Realized the older I get, I get more insecure

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    Sarebbe mai riuscito a sentirsi, almeno una volta in tutta la sua vita, veramente fiero di un suo scritto? Per Otis, scrivere un articolo era un compito non particolarmente difficile, ma il suo innato perfezionismo gli rendeva complicato farsi andare bene le prime stesure di un pezzo, che andava sottoposto a riletture costanti in condizioni differenti affinché potesse verificarne la qualità da ogni angolazione. Andavano letti a mente prima di tutto, poi ad alta voce (preferibilmente decantati di fronte a qualcuno che potesse ascoltarlo e che lo facesse davvero, non soltanto fingendo di star prestando attenzione interrompendo la lettura di Otis con dei “mmh, mmh” palesemente cadenzati in modo da riempire ogni sua pausa come facevano tipicamente Émile o Ronnie. Non chiedeva mai niente a nessuno, ma quando lo faceva quelli che dovevano essere i suoi migliori amici entravano in uno stato simil dissociativo e si assentavano completamente. Era così noiosa la sua scrittura?) I test proseguivano con riletture da ubriaco, una prova assolutamente necessaria che più di una volta si era rivelata capace di lasciar emergere le dissonanze tra le parole o la presenza di termini troppo complicati o astrusi. Quel pomeriggio, seduto da alla tavolata dei Tassorosso con la fronte corrugata e la penna incastrata dietro l'orecchio, stava sperimentando la condizione numero tre: come suona quando hai il cervello completamente ridotto in poltiglia da tre ore continuative di ripetizione degli appunti di Demonologia; estremamente specifica, potreste dire, ma lo stato di completa lobotomizzazione in cui verteva il giovane Tassorosso dopo aver cercato di capirne qualcosa di una materia che studiava ormai da più di un anno ma di cui continuava a non comprendere neanche fondamenti era estremamente utile per provare ad entrare nella testa di un lettore stanco dopo una giornata di lavoro o dieci. Sospirò sonoramente, gli occhi azzurri arrossati e assonnati – aspetto che avevano avuto incessantemente negli ultimi sei mesi – che tracciavano linee invisibili sul fo
    0612be57ccb90c37185dff200a1223576b162783
    glio di fronte a lui senza veramente decifrare i simboli rappresentati come parole ma piuttosto come insieme di lettere. L'articolo gli piaceva, in fondo, lo reputava valido e sopratutto necessario. Ciò che gli piaceva di più, poi, era la storia che raccontava, la giornata trascorsa con Eliphas, l'esperienza impagabile che quell'opportunità gli aveva permesso di vivere. Sperava che la meraviglia che aveva provato in prima persona potesse essere comunicata tramite le sue parole, ma la responsabilità che sentiva pesargli sulle spalle acuiva quel perfezionismo innato e incessante che lo portava a concedersi “solo un'ultimissima revisione e poi basta”. Avere qualcosa a cui tenere così tanto e da prendere così seriamente era perfettamente normale per Otis, che non conosceva la leggerezza neppure nei campi della vita che dovrebbero essere più divertenti; tuttavia, mentre si passava una mano sul viso e poggiava la penna sul tavolo, si ritrovò a chiedersi se tutta quella sua intensità non potesse cominciare a fargli male, e se non gli servisse un'uscita dal Castello, una festa, una partita a Mario Kart con Ronnie o una serata a giocare a D&d per decompressare un po'. Era sempre così serio, ultimamente. Aveva la singolare sensazione, piuttosto rara alla sua età, di star crescendo e di starsene rendendo perfettamente conto. In un flash, gli tornò alla mente una sera d'inverno di qualche anno prima, la discussione con Emi, il peggior acquazzone di quell'anno fuori, la percezione che l'amico fosse diventato troppo grande troppo presto – o troppo presto per lui – la paura di fronte alle cose che cambiano. Eppure non sembravano saper fare altro che quello, Hogwarts occupata, i M.A.G.O. che si avvicinavano, la possibilità di scrivere un articolo per il gruppo