It must be exhausting always rooting for the anti-hero

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    Il giovane warlock si guardava intorno con curiosità, le mani congiunte dietro la schiena mentre misurava a passi lenti lo spazio autogestito attualmente vuoto di studenti. C'era già stato, ovviamente, ma solo di passaggio, senza mai prendersi veramente il tempo di guardarsi intorno. Tuttavia quella mattina, con gli studenti ancora impegnati a frequentare le rispettive lezioni e in attesa del giovane Branwell, Eliphas si era concesso un po' di tempo per studiare coi propri occhi quello spazio ricco di storia. Le lucine e i poster appesi alle pareti imponevano una nota di colore al grigio dominante che non veniva mai toccato dalla luce del sole, coprendo in maniera tanto fisica quanto simbolica i segni di ciò che un tempo era passato di lì. Se prestava bene attenzione, Eliphas riusciva ancora a sentire quelle energie: una sorta di attutita vibrazione in sottofondo, come un tenue mugolio di rabbia e paura. Ovviamente non aveva mai avuto modo di vedere con i propri occhi come fosse stata la vita al castello sotto il preside Kingsley, ma la storia gli era stata raccontata, e alcune foto esposte nel museo della liberazione facevano da testimonianza alla segregazione di chi aveva il sangue sporco. Attirato con lo sguardo da un poster storto che raffigurava una Lilac Scamander intenta a sollevare vittoriosa il pugno in cui stringeva il boccino, Eliphas fece qualche passo in avanti, avvicinandosi al muro nel tentativo di raddrizzare un angolo malconcio della stampa. Sorrise, tuttavia, quando nello staccare lo scotch per riposizionare meglio la figura, trovò qualche scritta leggermente sbiadita ma ancora leggibile. Diverse calligrafie, diverse posizioni, ma tutte più o meno nelle stesse condizioni. Eddy King puzza. Fred Weasley & Albus Potter were here. La Stone è figa. Sbuffò una piccola risata dalle narici, scuotendo il capo tra sé e sé mentre spostava il poster, attaccandolo - questa volta dritto - qualche centimetro più in là per far sì che quelle scritte rimanessero visibili. Non sapeva nemmeno perché lo facesse o se i fautori avrebbero ancora gradito quell'esposizione, ma immaginava che qualunque spirito adolescenziale li avesse portati a lasciare quelle frasi proprio lì desiderasse forse anche di rimanere nella memoria che quelle mura portavano con sé.
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    Si voltò nel sentire un rumore di passi provenire dalle scale che dai piani superiori immettevano nelle celle, distanziandosi leggermente dal poster per accogliere Otis Branwell con un ampio sorriso quando si palesò nella stanza. « Buongiorno. Spero che le lezioni di oggi siano andate bene. » Al solito, la voce dello warlock era allegra e amichevole. Gli piaceva stare a contatto con gli studenti, e aveva sempre visto nel Tassorosso un ragazzo intelligente che probabilmente aveva più qualità di quante ne lasciava vedere. Quell'opinione di lui era nata nello specifico durante la prima riunione del giornalino tenutasi l'anno precedente. Per quanto le cose non fossero andate come sperato, Eliphas aveva comunque trovato nobile il fatto che quel giovane ragazzo fosse così propositivo e desideroso di fare qualcosa per la comunità di studenti. Inutile dire che quando gli era stato comunicato dalla presidenza che avrebbe collaborato con lui per il progetto culturale in previsione di Beltane, il bibliotecario aveva accolto la cosa con gran piacere. In seguito a quella comunicazione si era subito messo in contatto con il Tassorosso per scegliere un giorno e un orario in cui incontrarsi, in modo da mettere giù i termini generali di quel lavoro e proseguire poi nei giorni a venire. « Hai già anticipato qualcosa ai tuoi compagni? Se non l'hai fatto non importa. C'è tempo e ancora abbiamo un sacco di cose da fare. » Con ogni probabilità, Eliphas era molto più gasato di Otis su quel fronte, ma in cuor suo sperava che il ragazzo fosse almeno un po' interessato a quel piccolo progetto che gli era stato affidato. « È una cosa grossa. Addirittura potresti essere pubblicato, non ti senti un po' elettrizzato? Nervoso? » In fin dei conti per un ragazzo giovane come lui doveva essere qualcosa di super emozionante: non capitava proprio tutti i giorni di vedere un proprio lavoro pubblicato, men che meno dal principale gruppo editoriale del paese in cui viveva.Figuriamoci, certe cose non capitano nemmeno a tanti professionisti del settore. Lentamente si avvicinò ad uno dei divanetti della stanza, mettendosi a sedere e facendo cenno ad Otis di fare altrettanto. « Potrebbe essere un gran bel punto di inizio, lo sai vero? » Fece una pausa, guardando il ragazzo con bonaria serietà. « Ci hai già pensato al tuo futuro, Otis? A cosa vorresti fare una volta svestiti i panni dello studente. » Sospirò, allungando sul tavolino che li divideva un vecchio numero leggermente ingiallito del Doxy Pixie Wise, datato 13 Marzo 2020. « Mi sono preso la briga di rileggere qualche vecchio numero. Mi è piaciuto molto il tuo articolo sull'elisir del delirio. Scrivi davvero bene e riesci a trovare dei contenuti dall'ambiente che ti sta intorno, coinvolgendo anche i tuoi compagni. » Gli sorrise, scoccandogli un'occhiata da sopra il bordo delle lenti. « Non è un talento che hanno tutti. » Fece un'altra breve pausa. « Sono contento che sarai tu a raccontare la mia comunità. Credo che potresti seriamente fare la differenza nell'abbattere qualche pregiudizio. »


     
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    Che Otis Branwell fosse biologicamente incapace di prendere le cose alla leggera era ormai un assioma che cui chiunque avesse scambiato due chiacchiere con il giovane Tassorosso aveva avuto modo di appurare. La festa di Beltane, in arrivo i primi di Maggio e preannunciata dai preparativi in cui la comunità del Castello e non erano immersi in quei giorni, lo rendeva particolarmente estatico. Più di tutto perché Otis ne sapeva ben poco. Non si era mai più di tanto interessato alle festività comandate, rispettando piuttosto un calendario personale in cui le uniche date degne di essere ricordate erano gli anniversari di eventi insignificanti che ricordava solo lui – tipo la prima volta che lui e Katsu si erano tenuti la mano, o il giorno del suo primo bacio, o ancora l'anniversario dell'uscita del primo volume del manga di Jujutsu Kaisen. Queste, insieme a due o tre compleanni, quelli dei pochi eletti che riuscivano a fissarsi nel suo cervello in modo inspiegabilmente preciso e puntuale. In più, in famiglia non erano particolarmente dediti alla partecipazione a festività comandate come quelle. Non ricordava, pertanto, di aver mai veramente festeggiato la Beltane, che comunque seguiva un filone più legato alla magia Wicca che non a quella che esercitava la comunità magica a cui apparteneva Otis. Capiva bene, tuttavia, quale fosse la vera motivazione per il fermento generale che aveva generato quell'anno l'attesa del 1° maggio. Aveva avvertito un senso di responsabilità assolutamente soverchiante e decisamente eccessivo, dunque, in perfetto stile Otis, nell'apprendere di essere stato chiamato a organizzare un incontro con gli studenti per educarli rispetto alla comunità warlock. A dire la verità, peccando di un'umiltà che tipicamente gli mancava quando si trattava di avere opportunità di fare sfoggio delle proprie conoscenze o letteralmente fare il maestrino, si era chiesto perché quel compito fosse capitato proprio a lui. Sicuramente aveva avuto più opportunità di altri studenti del Castello di confrontarsi con culture diverse dalla propria, e senz'altro doveva essergli stata riconosciuta una certa autorità in termini di capacità di divulgazione di informazioni e nozioni ai suoi coetanei; ma lui dei warlock sapeva fin troppo poco, sicuramente non abbastanza per poter far fronte a delle aspettative che, senza ombra di dubbio, s'immaginava essere ben più grosse di quanto effettivamente fossero. Ma forse era anche quella sua totale devozione alle cose, insieme con l'opportunità per imparare di più lui stesso in primis, a motivarlo tanto. Inutile descrivere, quindi, i giorni di preparazione a quell'incontro, la quantità smodata di messaggi inviati al povero bibliotecario, dopo che lo stesso aveva anche dovuto gestire la totale crisi di nervi che aveva preso il controllo del Tassorosso all'apprendere dell'incarico. «CiaoEliphasscusasetidisturbomahobisognodiparlartiurgentemente» era stata l'esalazione con cui aveva dato inizio ad una serie di scambi, per lo più messaggistici ma anche prepotentemente fisici, che avevano fatto sì che Eliphas fosse una preziosa fonte di calma e rassicurazione tanto quanto puntuale soggezione. Insomma, un po' si era vergognato di quanto gli era stato addosso in un primo momento, inondandolo di preoccupazioni personali e sicuramente molto poco professionali. Si era cagato addosso? Senz'altro, un tot. Dopo un iniziale momento di totale panico, quindi, in cui si era recato in biblioteca e aveva preso in prestito tutti i tomi umanamente (e non) esistenti in merito al tema warlock o che anche semplicemente contenessero al loro interno un capitolo o sottocapitolo sull'argomento, era riuscito a darsi una regolata e schiarirsi la mente. Quello che gli veniva richiesto era un compito educativo di assoluta importanza, ai suoi occhi, che non prendeva alla leggera. Anche i muri sapevano di quanto la comunità warlock fosse stata puntualmente ostracizzata da quella che non fa uso ricorrente della magia nera. Per quanto poco sapesse a livello enciclopedico o aneddotico, chiunque non avesse trascorso la propria vita sotto un sasso o sul fondo dell'Oceano conosceva gli stereotipi su di loro, e il vago senso di diffidenza e timore che li avvolgeva. Si sentiva profondamente in difetto, ma contemporaneamente estremamente onorato che toccasse a lui aiutare la destigmatizzazione di streghe e maghi considerati alla stregua di selvaggi sciamani, in tipico stile Merlinocentrico. Una cosa che solo a pensarci gli procurava prurito alla pelle, ma che, a dirla tutta, non aveva mai pensato di contribuire personalmente a cambiare. Ciliegina sulla torta l'ombra di possibilità di venire pubblicato dal gruppo Peverell che vabbè, per cortesia, non parliamone neanche che tanto non succede, MA SE SUCCEDE.
