come se fossi stato tu ad aver scelto me

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    familiarity breeds contempt
    don't put me in the basement
    when I want the penthouse of your heart


    48 ore prima

    « Che stronza, però. Non ce la fa proprio a essere simpatica. » Alena sbuffò, rivolgendo un sorriso riconoscente verso Chantal. Era ormai un rito praticamente consolidato, il loro: alla fine della quarta ora del mercoledì, conclusa la lezione di Volo, le due amiche si riunivano per dirne di peste e corna sulla Stone. Le lezioni erano troppo faticose per i loro gusti, e l'insegnante non sapeva farsi amare. Alena in particolare soffriva quelle ore: comprendeva di essere la peggiore del suo anno sul manico di scopa, e perciò si sentiva inadeguata e goffa. Per una ragazzina come lei, che eccelleva in ogni materia, il Volo era un fastidioso puntino che stonava sulla pagella. « Lasciamo stare, guarda... Mi fa sentire veramente un'incapace. » Lei ci provava: volta dopo volta, si metteva a cavallo della propria scopa e svolazzava in giro dietro ai suoi compagni, ma perdeva sempre la traiettoria, si confondeva... Era un vero disastro. Avrebbe voluto essere come Chantal, riderci su e fregarsene, ma non riusciva a non avvertire il peso di quel fallimento. In quei momenti avrebbe voluto sotterrarsi, perché le sembrava di avere tutti gli occhi puntati addosso, ed ogni risata pareva essere rivolta a lei.
    Fortunatamente, esisteva qualcuno capace di apprezzarla anche dopo quelle lezioni infernali, nonostante tutto; e questa persona si chiamava Cornelius Thorne. Individuò la sua figura di spalle, da lontano, ed accelerò il passo. Quando gli fu vicino, si premurò di urtare la sua spalla con la propria "per caso". « Ops, scusami. » Rivolse al ragazzo un sorriso adorabile dei propri. E adesso comincia la magia.
    Cornelius rappresentava per Alena ciò che ogni quindicenne insicura ed ego-riferita sognava: un pretendente. Era un ragazzino un po' sfigatello, magrolino, carino in viso ma comunque « troppo nerd per una come me, io ho bisogno di uno figo, e poi lui non sa nemmeno giocare a Quidditch. » Da che pulpito. Comunque, poco importava che Alena non ricambiasse, Cornelius era un pezzo importante della sua sopravvivenza all'interno della scuola. Nel mezzo della brutale giungla adolescenziale, le continue attenzioni del Corvonero erano una manna dal cielo, e lei si premurava di alimentarle a dovere: come per una pianta che esige di essere innaffiata ogni giorno, Alena aveva cura quotidiana della cotta di Cornelius per lei, concedendo di sé quel poco che bastasse per mantenere vivo quel piccolo fuocherello, tra sguardi sfuggenti, mani che si sfioravano casualmente e sorrisini teneri. Lo utilizzava come una specie di confidence boost quando ne aveva bisogno. Le sue occhiate languide a lezione, dall'altra parte dell'aula, la rinvigorivano, il fatto che il moro arrossisse ogni volta che incrociava il suo sguardo la mandava in fibrillazione.
    Ecco perché, quella mattina, quando alle sue finte scuse ricevette per risposta un gesto secco della mano, come a dire "non fa nulla", senza che il ragazzo alzasse nemmeno lo sguardo da terra, Alena rimase di sasso. Cornelius non cambiò colore in volto: non balbettò, non inciampò sui suoi stessi piedi, non si arruffò nervosamente i capelli come faceva di solito quando lei gli rivolgeva la parola. Non gli sudarono nemmeno le mani.
    Niente. Assolutamente niente.


    venerdì, ore 8.15

    Probabilmente non era nulla di che; anzi, quasi certamente era così. Alena era convinta di aver rimuginato troppo, e di sicuro inutilmente, sulla questione Cornelius Thorne. Nel giorno successivo l'aveva osservato da lontano, si era avvicinata e aveva tentato qualche altro approccio casuale, per studiarne i comportamenti, ma non aveva mai ottenuto risposte soddisfacenti. Il Corvonero sembrava distante, assente, come se non la vedesse più. Perfino i suoi occhi chiari sembravano aver perso la luce che li illuminava ogni qual volta si posavano sulla figura di Alena.