Peverell, pubblicato non soltanto su carta stampata ma anche digitale, il mondo dell'Università, il tirocinio, tutto. Tutto senza il suo migliore amico, tra l'altro, il suo letto occupato da quello sfigato di Oliver Byrne, che si infilava le dita del naso e poi lanciava le caccole quando pensava di non essere visto. Quando avevano iniziato a cambiare? C'era stato un singolo momento che aveva dato il via oppure era successo lentamente, insidiosamente, goccia per goccia, dal primo temporale, tre anni prima, durante quel litigio, fino ad arrivare ad ora? Sentì l'impulso di sollevare la testa, e fu strano rendersi conto che, proprio mentre elaborava quei pensieri, Émile era a pochi metri da lui, e lo stava guardando, prima di girarsi fulmineo nella direzione opposta appena i suoi occhi incontrarono quelli di Otis. Non si salutavano neanche più, se non assolutamente forzati dalla prossimità. Era una storia stupida e insensata, o forse profonda e complicata, una delle due. Lo confondeva, quello stallo, e ancor di più lo confondeva la sensazione di strana competizione che si era creata in lui rispetto all'amico, anche se sapeva che la miccia, per quella reazione, era stata data dalla lettera che gli aveva spedito quasi un anno prima e a cui lui non aveva mai risposto. Chi diavolo si crede di essere? Ancora ricordava le parole esatte che aveva usato: “Te lo confesso, Otis, speravo di leggerti diverso, in questa tua lettera.” L'intero tono paternalistico con cui l'aveva trattato, deluso a tratti, come se fosse portatore di una saggezza, di una secolare conoscenza sul modo in cui funzionano le cose che a lui, Otis, sfuggiva. Proprio lui, che lo aveva costretto a convivere con uno stramaledetto purvincolo per tutto il quarto anno – dopo averglielo fatto trovare nella DOCCIA, per inciso! Cosa ne sapeva, lui, di come funzionava il mondo? Da quale piedistallo poteva permettersi di giudicarlo? E adesso, poi, trovare anche il coraggio di metterci piede, ad Hogwarts, il covo di quelle persone che aveva definito lui stesso “idiote”! Era a conoscenza di ciò che si dicesse sul conto del suo ex migliore amico, a scuola. Si limitava ad ascoltare, a rispondere per rimettere le persone al loro posto quando esageravano – perché la lealtà per Otis era la prima cosa in assoluto – ma non si era impegnato particolarmente a difenderlo. Non gli faceva piacere che adesso lo escludessero tutti, e a tavola, quando lo vedeva mangiare con il capo chino nel suo piatto mentre tutti, attorno, chiacchieravano animatamente tra di loro, gli saliva uno strano groppo alla gola. Ma gli bastava ripensare a quella frase, quel “speravo di leggerti diverso”, per scrollarsi di dosso quella sensazione.
    Preso da quei pensieri, rimase a guardarlo un po' di sottecchi, fingendo di scarabocchiare qualcosa, prima di ritrovarsi proprio a fissare la scena di Émile Carrow che si sedeva accanto a Séline Osbourne, Grifondoro. La stessa Séline Osbourne su cui Otis aveva fantasticato, ad alta voce e non, sin dal quarto anno. La stessa che Émile aveva definito “niente di che, comunque meno carina di una Nessie o di una Ronnie”, sentendosi rispondere “sicuramente meno bella di tua sorella” con conseguenti fendenti scansati a stento. La stessa, ancora, che si era fatto giurare, mano sul mazzo di Black Magic Falcons Edition, che avrebbe sempre lasciato a Otis, essendo che a lui neanche piaceva più di tanto. Che il Tassorosso avesse poi effettivamente agito o meno, al riguardo, era cosa ben poco pertinente alla questione. Semplicemente non c'era stato modo, ecco tutto, ma mica quelle promesse avevano una scadenza. Incredulo, lo guardò passarsi una mano sudicia tra i capelli, la schiena appena più dritta in quell'atteggiamento da pavone che assumeva quando gli piaceva una ragazza. Sicuramente la sta invitando al ballo. O ha intenzione di farlo. Scosse la testa involontariamente, provando puro shock. Tutto questo teatrino non aveva nemmeno avuto la decenza di farlo di nascosto.