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    L'aria assolutamente sconvolta e trafelata, la borsa a tracolla ripiena di pergamene, i capelli nero corvino arruffati e il principio di un pizzetto che spuntava timidamente sul mento imberbe del Tassorosso – così aveva fatto il suo ingresso nell'aula sotterranea in cui avevano deciso di incontrarsi lui e Eliphas. La differenza in energia che uno spettatore esterno avrebbe percepito nel vederli così, l'uno alto e slanciato e in serafica attesa, le braccia dietro la schiena e un pacato sorriso amichevole in volto, l'altro completamente scarmigliato, sarebbe risultata assolutamente comica. «Eccomi, eccoci, ciao, ci sono!» aveva sospirato, mollando i tomi pesanti e pieni di post-it e annotazioni colorate che facevano capolino dalle pesanti pagine ingiallite. «Scusami l'attesa, la prof di Volo si è dilungata un po' troppo oggi perché uno studente è caduto dalla scopa. Uno pensa che queste cose non accadano più il settimo anno, e invece... Va be', sono proprio io a parlare poi... Ma aspetti da molto? Spero di no» aveva interrotto quel flusso di pensieri ad alta voce per riprendere fiato, liberarsi dalla pesante tracolla e lasciarla pendere dallo schienale di una sedia. Ora ansimava, le mani sui fianchi, la bocca secca. Perché sempre questa necessità di essere così drammatico?
    «Hai già anticipato qualcosa ai tuoi compagni? Se non l'hai fatto non importa. C'è tempo e ancora abbiamo un sacco di cose da fare» Mi piaci, Eliphas, subito a darci da fare. «Okay, allora, aspetta che faccio un sorso d'acqua – dunque. No, non ho ancora comunicato niente, a dire la verità volevo anche confrontarmi un secondo con te su questo tema.» Si era messo a sedere, occupando una delle sedie che erano disposte in modo sorprendentemente ordinato in file indiana. L'aveva accostata alla scrivania. «Nel senso che non so se vogliamo impostare la cosa tipo con un sistema di iscrizioni, della serie che chiunque ha interesse si iscrive e chi no si sta a casa, o se invece fare tipo volantinaggio o metterlo sul giornale e attrarre un po' chiunque, anonimamente, si senta di venire. Il rischio –» altro sorso d'acqua «è che magari possano venire i soliti cazzoni che non hanno niente di meglio da fare che dare fastidio e fare i bigotti. E non vorrei che magari ci finissi di mezzo tu? Non so, dimmi tu, anche se devo dire che non mi sembri un tipo con la pelle troppo sottile!» Sorriso imbarazzato, è brutto assumere che possano esserci elementi che non vedranno Eliphas o l'argomento dell'incontro di buon occhio? O solo realistico?
    «È una cosa grossa. Addirittura potresti essere pubblicato, non ti senti un po' elettrizzato? Nervoso?» «IO? NERVOSO? Cosa te lo fa pensare? Saranno le 17 note audio che ti ho inviato su wiztagram in cui non riuscivo ad articolare suoni di senso compiuto? Oppure l'avermi visto svaligiare tutto il primo e secondo piano della biblioteca?» Anche meno col sarcasmo frà. «Potrebbe essere un gran bel punto di inizio, lo sai vero?» Ma dov'è la calma che mi infondevi fino a due giorni fa? Si è deciso a farmi venire un attacco di panico? « Ci hai già pensato al tuo futuro, Otis? A cosa vorresti fare una volta svestiti i panni dello studente?» Mi metto a piangere tra tipo 3 secondi se continuiamo così. Si era schiarito la gola, prima di emettere un risolino colorato da una punta di isteria. Il futuro? Chiedeva del futuro ad uno studente del settimo anno completamente inabile a gestire l'ansia o lo stress? «Sì, sì, lo so, come se non lo so.. He he.. Ci ho pensato, sì... Ma diciamo che ci vuole ancora un po' di tempo...» Cambiò posizione sulla sedia, accavallando le gambe in un senso, poi nell'altro. «Non so, per me non è proprio facile parlare di futuro, adesso. Però mi piacerebbe continuare su questa strada – del giornalismo intendo. Sarebbe bello, credo...» «Mi sono preso la briga di rileggere qualche vecchio numero. Mi è piaciuto molto il tuo articolo sull'elisir del delirio. Scrivi davvero bene e riesci a trovare dei contenuti dall'ambiente che ti sta intorno, coinvolgendo anche i tuoi compagni.» Si era passato una mano tra i capelli, sciogliendosi in una risatina sbuffata. Era l'articolo di cui andava meno fiero, probabilmente, e si era dato addosso infinite volte per quel tipo di contenuti, così leggeri e frivoli. Non era piaciuto praticamente a nessuno, e tutti i suoi coetanei che l'avevano letto l'avevano preso in giro, lui stesso in primis. Eliphas però se ne stava con i suoi occhiali sottili a fargli i complimenti con quel suo tono serio e cordiale, un po' fuori dal mondo. Era così tanto warlock che se non avesse già saputo da dove provenisse il ragazzo l'avrebbe senz'altro dedotto in quel momento. «Non è un talento che hanno tutti.» Otis gli aveva rivolto un sorriso sinceramente grato, prima di arricciare il naso e scuotere la testa come faceva sempre quando sentiva pronunciare quella parola, “talento”. «Sono contento che sarai tu a raccontare la mia comunità. Credo che potresti seriamente fare la differenza nell'abbattere qualche pregiudizio». Mo piango di nuovo. Nessuno gli aveva mai detto una cosa del genere. Il popolo britannico è notoriamente restio nel compiere slanci così sinceri e intenzionali. Ma c'era qualcosa di più: era quell'intensità, quella profondità che rendeva il bibiliotecario un chiaro figlio della sua comunità. In un gesto così semplice come sincerarsi che il Tassorosso sapesse di essere stimato e apprezzato, Otis ci vide il coraggio degli warlock di affondare nelle cose un po' di più degli altri, di afferrarle con le mani, loro che con le mani toccavano il tessuto stesso dell'oscurità, e lo plasmavano e controllavano. Quando cresci senza avere paura della profondità delle cose, delle ombre, riesci a vederle nella loro tridimensionalità, e questo vale per tutto: hai un occhio in più. In presenza di Eliphas, quelle poche volte che gli era capitato di conversarci, Otis si era spesso sentito visto, addirittura quasi trasparente, proprio per quella sua particolare intensità, quella sensazione di essere guardati. Se lo ricordava anche quando si erano incontrati per la prima volta, per discutere del futuro del giornalino: non aveva esitato nel dire la sua opinione sincera e appassionata – così gli era parsa – senza quella paura tipicamente britannica di risultare eccessivo. «Per me significa un sacco, detto da te! Grazie, davvero, spero di essere all'altezza del compito e che riusciremo a smuovere qualcosa, fossimo anche solo un piccolo tassello.» Otis tutta quella serietà, invece, la gestiva a fatica, per cui avrebbe assolutamente tenuto per sé quei pensieri, e magari trovato il modo di inserirli nel suo articolo. Era sempre stato più bravo con le parole stampate che con quelle pronunciate. «Sei un tipo a posto» way to go, champ «anche quando un anno fa cercavamo di rilanciare il giornalino, e tu eri lì, a darci idee, motivazione... Questa cosa è molto figa.» Che proprietà di linguaggio. Fece spallucce, chiaramente totalmente inetto rispetto a Eliphas a elargire complimenti o ammirazione. «È un peccato che non se ne sia fatto più niente.» Un sospiro sonoro, più loquace di mille parole. «Comunque! Shall we?» fece infine, battendo le mani sui tomi impolverati che aveva portato con sé. «Da dove vogliamo partire? Vuoi dirmi prima le tue idee e poi ti dico le mie?»
