesto gli animali notturni. Mi sono preso la libertà di interpretarlo un po' alla lettera. Va bene o preferisci qualcosa di più.. mh.. stile Testa di Porco? » Cazzo, ora che ci penso Hogsmeade lo era davvero un buco di culo.

     
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    « Dai Mia, lo so che menti. » Lo sguardo ceruleo della ragazza, rimase a osservarlo con un'espressione neutra ma pur sempre eloquente tanto quanto quello di Raiden. Lo guardava, ma non sapeva esattamente cosa dire. Sapeva solo che nell'ingenuità di quel gesto, aprire il contatto, lasciarsi travolgere nuovamente da quella molle di emozione, c'era una potenzialità catastrofica. Se anche avesse voluto negare ciò che sentiva, ciò che percepiva dall'altra parte, la verità è che era impossibile, e l'unica cosa che poteva fare era ignorare. Per un istante, il sguardo sembrò sul punto di cambiare sfumature, abbandonarsi alla possibilità di fare una domanda. Una sola. La tentazione e quella possibilità sembrò opprimerla. Fu un solo istante, uno solo, che in verità durò un'eternità. Se quello che riusciva a percepire, non era mai venuto meno, se quella molle di emozioni e percezioni, di desideri e tensione era ancora lì tale e quale, perché? Abbassò lo sguardo sconfitta, seguendo il fumo della propria sigaretta. Non voleva chiederglielo. Nemmeno Mia era sufficientemente masochista da voler sentire la risposta, qualunque essa fosse. Sarebbe stata comunque troppo dolorosa. « Va beh dai, dicevo così per dire. Magari ti senti obbligato. » Il tono leggero e scherzoso misto allo sguardo leggermente annebbiato dai diversi bicchieri bevuti; è evidente stia scherzando, infatti scoppia a ridere e scuote appena la testa prima di portarsi nuovamente la sigaretta alle labbra. « Comunque ti devo dire una cosa. In realtà non volevo dirtela, ma penso che sia giusto farlo. » Il tono indecifrabile di Raiden la portò a osservarlo con un'espressione un po' allarmata, sgranando appena gli occhi. « Cosa? » Un lieve sussurro che la portò a a cercare di smorzare il nervosismo aspirando nuovamente dalla sigaretta. Una parte di sé si sentì un po' persa di fronte a quell'annuncio del ragazzo, specialmente quando riportò lo sguardo su di lei, osservandolo con un'espressione che a Mia apparve semplicemente enigmatica. Il modo in cui si avvicinò all'orecchio di lei la portò a trattenere il respiro. « Qui non si può fumare. Se ti beccano ti fanno una multa che ti farà ricordare per sempre questo viaggio. » Dire che ne rimase spiazzata era poco. Per un istante lo osservò con le guance in fiamme e l'espressione di un cucciolo sperduto, scuotendo appena la testa. « Sei un cretino! » Asserì di colpo scoppiando a ridere mentre gli posava una mano sul viso scontandoglielo appena per prendere un po' le distanze in maniera naturale. Il cuore le batteva all'impazzata, al punto da non riuscire a coordinare in maniera coerente i propri movimenti. « Su, finiscila veloce, così possiamo avviarci. » Tirò un'ultima volta dalla sigaretta, prima trascinarla lungo la parete per spegnerla, gettandola in un secchio della spazzatura lì vicino. « Certo che potevi dirmelo prima. Sei il solito guastafeste - impressionante! » Brontolii che continuò per un po' finché non ripresero a fluire assieme ai fiumi di persone che si spostavano in ogni direzione possibile. Tokyo era affascinante; nella sua dimensione caotica poteva essere un luogo in cui si sarebbe fermata ben volentieri per un po'. Un luogo pieno di stimoli e di curiosità, di novità che avrebbe voluto davvero scoprire dalla prima all'ultima. Un conto però era farlo da sola, e un altro era farlo assieme alla persona giusta. Lungo le strade, di tanto in tanto Mia si fermava per chiedere a Raiden cose del tutto randomiche e casuali, un po' perché la incuriosivano e un po' perché era semplicemente piacevole parlare, stare insieme. Il giovane Yagami era un tipo taciturno; parlava sempre poco e in maniera estremamente pacata. Anche con i loro amici, le sue parole erano sempre misurate. Non diceva mai cose al vento, tanto per dirle, eppure insieme, Mia e Raiden avevano la capacità di parlare per ore senza dire proprio nulla, passando di argomento in argomento, chiedendosi cose del tutto insignificanti anche solo per animare quel costante botta e risposta fatto di risate. L'alcol stava aiutando, e infatti, anche in quell'occasione sembrarono ben propensi a parlare letteralmente del nulla, pur di continuare a parlare. « Stiamo bevendo prima di entrare? » Chiese istintivamente con una nota divertita mentre entravano nel minimarket. La cosa la divertì parecchio, non solo perché un tempo era abitudine passare nel minimarket asiatico prima di andare a una serata, o semplicemente per spartirti qualche birra, oppure comprare qualche schifezza da mangiare. Lì, nel bel mezzo dell'inverno, Raiden le aveva fatto provare il suo gelato preferito. Assurdo. Mangiavano il gelato in pieno gennaio, spaventati dall'idea che non avremmo passato l'estate insieme. Anche tu avevi paura; lo so. Potevo percepirlo, ma nonostante ciò tu dovevi comunque andare. Il senso del dovere di Raiden, Mia lo ha sempre compreso, eppure si è sempre chiesta cosa sarebbe successo se semplicemente lo avessero ignorato - il dovere, la responsabilità, le pressioni. Quello però non era il modo in cui erano cresciuti - triste ma vero. Persone come Mia e Raiden, pur appartenenti a società diametralmente opposte, crescevano col senso di responsabilità e con la consapevolezza di dover sempre qualcosa al mondo. Eppure lo dobbiamo? Dobbiamo qualcosa al mondo? Forse la situazione sarebbe stata più semplicemente se quei mondi divisi da ben più di dodici ore di scarto temporale, c'erano le loro rispettive famiglie, i loro ricordi, la loro eredità. « Allora è proprio vero che tutto il mondo è paese. » Prima di iniziare ad attraversare i vari reparti del negozio, Mia sottrasse in uno dei distributori un Chupa Chups, attratta dai colori e i gusti presenti in Giappone, che come previsto erano molto diversi da quelli presenti in occidente. Comprò anche un paio di bustine di caramelle scoppiettanti, e qualche altra sciocchezza che voleva assolutamente provare e che come prospettato la riportò a quella dimensione un po' giocosa e infantile che spesso manteneva quando si sentiva a proprio agio. Lo seguì poi verso quella che scoprì ben presto fosse una vera e propria entrata segreta verso un locale in piena regola. « Non ti manderei mai in giro da sola per la città di notte. E poi finirono in un montacarichi. Vatti a fidare. » Commenti che fece divertita un po' sottovoce prima di ritrovarsi in una sala arredata in maniera estremamente elegante, adiacente all'entrata del locale. Istintivamente, Mia gettò uno sguardo veloce ai due bestioni vestiti di nero, che probabilmente li stavano osservando da oltre gli occhiali da sole scuri. « Buonasera. Posso controllare i vostri documenti? » Estratto il proprio passaporto, lo porse alla ragazza con un leggero sorriso prima di seguire le istruzioni così come le mosse di Raiden. Era tutto così diverso che quando gli scimmioni si scansarono per permettere loro l'entrata Mia non seppe esattamente dove iniziare con le osservazioni. La musica che li investì per aggiunse in ulteriore livello di perplessità e necessità di adattarsi a tutte quelle novità. « Spero che soddisfi le tue aspettative. » Era un posto mirabolante; solo una persona che la conosceva sufficientemente sarebbe stata in grado di scegliere tra tanti posti uno in cui le pupille della giovane Wallace si sarebbero dilatate colte da una luce di stupore. Mia non era una persona difficile, ma come chiunque altri, seppur fosse in grado di adattarsi a qualunque situazione, tendeva comunque a preferire alcuni posti e situazioni piuttosto che altre. Quel luogo, segregato lontano dagli occhi dei più preservava un'aura misteriosa. Era stravagante e al contempo di nicchia. Lo capì immediatamente nel accorgersene di un gruppo di giovani che potevano avere si e no pochi anni in più di lei - sempre che la loro età fosse effettiva. Una vampira, due veela, una palese selkie e una lycan, intente a darsi battaglia su chi beveva più velocemente i cocktail che avevano davanti. Il locale era per lo più popolato da creature magiche; qualunque individuo con il background educativo di Mia se ne sarebbe accorto. E poteva anche percepirlo. Una specie di sesto senso che i cacciatori sviluppavano volenti o nolenti. « Quelli all'entrata erano mezzi giganti, vero? » Raiden l'aveva portato in un luogo per reietti; per quelli come loro. Dentro la società magica, ma pur sempre un po' più al di fuori e tutto ciò sembrò mandarla in visibilio. Non aveva mai frequentato un posto del genere; le sue possibilità potevano essere infinite. E' un po' come quando vai in un locale gay. Qui i luoghi comuni hanno vita breve, come hanno vita breve le congetture degli etero-basic nei locali queer. La supremazia degli emarginati, dei diversi. E seppur i lycan fossero ormai divenuti una parte integrante e fondamentale della società magica, non erano pochi i maghi che ancora non li vedevano di buon occhio. Ci sarebbe voluto molto ancora prima che la loro integrazione potesse considerarsi completa, in primis perché le persone dovevano prima imparare a smettere di applicare ai lycan le stesse categoria mentali che già conoscevano. Ho perso il conto delle volte in cui qualche vecchio mi ha chiesto se ho bisogno dell'anti-lupo. C'è gente che pensa che mangiamo i bambini, che facciamo rituali satanici, che le nostre roccaforti sono una specie di portale verso chissà quale dimensione. La gente non ci capisce. Venire in posti del genere è bello perché nessuno ti chiede niente. « E' fighissimo cavolo! Andiamo a prendere qualcosa? » Mia era ben lontana dal considerare il suo tasso alcolemico al livello desiderato, così dopo aver osservato per qualche istante di troppo la scia di tatuaggi che scorreva sul braccio di lui, si tolse a propria volta la giacca della divisa al di sotto della quale portava una semplice canottiera scura, portandosi i capelli su una spalla. « Se prendi un gin tonic tanto vale prendere una gazzosa - siamo a questi livelli. Infatti ti consiglio di andare di shot: costano un sacco anche quelli, ma almeno paghi per quello che bevi. Anche perché nei cocktail ci mettono esattamente la stessa quantità di alcol, solo che lo annacquano col resto e te lo fanno pagare il doppio. » Annuì divertita da quella filosofia concordando sulla strada dei shot, non senza gettargli un'occhiata assassina nel vederlo mettere mano al portafoglio. Tuttavia, decise di non protestare questa volta, convinta che Raiden si sarebbe almeno un po' offeso se avesse insistito nel pagare la propria parte; decise mentalmente che avrebbe trovato un altro modo per sdebitarsi, magari offrendo la colazione o un futuro pranzo che sicuramente ci sarebbe stato. « A cosa brindiamo? » Chiese mentre sistemava sistemava i granelli di sale sul dorso della propria mano. « Ad Hogsmeade, che era un buco di culo ma pieno di bei ricordi. Tipo l'alcol ad un prezzo onesto. Che è, appunto, solo un ricordo. » Scoppiò a ridere istintivamente ma non disse nulla. Qualunque commento in merito, sapeva, avrebbe rovinato la buona disposizione, e a dirla tutta, in quel momento Mia voleva solo godersi il momento. Certo però che a Hogsmeade saresti anche potuto venire. Almeno qualche voleva. Avrebbe fatto piacere a tutti quanti. Ricordava i discorsi di Raiden in merito; quelli in cui continuava a ripeterle che pochi mesi dopo la sua partenza le persone si sarebbero dimenticate di lui. Certo, la vita di ognuno andava avanti, le situazioni erano cambiate, anche le circostanze di molte amicizie non erano più le stesse. Ma nonostante ciò, di Raiden non solo si ricordavano ancora tutti, ma lo nominavano ogni qual volta ce ne fosse l'occasione. A Jeff mancava molto; anche Antonio e Bartosz lo nominavano spesso. Senza accorgersene, Raiden si era costruito una rete molto forte in Scozia. Ecco, tu avevi questa abitudine di dipingerti come uno che non suscitava affetto. E invece quei ragazzi ti vogliono davvero bene. Concluso il giro di bevute, un po' su di giri, lo seguì in una zona un po' meno affollata rispetto al bancone, osservandolo solo con un sorriso indecifrabile. In quel momento, senza nemmeno accorgersene, Mia si ritrovò a cercare le crepe. Cosa fosse realmente cambiato. Perché se era vero che superficialmente aveva trovato un ragazzo completamente diverso - sposato, con tante responsabilità e una carriera che andava a gonfie vele e che gli aveva fatto guadagnare tanto terreno - era altrettanto vero che in quegli occhi vispi da capriolo, ritrovava lo stesso spirito vivace che l'aveva completamente conquistata. Si guardarono, senza dire assolutamente nulla, poi di colpo si ritrovò a sbattere le ciglia velocemente nel percepire il contatto forse involontario contro la propria spalla nell'impresa di sistemarle i capelli. Lo osservò con un'espressione interrogativa inclinando appena la testa di lato.