    « Ma figurati, quello è pazzo per te. Stai tranquilla. » « Sì, ma figurati, dicevo per dire... A me mica lui interessa. » « Lo so, ma ti dico che non gli è mica passata la cotta. E' che in questi giorni è stato male, così mi hanno detto. » « Vabbè, non me ne importa. E' troppo uno sfigato. Ahahhaah! » « A me Christine ha detto che Cornelius vuole chiederti di andare insieme alla festa di fine anno. E' tipo un mese che prepara questo invito. » « Ma chi, lui? Tu dici? Ew, ma io voglio che me lo chieda qualcun altro. » « Ma sì avrai milioni di inviti, vedrai. Ma sono certa che Thorne sarà il primo. Appena si riprende da questo stato catatonico... » Non poté fare a meno che sbirciare verso l'altra estremità del tavolo di Corvonero, oltre il profilo di Chantal. Cornelius era lì, a consumare tranquillamente la propria colazione, seduto ad un posto diverso rispetto a quello abituale, ma soprattutto senza guardarla. E lui la guardava sempre al mattino. Talvolta risultava così insistente da essere fastidioso, a detta di Alena, ma la verità era che adorava questa cosa, e amava vantarsene con le amiche, tra un « Oddio, non la smette più », una sventagliata di capelli e l'ennesimo « E' una tortura! ». Quella mattina, però, Cornelius teneva gli occhi sul giornale, e per la prima volta fu davvero una tortura.


    venerdì, ore 10.00

    Anche se Chantal le aveva consigliato di lasciar perdere, e attendere che le cose rientrassero nel proprio ordine in maniera naturale, Alena non ce la faceva a starsene con le mani in mano. Una serie di pensieri terribili avevano cominciato a vorticarle nella mente. E se si fosse trovato uan ragazza? Se si fosse stufato di lei? Se avesse deciso, di punto in bianco, di ascoltare una volta per tutte i consigli del migliore amico di lasciarla perdere? Oppure, ipotesi peggiore di tutte, se fosse inorridito da lei perché l'aveva colta togliersi una caccola mentre pensava di essere inosservata? Le possibilità erano troppe, alcune terrificanti, così Alena decise che non poteva rimanere con quel tarlo in testa per tutta la giornata. Urgeva indagare. Così, due ore dopo, a lezione di Storia della Magia, decise di sederglisi accanto. Trascinò indietro la sedia accanto alla sua premurandosi di fare rumore, forse troppo, tanto da far voltare più di uno studente nella sua direzione. Si accomodò, e solo dopo chiese, rivolgendosi a Cornelius: « Non è occupato questo posto, vero? » Lui non parve particolarmente colpito dalla sua apparizione. Mi prendi in giro? Si portò una mano tra i lunghi capelli castani, ravvivandoseli. Con la coda dell'occhio, lo osservava. Ancora niente. Cornelius pareva improvvisamente fatto di marmo, le gote che di solito si coloravano con la sua vicinanza, ora erano pallide come non mai. Cadaveriche. Le lunghe dita non ticchettavano nervosamente da nessuna parte. Non aveva nemmeno iniziato con quella sua fastidiosa parlantina da stress, la stessa che gli veniva durante le interrogazioni. Silenzio. Silenzio e indifferenza. Qualche istante dopo, la classe fu pervasa dal cigolio della sedia di Alena, mentre la trascinava più vicina a quella di Cornelius. « Perdonami, è che sono sbadatissima. Ho dimenticato il libro in stanza. » Bugia. Chiusi nello zaino di Alena, ai piedi del banco, vi erano tutti e tre i pesanti tomi di Storia della Magia - il professore richiedeva che si portasse a lezione soltanto il primo tomo, ma non si sapeva mai. « Non è che posso seguire con te? » Vai col sorriso mozzafiato tattico. « Tu ti chiami Colin... Aspetta no, Connor... Cornelius! Ecco, è Cornelius, è corretto? Io sono Alena. » Ed ecco il colpo di grazia.