     
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    « Nel senso che non so se vogliamo impostare la cosa tipo con un sistema di iscrizioni, della serie che chiunque ha interesse si iscrive e chi no si sta a casa, o se invece fare tipo volantinaggio o metterlo sul giornale e attrarre un po' chiunque, anonimamente, si senta di venire. Il rischio – » Annuì, fissando il giovane con interesse mentre si sistemava meglio sulla poltrona. L'indice coperto dal puntale warlock si mosse in un cerchio veloce, attirando sul tavolino pergamena, inchiostro e una piuma che cominciò a trascrivere velocemente tutte le parole di Otis. Persino la magia trovava difficile stargli dietro, vista la parlantina del Tassorosso, tanto che a tratti la penna sembrava incepparsi e lasciare brutte macchie di inchiostro sul rotolo giallognolo. « è che magari possano venire i soliti cazzoni che non hanno niente di meglio da fare che dare fastidio e fare i bigotti. E non vorrei che magari ci finissi di mezzo tu? Non so, dimmi tu, anche se devo dire che non mi sembri un tipo con la pelle troppo sottile! » Ci pensò per qualche istante, ponderando attentamente la situazione mentre annuiva piano tra sé e sé in risposta ai leciti dubbi sollevati da Otis. « Beh.. diciamo che, in linea generale, non possiamo avere la certezza matematica che qualcuno non si presenti in cattiva fede. Cioè, immagino che quello sia un rischio da doversi assumere inevitabilmente. » Fece una breve pausa, pizzicandosi il mento mentre continuava a riflettere. « E sicuramente un sistema di iscrizioni potrebbe essere utile per l'organizzazione materiale dell'evento. Insomma: se si iscrivono quattro gatti non avrebbe senso bloccare l'intera Sala Grande per l'occasione, non trovi? » Stirò un sorriso al pensiero di lui ed Otis seduti su due seggiole davanti allo scranno dei professori, con davanti la sola Pervinca a far loro un entusiastico applauso di incoraggiamento che sarebbe solo tristemente riecheggiato per l'ambiente troppo vasto. « Credo che si possano adottare parzialmente entrambe le linee. Nel senso che per una settimana possiamo distribuire dei volantini e spargere la voce, così che la gente sia al corrente dell'iniziativa. Poi, chiuso il volantinaggio, apriamo le iscrizioni. Magari tramite una scatola in segreteria? Che ne pensi? Così non c'è l'imbarazzo di scrivere il proprio nome su una lista sotto gli occhi di tutti. » L'idea che qualcuno potesse sentirsi in imbarazzo ad aderire ad un incontro riguardante la propria comunità non sembrava turbarlo più di tanto, né metterlo a disagio. Tutti gli warlock erano cresciuti con la consapevolezza della propria posizione rispetto al mondo magico tradizionale, e sebbene gli atteggiamenti a riguardo fossero comunque variegati e personali, ognuno di loro era ben consapevole di ciò che si sarebbe trovato di fronte mettendo piede in quella società. Non era stato un caso, infatti, che tra i tanti demonologi la scelta fosse ricaduta proprio su Eliphas quando si era trattato di nominare qualcuno da mandare in incognito all'interno della scuola di magia. Il giovane Luhng non era solo competente nel proprio mestiere, ma era dotato di una sensibilità e di un'empatia peculiari che lo rendevano la figura più adatta a quel compito. Il modo in cui si rivolgeva ad Otis ne era la prova. Eliphas provava un genuino interesse per gli altri: gli piaceva scoprire vite differenti dalla sua, ascoltare le loro storie, entrarci in contatto, arricchirsi e se possibile anche aiutare. Sin da bambino era stato il tipo che non riusciva a restarsene con le mani in mano quando leggeva un qualche dissidio negli occhi altrui. Sua madre diceva che era nato con la testa di un adulto ed era cresciuto conservando il cuore di un bambino. Gli istruttori, invece, rimanevano sempre sorpresi dalla sua scelta di fare il demonologo: da una persona come lui tutti si aspettavano che sarebbe diventato uno psichico. Per un po' l'ho considerato. Sicuramente è un cammino interessante. Però, riflettendoci, ho capito che ciò che mi interessava di più delle persone era proprio la scoperta - conoscerle piano piano, interpretare, a volte anche sbagliare. Quando le menti e i cuori non hanno più segreti, tutto si appiattisce e la vita diventa noiosa. Era stato dunque naturale per lui interessarsi ad Otis - banalmente perché lo riteneva un ragazzo interessante. Passando tutta la propria giornata in biblioteca, il giovane warlock aveva avuto modo di osservare e studiare la gioventù di Hogwarts in tutte le sue declinazioni. Gli piaceva guardare i loro comportamenti, coglierne le piccole mosse, i piccoli e timidi approcci delle cotte giovanili che finivano per non essere mai confessate, o il modo in cui i ragazzi tentavano in tutte le maniere di omologarsi per far parte del gruppo che sceglievano. Di fronte a sé si svolgeva lo spettacolo di tante personalità in fase di sviluppo, e ai suoi occhi non c'era nulla di più interessante. Tuttavia, dopo un po' di tempo, aveva iniziato a notare pattern simili tra le categorie di soggetti. Quando noti i pattern, però, noti anche gli elementi divergenti. Otis, a modo suo, lo era. Tra la generale noncuranza e il bisogno di apparire cool, il giovane Branwell percorreva la propria strada; non faceva necessariamente cose eclatanti, non alzava la voce né gonfiava il petto per farsi notare, ma in quei suoi atteggiamenti, Eliphas non riusciva a fare a meno di rivedere se stesso adolescente. Anche lui era stato quel tipo di persona: uno che non si faceva notare, anche un po' impacciato, ma comunque desideroso di affermare la propria identità. « Per me significa un sacco, detto da te! Grazie, davvero, spero di essere all'altezza del compito e che riusciremo a smuovere qualcosa, fossimo anche solo un piccolo tassello. » Le labbra del moro si incurvarono in un sorriso sincero, portandolo a chinare lievemente il capo in un cenno di assenso. « Sei un tipo a posto. Anche quando un anno fa cercavamo di rilanciare il giornalino, e tu eri lì, a darci idee, motivazione... Questa cosa è molto figa. È un peccato che non se ne sia fatto più niente. » Già, era un vero peccato. « Sai.. i miei amici mi hanno sempre chiamato l'avvocato delle cause perse. » Sbuffò una piccola risata. Effettivamente, quel soprannome gli calzava a pennello: Eliphas sembrava prendere a cuore tutte le istanze con minori possibilità di successo. « Però non ho mai pensato che il giornalino fosse una causa persa. In tutta onestà.. ci credevo. » Ci credo ancora, a dirla tutta. Chiamami pure sognatore. « Mi sono presentato a quella riunione perché ho sempre ammirato l'impegno.. specialmente quando è guidato da una volontà che supera l'aspettativa del risultato. » L'hai fatto perché ti piaceva e perché lo volevi davvero, perché era qualcosa di tuo che volevi condividere. L'unico rimpianto che ho è che molte persone non lo abbiano compreso.. o forse che non abbiano visto ciò che poteva dare loro. « Comunque! Shall we? Da dove vogliamo partire? Vuoi dirmi prima le tue idee e poi ti dico le mie? » Si schiarì la voce, sistemandosi la giacca mentre si metteva meglio a sedere sulla poltroncina. Estratto un piccolo taccuino dalla tasca del completo, ne sfogliò velocemente le pagine, sistemandosi poi gli occhiali sul ponte del naso una volta arrivato alla pagina desiderata. « Mi sono preso la libertà di buttare giù qualche idea preliminare. Quello che mi veniva in mente. Senza impegno. » Nel dirlo, fece volteggiare la mano a mezz'aria come a sottolineare ulteriormente l'aspetto leggero della questione. « Sicuramente mi piacerebbe lasciare alla
    fine dell'incontro uno spazio per le domande. E su questo punto volevo consultarmi con te. »