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    « Non ti conviene mostrare troppo il collo qui dentro. A volte i vampiri si fanno piccoli snack quando sono un po' ubriachi. » Assottigliò tuttavia lo sguardo nel rendersi conto che Raiden stava facendo l'esatto contrario. « Le vampire invece restano a digiuno o vuoi essere lo snack di qualcuno? » Chiese di conseguenza, inclinando appena la testa di lato mostrandogli un piccolo sorriso eloquente. Inutile dire che tentò di ignorare con tutta se stessa quanto maledettamente attraente fosse e quanto effetto avesse ancora su di lei. « Insomma, mi hai chiesto gli animali notturni. Mi sono preso la libertà di interpretarlo un po' alla lettera. Va bene o preferisci qualcosa di più.. mh.. stile Testa di Porco? » Lo sguardo della giovane Wallace si spostò automaticamente sulla coppia poco distante arricciando appena il naso. Certo che si danno proprio da fare. Non erano certo gli unici. Quel locale aveva proprio l'aria di un posto in cui la promiscuità era condizione necessaria da accettare. « Aaaaah, ti ricordi ancora la Testa di Porco. Tu pensa, avrei detto proprio il contrario. Sei uno dalla memoria un po' corta. » Nel canzonarlo, gli rivolse un'espressione fintamente dispettosa prima di scoppiare a ridere scuotendo la testa. Non voleva davvero mortificarlo, e sperava che, l'animo leggero con cui lo punzecchiava potesse fargli capire che in realtà non aveva intenzione di aprire alcun discorso scottante. « È davvero figo. Mi piace tantissimo. Potrei quasi lasciar perdere tutto e riproporre l'idea in patria. » Continua poi, annuendo con un'espressione colma di approvazione. Un locale per le creature o anche solo per lycan era un'idea davvero interessante. D'altronde, già ai tempi in cui si frequentava con Raiden, scherzava spesso sulla possibilità di lasciare la scuola e aprire un chiringuito sulla spiaggia. Sarebbe stato più semplice. Far finta che niente di tutto questo esiste, che possiamo essere liberi, senza alcuna costrizione, senza alcuna responsabilità al di fuori dei nostri bisogno più basilari. « Ci tornerò sicuramente. Grazie di avermelo mostrato. E terrò sicuramente a mente i consigli sull'alcol. » Per un istante sospirò e tornò a osservarlo con un'espressione pensosa, lasciando scorrere lo sguardo lungo il suo volto, i lineamenti gentili e delicati, le labbra rosacee, la carnagione color miele colpita violentemente dalle luci stroboscopiche. Poi a seguire lungo il torso, il braccio tempestato dall'inchiostro colorato, e poi - tornò a ricercare gli occhi di lui. Scuri sì, ma pur sempre caldi, accoglienti, gentili. Raiden era una delle poche persone che conoscesse a saper sorridere anche con gli occhi; era così espressivo da risultare il peggior bugiardo della storia. Per un po' mantenne quel contatto, poggiando la tempia contro la colonnina accanto a quella contro cui il ragazzo si era appoggiato. Forse entrambi volevano dire tante cose, eppure era semplicemente bello restare così, a bearsi di quel non detto reso evidente dal calore nel petto, le terminazioni nervose acuite. Provò l'istinto di ispirare profondamente, lasciando che quel contatto mentale accogliesse tutto, ogni emozione, ogni ricordo, le parti belle e le parti meno belle. La gioia e il dolore. « Ti va di..? » Gli indicò la pista prima di affiancarlo dandogli una leggera spallata scoppiando a ridere. Ma proprio quel contatto la portò a provare un senso di imbarazzo; era una cosa così naturale, amichevole, eppure aveva un sapore proibito, come se ogni contatto fosse qualcosa di non concesso, qualcosa che non poteva e non doveva fare. Lo osservò con occhi vispi, prima di arricciare appena il naso, scostando lo sguardo mentre camminava al suo fianco verso la pista. Proprio lungo il tragitto trovò il tempo di scartare la sua chupa chups al gusto matcha provandone il sapore con un che di curioso e risoluto. Non male però. Potrei farne scorta. Non disse niente; decise solo di fermarsi in un punto in cui la pista sembrava lasciar loro sufficiente spazio, ricercando il ritmo della musica e i rimbombi dei bassi coordinati al suo battito cardiaco. Complice l'alcol e la folla, si sciolse abbastanza in fretta lasciandosi andare al ritmo della musica, inebriata dai colori e dalle luci. « Vuoi provare? È molto buona, a discapito di cosa dicevi su questi gusti strani. » Tentò di sovrastare la musica allungando appena la chupa chups verso le sue labbra prima ridere graziosamente scoppiando la testa. « Le cose strane non sono così orribili, Raiden. Ogni tanto ci sta. » Lentamente tra un passo e l'altro, al cambio della canzone, complice l'aggiunta di un gruppetto più numeroso, Mia si ritrovò decisamente più vicina a Raiden, sollevando istintivamente lo sguardo nel suo, mentre le sue dita in proiezione, ricercavano il polso di lui solleticandolo con polpastrelli bollenti. Il battito a mille mentre le loro figure erano fisicamente solo immobili, uno di fronte all'altra, muovendosi appena. Anche questa volta non disse niente, ma la sua proiezione avanzò comunque le dita a percorrere appena il suo avambraccio. ..just dance, ok? Fu solo un sussurro il suo, prima di chiudere gli occhi e lasciarsi cadere nel vuoto. Pur col rimbombo nelle orecchie, di colpo si ritrovò altrove, in quello che le apparve come una classe. Piccoli lycan vestiti nelle loro prime uniforme e un giovane istruttore che li guardava con un'espressione severa. « Inizierete a sentire cose insolite. La neve nel bel mezzo dell'estate, il rumore della pioggia senza neanche una nuvola. Sentirete rabbia, e gioia e dolore, senza alcuna ragione. » La voce del giovane istruttore mista ai rimbombi della musica sfumò a favore dei suoni di una foresta tropicale a mezzogiorno, il vento tra i capelli all'alba di un gruppo di escursionisti, lo sforzo di una battaglia, la spossatezza di una lite furibonda, il dolore di una perdita. « [...] In molti diranno che non siamo sufficientemente umani. Vi diranno che non siamo come loro. Ma tutto questo ci rende estremamente umani. Dovete imparare ad ascoltare le vostre emozioni - le vostre e quelle di chi vi circonda. Dovete capirle. Renderle la vostra forza. » Provò il calore di una cena tra amici, l'abbraccio di un genitore, il calore di un bacio, il desiderio di due corpi che si toccano, tutto nel giro di meno di una canzone, eppure, quando riemerse, indipendentemente dal fatto che l'avesse seguita o meno, per la prima volta tutte quelle emozioni messe assieme, le risultarono comunque meno intense rispetto al proprio vissuto. Forse è il punto è questo; non hai bisogno di sentire ciò che sentono gli altri quando stai già.. sentendo. Di colpo fece un'altro passo avanti. Le dita percorsero con gentilezza entrambi i suoi avambracci sollevando lo sguardo nel suo prima di portare i propri polpastrelli a solleticare appena le nocche di lui. All'ennesimo cambio di canzone, schiacciata tra altri corpi intenti a cercare una vicinanza morbosa, fece una giravolta incollando la schiena contro il petto di lui e senza pensarci affatto, continuò a muoversi contando uno ad uno i respiri di lui, provando per la prima volta il fascino proibito di una vicinanza che non le era concessa e che pure voleva. « Fate tesoro di quello che avete. Ogni legame è irripetibile, è diverso. Rende il vostro branco un organismo pulsante, vivo. Non c'è nulla di simile in natura. » Riusciva ancora a sentirli, seppur non avesse più alcuna intenzione di evadere dalla pista da ballo. Li teneva a distanza, non sufficientemente vicini da poter interferire, non abbastanza lontani da non poter provare alcune di quelle loro emozioni. Rabbia, dolore, mancanza, passione, desiderio. Amore. Deglutì, lasciando aderire completamente la schiena contro il petto di lui. A giudicare dal fatto che il viso le stava andando a fuoco, Mia aveva davvero bisogno di una boccata d'aria. Una parte di sé avrebbe solo voluto volarsi e chiedergli di andare via di lì insieme. Ovunque. Non importava dove purché fossero solo loro. Ormai però, aveva paura. Quel contatto, esattamente com'era, era confortevole, celava i loro sguardi in una dimensione in cui potevano quasi fare finta di nulla. Eppure lei voleva voltarsi. Voleva guardarlo negli occhi. Voleva dare un volto a ciò che provava. Paura. Desiderio. Promiscuità. Affetto. Frustrazione. Rabbia. Non erano emozioni del branco. Erano le sue. Istintivamente condusse il braccio di lui ad avvolgersi attorno al suo ventre, stringendosi in quel abbraccio completamente. Uno scatto impetuoso al quale non sembrò pensare più di tanto. Pretend it's ok. Just for a minute. Please. Si strinse a lui, muovendosi ormai poco e niente. No one cares in here. But I do. I care. I won't ask for anything else. Ever. I promise. Just ignore we're - us. Just for a moment. Strinse il polso di lui con insistenza, senza riuscire a staccarsene, paralizzata all'idea di fare una qualunque mossa. Just dance with me. E infatti sotto la sua stretta si abbandonò nuovamente a movenze più lente e sinuose passandosi una mano tra i capelli per portarseli su una spalla mentre cercava di incastrarsi perfettamente a lui in quella bolgia di persone intente a loro volta a dimenticare.



     
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    « Aaaaah, ti ricordi ancora la Testa di Porco. Tu pensa, avrei detto proprio il contrario. Sei uno dalla memoria un po' corta. » Alzò gli occhi al cielo, scuotendo leggermente il capo con aria divertita. « È davvero figo. Mi piace tantissimo. Potrei quasi lasciar perdere tutto e riproporre l'idea in patria. » « Sì beh devo dire che mi ha fatto un po' strano non trovare una cosa simile in Inghilterra. Chissà.. forse ce l'hanno ma lo tengono più segreto. » Ma almeno tra lycan si sarebbe venuto a sapere, no? Si guardò intorno, abbracciando con lo sguardo quel groviglio di persone di tutte le età e razze. Il Full Moon gli era sempre piaciuto per la sua aria fuori dagli schemi: non c'era un dress code, non c'erano dei requisiti da rispettare e, soprattutto, ognuno si faceva gli affari propri senza curarsi di chi o cosa fosse l'altro. Questo non significava che Raiden non fosse comunque un viso conosciuto e che sue ipotetiche mosse false non potessero avere conseguenze, ma di certo si sentiva molto più a suo agio rispetto ad altri posti in cui gli occhi gli erano letteralmente incollati alla schiena. « Ci tornerò sicuramente. Grazie di avermelo mostrato. E terrò sicuramente a mente i consigli sull'alcol. » Si voltò nella sua direzione, annuendo con un sorriso gentile sulle labbra. « Fammi sapere quando hai intenzione di tornarci. Sono sicuro che Eriko prenderebbe l'occasione al volo: lei adora questo posto. » E tu hai comunque bisogno di qualcuno che ti accompagni in giro per la città. In fin dei conti, Raiden poteva spiegarle fino ad un tot a parole, ma di certo non sarebbe mai stato sufficientemente esaustivo da renderla del tutto autonoma nella vita notturna di Tokyo. Per qualche istante rimasero in silenzio, senza dire assolutamente nulla, ma scambiandosi semplicemente degli sguardi. L'aria tra di loro era tanto leggera quanto paradossalmente tesa, come se nessuno dei due volesse dire nulla e al contempo avessero fin troppe cose da dirsi. Più istanti passavano e più quella condizione diventava palese, frapponendosi tra loro in una densità che avrebbero potuto tagliare con un coltello. « Ti va di..? » Annuì. « Mh sì, certo. Fai strada. » Era tutto così normale, come se il tempo non fosse passato e fossero ancora le stesse persone di due anni prima, ma contemporaneamente c'era un palese imbarazzo difficile da sciogliere. Raiden lo percepiva, così come percepiva quel senso di proibito a cui tentava di non dare troppo ascolto. Non stava facendo nulla, eppure stava facendo fin troppo, più di quanto fosse concesso. Nascondersi dietro gli alibi e i tecnicismi era tuttavia più facile. Dirsi che erano solo due vecchi amici che si trovavano a condividere una serata, bevendo e ballando, era l'unico modo per proseguire in quel piacevole torpore senza provare senso di colpa. Un senso di colpa che tuttavia, per quanto latente, c'era lo stesso, in quella piccola parte dentro di sé che sapeva di star facendo qualcosa di sbagliato dietro l'alibi del finto tonto. Ma ignorare era più semplice, così come era più semplice illudersi che nessuno dei due avrebbe prima o poi superato il limite, portando alla luce la verità. « Vuoi provare? È molto buona, a discapito di cosa dicevi su questi gusti strani. » Sorrise, allungandosi per avvolgere le labbra intorno al chupa-chups che Mia aveva voluto acquistare poco prima. Arricciò leggermente il naso, strappandole una risata con quell'espressione. « Le cose strane non sono così orribili, Raiden. Ogni tanto ci sta. » « Non è male, ma c'è di meglio. E comunque non è neanche il gusto più strano, fidati. » Man a mano che le scuse per parlare finivano, la distanza tra di loro cominciò ad accorciarsi, esaurendo le vie di fuga anche per i loro sguardi, puntati l'uno nell'altro in quel silenzio di parole scandito dalla musica assordante. Era così paradossale: trovarsi in un luogo pieno di persone ma sentirsi come se si fosse le sole due anime lì dentro. Le dita che toccarono il suo braccio non erano reali, non erano fisicamente lì, sulla sua pelle, ma la scarica elettrica che mandarono alle sue terminazioni nervose lo era. ..just dance, ok? Erano lì ed erano altrove, nei propri rispettivi corpi, in quelli dell'altro e in quelli di tantissimi altri ancora in un vertiginoso carosello di esperienze che si intrecciavano alle proprie senza però riuscire a sovrastarle. Era semplice perdersi in quella fluttuazione, smussare così tanto i confini della realtà da estraniarsene completamente, lasciando indietro ciò che in quella realtà li tratteneva dall'essere semplicemente loro stessi. Era così semplice da sembrare solo naturale: avvicinarsi in quella dimensione, lasciare che le braccia si avvolgessero intorno al corpo di lei per farla più vicina al proprio. Chiuse gli occhi, lasciando che tutte le emozioni - dalle più estranee alle più famigliari - fluissero dentro di lui in quell'iper-sensibilità ad ogni stimolo emotivo. Tornare con la mente a quella condivisione tanto nota fu solo naturale: un passo che il suo animo compì automaticamente, senza rendersene del tutto conto. Era confortevole e al contempo elettrizzante, sentirsi così vicino a qualcuno, sentirsene così tanto parte da essere quasi un'entità unica e inscindibile. Poteva contare con precisione ogni suo battito cardiaco, sentire distintamente il movimento del sangue nelle sue vene e l'effetto che sortiva ogni tocco. Era come essere nudi, ma non nella maniera più semplice e triviale: nudi scarnificati, come se lo strato superficiale della loro pelle fosse stato rimosso, lasciando esposta la più sensibile carne viva. Ogni contatto era fuoco puro, bruciava intensamente, lanciando scariche elettriche lungo ogni millimetro delle loro terminazioni nervose. Così sensibili da desiderare soltanto di averne di più e, allo stesso tempo, di fuggire da quella stimolazione tanto forte da risultare a tratti una vera e propria tortura. Pretend it's ok. Just for a minute. Please. No one cares in here. But I do. I care. I won't ask for anything else. Ever. I promise. Just ignore we're - us. Just for a moment. Just dance with me. Se pure avesse voluto dire di no, quella volontà, quel suo senso morale di giusto e sbagliato, sembrava come paralizzato. Non riusciva a fare nient'altro se non ballare e ricercare morbosamente l'adrenalina di quel contatto così totalizzante. Le dita del giovane si insinuarono al di sotto del tessuto della canottiera, premendo piano sulla pelle scoperta del ventre di lei per sentire quel bruciante calore che si irradiava dal di sotto. You can't promise that. Fu tutto ciò che riuscì a sfuggire dalle sue labbra, in un sommesso lamento che sembrava dar voce a quella parte ancora razionale di lui. Una parte che sapeva bene quanto il loro fosse un comportamento non dissimile a quello di due tossici che chiedevano l'ultima dose, giurando e spergiurando che sarebbe stata quella finale. Ma non era mai l'ultima, ce ne stava sempre un'altra, c'era sempre qualcosa in più da chiedere, qualcosa in più di cui si avesse bisogno: solo un altro tocco, solo un altro bacio, solo un'altra notte e così via, in un circolo infinito. La punta del naso di Raiden sfiorò l'incavo del collo di Mia, disegnandone la lunghezza mentre il dolce odore famigliare gli riempiva le narici, inebriandolo di sensazioni che non avrebbe realisticamente potuto nascondere quanto gli fossero mancate. Era diverso, con lei era sempre stato diverso: non solo perché condividevano la stessa natura, ma perché le loro anime sembravano modellarsi l'una all'altra come due pezzi perfettamente complementari di un puzzle. Il respiro di lui sulla sua pelle, quello di lei, i loro battiti cardiaci - per un istante sembrò farsi tutto più forte della musica, che svanì ovattata nello sfondo mentre le labbra del giapponese sfioravano leggere quel punto del suo collo da cui il battito echeggiava più forte. Quel tempo, per quanto breve, sembrò dilatarsi in eterno, imprimendosi con così tanta forza nel suo animo quanto leggero era il tocco delle sue labbra. Le dita che tuttavia sentì poggiarsi brusche sulla sua spalla, quelle erano reali, così come reali erano gli occhi famigliari che incontrò quando, uscito dalla proiezione, si ritrovò di fronte allo sguardo torvo della sorella. Don't be a scumbag. Le labbra di Eriko erano immobili, ma quella frase arrivò forte e chiara nel cervello del giovane Yagami, che lesse nello sguardo della mora tutta la serietà e l'ammonimento che poteva comunicare. La fissò in silenzio, incapace di dire alcunché per difendersi. E non ci riuscì, lasciando piuttosto che le dita di lei scivolassero via e il suo sguardo si dirigesse verso Mia, a cui stirò un sorriso contenuto. « Eriko Yagami. E tu saresti? » Eriko sapeva benissimo chi fosse Mia, l'aveva vista moltissime volte; il contrario, tuttavia, non era mai avvenuto, essendosi la sorella ben guardata dal farsi vedere.