     
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    « Psst.. Neal.. Ehy.. Neal?! » Era davvero troppo presto per dar retta alla parlantina inesauribile di Greg, quel compagno di stanza che non sembrava proprio cogliere i suoi continui tentativi di ignorarlo. Ed Eric avrebbe tranquillamente continuato a fingersi sordo non fosse stato per la gomitata che gli venne rifilata dal ragazzo direttamente sulle costole. Un contatto, quello, che lo portò a sussultare immediatamente sul posto, lanciando un'occhiata assassina a Greg, che sembrò gelarsi per un istante prima di sciogliersi in un sorriso leggermente innervosito. « Wooow, certo che la convalescenza ti ha proprio tirato brutti scherzi, eh? » Il ragazzo fece una pausa, inumidendosi le labbra prima di inclinare leggermente il capo in direzione dell'altro capo del tavolo. « Penso ti farà piacere sapere che la Gauthier ti sta guardando. » In tutta risposta, Eric inarcò un sopracciglio sopra lo sguardo più vuoto e disinteressato che potesse esserci. « E cosa vorresti che io facessi, di preciso? » chiese con tono piatto, rimanendo per un istante ancora privo di espressione, solo per poi sollevare millimetricamente gli angoli delle labbra a simulare quella che doveva forse essere la parvenza di un sorriso. « Beh secondo me è un segnale. Sta funzionando, Neal, sta funzionando!! Sei proprio un genio. » Perché il caro Greg sembrava aver dato una spiegazione tutta propria all'improvviso disinteresse del compagno nei confronti della sua cotta storica. Secondo i suoi calcoli, Neal aveva cominciato a seguire i podcast del famoso mago libertino Andreas Yate (un fannullone che aveva fatto fortuna su schemi piramidali probabilmente fraudolenti e su consigli di dubbio gusto a giovani maghi creduloni); Andreas Yate era piuttosto famoso per le sue promesse di ricette veloci per ottenere successo, soldi e donne, e molti ragazzi (anche chi era più restio ad ammetterlo) cadevano facilmente preda di quegli insegnamenti che a un occhio più maturo sarebbero immediatamente apparsi come fallimentari se non addirittura problematici. Secondo Yate, per essere un vero maschio alpha e farsi notare dalle ragazze, la cosa più importante era ignorarle - se non addirittura trattarle male. Le donne volevano questo, diceva lui. Inutile dire che Eric non era mai stato di quella scuola di pensiero, ma se pure lo fosse stato, di certo non era la ragione scatenante del comportamento che teneva nei confronti di Alena. Tuttavia gli faceva comodo che Greg potesse crederlo, dunque non aveva mai smentito né confermato le sue ipotesi - atteggiamento che aveva solo portato il compagno di stanza a pensare che fossero esatte perché frutto dell'ermetismo promosso da Yate. Anche in quella circostanza, dunque, Eric non disse nulla, limitandosi a bagnarsi le labbra col succo di zucca. « Forse dovrei provare anche io a fare lo stesso. Cioè, parlano così male di Yate, ma sotto sotto è chiaro che ha ragione. I risultati si vedono. Immagino che abbia senso, no? Non chiedi a un pesce come pescarlo, lo chiedi al pescatore. » « Dubito che i pesci vogliano essere pescati, Greg. » Occhi vuoti, quelli del compagno. « Esatto, no? » Sospirò. Vabbè, ha sedici anni.