    Sollevò lo sguardo dalla carta agli occhi di Otis. « Sappiamo tutti che il momento in cui si chiede se ci sono domande è lo stesso in cui il discorso muore. Molti si vergognano, altri non hanno seguito e dunque non hanno idea di cosa si sia detto, altri ancora non hanno idee interessanti lì su due piedi. Insomma, le solite cose che immagino tu veda tutti i giorni in classe. Quindi pensavo che si potrebbero raccogliere alcune domande prima dell'incontro. Non so le modalità. Forse qualcosa di simile alle iscrizioni. » Scrollò leggermente le spalle prima di specificare. « Certo, lo spazio per fare domande anche lì sul momento lo lascerei, però per non piombare proprio nell'imbarazzo totale non sarebbe male averne alcune già raccolte.. sai.. anche per stimolare un po'. » Magari può aiutare a creare idee, o a mettere le persone sufficientemente a proprio agio da alzare la mano. « Per il resto.. » sospirò, voltando pagina del taccuino e facendo scorrere velocemente le iridi sulle parole annotate. « ..potremmo guidare il discorso con una sorta di botta e risposta?! Non so.. inizialmente avevo pensato allo stile intervista, ma poi ci ho riflettuto e credo che sia inutile e forse un po' pesante. Insomma, se sei semplicemente tu a farmi domande e io a risponderti, tutta questa cosa passa come uno spiegone univoco e perde di senso. » Se il punto era quello di avvicinare le due culture e farle dialogare, era importante che non fosse solo Eliphas a dare la propria visione di quella comunità. « Sarebbe carino impostarlo come un dialogo. Tante domande mi fai tu e tante te ne faccio io. Potrei chiederti quale fosse la tua percezione della comunità warlock prima di entrarci in contatto, come sia cambiata e via dicendo. Il che mi porta alla proposta che volevo farti. » Nel dirlo, chiuse il taccuino, riponendolo nella tasca da cui lo aveva preso e puntando nuovamente gli occhi in quelli del Tassorosso. « Mi farebbe piacere portarti al quartiere warlock di Londra. Vorrei che vedessi il mio mondo con i tuoi occhi. » Era solo giusto che fosse così e, almeno per lui, quella tappa sembrava la più importante. In fin dei conti, Otis conosceva pochi warlock, e quelli che aveva visto, li aveva comunque incontrati all'interno del familiare contesto del mondo magico. « Non allarmarti. » Sorrise, prevedendo le naturali preoccupazioni del ragazzo. « I quartieri warlock rimangono territorio warlock, accessibili solo tramite portale. Si tratta di accordi internazionali di lunga data tra le due comunità. Dunque, pur se si trova a Londra, è.. mh.. come se fosse un altro Stato. Tipo il Vaticano. » Ridacchiò. Beh, forse un po' diverso dal Vaticano, ma il concetto è quello. « Finché siamo al suo interno è sicuro, ma chiaramente i confini esterni sono sotto il totale controllo del Ministero, quindi non possiamo mettere piede su suolo inglese. » Erano stati quelli gli accordi: gli warlock potevano conservare il proprio quartiere a patto che accettassero un cordone di vigilanza auror su tutto il suo perimetro esterno. La gente che viveva lì, chiaramente, non aveva stentato ad accettare. « Se ci stai, mi farebbe piacere farti da guida. Sono certo che la scuola te lo permetterebbe sicuramente. »


     
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    «Beh.. diciamo che, in linea generale, non possiamo avere la certezza matematica che qualcuno non si presenti in cattiva fede. Cioè, immagino che quello sia un rischio da doversi assumere inevitabilmente. [...] Credo che si possano adottare parzialmente entrambe le linee. Magari tramite una scatola in segreteria? Che ne pensi? Così non c'è l'imbarazzo di scrivere il proprio nome su una lista sotto gli occhi di tutti.» «Giusto, giusto. Però almeno se c'è un sistema di iscrizioni che sia pubblico sapremmo i loro nomi, e ai loro comportamenti discriminatori seguirebbero delle conseguenze.» Tamburellò la matita sul mento, facendola oscillare tra indice e pollice. «Ma non so se la politica scolastica prevedrebbe qualcosa del genere. E comunque il sistema di punizioni funziona per Casate, raramente per individuo... Magari sarebbe la volta buona che quei rimbecilliti dei Serpeverde possano imparare il significato della parola ripercussioni Da dove proveniva tutto quel livore? Forse da anni e anni di tormento da parte di alcuni studenti più grandi, ormai finalmente diplomati, della Casata verde-argento? Niente di personale, chiaramente. «Ma a tal proposito, volevo capire un po' come si è posta la scuola in termini di politiche di inclusione e tutela contro le discriminazioni. È stato fatto un comitato? Eletto un referente scolastico?» Si sporse sulla scrivania già assolutamente devastata dalla quantità di scartoffie riversate sulla superficie. «Questa potrebbe essere una questione importante su cui interrogarsi e da sollevare. Sono già avvenuti episodi di questo tipo, a te o qualcuno che conosci? E – qualora ci fossero state – ci sono state...» leccò la punta della matita, che piuttosto avrebbe avuto bisogno di essere temperata. Rimediò calcando vigorosamente sulla pergamena. «ri-per-cus-sio-ni a-de-gua-te... Che dici? Ci sta?» Inclinò la testa, incerto. Non sapeva quanto Eliphas sarebbe stato disposto a esporsi, durante quell'incontro. Tipicamente era un individuo amichevole, sicuramente approcciabile, affabile e piacevole, ma raramente aveva avuto conversazioni col bibliotecario scolastico che potessero definirsi effettivamente “da amici”; non sapeva molto della sua vita, praticamente niente, e a dire la verità Otis sapeva di voci di corridoio che giravano sul suo conto. Niente di troppo cattivo, perché il giovane warlock riusciva a farsi voler bene da tutti, ma si sa che gli ambienti scolastici siano quello che sono, e cioè un covo di pettegolezzi e gossip su chiunque non rientrasse perfettamente nella matrice. Così, la natura immutabile di Eliphas e il ruolo da lui ricoperto all'interno della scuola gli fornivano un alone di mistero, spesso colmato da storie completamente inventate. C'era chi era convinto che fosse metà warlock metà vampiro. Altri dicevano che in realtà dovesse avere tipo 100 anni ma grazie alla magia oscura della loggia nera riusciva a mantenersi giovane per sempre. Erano idee buffe, per quanto assolutamente idiote, e almeno non erano cattive. Però c'era una parte di lui che si chiedeva se Eliphas si sentisse ancora un outsider, tra le mura del castello, e se quello non fosse un dato di fatto inevitabile, così come era stato per i lycan in un primo periodo. Esitò nel proporgli una domanda nel genere, però, e si passò la lingua sulle labbra, ascoltando piuttosto le sue parole. «Sai.. i miei amici mi hanno sempre chiamato l'avvocato delle cause perse Otis avvampò a sentire quelle parole, mordicchiandosi le labbra mentre il ragazzo ridacchiava. È questo la nostra redazione? «Però non ho mai pensato che il giornalino fosse una causa persa. In tutta onestà.. ci credevo. Mi sono presentato a quella riunione perché ho sempre ammirato l'impegno.. specialmente quando è guidato da una volontà che supera l'aspettativa del risultato.» Cambiò posizione sulla sedia, il Tassorosso, qualcosa delle parole del bibliotecario che ferivano un po' il suo orgoglio, ma cercò di dissimularlo come potè, buttando l'occhio con distrazione sugli appunti che teneva in mano e inclinando la testa. «Ah ah... Eh... Già... Va be', sì, è una realtà molto amatoriale, diciamo... Però non so se direi proprio che non ci aspettiamo risultati...» Si grattò la guancia, prima di continuare a evitare lo sguardo del bibliotecario puntandolo piuttosto su righe di scarabocchi. «Cioè la voglia di fare c'è sicuramente... Però dei risultati li abbiamo avuti... A modo nostro diciamo...» Era un tasto dolente, quello, il progetto di cui andava più fiero, verso il quale si sentiva stranamente paterno e anche piuttosto difensivo – perché in fondo temeva di star sprecando del potenziale; anzi, ne era assolutamente certo. Questo però non rendeva più facile sentirselo dire dagli altri, che lasciavano spesso trasparire una nota di rammarico quando si toccava l'argomento, o al contrario sottovalutavano ciò che la redazione avrebbe potuto essere in un modo anche piuttosto legittimo, visto che poi, di fatto, non lo era, ma che Otis non riusciva ad accettare. «C'è ancora tempo, comunque! Tempo e modo! È un peccato sicuramente ma non è che è finita qua!! È solo che ci vogliono più adesioni, più fondi, ecco tutto... C'è tutto ciò che serve. È fuori dalle mie mani» Si schiarì la gola quando la voce gli si spezzò, su quest'ultima frase.