    Un'ora dopo



    Otis Branwell
    Otispocus
    online
    No chiamate


    [18.34] > non so quando hai intenzione di venirti a recuperare le tue cose
    > ma se non ti fai vivo entro i prossimi due giorni gli elfi hanno detto che buttano via lo scatolone
    > quindi mi sa che ti conviene
    > quindi invece di metterti a fare il cascamorto lurido
    > fammi sapere e ci organizziamo
     
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    « Emi, tutto a posto? »
    « Sì, sì, tutto a posto, giuro. »
    « Cos'è che ti fa tanto ridere? »
    « No, niente, niente... Una cosa mia. » Émile si asciugò una piccola lacrima dall'angolo dell'occhio, trattenendo a stento una specie di sorriso beffardo. Era appena scoppiato in una risata tanto fragorosa da far voltare un paio di teste curiose nella sua direzione, al tavolo di Tassorosso. Diede un'ultima occhiata allo schermo del proprio cellulare, scuotendo leggermente il capo, per poi riporlo nella tasca ed emettere un sospiro profondo e apparentemente rilassato. L'occhio corse poi, quasi involontariamente, dall'altra parte del tavolo, dove un gruppo di suoi compagni di casata stavano chiacchierando animatamente tra un boccone e l'altro. Motivo di tanta ilarità da parte di Emi era stato un messaggio di Otis, che se ne stava proprio lì, a pochi metri, come se nulla fosse. Vedere quel nome apparire sullo schermo l'aveva stranito, e poi aveva riso, moltissimo, a crepapelle, rumorosamente, esageratamente, tanto da apparire matto ai suoi stessi compagni. Otis, lo stesso che a stento si era degnato di salutarlo dal suo ritorno a Hogwarts, lo stesso che l'aveva ignorato per mesi, adesso all'improvviso sembrava preoccuparsi per la fine che avrebbero fatto gli averi di Émile rimasti nella loro stanza. « Che pezzo di merda » sussurrò a denti stretti, guardandolo di sbieco a distanza. Idiota, ridicolo, pallone gonfiato. E a seguire una serie di svariati altri insulti che, per comodità ed esigenze di spazio, non riporteremo.