    [..] Eriko aveva imposto una fine naturale alla serata. Erano rimasti nel locale un po' più a lungo e avevano bevuto qualcosa tutti insieme, ma la presenza della giapponese aveva fatto calare un senso di freddezza impossibile da ignorare, tanto che dopo un po' avevano tutti semplicemente convenuto sul tornare a casa. Il tragitto non era stato migliore: Eriko non li aveva mollati un secondo, accompagnandoli fino alla porta di casa di Mia, solo per poi relegare a Raiden il trattamento del silenzio. Non c'era bisogno che dicesse nulla: lui già sapeva cosa le passasse per la testa. E ha ragione. Sono uno stronzo. Quel senso di colpa che aveva tentato in tutti i modi di sopprimere era riemerso potentemente sin dal primo sguardo scambiato con la sorella. Negli occhi di lei aveva letto tutto: l'ammonimento e la delusione. Mashiro non se lo meritava: non si meritava di essere lasciata sola in un momento di fragilità, con solo dei fiori mandati da una segretaria a farle compagnia mentre il marito se ne andava per locali assieme ad un'altra donna. Quella consapevolezza l'aveva colpito con la stessa forza di uno schiaffo in pieno volto, e finì solo per fargli ancora più male quando, una volta varcata la soglia di casa, trovò la ragazza avvolta in una coperta sul divano. La televisione era accesa su un programma a caso, che probabilmente nemmeno le interessava, e le palpebre pesanti indicavano lo sforzo di rimanere sveglia. « Sei tornato. » proferì, stiracchiandosi appena nel rivolgergli un dolce sorriso di benvenuto, che Raiden ricambiò con uno più contenuto. « Sì, abbiamo fatto un po' tardi, perdonami. È arrivata questa collega dall'America e voleva fare un po' serata. » Mashiro scosse piano il capo, sollevando poi il mento nella sua direzione per dargli l'opportunità, come era da consuetudine, di scoccarle un bacio. Cosa che Raiden fece, stampando le labbra sulle sue in un gesto un po' meccanico. « Non importa. Sei stato gentile a mandarmi i fiori: mi sono piaciuti moltissimo. » Indicò con un cenno il mazzo, che aveva messo in un vaso di cristallo sopra il tavolino basso del salotto. Per un po' non disse nulla, fissando colpevole quei fiori che Mashiro aveva riposto con così tanta cura. « Mi dispiace. Sarei dovuto tornare prima, lo so. Hai passato una giornata difficile ed è stato insensibile da parte mia dare la priorità al lavoro. » La ragazza si sciolse in un sorriso tenero, allungando una mano per carezzargli le dita. « Ero nei tuoi pensieri: è questo che importa. » Già. Strinse le labbra, abbassando lo sguardo mentre annuiva appena, sentendo nel cuore il peso di quel senso di colpa. Sapeva di non meritarsi la comprensione di Mashiro - a dirla tutta, non si meritava assolutamente nulla, lei in primis. « Avevi anche tu bisogno di distrarti. » Fece una pausa, carezzandogli le nocche con i polpastrelli. « Però non so te.. ma adesso avrei proprio bisogno di un po' di coccole. » Le parole di Mashiro lo portarono a sbuffare una piccola risata dalle narici e annuire. « Sì, mi sembra una buona idea. » « Convieni? » « Convengo. »

    Spinto forse proprio da quei sensi di colpa, nei giorni a venire Raiden non solo limitò i contatti con Mia allo stretto indispensabile - relegando buona parte del caso ai suoi collaboratori - ma ricercò ancor più del solito la vicinanza della moglie. Si prendeva più tempo dal lavoro, la portava più spesso a cena fuori e in generale sembrava molto più coinvolto del normale nella loro vita di coppia; tutte cose che, indubbiamente, avevano risollevato parecchio l'umore della ragazza, portandola almeno in parte a dimenticare la delusione di quel test di gravidanza negativo. Nel giro di poco, infatti, Mashiro aveva ripreso a parlare dei loro progetti per il bambino. Per Raiden, tuttavia, tornare alla propria vita non fu altrettanto semplice. Per quanto si sforzasse, c'erano momenti in cui non poteva frenarsi dal rimuginare su quanto era accaduto con Mia; a volte, nel cuore della notte, quando Mashiro dormiva profondamente accanto a lui, il giovane si ritrovava a fissare il soffitto e valutare la tentazione di aprire il contatto, cercando l'americana ovunque si trovasse. Non riusciva a fare a meno di chiedersi cosa stesse facendo, se anche lei stesse pensando a lui, se anche lei sentisse quello stesso vuoto che albergava nel suo cuore. Eppure, ogni qualvolta fosse sul punto di decidersi ad accertarsene - anche solo con una breve visita -, finiva poi inevitabilmente per trattenersi, imponendosi un razionale controllo.
    [..] « Come sto? » Seduto sul divano, intento a scorrere Wiztagram per ingannare la lunga attesa a cui era abituato ogni qualvolta la moglie dovesse prepararsi per uscire, Raiden sollevò lo sguardo, incrociando la figura di Mashiro. Doveva probabilmente aver fatto il cambio di guardaroba, a giudicare dalla tenuta decisamente più leggera. Il vestitino rosa che indossava, poi, doveva essere a sua volta un nuovo acquisto - uno di cui la giovane pareva andare decisamente fiera, a giudicare dal grosso sorriso che aveva sulle labbra quando fece una piccola giravolta di fronte a lui, portandogli un sorriso sulle labbra. You look like a doll. Ridacchiò divertita, sistemandosi i capelli su una spalla e stringendo appena il fiocco con cui aveva legato una sezione sulla nuca. I'll need to keep an eye out or someone's gonna definitely steal you. Rise, riponendo il cellulare nella tasca della camicia di jeans mentre si alzava in piedi e si avvicinava a scoccarle un bacio sulle labbra. « Siamo pronti per uscire? » « Prontissimi. » Come era consuetudine, infatti, il dipartimento organizzava sempre un piccolo ritrovo per l'hanami. Era un'ottima occasione per avvicinare i colleghi e le loro famiglie, ma anche per godersi il panorama unico della fioritura dei ciliegi. Per quel pomeriggio, infatti, era stato organizzato un pic-nic nel parco vicino al palazzo del Governo, a cui tutti i lavoratori del dipartimento erano invitati assieme alle rispettive famiglie o amici. L'evento si estendeva fino alla sera, con musica e drink per chiunque avesse voluto attardarsi. Insomma: una piccola festicciola adatta a chiunque, benedetta ulteriormente dal clima mite primaverile e dallo scenario colorato di rosa dai ciliegi. Quando arrivarono c'erano giù diverse persone, chi con famiglia e bambini, chi con i propri amici e chi anche in solitaria: non importava con chi ti presentassi, perché alla fine l'aria era così conviviale da portare tutti a fare gruppo. Raiden e Mashiro erano finiti per sedersi sull'erba all'ombra di un ciliegio, circondati da diversi colleghi e amici dei background più disparati. C'era Eriko, c'era la segretaria del dipartimento in compagnia del marito e dalla bimba di tre anni, c'era un collega che aveva deciso di portare con sé il gruppetto di amici del tennis e via dicendo. Raiden aveva steso una copertina sulle gambe scoperte di Mashiro e la giovane aveva preso a giocare con la figlia della segretaria, mettendosela seduta in grembo per intrecciarle i capelli e adornarli di fiori di ciliegio mentre si beveva e parlava del più e del meno. In quell'ambiente così naturale e disteso, il giovane Yagami non sembrò prendere affatto in considerazione l'idea che anche Mia potesse essere presente. « Vado a prendere qualcosa
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    al buffet. Ti prendo qualcosa? »
    « Mh.. in realtà ancora non ho troppa fame. » Ok, allora doppia razione di quello che prendo io, perché tanto finirai per mangiartene metà. « Da bere birra? » « No, niente alcolici. Sai.. non si sa mai. Però prendo volentieri un rakuma. » Annuì, alzandosi in piedi per raggiungere i tavoli imbanditi di cibarie e bevande e cominciare a riempirsi il piatto di più o meno tutto ciò che si trovasse davanti. Solo quando arrivò alle bevande, allungando la mano verso una lattina di Asahi, sfiorò per sbaglio le nocche di qualcuno che stava facendo lo stesso. « Scusa, prendi pure. » disse, leggermente imbarazzato nel rendersi conto che fosse Mia. Ritrasse la mano, lasciando che l'americana prendesse ciò che desiderava prima di allungarsi a prendere la lattina immediatamente successiva. La tensione nell'aria si sarebbe potuta tagliare con un coltello. Voleva dire qualcosa, ma allo stesso tempo aveva paura che qualsiasi parola sarebbe risultata fuori luogo. « Ti stai divertendo? » la buttò lì, forse più per spezzare il silenzio che altro, prima di gettare uno sguardo all'ambiente circostante. « È un bello scenario. Sei fortunata ad essere capitata qui in questo periodo. » Raiden le aveva descritto più volte l'hanami, dicendole spesso che un giorno l'avrebbe portata in Giappone per vederlo, ma di certo non si aspettava che sarebbe successo in quel modo, con quel senso di pesante imbarazzo tra loro. Si voltò in direzione delle persone ancora sedute sotto il ciliegio, osservando la moglie ancora intenta a giocare con la bambina ed Eriko che buttava giù l'ennesima birra. « Comunque se vuoi puoi unirti al nostro gruppo. Puoi portare chi vuoi. Alla fine più siamo e meglio è. Anche perché gli amici di Haruto hanno portato così tanta roba da bere che non possiamo realisticamente smaltirla. » Ridacchiò, abbassando lo sguardo sulla lattina che stringeva tra le dita, sollevandola leggermente. « Tranne la Asahi. » Sollevò lo sguardo negli occhi di Mia dopo aver proferito quelle parole, accennando un piccolo sorriso.