    Chiunque altro al posto di Eric avrebbe pensato che non ci fosse girone dell'inferno peggiore di ritrovarsi a dover ripetere la scuola. Tuttavia, per chi l'inferno vero lo aveva visto in faccia, Hogwarts appariva come una passeggiata primaverile per campi verdeggianti. In cuor suo sperava che quell'illusione di normalità gli avrebbe pian piano giovato, che con il tempo avrebbe colto i frutti di quel ritorno alla vita serena; tuttavia una parte di lui - più subconscio - non poteva fare a meno di pensare che tutto ciò non fosse altro che un palliativo, che gli incubi non sarebbero mai finiti. Fissando la pioggerellina fuori dalla finestra, gli occhi del ragazzo si perdevano in quella piccola fetta di tenuta fuori dalla classe. C'erano un paio di studenti sotto all'arco che immetteva nel chiostro, pomiciavano, allegramente inconsapevoli di essere ben visibili dall'aula in cui Eric si trovava. Lo stesso Eric che li guardava senza guardarli davvero, osservandoli con sguardo apatico di chi guarda video a casaccio a tarda notte solo per incapacità di staccare gli occhi dallo schermo e rimanere solo con i propri pensieri. Non sembrava smosso da quell'immagine: non provava invidia né desiderio, come fosse completamente indifferente anche solo all'idea di un contatto umano. Non era stato sempre così: un tempo ci sarebbe stato lui, al posto di quel ragazzo, probabilmente insieme a una tipa che non avrebbe neanche richiamato. Memorie, quelle, che sembravano ora appartenere alla vita di un'altra persona. « Non è occupato questo posto, vero? » Si rese conto del fatto che qualcuno avesse preso posto accanto a lui solo quando sentì la voce della ragazza, a cui rivolse solo una veloce scossa di capo in risposta, senza curarsi di guardare chi fosse. Il silenzio non lo metteva a disagio - anzi, ormai sembrava essere il suo migliore amico. E infatti non disse nulla, distogliendo lo sguardo dalla finestra solo quando i due piccioncini se ne furono andati. A quel punto si chinò sulla borsa lasciata a terra, cominciando ad estrarne il materiale un po' alla volta. Alla terza volta, in procinto di poggiare le pergamene sul banco, sussultò visibilmente nel ritrovarsi la ragazza molto più vicina di prima. Fu istintivo ritrarsi, accompagnato dal brusco cigolio acuto della sedia che si fece più vicina all'estremità del banco. « Perdonami, è che sono sbadatissima. Ho dimenticato il libro in stanza. Non è che posso seguire con te? » Solo allora la guardò in faccia, rendendosi conto di chi fosse. Dio Mio, dopo questa devo trovare il modo di evitare Greg. Non se ne starà zitto un attimo. Ed Eric, davvero, non ne poteva più di sentir parlare di Alena Gauthier, Andreas Yate e schemi piramidali per far soldi. Appellandosi a tutta la gentilezza che aveva ancora da qualche parte, dunque, Eric stese le labbra in una linea orizzontale - un tentativo decisamente fallimentare di sorriso -, spingendo poi il libro in direzione della compagna. « Tu ti chiami Colin... Aspetta no,
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    Connor... Cornelius! Ecco, è Cornelius, è corretto? Io sono Alena. »
    Annuì apatico. « Mh sì. Piacere. » E fine. Con nient'altro da dirle e nessuna intenzione di continuare a conversare, Eric spiegò la pergamena di fronte a sé e cominciò a preparare tutto l'occorrente per prendere appunti. Un intento il suo, che tuttavia sembrò avere breve durata dato che il professore decise bene di scegliere proprio quello come giorno per sperimentare nuovi metodi di apprendimento collaborativi. Il compito era piuttosto interessante: la classe era stata divisa in quattro macro-gruppi, a loro volta divisi in due più piccoli. Ad ogni macro-gruppo era stata assegnata una tematica storica generale: i due sotto-gruppi dovevano dunque documentarsi sufficientemente per dibattere i due lati contrastanti della tematica. Al quadrante di Eric e Alena era stato assegnato il tema della colonizzazione magica delle Americhe, su cui loro due nello specifico dovevano prendere le parti dei colonizzatori europei. « Ragazzi, mi dispiace. Potete ritirarvi già da adesso. Difendere un genocidio non è proprio il massimo. » Ed ecco Greg, che dall'alto dei suoi sedici anni gonfiava il proprio petto con un