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    «Sarebbe carino impostarlo come un dialogo. Tante domande mi fai tu e tante te ne faccio io. Potrei chiederti quale fosse la tua percezione della comunità warlock prima di entrarci in contatto, come sia cambiata e via dicendo.» Annuì, corrugando la fronte. «Mi sembra ottimo, sì! Poi io farei degli accenni proprio storici, una serie di nozioni, tipo con una linea del tempo... E anche qualcosa sulle vostre gerarchie interne... La struttura politico-organizzativa delle congreghe... C'è tantissimo da raccontare...» «Il che mi porta alla proposta che volevo farti.» Otis si dondolava sulla sedia in precario equilibrio, la matita ancora arpionata tra le dita fatta roteare tra le dita di tutta la mano, un trucchetto che aveva appreso dopo svariati tentativi fallimentari e che trovava gli desse un'aria decisamente fica. «Mi farebbe piacere portarti al quartiere warlock di Londra. Vorrei che vedessi il mio mondo con i tuoi occhi.» «EH?» Non gli ci vollero più di tre secondi prima di trovarsi col culo a terra. Il tono di voce calmo e rilassato del bibliotecario non si addiceva alla portata dell'importanza di quell'invito. «Non allarmarti» «Aspetta, Eliphas, io non credo proprio di essere la persona più adatta, per altro c'è la questione della segregazione, non posso lasciare i territori di Inver– «I quartieri warlock rimangono territorio warlock, accessibili solo tramite portale. Si tratta di accordi internazionali di lunga data tra le due comunità. Dunque, pur se si trova a Londra, è.. mh.. come se fosse un altro Stato. Tipo il Vaticano. Finché siamo al suo interno è sicuro, ma chiaramente i confini esterni sono sotto il totale controllo del Ministero, quindi non possiamo mettere piede su suolo inglese.» Scosse la testa, tirandosi finalmente su dopo essere rimasto a terra in una posa decisamente drammatica, gli occhi sbarrati e le labbra appena schiuse. «Ma in qualità di cosa andrei? Sono solo uno studente qualunque di Hogwarts, Eliphas, non ho proprio alcun titolo o autorevolezza per venire a ficcare il naso in una comunità come quella warlock... Non sono nessuno, questo penserebbero!» Adesso stava camminando su e giù per la stanza, continuando a fare segno di no con la testa. «Ma poi non so abbastanza delle congreghe per sapere come comportarmi, quale sia l'etichetta, sembrerò uno di quei maghi imperialisti che vengono a casa vostra e vogliono fare i cavoli loro, un maghetto della Gran Bretagna figlio di Inverness che non rispetta la cultura!!» Fece un respiro profondo, rendendosi conto di star correndo un po' troppo con la testa, ma consapevole che ormai la spirale era partita e lui ci era finito dentro. «Merlino... Ma sei sicuro? Sicuro sicuro? Proprio io?» Si voltò, rivolgendo la domanda sincera al ragazzo che doveva essere molto confuso da una reazione del genere. «Non sono neanche bravo con le lezioni di demonologia... Anzi, si può dire che io sia una pippa Eliphas...» Ennesimo sospiro. «Ma giusto così... Giusto per intenderci un attimo... Tu quando pensavi di fare questa... Chiamiamola “gita”, ecco.» Fece, appena più ammorbidito, mimando le virgolette con le dita.
     
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    « Ma a tal proposito, volevo capire un po' come si è posta la scuola in termini di politiche di inclusione e tutela contro le discriminazioni. È stato fatto un comitato? Eletto un referente scolastico? » Si ritrovò a riflettere per qualche istante su quella domanda, cercando di fare mente locale di tutte le riunioni dello staff accademico a cui aveva partecipato a partire dalla presa di Hogwarts e sino a quel momento. Ricordava che si fosse parlato di quella problematica e del fatto che le misure a riguardo dovessero finalmente iniziare ad essere applicate sul serio, senza continuare l'annosa tradizione del nascondere lo sporco sotto al tappeto oppure minimizzare certe cose con un semplice "sono ragazzi". Tuttavia non ricordava di alcuna misura specifica a riguardo. « Mh.. non che mi sovvenga al momento. Si è parlato di essere più severi riguardo le punizioni degli atti discriminatori, e alcuni avevano tirato in ballo delle idee riguardo metodi di prevenzione educativi. Di comitati o referenti, però, non si è parlato. Ma forse, ora che mi ci fai pensare, sarebbe utile avere qualcuno che si occupi di questo nello specifico e tenga d'occhio la situazione più da vicino. » In fin dei conti ad Eliphas era stato inculcato sin da piccolo quanto diviso e discriminatorio fosse il mondo magico al di fuori della comunità warlock. Già da prima di addentrarvisi aveva nozione di quanto le differenze tra razze fossero problematiche in quella società, in cui ancora si sentivano gli echi di un'ideologia improntata sulla supremazia del sangue puro. Dall'esterno, Eliphas non aveva mai veramente capito il motivo di quell'astio, in primo luogo perché la comunità in cui era nato era talmente mista e dedita alla mobilità che qualunque cosa di quel tipo sarebbe stata impensabile se non addirittura un controsenso. « Questa potrebbe essere una questione importante su cui interrogarsi e da sollevare. Sono già avvenuti episodi di questo tipo, a te o qualcuno che conosci? E – qualora ci fossero state – ci sono state... ri-per-cus-sio-ni a-de-gua-te... Che dici? Ci sta? » Annuì con convinzione. « Ci sta. » rimarcò, prima di stringersi appena nelle spalle con un sorriso sereno. « Beh diciamo che sono in pochi quelli che hanno la faccia di dare apertamente voce ai loro pregiudizi. Per lo più chi lo faceva se ne è ormai andato. Gli altri.. beh, in tutta onestà non posso dire che siano tutti così tolleranti, ma nascondono meglio questi atteggiamenti oppure lo dimostrano con la paura - sai.. stando a distanza, rimanendo chiusi alla possibilità di entrare in contatto. » Sospirò, scrollando poi leggermente le spalle come se nulla fosse. Per Eliphas era quello il problema più quotidiano: sentirsi continuamente ai margini. Il giovane warlock era per sua natura un tipo curioso e socievole; gli piaceva conoscere le persone ed era cresciuto con un forte attaccamento all'idea di comunità. Lì ad Hogwarts, tuttavia, non poteva negare di sentirsi solo. Cercava di non farle pesare a nessuno, di non parlarne troppo per paura di diventare ancora più inviso con atteggiamenti vittimisti, e in linea generale tendeva sempre a dare la responsabilità a se stesso. Eliphas riusciva a trovare mille scuse al prossimo, a farsi così flessibile e permissivo da appiattirsi quasi in un angolino e farsi piccolo piccolo pur di non dare fastidio a nessuno con la propria presenza. Inconsciamente credeva che in questa maniera, rendendosi più innocuo agli occhi altrui, questi lo avrebbero un giorno finalmente accettato. E allora perché, nonostante tutto ciò, i risultati ancora non si vedevano?