    Malgrado le grasse risate e l'apparente indifferenza, Emi pensò per tutta la sera a quel messaggio. C'era più di un elemento, in quel testo, che non riusciva a digerire. Primo fra tutti, il porre una scadenza del tutto arbitraria. Se non ti fai vivo entro i prossimi due giorni. Chi era Otis, per stabilire certi confini temporali? Perché mai si sentiva in diritto di disporre così del tempo altrui? E se Emi avesse deciso di farsi vivo tre, quattro giorni più tardi? Che avrebbe fatto? Avrebbe forse barricato la camera per evitargli di passare a raccogliere i propri averi?
    In secondo luogo, c'era l'aspetto intimidatorio: gli elfi buttano via lo scatolone. Una vera e propria minaccia, la sua, a tutti gli effetti. Questo punto non lo reputava estraneo al comportamento solito di Otis, in fin dei conti col suo essere precisino tendeva sempre ad elargire consigli anche molto perentori su come era convinto dovessero essere gestite le cose, ma stavolta si era spinto decisamente troppo.
    Terzo, e indubbiamente più grave, la pretesa: fammi sapere e ci organizziamo. Chi doveva organizzarsi? E soprattutto, perché? Chi aveva deciso che Otis avrebbe fatto parte di
    quel processo, che sarebbe stato lui a decidere il quando e dove, e soprattutto lui a pretendere che si organizzassero? Era semplicemente ridicolo, non c'era altro modo per definirlo.
    Quella sera lo infastidiva tutto, di quella situazione: la richiesta fatta, il messaggio in sé, Otis stesso era un elemento di disturbo. Principalmente lo era per il semplice fatto di essersi infilato di nuovo tra i suoi pensieri, per la prima volta con questa prepotenza da settimane. Di norma, Émile a Oits non pensava già più, e gli andava benissimo così: era entrato in un nuovo equilibrio, scendendo a patti con la realtà e col fatto che fossero cresciuti entrambi, che le loro idee ora fossero banalmente troppo in conflitto per continuare ad essere amici. Era, quella, la storia più vecchia del mondo, ed era inutile oltre che controproducente piagnucolarci su.
    Una volta arrivato a Hogwarts, si era scoperto molto più freddo e distante nei riguardi dell'amico di quanto avrebbe immaginato. Ma anche questo significava crescere. E poi, Otis, a conti fatti, non gli mancava. Tutte le attività che un tempo svolgevano insieme non gli interessavano più: il fazzoletto dei Berretti Rossi se ne stava ormai da un po' a prendere polvere appeso alla testiera del suo letto, a Black Market non ci giocava più con lo stesso entusiasmo. O meglio, aveva provato a continuare insieme a Roy Finnigan, il suo nuovo compagno di stanza, ma si era annoiato presto, inevitabile con un compagno così schiappa come lui. A Mielandia continuava ad andarci, pur se da solo, dunque perché mai avrebbe dovuto sentire la mancanza di Otis quando ogni volta si ritrovava con il doppio delle caramelle? Era quasi incredulo di sé, eppure non sentiva nostalgia di nulla: della scrivania della stanza sempre piena di scartoffie e bozze di articoli (che mai avrebbero visto la luce perché nessuno andava mai bene), dei suoi concerti mattutini stonatissimi con il Koto, né del suo stupido e viscido ranocchio che per qualche ragione era più accettabile come animale domestico rispetto a Marv. Non gli mancavano le puzzette di Otis, le partite a scacchi magici in cui lo batteva sempre, e la sua fastidiosissima cotta per sua sorella Maddie. Per non parlare del senso di profonda serenità che aveva avvertito il giorno del primo aprile, nell'avere l'assoluta certezza che nessuno gli avrebbe teso alcun agguato. Era stata una liberazione, a conti fatti: poteva finalmente pensarsi autonomo per la prima volta, libero da qualsivoglia obbligo morale - tanto che, per festeggiare questa ritrovata libertà, aveva perfino deciso di provarci spudoratamente con Séline, la ragazza di Corvonero per cui Otis aveva una cotta stratosferica ormai da tempo.
    La vita senza Otis era, dunque, quasi meglio di prima: meno litigi, diatribe, ma soprattutto nessun grillo parlante dietro la propria spalla pronto a dirti cosa fosse giusto e cosa no. Certo, qualche inconveniente c'era, per carità. Ad esempio il fatto che c'erano dei pensieri che gli venivano in testa, di tanto in tanto, che non sapeva con chi condividere. Tipo il fatto che gli mancava sua sorella; o che Nessie era tornata, e lui, tanto per cambiare, aveva le idee confuse su di lei. Per non parlare, poi, della questione della scelta del college. Da mesi ormai Émile faceva avanti e indietro tra magizoologia e medimagia; da un lato c'era il suo grande amore per gli animali fantastici, dall'altro la sua ambizione di fare qualcosa di importante, rilevante per la comunità. Un giorno gli sembrava di aver sciolto la questione e scelto definitivamente l'indirizzo, e quello dopo era di nuovo punto e a capo. La saggezza di Otis avrebbe risolto in poco tempo tante questioni con cui Emi si arrovellava il cervello da settimane, ma questa non era che una scomodità come un'altra. Ce n'erano tanti di amici pronti a dargli consigli nel momento del bisogno, sarebbe stato stupido fossilizzarsi su una persona sola. Roy, ad esempio, aveva commentato la faccenda della scelta del college con una ponderatezza singolare: « Guarda, io ti direi di fare quello che ti piace. » A Émile sul momento erano cadute le braccia, ma stava imparando ad apprezzare anche Roy, e d'altronde tra amici ci si accetta per come si è. Era quella la regola importante di tutte, no? Che avrebbe dovuto farsene di un amico che non era in grado di accettarlo per le idee che aveva?
    E poi Otis a lui non mancava.