singolo pelo di fronte alla totale mancanza di comprensione del compito assegnato. Eric, ovviamente, lo ignorò, tirando un sospiro e sfogliando le pagine del manuale fino al capitolo da cui cominciare. « A giudicare da come se la tira Greg, immagino che fonderanno tutto il loro dibattito sulla questione morale. » disse piatto, sollevando poi lo sguardo in quello di Alena. « Se contano di usare quella come carta principale, non dovrebbe essere troppo difficile. È Storia della Magia. Facts over feelings, no? Se ho sufficienti ragioni per attaccare il tuo territorio e ne traggo sufficienti benefici, non vedo perché non dovrei farlo. Perché non puoi difenderti alla pari? Perché è ingiusto? » Stirò le labbra, stringendosi nelle spalle. « Bello. Ma il mondo è diverso. » Forse non era un ragionamento molto in linea con l'indole di Cornelius, ma filava. Le indicò dunque il tomo con un cenno del mento. « Mi pare ci fosse una crisi sulle materie prime per le bacchette all'epoca. Prova a controllare se può tornarci utile. »


     
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    « Mh sì. Piacere. »
    « Mh sì. Piacere. »
    « Mh sì. Piacere. »
    « Mh sì. Piacere. »


    Quelle cinque sillabe continuavano a riecheggiare nella sua testa, come l'eco di un gong ben assestato sul piatto di metallo, che non si esaurisce nemmeno dopo svariati minuti. Rimase in silenzio, con le braccia conserte sul banco, a fissare il vuoto per un tempo che le parve interminabile. A Cornelius erano state sufficienti tre parole per immobilizzarla con una doccia gelata e farla sprofondare nell'abisso dell'indifferenza. Era questo, più di tutti, che sin dall'inizio l'aveva preoccupata: l'indifferenza. Perché era questo che le parole di Cornelius, pronunciate con tanta noncuranza, sembravano suggerirgli: era tornata ad essere una persona come un'altra ai suoi occhi, e, se davvero era così, da quel punto non si tornava più indietro. Come era potuto accadere? Cosa aveva fatto per meritarselo? Si ritrovò a studiare di sottecchi tutti i movimenti del compagno: il modo in cui impugnava la penna, si scostava i capelli dal viso, sfogliava le pagine del libro. Perlustrava quei gesti come un segugio, alla ricerca delle ragioni di quell'improvviso disinteresse nei suoi confronti. Più lo osservava, più sentiva il cuore sprofondare giù, fino allo stomaco. Adesso si volta, ora mi guarda si ripeteva, guardandolo fisso, quando ad ogni suo respiro le pareva che stesse per scostare lo sguardo dal libro, finalmente. Ma ogni volta veniva delusa.
    Talmente fu angosciante quel momento che cominciò a insinuarsi, tra i pensieri di Alena, il pronostico più terribile: a Cornelius, lei, non piaceva più. E questo era gravissimo, perché piacere a qualcuno è sempre un fatto abbastanza semplice, basta una moina, un sorriso nel momento giusto, ed è fatta; ma per non piacere più a qualcuno che prima era ai tuoi piedi... beh, in quel caso deve succedere per forza qualcosa di veramente negativo. Deve esserci qualcosa che all'improvviso scatta nella testa e fa' dir loro "Basta, io con quella persona ho chiuso". E lei, cosa mai aveva potuto fare per provocare questo cambio di cuore in Cornelius?
    La concentrazione che dedicò alla questione fu del tutto rubata alla materia della lezione, che Alena ascoltò con superficialità, mentre rimuginava tra i suoi pensieri. Fortunatamente non si trattava di nulla di troppo complesso: una lezione pratica, con dibattito tra gruppi prescelti su questioni rilevanti al periodo oggetto di studio. « Ragazzi, mi dispiace. Potete ritirarvi già da adesso. Difendere un genocidio non è proprio il massimo. » Fu distratta da un loro compagno, che si era avvicinato unicamente per lanciare quella piccola innocente provocazione. « E invece direi che farete meglio a ritirarvi voi, con questo dream team come rivale! » Nel parlare, arpionò il gomito di Cornelius, per prenderlo a braccetto e attirarlo di più a sé. Dopo tutto, non voleva ancora abbandonare l'idea che il Corvonero fosse solo stanco delle poche attenzioni di Alena, o che stesse mettendo in atto una di quelle strategie tipiche dei ragazzi del tipo "la ignoro fino a che non mi considera". Insomma, l'ipotesi peggiore non poteva considerarla.