     
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    Il paesaggio dal salotto di casa sua è tanto mozzafiato quanto triste. Se ne sta lì seduta per terra; Mochi incollato al fianco e un posacenere con sin troppe sigarette consumate. È tardi. Troppo tardi per riuscire ancora a prendere suono. Per ore ha ripercorso i passaggi di quella giornata, e specialmente di quella serata. Le dita di Raiden impresse sulla sua pelle. Il soffio, i battiti cardiaci. Probabilmente la cosa peggiore di quella sera non era la dimensione fisica però. Quella era pesante, ma non era il fattore peggiore. Era come aver visto scendere il velo di Maya in un unico batter d'occhio. Tutto ciò che giaceva sopito nel suo animo, non poteva più essere negato, né ignorato. Ma doveva farlo. L'ultima parte della serata era stata quanto mai deprimente. Ogni briciolo di buona disposizione era completamente scomparso a favore dell'imbarazzo creato dalla presenza di Eriko Yagami. Inutile dire che il fatto la sua veste di poliziotto cattivo era tanto evidente quanto dichiarata. Seppur non ne parlassero apertamente della questione, i sentimenti e le emozioni di entrambi dovevano esserle ben noti, anche solo per il carico con cui Mia e Raiden tentavano di reprimerne la portata in presenza della ragazza. « Ciao straniera! » Provava un irrazionale risentimento nei confronti della mora. « Ciao.. » Volevo solo cinque minuti di time out. Solo cinque. Volevo solo dimenticare letteralmente tutto per un solo fottutissimo attimo. Perché doveva rovinare tutto? « ..hai già cenato? » « No. Ancora no. È un po' presto. E lì è davvero tardi. Tutto ok? Com'è andato il primo giorno? » Nonostante il fidanzato non potesse vederla, sorrise con un leggero senso di amarezza. « Boh? Non so.. è tutto nuovo. » Dall'altra parte della linea Scorpius sospirò ma non disse nulla. Che quella situazione fosse di suo gradimento o meno, Mia non lo sapeva più, ma in fondo ne avevano parlato e avevano deciso di comune accordo che ciascuno di loro doveva concentrarsi sulle proprie aspirazioni. Era quella la loro dimensione, l'unica che conoscessero, forse anche l'unica che poteva effettivamente soddisfarli. Stare lontani, d'altronde, non era mai stato un problema. Per quanto Mia fosse una tipa espansiva, Scorpius sapeva che non avrebbe mai fatto nulla per ferirlo o mancargli di rispetto. Era sempre andata così - almeno fino a stasera. « Però stasera mi hanno portato in un locale di creature magiche. Fighissimo. Dovevi vederlo! C'era due mezzi giganti all'entrata e poi utilizzano una cosa tipo.. filtro anti-veela.. » E così per un po' mentre gli raccontava un po' delle cose che aveva visto in giornata, evitando di raccontargli i dettagli più significativi della serata. « Tutto sommato Tokyo non mi sembra poi così male. » Per un istante, fissando prima il suo appartamento buio e poi la grande distesa di luci oltre la finestra Mia si strinse nelle spalle. « No beh.. non lo è. » Pausa. « Potresti farmi compagnia nell'weekend, volendo. I ciliegi stanno fiorendo e io ho una lunga lista di attrazioni da visitare. Potremmo approfittarne visto che non lavoro e po.. qui c'è tanto spazio. » Mai come quella sera si sentiva sola. A Scorpius quella richiesta sarebbe sembrata solo in parte strana. Se infatti, è vero che Mia non gli aveva mai chiesto di raggiungerla al lavoro, ciò non escludeva il fatto che la ragazza facesse spesso proposte un po' bislacche e del tutto randomiche. Sapeva già quale sarebbe stata la risposta del fidanzato, non a caso non appena sentì il suo pesante sospiro alzò gli occhi al cielo un po' spazientita. « Mia, tesoro, ne abbiamo già parlato. » Quel tono accondiscendente, cazzo. « Il semestre è appena cominciato. Ho il fiato sul collo per le scadenze. Lo sai che mi piacerebbe. » « Certo. No no, ma lo capisco. Era solo un'idea. Lo dicevo così.. solo nel caso ti liberassi. » Non si era liberato, a dirla tutta, forse era meglio così. Quella notte Mia aveva dormito poco e male. Era rimasta a fissare il soffitto dalla vasca da bagno finché l'acqua non era diventata gelida e lì, in quella assenza di calore, aveva rivissuto l'esatto momento in cui il suo contatto con Raiden si era inesorabilmente interrotto. Prima quando aveva lasciato l'Inghilterra, poi quella stessa sera. Le sensazioni non erano poi così differenti, seppur se circostanze fossero completamente differenti. Tuttavia, Mia si sentiva alla stessa maniera, come se le fosse stato strappato qualcosa di cui aveva un bisogno viscerale senza una spiegazione logica. You can't promise that. Quel tono scandito da un dolore viscerale continuò a perseguirla. Per quanto volesse raccontarsi che Raiden l'aveva ingannata, che continuava a usarla come un breve anestetico a ogni sua insoddisfazione e mancanza, la verità è che sulla pista da ballo erano in due, e Mia sapeva esattamente cosa Raiden provasse. Non poteva però fare assolutamente nulla, non solo perché entrambi avevano preso degli impegni molto solidi con altre persone, ma anche e soprattutto perché nei giorni a venire ci furono poche occasioni per pensarci o per vedersi. Raiden aveva limitato i contatti e così Mia si era ritrovata a lavorare per lo più con altri lycan. Non era stati giorni orribili; a dirla tutta, la distanza e la costante compagnia, l'avevano aiutata a ritrovare un po' di buon umore. Nonostante la società giapponese trattasse con una certa reticenza gli stranieri, specialmente se si trattava di occidentali, i lycan avevano la capacità di legare in una maniera viscerale in pochissimo tempo. Di certo, il fatto che il Logan conoscesse già sufficientemente la società dei lycan giapponesi aveva aiutato non poco. Per tutti Mia era la sorellina di un loro compagno d'armi. Così aveva conosciuto Goro e Keizo del clan Kimura. I due fratelli, che avevano partecipato all'assalto del palazzo del governo durante la liberazione assieme a Logan l'avevano da subito presa in simpatia e la mora aveva legato particolarmente con Keizo, forse perché era così leggero ed energico. Aveva così conosciuto anche Kyoko e il gemello, due warlock estremamente appariscenti che assieme al fratello e i due lycan giapponesi avevano fatto ben presto comunella. Aveva tentato di distrarsi, Mia; lavorava di giorno senza mai fermarsi, per poi bere fino a tarda ora in qualche locale del centro in compagnia di quella comitiva così bislacca. Il problema era sempre tornare a casa da sola, fare i conti con se stessa a tarda notte rigirandosi nel letto a due piazze senza alcun conforto, né nessuno con cui parlare. Lì in quei momenti continuava a pensare, a riflettere, si faceva tante domande le cui risposte erano in possesso solo ed unicamente del diretto interessato. Per quanto tentasse di razionalizzare la questione, di convincersi che semplicemente il suo tempo con Raiden si era concluso due anni prima, trovarsi in Giappone non faceva altro che ricordarle quanto insensato fosse quel finale. Perché si era sposato? Come aveva fatto a superare così velocemente tutto quanto? L'aveva pensata? La stava pensando? Certo che non ti pensa, Mia. In fondo torna sempre a casa nel suo letto a farsi scaldare dalla sua sposa. Suo suocero è il Ministro della Magia e ha questa e quell'altra onorificenza. Il solo pensiero faceva ribollire da capo il suo sangue nelle vene. Ogni tanto le veniva da piangere; era estremamente frustrata, stressata dall'idea di essere a un passo dalla persona che desiderava senza poter fare nulla.

    « Vuoi davvero andare a questa festa così? » Lei di certo non ci sarebbe andata, ma poiché l'ufficio aveva il giorno libero anche gli interrogatori sul prigioniero si erano interrotti. D'altronde la legge parlava chiaramente: un qualunque detenuto non solo aveva diritto a un avvocato, ma doveva essere interrogato sotto la supervisione di un alto funzionario dello stato giapponese. Con poche cose da fare per le mani e zero voglia di restare chiusa in casa, aveva così acconsentito a seguire il resto della banda, spinta anche dalla curiosità di tutti quei ciliegi fioriti. « Solo perché il tuo fidanzato ti ha dato buca non significa che devi presentarti da stracciona. » Logan è di bocca troppo larga. Poteva scommettere che si era abbandonato a confessioni un po' troppo dettagliate mentre si ribaltava il fratello di Kyoko tra le lenzuola. Che i due intrattenessero una relazione a intermittenza non era certo una novità; era anche uno dei motivi per cui Logan Wallace, in Giappone, non era più poi tanto estraneo. Nella testa di Mia, in ogni caso, un picnic significava vestirsi comodi. Evidentemente però, da quelle parti sarebbe solo apparsa come estremamente strana e fuori luogo. Così aveva acconsentito a cambiarsi, lasciandosi guidare dalll'esperienza di Kyoko non senza mettere veti su una serie di capi troppo appariscenti o scomodi. Alla fine con una gonna scomoda ci era finita lo stesso, ma quanto meno non era poi tanto dissimile da quelle che lei stessa conservava nel suo armadio per le giornate più calde o per le uscite serali. Si era infilata l'unico paio di stivali lunghi che aveva con sé e insieme erano uscite nella piazza principale del quartiere warlock per incontrare il resto della banda. In cuor suo si era chiesta come i maghi avessero accolto l'alleanza tra lycan e warlock in Giappone. In America, la questione aveva suscitato non poca reticenza, affibbiando alla giovane Morgenstern un'aura controversa e difficilmente digeribile. Erano giunti a festeggiamenti già iniziati, e come da rito per i gruppi più ai margini, i ragazzi si erano radunati su qualche copertina che si erano portati appresso in un'area più ai margini. A Mia non dispiaceva. Le dava modo di osservare le persone, rendersi conto di come si comportassero, studiarne i comportamenti. Volente o nolente, in assenza di altre distrazioni o di vere cose su cui concentrarsi, la giovane Wallace stava lavorando anche nel suo giorno libero. Così, aveva deciso semplicemente di omologarsi, restare tra gli altri e seguirli nelle loro attività perdendosi in chiacchiere di circostanza mentre cercava di tenere ben a mente l'obiettivo per cui si trovava lì. In fondo, prima concludo prima posso tornare a casa e dimenticarmi di questa spiacevole parentesi. Questo quanto pensava, almeno finché quel tocco leggero non la portò a ritrarsi di colpo obbligandola ad alzare lo sguardo per incontrare gli occhi scuri del giovane Yagami. Senza la divisa aveva un'aria più sbarazzina. Mia lo osservò con un'espressione persa, trovandolo se possibile ancora più bello. Pensava sempre le stesse cose; pensava fosse carino, e bello, e così dannatamente attraente e letteralmente mille altre cose differenti tutte insieme e tutte nello stesso momento. « Scusa, prendi pure. » Non si erano più ritrovati in una conversazione a due dalla prima sera in cui si erano incontrati. Se possibile, tutto ciò rendeva quello scambio ancora più imbarazzante, non a caso, le guance di Mia presero di colpo a colorirsi mandando in tilt il suo battito cardiaco. Non era certo insolito che si trovasse là a giudicare dalla spiegazione che le era stata data circa l'evento, ma Mia non si era comunque aspettata di incontrarlo; semplicemente non ci aveva nemmeno pensato o non aveva voluto darsi la possibilità di ipotizzarlo. « Grazie. » Tagliò corto afferrando una lattina della birra che lo stesso Raiden le aveva consigliato. « Ti stai divertendo? » « Si beh.. sono qui con un po' di gente.. cioè mi sono aggiunta.. non sapevo cosa altro fare. Stavo facendo un giro.. » Il che equivaleva letteralmente al non fare assolutamente nulla se non girovagare in attesa che un qualche spettacolo o bislacca competizione avesse inizio. Celebrazioni di quel tipo avevano certamente un significato differente quando le si condivideva in compagnia di persone significative. « È un bello scenario. Sei fortunata ad essere capitata qui in questo periodo. » Istintivamente stirò un sorriso contenuto annuendo tra se e se. Era effettivamente un paesaggio indescrivibile. I racconti di Raiden non rendevano giustizia alla fioritura dei ciliegi. C'era però qualcosa di estremamente triste in quel evento; tra pochi giorni tutto questo andrà perso, e bisognerà aspettare un altro anno prima di poterne ammirare nuovamente la bellezza. In fondo, le cose belle hanno sempre breve durata. « Già. » Disse solo tornando a osservare il tavolo studiando la moltitudine di cibi presenti. « Comunque se vuoi puoi unirti al nostro gruppo. Puoi portare chi vuoi. Alla fine più siamo e meglio è. Anche perché gli amici di Haruto hanno portato così tanta roba da bere che non possiamo realisticamente smaltirla. Tranne la Asahi. » Il sorriso di Mia si allargò leggermente mentre lo osservava con un'espressione un po' ferita. Volse lo sguardo in direzione del gruppo di Raiden annuendo, prima di tornare a osservarlo. C'erano sia la sorella che la moglie; se nei confronti della prima provava ancora un profondo imbarazzo, della seconda non voleva saperne nulla. Era graziosa; non stentava a credere che fosse entrata con facilità nel cuore di Raiden. « No. Non voglio. » Disse istintivamente stringendo appena la propria latina, osservandolo con un'espressione leggermente contrariata. « Sarebbe un peccato vanificare tutti i tuoi sforzi di starmi alla larga. » Asserì istintivamente sotto voce prima di abbassare lo sguardo sospirando, mentre in un movimento involontario si passava le dita tra i capelli color blu notte leggermente spazientita. « In fondo ti sei dato un gran bel da fare per evitarmi. Anche alla luce del fatto che avevo bisogno di parlare con te - di cose importanti. » Si inumidì le labbra e sospirò appena. « Senti.. Raiden. Non ti biasimo, va bene. Ho recepito il messaggio. Farò il mio lavoro e leverò le tende il prima possibile. Come se niente fosse successo. » Anche solo pronunciare quelle parole le suscitava un pesante nodo nella gola. « Ho capito che non siamo più in Inghilterra. Però non puoi aspettarti..- » Prima di poter continuare, venne interrotta sul colpo dall'arrivo Keizo in compagnia di un giovane che non aveva mai visto prima. « Eccola! Raiden, buongiorno. » Ovviamente si conoscevano, non a caso, Mia era stata affibbiata al fratello maggiore per gran parte delle indagini. « Abbiamo incontrato Hiroshi che ci ha invitati a unirci al vostro gruppo. » Infine, Keizo si voltò verso Mia, indicandole il giovane alla sua sinistra. « Mia, questo è il sottotenente Hiroshi Nakamura. Lavora nella nostra divisione Auror. Hiroshi, Mia Wallace. » Hiroshi. Aveva sentito quel nome diverse volte. Raiden parlava spesso di lui; di solito gli riservava tante parole colme di affetto al punto che più di una volta la stessa Mia si era affezionata all'idea di quel ragazzo gentile, compagno di interminabili avventure d'infanzia del giovane Yagami. « È un piacere. » Disse solo sforzandosi di non dare l'impressione di conoscerlo. Non le sfuggì tuttavia l'occhiata che il giovane si scambiò brevemente con Raiden prima di fare un leggero inchino al cospetto della mora in segno di rispetto. « Altrettanto. Benvenuta in Giappone, Mia. Spero tu ti stia trovando bene. Ho sentito un gran parlare.. della vostra squadra tra gli Auror. Mi metto a disposizione per qualunque cosa dovesse servirvi. » « Ti ringrazio. Stavo giusto dicendo al tenente Yagami che faremo del nostro meglio per concludere il prima possibile e lasciarvi ai vostri affari. Inverness non vuole approfittarsi della vostra ospitalità e disponibilità. » Così, per non fare altre scenate o dare impressioni errate aveva semplicemente ingoiato il rospo e aveva seguito gli altri verso il resto del gruppo dove si erano già aggiunti il fratello il quale sembrava essere molto più a proprio agio, Kyoko e il gemello. Tutto il gruppo era stato accolto con entusiasmo e curiosità, specialmente nei confronti degli stranieri i quali avevano ricevuto parecchi complimenti soprattutto per la qualità del loro giapponese che era a detta di tutti quasi perfetto. Diverse volte, durante quegli scambi, Mia aveva gettato qualche sguardo in direzione di Raiden seduto accanto alla moglie, non riuscendo a fare a meno di provare un profondo senso di frustrazione e agognante tristezza. Si era destata dal proprio giro vertiginoso solo quanto Keizo le appoggiò con gentilezza una copertina sulle gambe. Non disse niente, ma in proiezione, trovò comunque il tempo di accarezzarle appena la schiena a mo di incoraggiamento. « Se vuoi andare, basta dirlo. » Le rivolse un sorriso gentile mentre Mia sgranava appena gli occhi. « No. Figurati.. sono solo un po' stanca ma mi fa piacere stare qui con voi. » Il giovane giapponese inclinò appena la testa di lato. Il panico di essere scoperta, tuttavia, sembrò quasi lasciarla senza fiato. « Rilassati. Siete piombati a casa mia l'altra sera e mi avete trascinato al Full Moon. Ma non importa. Non sono qui per giudicarti. Io non so niente. Nessuno di noi dirà niente. Sono affari vostri. » Nessuno di loro lo faceva. Mai. Era il bello del branco. Sentirsi sempre accolti, ben voluti, mai giudicati. Così, annuì, questa volta per davvero, osservandolo con un'espressione colma di gratitudine, appoggiando la tempia contro la sua spalla. « Grazie. » Sussurrò solo, ascoltando sempre più assente i discorsi dei presenti. [...] « Waaaaah! I tuoi capelli sono davvero bellissimi. » Quella