    Il giorno dopo



    émile con la éééééé
    online
    french kiss, toast, fries



    ho preso tutto prima mentre non c'eri
    12.23

    mi ha aperto il tuo compagno di stanza
    12.23




    Edited by (icarus) - 3/6/2023, 18:23
     
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    Otis Branwell
    Otispocus
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    [17.32] 👍🏻😂

    13 giugno

    I corsi M.A.G.O. erano estenuanti esattamente come il nome faceva intuire. Otis era riuscito ad essere ammesso a cinque grazie ai risultati ottenuti ai G.U.F.O., il che significava dover sostenere cinque diversi esami per materia, il che significava morire. Studiare era sempre stato estremamente naturale, per lui, anche piuttosto facile, ma per qualche motivo sembrava che al sesto anno il suo corpo fosse stato posseduto da un demone impazzito che gli aveva fatto scegliere di intraprendere corsi di più alto livello per materie quali erbologia, babbanologia, aritmanzia, pozioni e demonologia; fatta eccezione per erbologia, che gli era sempre parsa piuttosto intuitiva una volta appresi i principi base – per quanto fosse incredibilmente estenuante doversi ricordare tutti i nomi latini e le famiglie di appartenenza e le proprietà delle piante – tutte le altre discipline erano oggettivamente troppo complesse. Oltre a tutta una serie di cambiamenti a cui aveva dovuto adattarsi nel corso dell'ultimo anno e mezzo, l'assenza di Émile, con il quale tipicamente si ritrovava per studiare, sicuramente aveva generato un suo effetto, che Otis volesse ammetterlo o meno. Ai tempi, il suo amico trovava difficile concentrarsi sulle parole e leggere libri interi senza che la propria distrazione coinvolgesse anche il compagno di stanza, mentre dall'altro lato le ripetizioni ossessive dell'allora piccolo Branwell, decantate a massimo volume mentre percorreva a falcate il perimetro della piccola camera erano sufficienti per mandare Émile in escandescenze. Per questo, poco dopo l'inizio della loro convivenza, avevano trovato – come per tante altre cose – un incastro perfetto: Otis leggeva, ripeteva tutto a Emi, il quale aveva un'intelligenza molto meno bibliografica e molto più intuitiva, veloce, così che ascoltare l'altro era sufficiente per imparare, per poi ripetere a sua volta a Otis, che così risparmiava la fatica di dover ripassare. Funzionavano in una sinergia talmente efficace che a volte, nel bel mezzo della notte, capitava che Otis si tirasse su dal letto di scatto, improvvisamente sveglio e incapace a ricordare un concetto della lezione appresa. In quei momenti svegliava l'amico, che, ancora mezzo addormentato, sapeva dargli la risposta che gli serviva per tornare a dormire sonni tranquilli – e questo perché Emi aveva una memoria decisamente migliore della sua. Insomma, erano un ingranaggio perfettamente oliato, una macchina ineccepibile, diventavano la memoria esterna l'uno dell'altro. Questo, insieme ad altri, era uno dei bonus di cui aveva imparato a fare a meno l'Otis diciottenne, che si ritrovava a preparare i M.A.G.O. da solo, contro ogni previsione. Imparare a studiare senza il proprio study buddy era letteralmente come ricominciare da capo, ridefinire il proprio metodo di studio a pochi mesi dalla prova finale non era esattamente rasserenante. Inutile dire che c'erano stati tentativi vani di unirsi a gruppi di studio, ma non era la stessa cosa, ognuno leggeva per sé e poi se lo ripetevano a vicenda, ma siccome la lettura era stata autonoma ognuno restituiva dettagli diversi del testo, a cui magari lui non aveva dato peso, e la cosa lo stressava, perché invece Émile gli restituiva esattamente ciò che lui, Otis, aveva precedentemente selezionato. Quella cosa lì era l'unica che riusciva veramente a fargli venire uno strano nodo alla gola. Quando si ritrovava in biblioteca o nel cortile del Castello con un gruppo di studio, il Tassorosso sentiva tutta la propria solitudine adesso che aveva perso il suo migliore amico. Da quando era tornato, però, la nostalgia sognante e idealizzante del passato era stata dissipata dalla dura realtà: Emi non aveva bisogno di lui. I corsi che condividevano gli permettevano di appurare come lo studio – anche soltanto in apparenza – per lui non fosse un problema come lo era diventato per Otis. Qualunque trucco ci fosse alla base, la risposta che si era dato era che semplicemente gli sempre stato chiaro che tra i due il più brillante fosse l'amico, anche se Otis era più book smart. Incapace di provare genuina felicità per lui, in quei momenti si era ritrovato ad invidiarlo, a domandarlo perché soltanto a lui toccasse avvertire in modo tartassante il peso di quell'assenza. Il punto era che sembravano arrivati a non parlarsi e a odiarsi soltanto per il gusto di farlo – sebbene molto probabilmente a nessuno dei due quel rancore facesse bene, questo Otis lo comprendeva. Da qualche parte, però, sapeva anche che finché rimaneva quell'astio così acceso, perdurava il loro legame, e che sarebbe sparito soltanto quando nessuno nei due avrebbe più pensato all'altro, o quando l'imbarazzo fosse subentrato: quando fossero tornati sconosciuti. Non esisteva un mondo in cui, anche se si evitavano e non erano più amici, Otis non conoscesse Émile; gli sembrava una condizione impossibile, ma con ogni giorno che passavano a non rivolgersi la parola e in cui nessuno dei due sembrava decidersi a rompere quel silenzio cresceva in lui la sensazione che il rischio di perdersi per sempre c'era davvero. Forse era già successo per Emi, mentre lui era l'unico che rimaneva incapace a percepire una reale estraneità dall'altro.