    Cominciarono così a lavorare al dibattito, con Alena che percepiva una specie di ritrovata fiducia in quella sua operazione. « A giudicare da come se la tira Greg, immagino che fonderanno tutto il loro dibattito sulla questione morale. Se contano di usare quella come carta principale, non dovrebbe essere troppo difficile. È Storia della Magia. Facts over feelings, no? Se ho sufficienti ragioni per attaccare il tuo territorio e ne traggo sufficienti benefici, non vedo perché non dovrei farlo. Perché non puoi difenderti alla pari? Perché è ingiusto? Bello. Ma il mondo è diverso. » Aggrottò la fronte, gli occhi fissi su di lui. Faceva un po' fatica a seguire il suo discorso, tanto era confusa - e spiazzata, a dirla tutta. Questa era forse la prima volta che si ritrovava a scambiare più di due battute con Thorne, eppure non avrebbe mai detto che fosse un ragazzo tanto loquace e... sicuro di sé? Quella era la sensazione che le trasmetteva, ed era quasi straniante vederlo così, dopo averlo colto, in più di un'occasione, arrossire, sudare, balbettare più del dovuto. E poi parla come un professore, si ritrovò a pensare, confusa anche da quel vocabolario che non pensava appartenesse al Corvonero. « Beh sì, sono d'accordo » asserì, colta da una punta d'imbarazzo nel realizzare di non essere in grado di sostenere un dibattito all'altezza del compagno. Come aveva fatto a mettere in linea quei pensieri in maniera così pulita, con quella decisione, e con quei termini così precisi? « E poi penso che... mhm, non ha senso parlare di etica in questi casi, o meglio, applicare l'etica di oggi a cose successe un po' di secoli fa... Ecco, mi spiego? »
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    Giocava nervosamente con una lunga ciocca di capelli castani, mentre tentava di darsi un tono. Ma poi, perché all'improvviso sentiva il bisogno di darsi un tono al cospetto di Cornelius Thorne? Perché il mondo oggi sembrava girare al contrario? « Quello che voglio dire, ecco, è che quando parliamo di qualcosa bisogna sempre considerare il contesto. Se no non ha senso niente, secondo me. » Annuì, ritenendo di essersi spiegata sufficientemente bene. « Mi pare ci fosse una crisi sulle materie prime per le bacchette all'epoca. Prova a controllare se può tornarci utile. » Lo sguardo della giovane Gauthier s'illuminò. « Sì, questa cosa me la ricordo! » esclamò, prima di buttarsi tra le pagine del libro e scovare quella giusta. « Eccolo qui! Sì, proprio così: a causa della carenza di materie prime, le fabbriche rimasero chiuse per più di sei mesi, con gravi conseguenze sull'economia e ovviamente l'aumento del fenomeno contrabbando di bacchette. Parliamo di questo. » Annuì, convinta, schematizzando quel concetto in un foglio bianco con la sua grafia ordinata e tondeggiante. Mentre scriveva, si portò i capelli dietro l'orecchio, e si sforzò di apparire il più carina possibile, conscia che lui la stesse guardando, finalmente. Quando sollevò lo sguardo, però, ritrovò Cornelius di nuovo col naso sul manuale di storia, intento a leggere qualche altra nozione utile al loro progetto. Fu un'altra piccola coltellata allo stomaco. Perché non mi guardi?, avrebbe voluto urlare, ma restò solo un pensiero supplicante nella sua testa. « Cornelius... Posso chiederti una cosa? » disse invece, posando la penna sul banco, e ruotando il busto nella sua direzione, così da fronteggiarlo. « È tutto a posto, tra noi? Intendo... So che non ci conosciamo proprio, io e te, però mi sembri freddo, un po' distante... Non è che ce l'hai con me? Ho fatto qualcosa di preciso? » Per favore, di' di sì. Ti prego, ti scongiuro, di' che c'è qualcosa di insopportabile che ho combinato, per cui non riesci a guardarmi in faccia, tanto è bruciante il dolore che provi nei miei confronti. Di' che fa male guardarmi, perché rappresento la cosa più bella che esista, e che tu non potrai mai avere. Di' che hai cominciato a ignorarmi, di punto in bianco, perché hai bisogno di andare avanti, perché questo amore ti sta logorando dentro. Di' qualunque cosa, va bene tutto, ma ti prego, salvami dall'abisso dell'indifferenza.