vocina le era giunta da oltre la spalla obbligandola a voltarsi in direzione della ragazza abbandonando le chiacchiere di circostanza in compagnia di alcuni dei presenti. Evidentemente, neanche Raiden doveva essersene accorto abbastanza in fretta del fatto che la moglie si sarebbe rivolta a Mia con una scusa così idiota, distogliendola dalle chiacchiere del resto del gruppetto a cui si era aggregata. « Cosa fai per prendertene cura? Me lo chiedo da quando sei arrivata. E il colore.. sono davvero meravigliosi. » Non appena si rese conto di parlare con la signora Yagami, di fianco al marito, per poco non ebbe un tonfo al cuore. « Uhm.. li lavo? » Asserì di colpo senza aggiungere altro, e gettando piuttosto uno sguardo veloce in direzione di Raiden prima di stringersi nelle spalle osservando la ragazza. Era davvero bellissima. « E poi? » « Onestamente.. li lavo e basta. Non ho grandi segreti. Mi dispiace. » Mashiro la osservò con grande ammirazione; gli occhi le brillavano colmi di una gentilezza senza precedenti. « Sei molto fortunata. I miei sono piatti e liscissimi. Non sai cosa darei per avere i tuoi capelli. Lo dicevo anche prima a Raiden; sei davvero fortunatissima. Mia madre dice che le ragazze incinte hanno sempre bellissimi capelli; magari anche i miei diventeranno così lucenti.. vero tesoro? » Tentava di mantenere un grosso sorriso stampato sulle labbra riuscendoci solo in parte. Voleva solo piangere e urlare. Era tutto così tremendamente sbagliato. « È una decisione importante. Buona fortuna, ad entrambi. Spero.. spero possa realizzarsi. Presto. » « Grazie. Sei così carina! Detto tra noi, oggi non bevo perché me lo sento, potrebbe essere la volta buona. Sai quando te lo senti? Ecco, io mi sento così. Una donna se le sente queste cose. » In tutta risposta Mia si portò la propria lattina alle labbra, scoppiando a ridere. « Beh, sicuramente io non me lo sento. » E anche Mashiro rise, nonostante non avesse detto nulla di particolarmente divertente o scaltro. Fu proprio in quel momento che gli occhi di lei si posarono sul volto di Raiden, quasi cercasse almeno sufficiente tatto da parte sua da interrompere quel discorso ridicolo. « Oh però succederà. Hai un bellissimo anello. Sono certa che tu e il tuo fidanzato avrete dei bambini bellissimi.. come te. I bambini prendono sempre le migliori qualità dai genitori. Sono la nostra parte migliore. » Rimase un po' spiazzata Mia. Lei, che ai complimenti non solo non era abituata ma neanche li riceveva né li impartiva più di tanto, si sentì fortemente a disagio, non solo per la gentilezza della giovane, ma anche e soprattutto perché si trattava di lei e perché tutta quella scena si svolgeva sotto lo sguardo di Raiden. Avrebbe dovuto odiare Mashiro con tutta se stessa, e invece, non ci riusciva. « Già.. » Raddrizzò le spalle e stirò un sorriso forzato, volgendo lo sguardo verso l'albero di ciliegio sotto il quale si trovavano. Era una visione così bella, così pacifica. La riportava automaticamente al momento che lei e Raiden avevano condiviso dalla stessa prospettiva. Sarebbe cambiato qualcosa? Se solo avessi detto qualcosa in quell'istante, in uno dei tanti che abbiamo condiviso, in tutti quei messi.. sarebbe cambiato qualcosa? Mi avresti aspettata? « Oh, ci sono Yuki e il marito. Scusatemi, devo assolutamente chiederle di quel infuso di cui abbiamo parlato. È per il bambino. »
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    E così, Mia si ritrovò inerme di fronte a Raiden; lo guardò con un'espressione sconfitta, un sorriso deluso. Era delusa, da cosa nemmeno lei sapeva. Era semplicemente così. Strano. Non era così che mi immaginavo il nostro trovarci sotto le stesso albero di ciliegio. « Auguri e figli maschi.. immagino. » Asserì improvvisamente con palese ironia. « Almeno ora so perché mi stai evitando così tanto. » Sgranò gli occhi sorridendo. I mean.. you're trying to have a baby. Wooooow! Pausa. « Direi che ha senso.. un po' tutto. » Il fatto che non ne avevano parlato, che aveva tenuto perennemente chiuso il contatto anche solo per cercare di chiarire. Non l'aveva mai cercata; irrazionalmente lo voleva così tanto. Avrei solo voluto che venissi a trovarmi. Una volta. Solo una volta. « Anche il fatto che volevi che mi aggiungessi al tuo gruppo. » Aggrottò appena la fronte mentre incrociava le braccia al petto. Secondo me un po' ci speravi che questa cosa uscisse fuori. Sospirò abbassando lo sguardo, prima di tornare a osservarlo. E per la prima volta da quando si trovavano lì, gli si rivolse nella propria lingua, convinta che così, nessuno avrebbe compreso il suo discorso. You broke my heart. Everyday. For two years you broke my heart constantly. Una sconfitta che non ebbe paura di ammettere a viso scoperto. But today you just ripped it apart. Pausa. I didn't want to tell you anything - make you suffer. I just wanted to disappear and pretend things have never changed. In effetti non erano cambiate, ma non nel senso in cui voleva intenderlo Mia. But I can't. I don't really get the point of - all of this. Si stringe nelle spalle e lo osserva con un'espressione addolorata. Why? Why were we never enough for you?



     
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    « No. Non voglio. » Rimase leggermente spiazzato dalla scioltezza con cui Mia proferì quelle parole; non tanto perché non si aspettasse che quello fosse il suo reale sentimento, ma piuttosto perché si aspettava che l'americana avrebbe rispettato le comuni norme del contratto sociale in cui molte cose si dicevano semplicemente per forma. Così come Raiden le aveva esteso quell'invito per gentilezza, aspettandosi che lei non lo avrebbe accettato, aveva immaginato che alla stessa maniera anche Mia avrebbe rifiutato accampando qualche motivazione randomica per togliersi dall'impiccio. « Sarebbe un peccato vanificare tutti i tuoi sforzi di starmi alla larga. In fondo ti sei dato un gran bel da fare per evitarmi. Anche alla luce del fatto che avevo bisogno di parlare con te - di cose importanti. » Sospirò, passandosi velocemente una mano tra i capelli prima di lanciarle uno sguardo supplicante. « Mia, per piacere. » In seguito alla serata al Full Moon, Raiden aveva sperato in cuor suo che Mia capisse la motivazione delle proprie scelte. L'intervento di Eriko li aveva salvati, pur se dolorosamente, dal commettere un errore che sarebbe stato difficile rammendare. Allo stesso tempo, il fatto che fossero sul punto di compierlo (per giunta così velocemente) aveva reso chiaro che pure dopo tutto quel tempo, un rapporto professionale tra loro due non fosse possibile. Prendere le distanze era stata la scelta più logica. « Senti.. Raiden. Non ti biasimo, va bene. Ho recepito il messaggio. Farò il mio lavoro e leverò le tende il prima possibile. Come se niente fosse successo. Ho capito che non siamo più in Inghilterra. Però non puoi aspettarti..- » Non riuscì a terminare la frase che Keizo, un lycan della loro divisione, si mise in mezzo al discorso, portandosi dietro Hiroshi. « Eccola! Raiden, buongiorno. » Stirò un sorriso meccanico al compagno, inclinandosi appena per salutarlo. Quando Keizo fece le presentazioni, lo sguardo di Hiroshi corse tanto veloce quanto impassibile a Raiden, che lo ricambiò con altrettanta neutralità. Era chiaro che stesse cercando negli occhi di Raiden una conferma di ciò che aveva intuito, e la trovò proprio in quello sguardo fermo. Hiroshi, di Mia, sapeva forse ancor più cose di Eriko: per il giovane Yagami era sempre stato più semplice aprirsi con lui, spesso davanti a una birra o ad una bottiglia di whisky. Hiroshi, d'altronde, poteva comprenderlo non solo in qualità di amico e fratello, ma anche come uomo, e questo faceva sì che ci fossero molti meno filtri nei pensieri che condivideva con lui. Come c'era da aspettarsi, però, Hiroshi non diede alcun segno di riconoscerla, comportandosi nella più naturale delle maniere. Solo quando furono sul punto di incamminarsi verso il resto del gruppo, rimasti un po' più indietro rispetto a Mia e ai suoi accompagnatori, il fratello tirò fuori la questione. « Tutto a posto? » Tre parole ed una semplice domanda, il cui tono lasciava tuttavia ad intendere molto più di quanto stesse effettivamente dicendo. Raiden annuì appena. « Relativamente. » Gli rivolse un veloce sguardo, comunicandogli implicitamente che ne avrebbero parlato in un secondo momento, e Hiroshi rispose con un breve cenno d'assenso, limitandosi a dargli un paio di pacche di incoraggiamento sulla spalla.
    Per un po', le cose sembrarono andare piuttosto bene: il gruppo era così folto da agevolare non poco la dispersione, permettendo a Raiden e Mia di parlare con persone diverse senza cadere nell'imbarazzo di una comunicazione che sarebbe stata in ogni caso difficile. Non gli sfuggirono le gentilezze di Keizo nei confronti dell'americana, né tanto meno il modo in cui lei sembrava accettarle e ricambiarle, ma scelse di farsi gli affari propri. In fin dei conti, cosa ne so io della tua relazione? Magari sono questi i termini tra te e Scorpius. Me lo hai detto tu stessa, che fai quello che ti pare, quindi avrebbe senso, no? Che provasse un pizzico di fastidio, però, era fuori discussione. E infastidito lo era in primo luogo dal fatto che Mia si fosse rivolta a lui in quella maniera brusca poco prima, solo per poi fare la civetta con un altro lycan. A questo punto mi viene da pensare che lo fai un po' con tutti. Certo però che alla luce di questo ci vuole una bella faccia per venire a farmi la morale. Fu sull'onda di quel sentimento piccato che, quasi per dispetto, avvolse un braccio intorno alle spalle di Mashiro, invitandola a farsi più vicina e scoccandole un piccolo bacio tra i capelli a cui lei rispose con un ampio sorriso. [..] « Waaaaah! I tuoi capelli sono davvero bellissimi. Cosa fai per prendertene cura? Me lo chiedo da quando sei arrivata. E il colore.. sono davvero meravigliosi. » « Uhm.. li lavo? » Quando si rese conto che le parole di Mashiro erano rivolte a Mia, la pressione di Raiden scese di colpo. In cuor suo non si aspettava veramente che una conversazione tra le due potesse sfociare in qualcosa di troppo spiacevole, ma il solo fatto che ci fosse comunque una remota possibilità di pericolo non lo faceva stare affatto tranquillo. « E poi? » « Onestamente.. li lavo e basta. Non ho grandi segreti. Mi dispiace. » Osservava la scena inerme, e al tempo stesso irrigidito dallo starsene sull'attenti come se si aspettasse che da un momento all'altro un meteorite sarebbe piombato su di loro - scenario, questo, che a dirla tutta avrebbe di gran lunga preferito. « Sei molto fortunata. I miei sono piatti e liscissimi. Non sai cosa darei per avere i tuoi capelli. Lo dicevo anche prima a Raiden; sei davvero fortunatissima. Mia madre dice che le ragazze incinte hanno sempre bellissimi capelli; magari anche i miei diventeranno così lucenti.. vero tesoro? » Ritrovandosi interpellato nella più scomoda delle situazioni, il giovane Yagami cercò di dissimulare il proprio disagio dietro la simulata naturalezza di un sorso di birra. Si limitò ad annuire, più per prendere tempo che altro - tempo che, tuttavia, gli diede modo di riconsiderare quel disagio che provava all'idea che l'argomento della gravidanza fosse arrivato all'attenzione di Mia. Senti, alla fine non devo giustificarmi di nulla. Non ho alcuna ragione per sentirmi a disagio. Questa è la mia vita e non devo assolutamente niente a nessuno. « È una decisione importante. Buona fortuna, ad entrambi. Spero.. spero possa realizzarsi. Presto. » « Grazie. Sei così carina! Detto tra noi, oggi non bevo perché me lo sento, potrebbe essere la volta buona. Sai quando te lo senti? Ecco, io mi sento così. Una donna se le sente queste cose. » « Beh, sicuramente io non me lo sento. » Forse per fermarla, cercando di catturarne l'attenzione, Raiden posò delicatamente una mano su quella della moglie - gesto che, tuttavia, Mashiro intese come una dimostrazione d'affetto ed emozione, muovendo le dita per intrecciarle a quelle del marito e stringerle appena. « Oh però succederà. Hai un bellissimo anello. Sono certa che tu e il tuo fidanzato avrete dei bambini bellissimi.. come te. I bambini prendono sempre le migliori qualità dai genitori. Sono la nostra parte migliore. » « Tranne Eriko. Lei ha ripreso solo la cocciutaggine di papà. » la buttò lì, veloce, cercando di sviare il discorso su altri lidi. E infatti quell'osservazione sembrò riuscire nell'intento di distrarre Mashiro, la cui bontà d'animo la portò immediatamente a lanciarsi in una difesa a spada tratta della cognata, almeno fin quando la vista di un'amica in lontananza non la condusse lontana dal gruppo. Con i commensali rimasti impegnati in altre conversazioni al punto da non far caso a loro, tra Mia e Raiden calò un silenzio talmente pesante da sembrare quasi essere sul punto di prendere concreta forma solida. Per evitare l'imbarazzo, il moro si portò la lattina di birra alle labbra, volgendo lo sguardo altrove, in un punto imprecisato tra le persone che chiacchieravano sul grosso prato circostante. Intento, il suo, che tuttavia si rivelò subito fallimentare. « Auguri e figli maschi.. immagino. » « Grazie. » rispose secco, mantenendo lo sguardo lontano da lei, palesemente infastidito dal sarcasmo nella sua voce. « Almeno ora so perché mi stai evitando così tanto. » I mean.. you're trying to have a baby. Wooooow! « Direi che ha senso.. un po' tutto. » A quel punto, visto che Mia non sembrava intenzionata a lasciar perdere e raggiunto ormai il limite della pazienza, Raiden si voltò a guardarla, torvo. You know, you don't have to wish me anything if you don't really mean it. « Lo conosci il detto. Se non hai niente di carino da dire, non dire niente. » Ma evidentemente Mia non condivideva quella filosofia di pensiero. « Anche il fatto che volevi che mi aggiungessi al tuo gruppo. » Aggrottò la fronte, fissandola con uno sguardo tanto confuso quanto incredulo. « Ma sei seria? Adesso siamo passati alle teorie del complotto? » Scosse il capo e alzò gli occhi al cielo, cercando di mantenere quel gesto appena percettibile per non attirare troppo l'attenzione degli altri mentre dissimulava il tutto con un sorso di birra. « Sei incredibile. » mormorò appena, appena udibile da farsi sentire da lei ma non abbastanza da raggiungere anche altre orecchie. You broke my heart. Everyday. For two years you broke my heart constantly. But today you just ripped it apart. I didn't want to tell you anything - make you suffer. I just wanted to disappear and pretend things have never changed. But I can't. I don't really get the point of - all of this. Why? Why were we never enough for you? Le parole di Mia affondarono nel cuore del ragazzo come una
    lama tagliente, seguite da un silenzio pesante. Non sapeva come risponderle, e pure se lo avesse saputo, la situazione in cui si trovavano non gli permetteva di dire ciò che avrebbe voluto nella sua totalità esaustiva. Lì, in mezzo a un parco pieno di gente che conosceva, nemmeno l'inglese avrebbe potuto salvarlo: gli si sarebbe letto in faccia quanto forte fosse il trascorso tra loro due e quanto quella conversazione non avesse assolutamente nulla di leggero e circostanziale. Because love it's not always enough, and it's certainly not everything. Proferì, a bassa voce, con lo sguardo rivolto altrove. Raiden era partito dal Giappone con quel concetto già ben inculcato in mente, e vi era ritornato con il cuore a pezzi come riprova. Prese un altro sorso dalla propria birra, osservando distrattamente Mashiro intenta a parlare animatamente con la propria amica. L'immagine portò un piccolo sorriso dolceamaro sulle sue labbra. Le voleva bene, Raiden le voleva davvero molto bene, e quell'affetto, ai suoi occhi, era comunque una forma d'amore. Magari non era lo stesso amore travolgente che aveva provato con Mia, quello che ti portava a stare fisicamente male nella lontananza o a provare un desiderio così bruciante da corroderti dall'interno, ma non per questo era meno rispettabile. Ad un certo punto bisogna accettare il fatto che non si vive di soli sentimenti. È questo che significa crescere. Esaurito il proprio sorso, si voltò piano in direzione di Mia, indicando con un piccolo cenno del capo l'anello che portava al dito. You should know it by now. Sollevò lo sguardo negli occhi di lei, senza dire nulla. Gli faceva male pronunciare quelle parole, così come gli faceva male sapere che anche lei provava lo stesso dolore. Ma che scelta aveva? I won't wish you things I don't truly mean, but I won't stand in the way of your happiness either. Stese le labbra in un sorriso millimetrico che aveva l'unico scopo di celare la sofferenza insita in quelle parole, puntando poi i piedi sul terreno per alzarsi. « È meglio che vada a recuperare Mashiro prima che si beva qualche intruglio strano. » E così, con un saluto tiepido, si era dileguato dal gruppo, curandosi per il resto della serata di non invadere gli spazi di Mia. Aveva passato il tempo restante in compagnia della moglie o dei fratelli, cercando il più possibile di chiudere il discorso con Mia in un cassetto della propria mente. Almeno per un po', fin quando ebbe sufficienti distrazioni, sembrò riuscire nell'intento, ma i pensieri in agguato tornarono tutti a strisciare fuori a tarda notte.