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    Forse anche per questa ragione aveva proposto ad Otis di visitare il quartiere warlock. In fondo al cuore, da qualche parte, sapeva che se solo quella gente avesse avuto modo di vedere chi erano veramente, le cose sarebbero cambiate. Forse è un lancio lungo, forse mi sto illudendo e le nostre realtà sono davvero troppo distanti e incompatibili per poter costruire questi fantomatici ponti di cui si parla. Però c'è così tanta bellezza nella diversità. E ad Eliphas, sotto sotto, un po' mancava anche casa propria. Gli mancava sentirsi nel proprio elemento, non doversi muovere come un funambolo tra oggetti di cristallo. Otis, poi, non sembrava nutrire la stessa avversione che si leggeva chiaramente negli occhi di tanti altri suoi coetanei. Magari i compagni non gli daranno ascolto comunque, ma di certo sono più disposti a sentire lui che me - questo è un dato oggettivo. « Ma in qualità di cosa andrei? Sono solo uno studente qualunque di Hogwarts, Eliphas, non ho proprio alcun titolo o autorevolezza per venire a ficcare il naso in una comunità come quella warlock... Non sono nessuno, questo penserebbero! » Inclinò la testa di lato, aggrottando leggermente la fronte con aria un po' confusa. « Beh.. non è che tu debba avere qualche credenziale per farci visita. O quantomeno nessuno te ne verrebbe a chiedere, ecco. » « Ma poi non so abbastanza delle congreghe per sapere come comportarmi, quale sia l'etichetta, sembrerò uno di quei maghi imperialisti che vengono a casa vostra e vogliono fare i cavoli loro, un maghetto della Gran Bretagna figlio di Inverness che non rispetta la cultura!! » Ok, sta iperventilando. Forse gli ho chiesto troppo e troppo presto. Eppure c'era qualcosa di genuinamente carino nella preoccupazione di Otis, che si faceva mille problemi riguardo il modo in cui sarebbe potuto apparire agli occhi degli warlock. Questo sembrò portare un piccolo sorriso sulle labbra del giovane bibliotecario. « Otis, respira. Calmati. Nessuno penserebbe nulla di tutto ciò. E già il fatto che ti preoccupi così tanto di rispettare la cultura mi fa avere fiducia nel fatto che sarai un visitatore impeccabile. » Fece una piccola pausa, muovendo la mano in un cenno sbrigativo. « E poi non hai nulla di cui preoccuparti. Le nostre norme culturali non sono poi così rigide, quindi al massimo ti prenderebbero solo un po' in giro per essere tutto d'un pezzo. » Ma in fin dei conti, anche Eliphas era sempre stato preso in giro per la stessa ragione. « Merlino... Ma sei sicuro? Sicuro sicuro? Proprio io? Non sono neanche bravo con le lezioni di demonologia... Anzi, si può dire che io sia una pippa Eliphas... Ma giusto così... Giusto per intenderci un attimo... Tu quando pensavi di fare questa... Chiamiamola “gita”, ecco. » Sorrise sereno, sollevando veloce le spalle mentre lo guardava come se stessero parlando di farsi una passeggiata in cortile. « Oh beh, quando vuoi. Io il permesso posso fartelo ottenere anche nel giro di un'ora, ma non so se hai bisogno di più tempo per prepararti psicologicamente. » E a giudicare dal colorito del Tassorosso, avrebbe detto che fosse proprio quello il caso. Così, tirando un piccolo sospiro, si alzò in piedi, lisciandosi il completo scuro sulle gambe lunghe. Raggiunse Otis con un paio di falcate, fermandosi di fronte a lui, abbastanza vicino da poterlo guardar bene in volto ma comunque a distanza sufficiente da lasciargli spazio personale e non farlo sentire come se gli stesse tendendo un'imboscata psicologica. « Otis, davvero, mi fido di te. Se ti avessi creduto uno sprovveduto non avrei mai proposto una cosa del genere. So bene chi sto portando alla porta di casa mia, e so anche che non me ne pentirò. » Fece una breve pausa, dandogli tempo di digerire quella parte del discorso per passare alla seconda, più complessa. « Però sono anche consapevole del fatto che delle difficoltà ci siano. Non è colpa tua né mia se i nostri mondi sono stati tenuti a lungo così distanti e trovo che sia solo naturale provare una forma di panico all'idea di affacciarsi a qualcosa di così nuovo e diverso, qualcosa di cui non si sa nulla. » A quel punto sorrise, gentile, allungando una mano per poggiarla sulla spalla del ragazzo, strizzandola leggermente. « Per questo ci sono io. Non hai le spalle scoperte. Sarò il tuo Virgilio. » Il sorriso del moro si fece pian piano più divertito e la sua presa sulla spalla di Otis si allentò, sfociando in una piccola pacca. « Se mi prometti di non dare troppa fiducia ai goblin e di non accettare bevande strane dagli sconosciuti, ti prometto che sarà una gita molto divertente. Strana, forse, ma divertente. » Una piccola risatina sfuggì dalle labbra del bibliotecario, che fece scivolare le mani nelle tasche del completo, sporgendosi leggermente in avanti per rivolgere al ragazzo un occhiolino complice. « E poi, sai.. ho come la sensazione che le ragazze warlock potrebbero trovarti molto affascinante. Ti avviso: sono piuttosto esuberanti rispetto alle tue compagne. » Un tipo come te, così riservato e a modo, farebbe sicuramente furore.