     
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    La fissò per qualche istante in silenzio, inarcando appena un sopracciglio con aria interrogativa come a chiederle implicitamente se avesse capito. C'è? Ce la fa? Ho beccato l'unica Corvonero con problemi di comprensione? Tuttavia, dopo qualche istante, Alena parve sbloccarsi da quel momentaneo impasse. « Beh sì, sono d'accordo. » Annuì, stirando le labbra in una linea retta che doveva forse ricordare un sorriso. Gettate le basi della loro strategia, dunque, Eric scribacchiò sulla pergamena in maniera schematica i punti che le aveva esposto poc'anzi, dando per assunto dalla risposta di lei che la concasata concordasse sull'adottare quella linea. « E poi penso che... mhm, non ha senso parlare di etica in questi casi, o meglio, applicare l'etica di oggi a cose successe un po' di secoli fa... Ecco, mi spiego? Quello che voglio dire, ecco, è che quando parliamo di qualcosa bisogna sempre considerare il contesto. Se no non ha senso niente, secondo me. » Annuì ancora, mentre continuava a buttare giù quella sorta di mappa concettuale che li avrebbe aiutati a tenere in mente i punti salienti della loro difesa al momento del dibattito. « Sì esatto. Scrivo anche questo. Così gli tagliamo le gambe da subito. » Tornare nei panni dello studente era un'esperienza piuttosto strana; al di là dell'essere morto e risorto, gli anni passati a vivere una vita prettamente da adulto avevano naturalmente dato ad Eric una visione del mondo molto diversa rispetto a quella che aveva avuto da ragazzo. C'erano stati tempi in cui il giovane Donovan, per quanto brillante e propenso a prendere rischi, non avrebbe mai potuto partorire in maniera così serena la difesa di un fatto storico che a livello morale era chiaramente sbagliato. Nei suoi anni al castello - e per un po' anche successivamente - Eric sarebbe stato definito un sognatore: uno di quei tipi che tracciava sempre una linea netta tra ciò che riteneva giusto e ciò che invece riteneva sbagliato. Insomma: un tipico Grifondoro, capace di battersi col pugno sul petto per qualunque cosa in cui credeva. Era stato così anche ai tempi della Ribellione, mandando a monte la propria intera carriera e rendendosi responsabile dell'omicidio di sua madre per il puro e forse stupido bisogno di fare la cosa giusta. E guarda dove mi ha portato. Guarda cosa ho ottenuto in cambio. Da quelle esperienze, però, l'ex stella dei Falcons ne aveva tratto un insegnamento non trascurabile: che la gloria e gli onori, il lieto fine riservato agli eroi e ai giusti di cuore.. tutto ciò esisteva solo nelle fiabe. Mentre scriveva i punti salienti della difesa, quella nozione sembrava galleggiare istintivamente tra i suoi pensieri. Che la vita non sia giusta lo sappiamo tutti.. in un certo modo, in una certa misura. È una di quelle frasi che senti dire e dici un sacco spesso. Lo so perché anche io ero il tipo di persona che la diceva con leggerezza, come se della vita sapessi realmente qualcosa. La ripetevo eppure a ripensarci adesso, credo che fosse solo quello: ripetere qualcosa di comune e di sentito dire. Non ci credevo veramente, non lo sapevo per certo. Sotto sotto avevo la speranza e la stupida convinzione che la vita fosse giusta: che alla fine se fai quello che devi fare e ti comporti in maniera giusta, i risultati lo ottieni. Adesso però lo so per certo, che la vita è ingiusta.. e quello che fai non importa. « Eccolo qui! Sì, proprio così: a causa della carenza di materie prime, le fabbriche rimasero chiuse per più di sei mesi, con gravi conseguenze sull'economia e ovviamente l'aumento del fenomeno contrabbando di bacchette. Parliamo di questo. » « Perfetto! » Rimarcò, tratteggiando anche quelle parole sul foglio di pergamena. « Direi che un