    Mashiro aveva ormai preso sonno da un pezzo, a differenza di Raiden. Solo con se stesso, non aveva più niente e nessuno capace di sovrastare quel turbinio di pensieri e sentimenti che affollavano caoticamente la sua testa. Nel buio e nel silenzio, quei pensieri trovavano più spazio, riecheggiando tra le pareti della stanza in un concerto tanto assordante da rendergli impossibile prendere sonno. Quando anche tentava di chiudere gli occhi, quel rimuginare sembrava solo farsi peggiore, proiettando sullo schermo delle sue palpebre chiuse il viso di Mia durante il loro ultimo scambio. Non sapeva cosa fosse più forte, se il dolore o la rabbia. Il primo era stato presente sin da subito, mentre la seconda si era aggiunta pian piano, insinuandosi lenta ma costante a forza di rimuginare su quanto si erano detti. Trovava ingiusto il discorso di Mia, le sue accuse affatto velate e l'egoismo che aveva manifestato. Io mi sono ben guardato dal mettermi in mezzo, a mio tempo. Non mi sono mai permesso di ostacolarla o di intervenire nella sua vita. Lei però col cazzo che ha ricambiato il favore. Appena ha avuto l'occasione ha dovuto tirare fuori tutto, come se.. come se le spettasse, come se fosse giusto. Improvvisamente sentì quell'assurdo desiderio che si prova in seguito ad una conversazione poco piacevole: quello di riavvolgere il nastro e tornare indietro per dire tutte le cose che in quel momento non si erano dette e che solo in seguito, dopo averci rimuginato sopra anche troppo, affioravano alla mente. Si voltò da un lato, col viso in direzione del comodino, tentando per l'ennesima volta di chiudere gli occhi e prendere sonno. Tentativo che, ovviamente, non fece altro che peggiorare la situazione. Così, dopo un po' stanco di quella situazione, aprì di nuovo le palpebre, rimanendo per qualche istante a fissare il vuoto. Fu un tentativo quasi inconsapevole il suo. Non sperava davvero di trovare Mia, né credeva che avrebbe trovato il suo contatto aperto. Quando aprì il proprio, forse sperava proprio in quello: in un buco nell'acqua che potesse dargli quanto meno la pace necessaria di dire che ci aveva provato senza però andare davvero fino in fondo. Rimase dunque piuttosto sorpreso quando si vide catapultato nel letto di Mia, lo sguardo di lei, altrettanto sveglia, fisso in quello di lui. Forse lo aveva aperto per parlare con qualcun altro, o forse aveva altri motivi, ma a quel punto non faceva alcuna differenza, perché Raiden era lì, davanti a lei, nel silenzio di una stanza che non gli apparteneva ma che aveva comunque cercato. Per un po' non disse nulla, dilatando quel silenzio in un tempo che sembrò infinitamente lungo. « Cosa avrebbe potuto cambiare.. questo? » Non aveva preventivato di farle quella domanda, ma le sue labbra sembrarono prendere vita propria per dar voce ai pensieri emersi in quel momento, nell'incontrare i suoi occhi. Trovarsela lì di fronte, stesi uno accanto all'altra, a guardarsi silenziosamente, lo aveva automaticamente portato a pensare che nulla di buono sarebbe mai potuto venir fuori se avesse adottato quella linea di comportamento in passato. Lasciò per un istante che quella domanda si sedimentasse lì, tra i loro sguardi. Poi, velocemente, si alzò dal letto - tanto dal proprio quanto da quello di Mia. Uscì fisicamente dalla propria stanza, muovendosi a piedi nudi verso la cucina per prendere un bicchier d'acqua e buttarlo giù in un solo lungo sorso prima di raggiungere le ampie vetrate del salotto, osservando con sguardo vacuo le luci notturne della città. Non dissimili furono i movimenti della sua proiezione, che si arrestò di fronte alla finestra della camera di Mia. « Se fossi venuto a trovarti una volta a settimana, o anche solo una volta al mese, cosa credi che sarebbe successo? » Sembrava quasi parlare tra sé e sé, come se non si stesse nemmeno rivolgendo a lei, almeno fin quando non si voltò nella sua direzione, interrogandola retoricamente con lo sguardo ma senza darle tempo di rispondere. « Ci saremmo solo fatti del male, Mia. Ecco cosa. » E lo sai. Dentro di te sai bene che nessuna ipotesi realistica poteva condurre ad un finale positivo. E allora che senso ha? Che senso ha scoperchiare tutto e rimetterlo in discussione dopo due anni, quando le nostre vite sono già avviate sulle loro strade. La guardava con una rabbia colma di frustrazione. « Tu non eri disposta a darmi la vita che volevo. Non eri pronta. È così, e non te ne ho mai fatto una colpa. » Come poteva? Mia era solo una ragazzina all'ultimo anno di scuola, e dove viveva le cose erano molto diverse rispetto al Giappone. Se nel paese di Raiden, molte ragazze a quell'età erano già proiettate verso il matrimonio se non avevano addirittura già un anello al dito pronto ad essere sostituito da una fede all'indomani del diploma, in Occidente tutto ciò era impensabile. Mia era figlia di quel mondo così come Raiden era figlio di uno in cui era strano trovare scapoli della sua età. Ma in fin dei conti non era neanche soltanto quello il problema: il problema era che Raiden e Mia avevano obiettivi diversi in paesi diversi, e che l'unico modo per conciliarli comportava un sacrificio per uno o per l'altra. « Cosa volevi che facessi? Che ti pregassi di trasferirti in Giappone e costruire una famiglia con me? Che abbandonassi la mia vita e la mia famiglia per tornare in Inghilterra? Facciamo anche finta per un istante che queste richieste non siano estremamente ingiuste.. come credi che sarebbe andata a finire? » In frustrazione e risentimento - così la vedeva lui. Quando dico che l'amore non è tutto, intendo proprio questo: che anche un sentimento forte può diventare negativo o debole quando le individualità di ciascuno non possono conciliarsi. « Adesso arrivi qui, dopo due anni, e vuoi incolparmi di essermi fatto una vita con qualcuno che lo voleva davvero, che era pronto e che desiderava le mie stesse cose. » Le rivolse quelle parole in un moto di frustrazione, avvicinandosi di qualche passo solo per poter puntare meglio gli occhi in quelli di lei e riversarvi dentro quel conflitto che sentiva dentro di sé. Esattamente come tu hai fatto con me. Io non ti ho chiesto nulla, non ho mai voluto mettermi in difficoltà oppure ostacolarti dall'andare avanti. Ma per te non è abbastanza, non è mai abbastanza. « Torni e pensi di poter mettere in discussione tutto ciò che è successo. Recriminandomi cosa, poi? Di non aver aspettato la pioggia in mezzo al deserto? Non è un film, Mia. È la vita vera, e non calano i titoli di coda nel momento in cui i due protagonisti buttano le loro vite alle ortiche per guidare verso il tramonto. » È bello, lo so, ed è romantico intrattenere quell'idea, ma non è realistico. La vita di tutti i giorni non è così. « Pensi che per me sia stato facile? Credi davvero che non ci abbia pensato ogni cazzo di giorno ad aprire il contatto? Che non ci avrei dato una possibilità? » Mosse un altro passo in avanti, interrogandola a voce più alta, il tono quasi disperato nel cercare di farle capire quanto ingiusta fosse la posizione in cui lo aveva messo con ciò che gli aveva detto quel pomeriggio. Di fronte a lei, si arrestò a distanza di sicurezza, fissandola per diversi istanti in silenzio, gli occhi puntati nei suoi. Scosse piano il capo, rimodulando la voce su un tono più basso, arrochito dall'amarezza. We can't have it all. And you can't blame me for preferring a good memory over a reality ruined by resentments. Cause those were the only choices.. and you know it. Fece un'altra pausa, rimanendo a guardarla con gli occhi colmi di mille sensazioni diverse, ma comunque seri pur nella disperazione. So do the same thing I did: keep it to yourself. How you feel, what you think, however heartbroken you think you are.. I don't wanna know. I don't need to know. And you don't need it either.


     
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    ..love it's not always enough, and it's certainly not everything. You should know it by now. Gli occhi di lei, colmi di lacrime bollenti cercarono rifugio tra i delicati fiori di ciliegio, mentre annuiva cercando di mantenere una parvenza di dignità. Immaginava che quella fosse l'esperienza più simile a un rifiuto che potesse sperimentare. No. È molto peggio. Quando ti danno il palo quanto meno puoi fartene una ragione. Dall'altra parte non c'è nulla. Arricciò il naso stirando un leggero sorriso rassegnato mentre cercava con tutta se stessa di evitare il suo sguardo. L'amore non era sufficiente; non per Raiden. Aveva sempre cercato concretezza e per quanto Mia non gli avesse mai dato nemmeno lontanamente motivi di sentirsi da meno nonostante la sua condizione in Inghilterra fosse tutto fuorché stabile, lui con quella situazione non era mai stato apposto. Ti scusavi sempre per non poter fare questo e quello, mentre io ero felice con quello che avevamo. Era bella la stanzetta nello studentato, la pizza scadente, il gelato da due soldi. Erano belle le scampagnate fatte con un frugale pasto che preparavamo con roba presa nelle cucine di Hogwarts e qualche schifezza del minimarket asiatico. Era bello così, perché nessuno ci correva dietro. C'erano stati momenti, in quei mesi, in cui Mia aveva avuto l'impressione di avere tutto il tempo del mondo. Pensava di avere tempo per costruire più sicurezze, pensava di avere tempo di prendersela con calma, di trovare un ritmo che andasse bene ad entrambi. In fondo credevo che ce l'avremmo fatta. Ma non era andata così. I won't wish you things I don't truly mean, but I won't stand in the way of your happiness either. « È meglio che vada a recuperare Mashiro prima che si beva qualche intruglio strano. » Era talmente paralizzata che non riuscì a dire niente. Lo lasciò semplicemente andare, con quel malessere nell'anima e la consapevolezza che il muro che aveva eretto era ormai insormontabile. Provò un senso di profonda umiliazione, come se quella confessione l'avesse completamente esposta. Si era sbilanciata senza motivo alcuno e senza aspettarsi assolutamente nulla. Come al solito aveva dato fiato alla bocca senza contare fino a dieci. Tanto l'aveva spiazzata quella notizia - il desiderio dei due di avere un figlio - che aveva semplicemente deciso di gettare a propria volta la propria bomba. Come una bambina dispettosa, aveva reagito in maniera difensiva; ora si sentiva in colpa, dilaniata dalla sua stessa confessione. Quando lo dici è ancora più reale. E lo era; i frantumi di quel cuore spezzato erano ora più veri, più tangibili e se possibile anche più illeciti di prima. Mia era fidanzata, eppure, non aveva mai smesso di ardere e sciogliersi come un ghiacciolo al sole per un uomo il cui volto non vedeva da ben due anni, la cui voce non sentiva più dall'ultima volta che si erano salutati. Non era stato lui ad accoglierne i pezzi, eppure, lei non riusciva a farsene una ragione. Così stupido e irrazionale, eppure così irrimediabilmente vero. Di colpo, tutta quella tensione fece pressione alla bocca dello stomaco. Senti tutto il cibo e l'alcol ingerito risalire, e così alzatasi in piedi alla velocità della luce cercando un posto più appartato, sbottò di colpo scoppiando a piangere. Percepì la presenza del fratello poco dopo al proprio fianco. « Voglio andare a casa. » « Certo, andiamo a casa. » [...] Logan le aveva preparato qualcosa di caldo e le aveva lasciato lo spazio necessario per chiamare le sue amiche e sfogarsi. Era così che aveva passato le prossime ore: in videochiamata con Ronnie, Shay e Stacey. Nonostante la difficoltà di Mia di raccontare per filo e per segno come era arrivata a quel punto, i tre non sembrarono particolarmente sorpresi. Piuttosto erano rimasti lì ad ascoltarla, dandole ragione qualunque cosa dicesse, insultando Raiden per la sua insensibilità e mancanza di capacità di ascolto. Poi era arrivato il momento clue: la conversazione con Mashiro durante la quale Mia aveva appreso della possibilità di un bambino. « Quindi vi siete strusciati in discoteca e vuole comunque avere un figlio con questa? Maldito traidor! » « Meno male che era un bravo ragazzo. » « Che schifo! Davvero sono disgustata. » Il tasso dei discorsi era continuato così per diverso tempo finché la pausa pranzo dei tre non era finita. Si erano lasciati con la promessa di aggiornarsi, ma ovviamente, a conti fatti, né gli insulti degli amici, né il fatto che se ne fosse andata dalla festa abbastanza presto era servito a risollevare il proprio stato d'animo. Così aveva provato a chiamare Scorpius, ma come era plausibile, a quell'ora il ragazzo non avrebbe risposto. Era rimasta per diverso tempo seduta sul divano a coccolare i gatti, finché Logan, riemerso dalla stanza degli ospiti non era atterrato con un tonfo sul divano togliendole Ringo dalle braccia per costringerlo ad accettare le sue coccole. Mia e Logan non parlavano. Mai. Eppure, il fatto che fossero i più piccoli della famiglia aveva fatto sì che sviluppassero un'affinità non indifferente. Litigavano di continuo, non si davano mai manforte, tanto meno si difendevano più di tanto a vicenda, ma si volevano comunque bene e soprattutto si capivano. Mia non aveva mai giudicato Logan; non per le sue scelte, non per la sua incapacità di accettare ciò che volesse per se stesso. « Speedy, lo dirò una sola volta, e voglio che tu mi ascolti molto attentamente: tu non sei questa persona. » La piccola Wallace lo osservò attentamente in silenzio. Cosa voleva dire? A cosa si riferiva? Non lo sapeva, né il fratello sembrò darle molte altre spiegazioni. E allora chi sono? Onestamente io non lo so. Non so se l'ho mai saputo. So quello che gli altri si aspettano da me. Sono il mio distintivo. Il mio anello di fidanzamento. La mia famiglia. Il Branco. Oggi però è la prima volta che dopo tanto tempo mi sono sentita "me" e basta. A quella domanda ci pensò a lungo: chi sono io? Ci penso sotto la doccia, mentre preparava una cena frugare per se stessa e per il fratello, mentre si scollava l'ennesima birra guardando in televisione un programma di cui non capiva assolutamente nulla. Ci era voluto un po' per convincere il fratello che stesse bene. E così, consapevole che avrebbe preferito trovarsi altrove, lo aveva costretto ad andare.