     
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    «Di comitati o referenti, però, non si è parlato. Ma forse, ora che mi ci fai pensare, sarebbe utile avere qualcuno che si occupi di questo nello specifico e tenga d'occhio la situazione più da vicino.» A Otis, quel fatto, parve molto strano. Le politiche scolastiche erano state adattate in modo più o meno efficace alla ristrutturazione sociale e demografica del corpo studenti e insegnanti del Castello, con iniziative come quella a cui si stavano dedicando loro due, organizzazioni di assemblee e comizi a scopo informativo – ma molto era stato dato da un processo di selezione naturale, per così dire, che aveva portato le persone più contrarie all'ingresso nella scuola di moduli e studenti provenienti da realtà distanti a quella magica convenzionale a espatriare in massa. In lui era sicuramente presente la sensazione che chi avesse deciso di rimanere potesse contare, di base, su vedute più ampie e progressiste rispetto alle persone che avevano preferito scappare di fronte al cambiamento. Eppure si rendeva conto di come la causa dei Ribelli, l'occupazione della scuola, la modalità scelta, ancora una volta, potessero aver dato un'impressione sbagliata, aver sporcato un po' l'intento dell'azione. O forse ancora – si era a lungo interrogato – non l'avevano affatto rovinata, ma piuttosto avevano rivelato un aspetto intrinseco nel concetto stesso di ribellione, di reazione, che non può essere silente, negoziata, diplomatica, ma che per definizione richiede irruenza e talvolta addirittura violenza. Le mani ancora gli prudevano per la voglia che aveva di poter tradurre quei suoi pensieri in parole scritte, e in quel momento si domandò per la prima volta se il silenzio del giornalino non fosse nocivo soltanto all'ego della redazione e dei membri che ne avevano fatto parte, ma all'intera cultura scolastica. Sapeva che nessuno volesse sentirsi dire cosa pensare, ma allo stesso tempo se qualcuno fosse stato capace di documentare, trascrivere, ma anche verbalizzare e in tal modo semplificare ciò che gli studenti stavano vivendo e come stavano processando questi accadimenti, forse allora organi essenziali come referenti per l'inclusione scolastica sarebbero stati considerati utili e necessari come adesso lui ed Eliphas si stavano rendendo conto che fossero. Forse c'era una funzione, oltre che un desiderio, che poteva muoverlo. O forse era troppo tardi. Anzi, sicuramente era troppo tardi. «[...] stando a distanza, rimanendo chiusi alla possibilità di entrare in contatto.» Rifletté, evidentemente dibattendo mentalmente tra la curiosità crescente, che lo caratterizzava, e la paura di essere indelicato. Si accostò un po' con la sedia al bibliotecario, quindi, la fronte corrugata. «Ma... Posso farti una domanda un po', diciamo, politicamente scorretta?» Si grattò il mento, cercando nell'espressione del suo interlocutore un segnale che gli lasciasse intendere di poter procedere, ma anche quella buona porzione di non verbale che, pur risultando in una risposta positiva, fa capire di andarci piano. Eliphas era stato praticamente un libro aperto, nei suoi confronti, su tutto fuorché su questioni personali, e pur rimanendo un tipo fondamentalmente inevitabilmente misterioso, Otis sentiva di potersi spingere un po' oltre – ma non avevano alcuna confidenza. Erano amici? Era così che l'avrebbe descritto lui? Come concepiva l'amicizia? «Cos'è che la gente crede di voi?» Scandì piano, prima di mordersi le labbra, pensieroso. «Cioè, non voglio sembrare retorico, so quali sono gli stereotipi, ma... Forse la mia domanda è: quanto c'è di vero?» Poteva parlarne? La proposta di Eliphas di invitarlo a vedere con i suoi occhi, poco dopo, gli parve un modo per rispondergli dicendogli proprio questo: vieni a farti un'idea tu stesso. A dirla tutta, non poteva negare che un po' di quella paura fosse generata, anche solo in minima parte, dal fatto che quei pregiudizi lui ce li avesse nella testa, e per quanto razionalmente sapesse che fossero sbagliati e non avesse nessun timore adesso a starsene lì, di fronte ad un demonologo che Merlino solo sapeva che cosa avesse visto nel corso della sua vita, era tutt'altra storia fare visita ad un'intera congrega di warlock. Otis non aveva mai imparato a praticare la propria legilimanzia, un po' per pigrizia, un po' perché la vedeva come qualcosa di troppo pericoloso, addirittura anormale, e stava per mettere piede in un covo di psichici, demonologi ed elementali che erano la definizione di anormale. «Otis, respira. Calmati. Nessuno penserebbe nulla di tutto ciò. E già il fatto che ti preoccupi così tanto di rispettare la cultura mi fa avere fiducia nel fatto che sarai un visitatore impeccabile.» MA SE MI LEGGONO NELLA TESTA E VEDONO CHE PENSO COSE BRUTTE??? «E poi non hai nulla di cui preoccuparti. Le nostre norme culturali non sono poi così rigide, quindi al massimo ti prenderebbero solo un po' in giro per essere tutto d'un pezzo.» Si passò una mano sul volto, ancora non del tutto convinto, ma in fondo sapendo che rifiutare quell'opportunità sarebbe stato un rimpianto per il resto della sua vita. Se solo l'avesse saputo Émile, sarebbe sbattuto a terra pietrificato di paura. Ma lui non era come lui, giusto? Lui non si lasciava rinchiudere in quelle gabbie mentali e giudcanti, non guardava il mondo da un piedistallo: voleva conoscerlo. «Oh beh, quando vuoi. Io il permesso posso fartelo ottenere anche nel giro di un'ora, ma non so se hai bisogno di più tempo per prepararti psicologicamente.» «UN-UN'ORA?!» Ci risiamo.
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    Eliphas gli si fece più vicino senza che il ragazzo se ne rendesse conto, così che quando aprì gli occhi si ritrovò il viso del bibliotecario a qualche centimetro di distanza; non potè che sgranare un poco gli occhi, distratto e catturato dalla sua innegabile bellezza, che mai prima di allora aveva notato. D'istinto deglutì un po' più forte, e mantenne lo sguardo come ipnotizzato da quel volto rassicurante. «Otis, davvero, mi fido di te.» E ci credette davvero, per qualche motivo. «Se ti avessi creduto uno sprovveduto non avrei mai proposto una cosa del genere. So bene chi sto portando alla porta di casa mia, e so anche che non me ne pentirò.» Woah, quando la metti giù così... «Però sono anche consapevole del fatto che delle difficoltà ci siano. Non è colpa tua né mia se i nostri mondi sono stati tenuti a lungo così distanti e trovo che sia solo naturale provare una forma di panico all'idea di affacciarsi a qualcosa di così nuovo e diverso, qualcosa di cui non si sa nulla. Per questo ci sono io. Non hai le spalle scoperte. Sarò il tuo Virgilio.» Un po' inebetito e scioccato, si accasciò appena sotto la stretta di Eliphas alla spalla. «Se mi prometti di non dare troppa fiducia ai goblin e di non accettare bevande strane dagli sconosciuti, ti prometto che sarà una gita molto divertente. Strana, forse, ma divertente.» Ma come faceva ad essere così convincente, persuasivo, e straordinariamente calmante? Si insegna meditazione, nelle congreghe warlock? «Per me sarebbe veramente un onore.» Disse alla fine di una breve riflessione, serio, annuendo mentre parlava. «Scusa se sono un po' impazzito ma non mi fraintendere: verrei molto volentieri.» Ma cosa avrebbe detto a sua madre, per esempio? Ora che l'ansia sociale e la sindrome dell'impostore cominciavano a scemare, a Otis tornò in mente quella sera di gennaio, un anno prima, in cui Pervinca aveva convocato lui e i suoi fratelli per discutere del loro futuro. Ricordò quella conversazione fumosa, quel detto e non detto, la confusione e l'incertezza: «Quello che c'è stato è ormai sicuro che ritornerà», aveva detto loro. Quelle parole lo avevano tormentato, e adesso, d'improvviso, sentì che forse era quello l'ultimo tassello a preoccuparlo. Stava per fare qualcosa di pericoloso? Sentiva di potersi fidare di Eliphas e della sua comunità, e del fatto che non l'avrebbe mai esposto al pericolo, ma in fondo gli warlock non derivavano il proprio potere proprio dalla stessa fonte di tutte le persecuzioni e gli orribili eventi che si erano susseguiti negli ultimi anni impattando la vita della sua gente e anche di tutti gli altri? Sì, certo che sì, per questo è così importante che tu vada. «Prima di andare, però, devo farti delle altre domande. Non so se potrai rispondermi, però...» Del resto sua madre si era sempre strenuamente rifiutata di farlo, di parlare chiaro, di fargli capire. «Se non puoi lo capisco e mi fido lo stesso, e se vorrai che certe cose le capisca da me, vedendole, capirò anche quello.» Fece, se possibile ancora più serio, le labbra strette e lo sguardo molto più cupo rispetto a prima. «I warlock sono responsabili di ciò che è accaduto per opera della Loggia Nera alla mia comunità?» scandì alla fine, la testa bassa sulle mani, le dita impegnate ad annodarsi un elastico attorno al pollice in modo da stringere sempre di più. Se pure la risposta fosse stata positiva, quel poco che sapeva delle logge gli permetteva di capire che non ne esistessero di buone o cattive, ma che fosse importante farle coesistere; qualunque cosa fosse accaduta, di chiunque fosse stata la responsabilità, Otis voleva credere che ci fosse sempre stata, alla base, una giusta motivazione, e forse Eliphas poteva spiegargliela. La domanda che aveva rivolto non gli sembrava neanche sfiorare la superficie delle questioni che lo preoccupavano ma che aveva sempre messo da parte. «Posso non sapere certe cose, prima di venire, ma vorrei almeno capire come funziona, e perché
     