    «OTIS! OOOOOTIS!»
    Le palpebre pesanti del ragazzo sembravano essere fatte di cartone, impossibile aprirle senza provare un dolore e uno sforzo fisico fuori dal comune. «Stiamo andando al Gazebo, vicino la tenuta esterna. Pare ci sia una festa per la fine degli esami, ci vieni?» C'era ancora qualche sprazzo di luce che tingeva il cielo serale, irresistibilmente riportando alla memoria i ricordi dell'estate, la sensazione che fosse incredibile pensare che stesse per arrivare anche quell'anno. Otis rimase a fissare lo spazio sconfinato sopra di lui per qualche secondo, prima di tirarsi su facendo leva sulle braccia. «Lucy l'aveva detto che ti aveva visto dormire nel cortile, ma non credevo che dicesse sul serio. Ti senti bene?» Lui annuì prontamente, ancora un po' stordito da quella che era stata la prima dormita profonda da... non lo sapeva neanche da quanto. Si schiarì la voce. «Sto bene, sto bene. Devo essermi appisolato al sole dopo l'esame...» Dan annuì, prima di assestargli una pacca sulla spalla. «Beh, comunque, se vuoi unirti a noi siamo lì. È aperta solo agli studenti dell'ultimo anno, c'è anche la musica, l'hanno organizzata quelli del comitato per le feste» Ah. Inspirò profondamente, stropicciandosi un po' la faccia e deglutendo. «Si beve?»