    Si era a lungo rigirata nel letto. Una parte di sé avrebbe solo voluto prendere e andare. Chiedere che di quel caso si occupasse qualcun altro. Sarebbe stato più facile sparire. Tornare alla sua vita e tentare di dimenticare quanto accaduto a Tokyo in meno di una settimana. Poi qualcosa era cambiato. Non era più sola, e di colpo, nel vederlo steso accanto a lei nel letto, sgranò gli occhi paralizzata. Non sapeva cosa dire. Le dispiaceva; nonostante tutto, l'idea di averlo fatto soffrire la faceva stare male. Anche ora, pur sapendo che Raiden aveva fatto ogni scelta possibile per allontanarsi da lei, per scappare da tutto ciò che li aveva tenuti insieme, continuava a sentirsi in colpa di fronte al dolore che gli aveva provocato. In cuor suo sapeva di esser stata egoista. Una parte di sé voleva solo che lui provasse almeno un po' di quel dolore e lo spaesamento che aveva provato lei nel momento in cui avevano annunciato il suo matrimonio. Era sbagliato, ma non poteva farci nulla. Ce l'aveva a morte con lui per averla tagliata completamente fuori. Lo guardò solo per qualche istante, prima di ruotare il busto quanto necessario per cambiare visuale e fissare il soffitto. Quella visione faceva male. Avremmo davvero potuto svegliarci così, e invece tu sei altrove. In quel altrove, dove lui era steso accanto alla moglie, Mia non osò piombare. Certe cose preferiva non vederle, non saperle. Era stato già sufficientemente doloroso avere un piccolo squarcio sulla sua vita. « Cosa avrebbe potuto cambiare.. questo? Se fossi venuto a trovarti una volta a settimana, o anche solo una volta al mese, cosa credi che sarebbe successo? Ci saremmo solo fatti del male, Mia. Ecco cosa. » Tirandosi a sedere a sua volta per mettersi a sedere sul limitare del letto, sospirò scuotendo la testa. « Non puoi saperlo. » Un sussurro il suo, appena udibile, ma non per questo meno sicuro. « Tu non eri disposta a darmi la vita che volevo. Non eri pronta. È così, e non te ne ho mai fatto una colpa. » « No infatti. Non mi hai fatto una colpa. Mi hai proprio chiuso fuori. » Sbuffò appena sorridendo tra se e se mentre mentre si massaggiava le tempie per tentare di restare calma. C'erano così tante cose che avrebbe voluto dirgli ma non sapeva come farlo. « Cosa volevi che facessi? Che ti pregassi di trasferirti in Giappone e costruire una famiglia con me? Che abbandonassi la mia vita e la mia famiglia per tornare in Inghilterra? Facciamo anche finta per un istante che queste richieste non siano estremamente ingiuste.. come credi che sarebbe andata a finire? » « Non lo so come sarebbe andata a finire, Raiden, ma onestamente a questo punto mi frega quanto è fregato anche a te! Un cazzo, perché tanto hai scelto tu. » Era spazientita e arrabbiata, ed era stanca di sentirsi dire che non era abbastanza. « Adesso arrivi qui, dopo due anni, e vuoi incolparmi di essermi fatto una vita con qualcuno che lo voleva davvero, che era pronto e che desiderava le mie stesse cose. Torni e pensi di poter mettere in discussione tutto ciò che è successo. Recriminandomi cosa, poi? Di non aver aspettato la pioggia in mezzo al deserto? Non è un film, Mia. È la vita vera, e non calano i titoli di coda nel momento in cui i due protagonisti buttano le loro vite alle ortiche per guidare verso il tramonto. Pensi che per me sia stato facile? Credi davvero che non ci abbia pensato ogni cazzo di giorno ad aprire il contatto? Che non ci avrei dato una possibilità? » E quindi lo lasciò parlare, Mia. Era evidente che avesse bisogno di sfogarsi, che era lì solo per questo e che qualunque cosa lei avesse detto non avrebbe cambiato ciò che lui sentiva il bisogno di dirle. In cuor suo però provò un profondo senso di amarezza e dispiacere. Si. È proprio così. Io credo che non hai mai pensato di darci una possibilità. Si sentiva stupida all'idea di averci sperato, di aver passato diverso tempo, prima dell'annuncio di quel matrimonio a pensare che loro ce l'avrebbero fatta. È vero che ci siamo detti che la guerra non è semplice, che tante cose cambiano. Ma una volta finita? Nella sua testa, Mia non si capacitava della ragione per cui non avesse nemmeno tentato di contattarla, perchè non era stato nemmeno tentato dall'idea di parlarle. We can't have it all. And you can't blame me for preferring a good memory over a reality ruined by resentments. Cause those were the only choices.. and you know it. So do the same thing I did: keep it to yourself. How you feel, what you think, however heartbroken you think you are.. I don't wanna know. I don't need to know. And you don't need it either. Nell'intendo di proteggersi abbassò lo sguardo incrociando le braccia al petto mentre indietreggiava quanto necessario per incollare la schiena contro la porta della camera da letto. Solo allora sollevò nuovamente lo sguardo nel suo. Do you really think this is a good memory? Living with this.. burden.. is it? Deglutì, costretta da un nodo alla gola che si frappose all'interno delle sue parole. La vista di lui, lì nella sua stanza, così vicino eppure così lontano, velò istantaneamente gli occhi di lei di una patina lucida. Una lacrima scese sulla guancia infiammata da un rossore fatto di una frustrazione che non riusciva a reprimere.
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    I was fucking eighteen! And you gave me no chance. Sbottò di colpo scoppiando a piangere stringendo i pugni tremanti. Tornare a quella dimensione di sé stessa la riportava nel baratro di tutte quelle emozioni che aveva imparato a controllare solo grazie a tanto, troppo lavoro su se stessa. I was free for the first time after staying inside a fucking Lodge prison for.. years. Il lockdown, poi la ribellione e infine quell'anno da errante in una dimensione che non le apparteneva. When you came into my life I was a mess. My life was a mess. They kept giving me anxiety pills, my mom was pissing me off because I was skipping my shrink sessions, I was struggling with my assignments. I was behind on everything.. A month before your arriving, everything fell apart all over again. I was scared and lonely and no one was listening. No one! Non è che non volevano ascoltare. È che Mia non sapeva come parlare. Non voleva mettersi nella condizione di ammettere cosa era successo. Raiden era stata la prima persona con cui si era confessata. Forse a quel punto però, era già troppo tardi affinché lui cambiasse idea su di lui. Forse non avevano parlato abbastanza, o forse, i loro rispettivi preconcetti avevano reso troppo difficile comprendersi fino in fondo. « E poi sei arrivato tu. » Tu con il tuo sorriso. Le battute di spirito e quella faccia da schiaffi di merda. Cazzo avrei dovuto capirlo che mi avresti fottuto il cervello sin da quando è diventato chiaro che eri un lycan. Dovevo immaginarlo. Lo indicò con aria sconsolata prima di alzare gli occhi al cielo con fare sconfitto. Non riusciva a insultarlo nemmeno in quel momento. « Ti è mai passato per la testa che avessi solo bisogno di tempo? » Si stringe nelle spalle mentre lo osserva con un espressione triste e sconsolata. « Cazzo, mi hai dato credito su tutto. Stavi lì a studiare con me per ore senza mai lamentarti e mi dicevi di continuo che potevo farcela e questo e quello.. e poi, sulla cosa più importante hai deciso che io non potevo darti ciò che volevi senza nemmeno chiederti se per me era cambiato qualcosa. » Spoiler alert, Raiden! È cambiato: ho un lavoro e mi sto sposando. Pensa tu che sorpresa quando cresci tra i cacciatori. Nessuno se lo sarebbe mai aspettato. A quel punto avanzò un passo nella sua direzione tirando su col naso. Do you know how it feels seeing someone you love marrying someone else? It makes you feel unwanted. Like a distraction. Just for a couple of months before your perfect match arrived. And honestly I don't fucking care that you don't want to hear it. La voce di lei si alzò di due ottave, devastata da tutta quella valanga di emozioni che stava riemergendo tutta insieme. Ogni ricordo, ogni istante di dolore represso, ogni dubbio. You left me nothing. No more trust, no love to give, no emotions. I'm struggling to feel anything and it makes me nuts that even now - this fucking moment - makes me feel more alive than any other thing out there. I'd gladly hate you if only I could - I swear to God I would! But you should kill my friends and family to even make me consider it. Si era agitata talmente tanto che quando concluse quel discorso aveva il fiatone, le guance rosse, le tempie pulsanti. Istintivamente si inumidì le labbra incrociando le braccia al petto prima di puntargli il dito contro. « Se l'amore non è abbastanza allora perché sei qui uhm? » Fece un'altro passo nella sua direzione soffiando pesantemente corrugando la fronte con un'espressione interrogativa mentre lo squadrava dalla testa ai piedi. Un solo momento di debolezza che risultò micidiale. If love is not enough why do you care? If I'm fucking delusional and you think I'm standing in the way of your happiness why did you come? Nel compiere un ulteriore passo nella sua direzione, lo sguardo di lei si spostò sulle sue labbra. Do you really want me gone? If I was really gone from your life until last week just say it and I'll go all over again. Il punto però era sempre lo stesso. Raiden e Mia potevano anche non esserci, ma c'erano lo stesso. Deglutì, inumidendosi appena le labbra. Say it like you mean it and I'll be gone.