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    « Per me sarebbe veramente un onore. Scusa se sono un po' impazzito ma non mi fraintendere: verrei molto volentieri. » Rise, affabile, annuendo in un cenno convinto come a fargli capire che da parte sua non c'era stato alcun fraintendimento sulla questione. Trovava solo normale che una proposta del genere potesse averlo preso un po' in contropiede e che, naturalmente, creasse un po' di tensione. In fin dei conti gli warlock avevano una certa nomea - in parte, a detta sua, meritata - ed Eliphas era il primo ad ammettere quanto bizzarri potessero apparire agli occhi di chi non era avvezzo ai loro costumi. Durante la sera della presa di Hogwarts, ad esempio, il giovane demonologo aveva provato in tutti i modi a frenare i propri compagni dalle loro solite manifestazioni - un tentativo che, tuttavia, aveva avuto scarsi risultati ed era finito per lo più in un buco nell'acqua. « Prima di andare, però, devo farti delle altre domande. Non so se potrai rispondermi, però... Se non puoi lo capisco e mi fido lo stesso, e se vorrai che certe cose le capisca da me, vedendole, capirò anche quello. » « Puoi farmi tutte le domande che vuoi, Otis, davvero.. non devi farti alcun problema a riguardo. » Rispose in maniera serena, consapevole del fatto che quella distanza tra le loro comunità potesse creare ben più di un punto interrogativo nella testa del ragazzo. Ed Eliphas stava lì per quello: per rispondere come poteva, cercando il più possibile di dare un senso a ciò che poteva apparire forse incomprensibile o troppo oscuro per essere indagato. « I warlock sono responsabili di ciò che è accaduto per opera della Loggia Nera alla mia comunità? » Quella domanda tra tutte, Eliphas non se l'aspettava. Forse era stata una sua leggerezza, o forse non c'era modo di non esserne colpiti in una qualche misura, ma una parte di lui sentì comunque una forma di malessere e disagio. Coscientemente sapeva che Otis non stesse accusando né lui né gli altri di nulla, eppure, a livello emotivo, era difficile non sentirsi almeno un po' come se si fosse appena stati messi sul banco degli imputati. Quel sospetto, Eliphas lo percepiva tutti i giorni, anche solo dagli sguardi silenziosi di chi con le labbra mormorava un semplice grazie quando lui gli allungava un tomo sul bancone della biblioteca. Il pregiudizio c'era, inevitabile e innegabile. La sensazione di doversi giustificare per qualcosa di cui non era responsabile era onnipresente, anche se latente. Di norma vige lo status di "innocente fino a prova contraria", eppure nel nostro caso è diverso. Nessuno lo dice, ma lo percepisci lo stesso. Senti comunque che ai loro occhi, anche se in maniera del tutto inconsapevole, l'innocenza è qualcosa che tocca a te dimostrare. « Posso non sapere certe cose, prima di venire, ma vorrei almeno capire come funziona, e perché. » Inspirò, stirò le labbra in un sorriso che sembrava richiamare a sé tutta la cordialità e la razionalità necessarie ad affrontare quella domanda. Non voleva prenderla sul personale, né voleva leggerla come un'offesa o una spinta a giustificarsi, ma era indubbio che si sentisse almeno un po' in quella posizione. « La nostra comunità non è molto diversa da tutte le altre. Ci stanno brave persone, e
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    ci stanno cattive persone. Se dovessi risponderti in breve: no, gli warlock non sono responsabili di ciò che è accaduto.. non in quanto warlock o comunità al completo, quanto meno. Ma anche noi abbiamo le nostre pecore nere. »
    Persone che forse non sono intrinsecamente maligne, che non sono nate cattive, ma che hanno i propri lati oscuri. « La sete di potere, l'ambizione, l'avidità, la tracotanza.. queste sono tutte cose umane, e gli warlock non ne sono immuni. C'è chi tra i nostri ne è caduto preda, vedendo nelle forze della Loggia Nera una via semplice e veloce per superare quei limiti che ogni mago dovrebbe rispettare. Queste persone non sono né più né meno responsabili di ciò che è accaduto di quanto non lo siano i maghi tradizionali che sono stati mossi dagli stessi scopi. » Sospirò, stringendosi nelle spalle. « Ed è questo il vero problema: non la Loggia, ma gli uomini che credono di potersi mettere al di sopra dei propri pari. » Agli occhi di Eliphas, era quello il nemico comune di tutti. Dividersi in comunità nemiche, guardarsi con sospetto, farsi la guerra a vicenda, uccidersi e separarsi non portava a nulla se non alla distruzione della società umana. « Questo punto è fondamentale per capire chi siamo come comunità. Perché le Logge ci saranno sempre. Bianca, Nera.. non importa, sono indispensabili. Entrambe devono esistere per mantenere l'equilibrio. La Loggia Nera non è intrinsecamente maligna così come la Bianca non è espressione assoluta del Bene. Sono due entità complementari e co-dipendenti, che tuttavia è necessario mantenere ad una certa distanza per non turbare l'equilibrio. » Un discorso piuttosto complesso, quello, che Eliphas non si sentiva di sviscerare in ogni minuzia. In fin dei conti Otis non gli aveva chiesto né una lezione di cosmologia, né una di filosofia, ma il giovane warlock contava sul fatto che il Tassorosso fosse abbastanza sveglio da comprendere a grandi linee il pensiero generale. Concetti del genere, come lo yin e lo yang, d'altronde, erano presenti in più di una filosofia e religione, dunque dubitava che fossero completamente estranei al ragazzo. « La magia - o meglio, la fonte della magia - non è né buona né cattiva. È lo scopo con cui la usi a determinare chi sei. Noi usiamo magia nera, è quella la fonte a cui attingiamo. » Con i suoi pro e i suoi contro. Perché la magia nera, per sua costituzione, consuma più di quanto nutre, non asseconda la natura ma la contrasta e la piega. « Essere un demonologo, ad esempio, mi permette di comunicare con delle forze che altrimenti non potremmo controllare. Mi permette di confinarle o di tenerle fuori dallo spazio che voglio proteggere. Ma può permettermi anche di sfruttarle a mio favore. Io, nel mio piccolo, l'ho sempre fatto per proteggere gli altri. È questo il nostro codice. È questo il giuramento che ho fatto insieme ai miei compagni. » Deglutì, mentre quelle parole riportavano alla mente tutti i ricordi infelici che Eliphas tendeva a tacere e nascondere. Proteggere.. sì, quella era sempre stata la sua vocazione, quella era la ragione per cui aveva intrapreso la strada della demonologia. La persona che amava, però, non era riuscito a proteggerla. « Tutti noi abbiamo perso qualcosa.. qualcuno. È l'insegnamento che dobbiamo trarne: che non importa quanto vicini possiamo crederci a queste realtà, quanto possiamo illuderci di conoscerle o saperle gestire.. siamo tutti umani, e loro saranno sempre più potenti di noi. Dunque, quando entrerai nel quartiere, ricordati di questo: troverai persone che hanno speso le loro intere vite a conoscere e cercare di controllare qualcosa che li ha distrutti, e che vengono viste dall'opinione pubblica come i maggiori sostenitori della stessa. Non siamo vittime, né vogliamo essere trattati come tali, ma abbiamo perso la vostra stessa guerra. » Stirò le labbra in un sorriso un po' amareggiato, trasportato dai ricordi di quelle ferite che forse non si sarebbero mai rimarginate del tutto. « Mi rendo conto che sia un po' complesso spiegare chi siamo. Però se hai domande specifiche, io sto qui per questo. »

     
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