punto abbastanza solido. Oltre all'interesse economico - che non va sottovalutato - bisogna anche contare che da quell'industria dipendono molte persone e posti di lavoro che in quel periodo hanno sofferto tantissimo. Non andare incontro a simili esigenze non comporta solo una perdita in termini economici e un aumento della criminalità, ma nei casi più estremi può portare anche la popolazione a prendere posizioni violente. Quindi come governo non te lo puoi permettere troppo. » Fece una breve pausa. « Mors tua vita mea, alla fine. » Lo disse più tra sé e sé che altro, mentre teneva gli occhi puntati sul foglio in cui le linee di inchiostro continuavano a scorrere. A quel punto, messa giù la lista dei punti da toccare, si avvicinò il manuale di storia, rileggendo attentamente la pagina in cui si parlava dell'evento di cui avevano appena discusso. Voleva cercare più dettagli possibile, in modo da essere sufficientemente accurato e magari depistare i compagni proprio su fatti specifici che potevano aver trascurato. « Cornelius... Posso chiederti una cosa? » « Mh-mh. » rispose distrattamente, in maniera automatica, senza sollevare lo sguardo dal libro. « È tutto a posto, tra noi? Intendo... So che non ci conosciamo proprio, io e te, però mi sembri freddo, un po' distante... Non è che ce l'hai con me? Ho fatto qualcosa di preciso? »
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    Oddio. Così di petto? Ma in che senso? Avevo capito che quella di Cornelius dovesse essere una cotta a senso unico. Ma d'altronde Eric, di Cornelius, sapeva davvero poco al di là dei resoconti sommari che gli erano stati forniti dagli warlock e dai brandelli di informazione che riusciva a ricostruire dai compagni. Non aveva idea di come il giovane Corvonero potesse essersi rapportato alla compagna durante quegli anni, ma evidentemente doveva trattarsi di un atteggiamento molto diverso rispetto a quello che Eric stava tenendo. Tuttavia il redivivo non aveva neanche intenzione di portare avanti un teatrino troppo elaborato che non gli apparteneva per nulla e che si sarebbe solo rivelato un campo minato più complesso. E poi sono cotte adolescenziali. Ti innamori in due secondi, ti sembra di morire, e poi ti passa nel giro di una settimana. Sollevò comunque lo sguardo in quello della ragazza, forzandosi ad incurvare gli angoli delle labbra in un sorriso artificiale al di sotto di quei due occhi completamente spenti. Scosse il capo. « No, ti pare? Tutto a posto. Sono solo un po' fuori fase. Immagino di dovermi ancora riprendere. » Forzò una piccola risata, come a voler dare a quelle parole una sfumatura di noncuranza. « E sono preoccupato per questi compiti perché mi sembra di essermi perso un sacco di cose mentre ero via. » Si voltò appena, guardando il resto della classe intendo a lavorare a testa china sulle proprie parti di dibattito. « Magari a voi sarà sembrato poco tempo. Neanche l'avrete notata la mia assenza. Io però sento di essere rimasto indietro rispetto a tutti. » Quelle furono forse le uniche parole veramente sentite proferite da Eric da quando era tornato. Coperto dall'ambiguità che l'identità di Cornelius gli permetteva di avere, quel sentirsi indietro e lasciato da parte poteva appartenere ad entrambi senza sollevare sospetti. Sospirò, tornando con lo sguardo alla concasata. « Quindi magari puoi aggiornarmi su quello che mi sono perso mentre stavo male. Cosa hanno fatto i miei amici? Che si dice nel castello? » Le pose quelle domande con un duplice obiettivo: innanzitutto quello di raccogliere ulteriori informazioni utili riguardo la vita del giovane ragazzo di cui aveva preso le sembianze, ma anche quello di tentare di depistare Alena da possibili sospetti.


     
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