     
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    Do you really think this is a good memory? Living with this.. burden.. is it? Lo sguardo di Raiden evase velocemente in un punto a caso della stanza, mentre si portava una mano tra i capelli in un moto di frustrazione. Non capiva per quale ragione Mia non si decidesse semplicemente a piantarla. Erano passati due anni, due anni in cui entrambi avevano costruito le proprie vite, legandosi ad altre persone e prendendo impegni per nulla indifferenti. Allora perché riaprire quelle ferite adesso? Perché rimettere in discussione tutte le scelte compiute e il percorso intrapreso per qualcosa che aveva avuto la durata di una stagione? Non ha senso. Abbiamo vissuto una parentesi. Bella, bellissima. Una parentesi che mi porterò sempre nel cuore e che probabilmente mi lascerà sempre il dubbio di come sarebbe potuta andare in circostanze diverse. Ma appunto.. erano circostanze diverse. Tu stavi vivendo il tuo ultimo anno di scuola e io ero nella condizione più transitoria possibile. Lo abbiamo sempre saputo che quella.. non era la vita reale. Raiden, in Inghilterra, si era sentito sospeso tra due realtà: il percorso in Giappone a cui aveva dedicato tutta la propria vita e che sentiva ancora come il proprio futuro, e la naturale leggerezza di una parentesi in cui poteva pensare ad essere semplicemente se stesso senza pensare troppo alle conseguenze. Era stato facile legarsi a Mia, forse anche troppo facile: era successo senza che nemmeno se ne rendesse conto, solo per poi lasciargli il cuore a pezzi quando era stato il momento di interrompere quella vacanza e tornare alla realtà. I was fucking eighteen! And you gave me no chance. Non riusciva a guardarla negli occhi. Sentire la sua voce rotta dal pianto gli faceva male, imponendogli di guardare altrove per non incontrare un'immagine che, se possibile, lo avrebbe solo fatto sentire peggio riguardo quell'intera situazione. Non voleva sentirsi in colpa, in cuor suo non credeva nemmeno che fosse giusto, ma nonostante ciò non poteva fare a meno di percepire quel nodo amaro all'altezza dello stomaco. I was free for the first time after staying inside a fucking Lodge prison for.. years. When you came into my life I was a mess. My life was a mess. They kept giving me anxiety pills, my mom was pissing me off because I was skipping my shrink sessions, I was struggling with my assignments. I was behind on everything.. A month before your arriving, everything fell apart all over again. I was scared and lonely and no one was listening. No one! « E poi sei arrivato tu. » Scosse il capo tra sé e sé, rimanendo con gli occhi ben fissi in un punto oscuro della stanza. Don't do that. Don't go there. You know it's unfair. Proferì quelle parole in un filo di voce, intendendole tuttavia fino in fondo. Mia e Raiden non avevano alle spalle un passato facile, e anche su questo avevano trovato conforto l'uno nell'altra. Spesso quel conforto veniva semplicemente dal muto accordo di non parlarne, dal comprendere quanto l'altro avesse bisogno di spazio per guarire senza essere pressato. In fin dei conti Raiden non avrebbe ritenuto giusto scaricare su di lei tutte le angosce della vita in Giappone, né si sarebbe sentito a proprio agio nel farlo. Lo stesso valeva per Mia: anche lei, nel suo piccolo, preferiva tenere quelle ferite per sé. Funzionava bene perché ciò permetteva ad entrambi di farsi compagnia, pur rimanendo su un terreno di plausibile superficialità che gli avrebbe permesso di distaccarsi in maniera meno dolorosa. « Ti è mai passato per la testa che avessi solo bisogno di tempo? Cazzo, mi hai dato credito su tutto. Stavi lì a studiare con me per ore senza mai lamentarti e mi dicevi di continuo che potevo farcela e questo e quello.. e poi, sulla cosa più importante hai deciso che io non potevo darti ciò che volevi senza nemmeno chiederti se per me era cambiato qualcosa. » « È diverso, Mia. Come cazzo fai a non rendertene conto? Non è.. » si interruppe, prendendo un profondo respiro per darsi il tempo di cercare le parole giuste e rivolgersi a lei con tono più calmo. « ..non è un'interrogazione di Incantesimi, ok? Stiamo parlando di cose molto serie che possono deviare in maniera anche drammatica il corso di una vita, lo capisci? Non potevi aspettarti che bo.. tirassi i dadi nella speranza che un giorno sarebbe funzionata come volevo. » E soprattutto non è questo il modo di affrontare una relazione: mettendocisi dentro con la prospettiva di cambiare chi si ha di fronte per plasmarlo a seconda dei propri obiettivi. Era come ostinarsi a comprare un paio di scarpe troppo strette, tentando di convincersi del fatto che fosse un buon acquisto perché "alla fine basta camminarci un po' e si allargano" oppure "se le porto dal calzolaio sono perfette": magari alla fine ti va bene e tutto si risolve, ma la probabilità più alta è che tu finisca per aver speso un sacco di soldi su un paio di scarpe che non ti staranno mai o che rovinerai coi tentativi fino a renderle inutilizzabili. Do you know how it feels seeing someone you love marrying someone else? It makes you feel unwanted. Like a distraction. Just for a couple of months before your perfect match arrived. And honestly I don't fucking care that you don't want to hear it. You left me nothing. No more trust, no love to give, no emotions. I'm struggling to feel anything and it makes me nuts that even now - this fucking moment - makes me feel more alive than any other thing out there. I'd gladly hate you if only I could - I swear to God I would! But you should kill my friends and family to even make me consider it. Ancora una volta, lo sguardo di Raiden cercò l'evasione. Non voleva sentire cosa Mia avesse da dire, non voleva percepire le sue emozioni né darle modo di mettere in luce l'evidenza di quelle che albergavano in lui. Sapeva bene che un cedimento da parte sua avrebbe solo reso la situazione più complicata, portandoli su una strada di cui non potevano prevedere la fine. E Raiden si era impegnato, si era impegnato davvero tanto e aveva lavorato sodo per costruire ciò che aveva: quella vita apparentemente perfetta che aveva speso anni a progettare. Una vita che gli dava un senso di sicurezza e stabilità, che non metteva in discussione nessuno dei concetti che aveva imparato ad assimilare e su cui aveva tarato la propria intera personalità. « Se l'amore non è abbastanza allora perché sei qui uhm? » If love is not enough why do you care? If I'm fucking delusional and you think I'm standing in the way of your happiness why did you come? Do you really want me gone? If I was really gone from your life until last week just say it and I'll go all over again. Say it like you mean it and I'll be gone. Troppo vicina per evitare ancora il suo sguardo, gli occhi di Raiden si piantarono in silenzio in quelli di Mia, senza riuscire tuttavia a resistere a quella forza di gravità che sembrava attrarli verso le sue labbra. Non disse nulla. Con solo pochi centimetri a dividere i loro volti, sembrava impossibile ragionare lucidamente per elaborare una risposta efficace. Più nello specifico, sembrava impossibile pensare a qualunque altra non fosse l'annullamento di quella dolorosa distanza. Si umettò appena le labbra, mordendosi l'inferiore nel tentativo di frenare quell'impulso che la sua ragione sapeva essere autodistruttivo. I'm a good man, Mia. Le parole uscirono dolorosamente in un filo di voce, in un lamento che sembrava essere rivolto più a se stesso che a lei, quasi a volersi convincere delle proprie stesse parole. Suonavano come la ripetizione di un mantra e forse, in fin dei conti, un po' era così. Raiden sapeva che se avesse dato ascolto al proprio istinto, quell'atto avrebbe inevitabilmente distrutto la concezione che aveva di sé: quella, appunto, di un brav'uomo. Il tipo di uomo che teneva fede alla parola data, che onorava gli impegni presi e faceva coincidere le parole al comportamento. "Don't be a scumbag" - le parole che Eriko gli aveva rivolto al Full Moon, guardandolo dritto negli occhi, riecheggiavano in ogni angolo della sua mente a ricordargli quanto poco bastasse per fare di lui quel tipo di persona da cui aveva sempre voluto differenziarsi. I'm not a scumbag. E allora perché si sentiva tale? Pur non facendo nulla, pur impiegando ogni singola cellula del proprio corpo a mantenere quella distanza ormai esigua, perché sentiva comunque di star facendo qualcosa di illecito? Il semplice fatto di non rispondere alle sue domande, di non riuscire a portarsi a pronunciare con secchezza ciò che era necessario dire - già solo questo era in sé una risposta nonché la principale ragione del suo sentirsi in

    quel modo, come un ratto di fogna. « Perché lo fai? » Lo sguardo del moro si risollevò in quello di Mia, interrogandola a fior di labbra con gli occhi velati da una patina bagnata che concretizzava quel dissidio interiore. « Perché vuoi farmi diventare qualcuno che non sono? » Il tipo di uomo che sgattaiola nel cuore della notte, per cui le promesse e i giuramenti non valgono nulla - il tipo di uomo che tradisce. I worked so hard to become someone I like to see in the mirror. I worked so fucking hard to get over everything that I did and try to move on.. to be better. Sarebbe stato più semplice abbandonarsi, rifiutare ogni tipo di responsabilità e lasciare che quel paese che gli aveva tolto così tanto bruciasse. Di certo la tentazione c'era stata. Per quale motivo avrebbe dovuto rischiare la vita nella vana speranza di migliorare un luogo che lo aveva ferito così tanto e così profondamente? Sarebbe stato molto più facile cancellare quella vita e ricominciare d'accapo. Ma Raiden non era quel tipo di persona, e per quanto odiasse tutto ciò che l'esercito lo aveva portato a fare, ciò di cui non riusciva a pentirsi era la promessa che aveva fatto nei confronti del proprio paese. D'altronde ne era pur sempre figlio, nel bene e nel male, e in virtù di ciò provava un senso di dovere che lo incatenava a quel luogo e alla vita che aveva. Raiden non era il tipo da fare promesse a cuor leggero, né da romperle con facilità: prendeva con estrema serietà gli impegni che sceglieva, consapevole di quanto essi fossero l'indice della propria persona. Anche le decisioni che aveva preso in seguito al suo ritorno erano figlie di quella logica. I gave up everything. La sua voce rimaneva un filo appena udibile mentre si stringeva nelle spalle con un sorriso sconsolato e gli occhi patinati da lacrime che si ostinava a bloccare. Everything I had.. I gave it to this place, to this country. Every bit of heart, soul and hard work. The only thing left for my own is my honour. And you want me to give that up too. Tirò su col naso, mordendosi con più forza l'interno del labbro inferiore in un ulteriore tentativo disperato di frenarsi da una manifestazione più concreta di quel dolore. Alzò per un istante lo sguardo, prendendosi il tempo di inspirare una lunga boccata d'aria e deglutire, ricacciando giù le lacrime prima di puntare nuovamente gli occhi in quelli di Mia. I can't tell you I don't love you, if that's what you want me to say. I just can't. And it would be pointless to lie when you have every access to my feelings. Che senso avrebbe avuto? Se pure fosse stato capace di mettere su un muso duro di fronte a lei e dirle che per lui non rappresentava nulla, Mia avrebbe saputo immediatamente che stava mentendo, quindi tanto valeva essere sinceri ed evitarsi lo sforzo inutile. All I can do is ask you - beg you - to let it go. If you still love me. If you truly love me as much as I love you, please Mia, let me keep the one thing I have left.


     
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    I'm a good man, Mia. I'm not a scumbag. No. Non lo era. E quella era stata una delle caratteristiche che l'aveva fatta innamorare così perdutamente di lui. Ma nonostante ciò, la giocane Wallace avrebbe davveeo voluto che lo fosse. Avrebbe voluto che fosse a sua volta capace di annullare le distanze senza sentirsi uno schifo, come se stesse facendo un torto a qualcuno. Nessuno l'aveva obbligata a battere in ritirata di fronte all'annuncio del matrimonio di Raiden. Avrei potuto fare qualcosa. Avrei potuto impedirlo. Perché non l'ho fatto? A ripensarci ora, tutto quel cieco orgoglio era stato insensato. Stupido. Era rimasta a piangersi addosso per mesi prima di accettare l'idea che lui non sarebbe mai più stato suo. Eppure, era bastato vederlo, toccarlo, trovarselo di fronte, per sentire nuovamente quel senso di appartenenza, come se lei fosse ancora sua e lui fosse ancora suo. Ora, a guardarlo, non poteva fare a meno di pensare che aveva perso tutto il tempo. Si sentiva come fosse scaduta, come se il suo termine di validità fosse venuto meno e potesse solo essere gettata nella pattumiera. « Perché lo fai? Perché vuoi farmi diventare qualcuno che non sono? » Lo sguardo lucido di lui e quelle parole le spezzarono completamente il cuore al punto da stringere i dento e chiudere gli occhi. Piangeva, silenziosamente senza sapere cosa dire. Si sentiva in un certo qual modo accusata, ma nonostante ciò non riusciva a fargliene una colpa. Avrebbe voluto, ma non ci riusciva. In cuor suo, Mia, sapeva Raiden avesse ragione. Indipendentemente da come erano andate le cose, indipendentemente da quali fossero le colpe o le circostanze, il tempo non poteva essere riavvolto. « Io.. » Deglufì abbassando lo sguardo. « ..non è giusto dirmi questo. » Un lamento che esalò con un filo di voce mentre scuoteva la testa. Sentiva quelle parole come ingiuste, specialmente alla luce del fatto che i sentimenti di entrambi erano lì, a carte scoperte, di fronte a entrambi. I worked so hard to become someone I like to see in the mirror. I worked so fucking hard to get over everything that I did and try to move on.. to be better. Avrebbe voluto non ascoltarlo Mia, non sentire quelle parole. Avrebbe voluto semplicemente ignorarle, e invece se ne stava lì, in silenzio, con gli occhi colmi di lacrime e una sensazione di completo vuoto. Si sentiva proprio così: svuotata. Continuava però a chiedersi perché l'aveva tagliata fuori.I gave up everything. Everything I had.. I gave it to this place, to this country. Every bit of heart, soul and hard work. The only thing left for my own is my honour. And you want me to give that up too. Tornò a guardarlo con occhi colmi di lacrime. You gave no choice, Raiden. You fucking gave me no choice! Voleva lottare, dire la sua, ma era talmente priva di volontà da non riuscire nemmeno a sbraitargli contro. Se ne stava lì con le guance rosse, inumidite dalle lacrime, scardinata dalla consapevolezza di ciò che sarebbe arrivato. I can't tell you I don't love you, if that's what you want me to say. I just can't. And it would be pointless to lie when you have every access to my feelings. All I can do is ask you - beg you - to let it go. If you still love me. If you truly love me as much as I love you, please Mia, let me keep the one thing I have left. Lo osservò dilaniata Mia. Il modo in cui la pregava, la implorava. Con quale cuore avrebbe mai potuto lottare contro quelle parole? Per un istante lo osservò solo senza riuscire a smettere di piangere. Se ne stava lì in piedi a pugni stretti. Ci sarebbe voluto così poco per toccarlo, baciarlo, dirgli che andava tutto bene. E invece non ci riusciva. Per quanto avrebbe voluto essere semplicemente egoista e ammettere a se stessa che era disposta a vivere con quel peso, la verità è che non ci riuscivo. Lo amava, con tutta se stessa, in una maniera così viscerale che non riusciva a separarsene. Però potevamo averci a vicenda. Potevamo avere.. la nostra vita. Una vita che sembrò passarle davanti, che riusciva a vedere. Là dove c'era Mashiro poteva esserci lei, in ognuno di quegli istanti che tentava con tutta se stessa di reprimere dalla sua immaginazione. Questa era la parte peggiore. Immaginare. Sapere che da qualche parte poteva esserci la possibilità di stare insieme. Di scatto abbassò lo sguardo passandosi i dorsi delle mani sul viso tirando su col naso. Per un po' non disse nulla, fissando solo la mano di lui, la fede che brillava nel buio ricordandole che Raiden non era più suo. Non lo era mai stato. E allora un sorriso amaro comparve sul volto di lei, mentre annuiva tra se e se scossa da quel pianto incontrollabile.
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    I love you, Raiden. So much. Truly. I love you because you are a good man. You're just.. not mine. Ammetterlo la svuotava, completamente, ma non poteva fare altro se non esalare quelle parole, quasi sperasse che lui avrebbe cambiato idea. Tirò su col naso mentre si inumidiva le labbra cercando con tutta se stessa di ritrovare un po' di serenità. You're the best thing that happen to me. For real.. no matter what, I will always choose you. I know it's not fair, but it is what it is. Se a Raiden fosse accaduto qualcosa, Mia avrebbe abbandonato tutto e sarebbe comunque corsa da lui, di questo era certa. Non importava quanto tempo sarebbe passato, lei, di quel sentimento non se ne sarebbe mai liberata. And it burns.. so bad. I can shake it, it's under my skin. Era doloroso. Talmente tanto che anche scuoiarsi viva da sola sarebbe stato meno crudele. But I wish you all the best. For real. Quelle parole, seppur colme di amarezza erano comunque sincere. Non avrebbe mai voluto altro per lui se non il meglio. Faceva male realizzare che quel meglio non era lei, ma era disposta a viverci. I hope you will have a big happy family, and the house in the countryside you always wanted. Pausa. Plant a vegetable garden if you have time. And flowers. So many flowers. Value every moment, and hold on to life with all your strength. Un'immagine così pacifica, così bella. Così lontana dalla realtà. Così non loro. And stay safe. Please.. take care of you. Su quelle ultime parole, lo sguardo di Mia ricercò quello del ragazzo tentando di sorridere. Era un addio. Una chiusura forzata. Perché seppur ci fossero già passati due anni prima, per Mia aveva sempre avuto il retrogusto di un a presto. Ci aveva voluto credere; pensare che in un modo o nell'altro quel sentimento non si sarebbe spento, esaurito, che non sarebbe andato sprecato. Nonostante, forse, non sarebbe stata l'ultima volta, aveva comunque un sapore definitivo, molto più della prima volta. Eppure, Mia decide di non dirlo; non disse né addio, né a presto, né nulla. Chiuse solo gli occhi allungando la mano in un movimento istintivo lasciandogli solo una veloce carezza sulla guancia. Quando riaprì gli occhi, Raiden non c'era più e quel contatto, così come ognuna delle sensazioni che provava, erano venute meno. E poi non c'era più. Solo il vuoto. Solo il buio. E una strada solitaria da percorrere.





     
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