    Sentiva lo stomaco attorcigliato. Non voleva pensare a come fosse andato quell'ultimo esame, non riusciva a smettere di tornare con la mente a ogni singola domanda del quiz senza finire in una spirale ossessiva di dubbi e incertezze. Ormai è fatta. Arrivò alla festa al gazebo più tardi rispetto a Dan e agli altri ragazzi con cui aveva condiviso gli ultimi mesi di studio matto e disperato, la strana sensazione che ora che era tutto finito non ci sarebbe più stato un buon motivo per continuare a vedersi o rimanere amici. Gli studenti del settimo anno erano tutti, più o
    c6dabe096ea2611761d634dcc7f43ee477df98a5
    meno, un anno più piccoli di lui, e la cosa non gli era mai pesata, ma adesso che si faceva strada tra la folla animata con le mani infilate nelle tasche dei pantaloni qualcosa lo fece sentire un po' fuoriluogo. È il caso di prendere qualcosa da bere. Cercò facce conosciute, salutò qualcuno con un entusiasmo che a dirla tutta non riusciva propriamente a sentire, adocchiò qualche studente più piccolo, imbucato di stramacchio, bere da una di quei fusti di burrobirra con una sorta di tubo attaccato – insomma, tutto sotto controllo. «Tu che dici? L'avrai passato con una O o una E, secchia che non sei altro?» «Dico che chiudo qui la conversazione e vado a prendere una burrobirra, ciaooooo» ribatté, scomparendo con una sorta di moon walk mal riuscito che provocò qualche risata e un paio di occhi al cielo. Prevedibilmente, la coda per lo stand delle bevande era infinita, così estrasse il cellulare dalla tasca in un gesto automatico. L'occhio cadde sulla penultima chat di whatsapp del tutto involontariamente, la doppia spunta blu a cui ormai era abituato. Fece scivolare il dito sulla casella, in modo da archiviarla. «Il prossimo» Bloccò il cellulare e estrasse il portafogli. «Ciao!» fece, prima di alzare la testa e trovarsi davanti Émile Carrow. «Ah» disse stupidamente, deglutendo. «Ciao» fece nuovamente, stavolta con un tono di voce più basso. «Una pinta di burrobirra, per piacere». Seguì i movimenti del ragazzo con gli occhi chiari, mentre il tempo che lo spillatore impiegava per riempire il bicchiere sembrava infinito. «Bella festa. Avete organizzato bene» si limitò a dire, stringendo le labbra e annuendo tra sé e sé. «Grazie. Quant'è?» fece meccanicamente. «Ci... vediamo in giro. Buon lavoro» continuò cordiale, prima di prendere il suo bicchiere e filarsela. Sconosciuti.


    Edited by the educator - 11/6/2023, 18:34
     
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    « È FINITA CAZZOOOOOOOOO » « Ohi, stasera ci sei? » « Mi raccomando, alle 10 al Gazebo. Sì Constantine, il Preside ci ha dato il permesso. Dormi sogni tranquilli. » « SIAMO NOIIII I CAMPIONI DELLA SCUOLA SIAMO NOIIIII » « No guarda a me è andato tutto una merda e a settembre mi troverete sotto i ponti di Hogsmeade, ma tutto a posto. » « Neil non dimenticare la burrobirra stasera! E anche quello che sai tu! »

    Dire che Émile Carrow era euforico sarebbe stato un eufemismo gigante quanto l'avvincino che aveva dovuto affrontare alla prova pratica di Difesa Contro le Arti Oscure. Dal momento in cui aveva messo piede fuori dall'aula dell'ultimo esame (Erbologia, una palla infinita), non aveva smesso di saltellare a destra e a manca, urlare e importunare chiunque gli capitasse a tiro. Con quei suoi exploit era riuscito a stranire perfino chi lo conosceva ed era di norma abituato alla sua natura espansiva. Per quel che lo riguardava, quella giornata era diversa dalle altre e quella gioia doveva necessariamente essere maggiore di qualunque altra provata, perché i MAGO si facevano una volta sola nella vita, quella sensazione di libertà che provava in quel momento non sarebbe più stata la stessa. Perciò eccolo che correva in giro, abbracciava tutti, faceva vane promesse su quanto si sarebbero divertiti e sulle cose che avrebbero fatto in quell'estate prima del college. Non gli pareva vero di essere lì, in quel momento che aveva immaginato così tante volte, e che nella sua testa aveva sempre dipinto come una scena di pura e assoluta gioia. Adesso si dimenava, correva per i corridoi, stappava bottiglie di spumante in cortile, eppure aveva l'impressione che avrebbe potuto essere più felice di così. Era strano, ma si sentiva come in cima ad una lunga scala ripida, e riusciva a vedere il panorama che stava dall'altra parte, certo, era bello... ma gli mancava ancora qualche gradino per poter godere a pieno della vista. Ecco, si sentiva esattamente così: qualche gradino più in basso rispetto a come avrebbe dovuto essere.
    Partecipò ai festeggiamenti, e fu tra i più rumorosi come suo solito, ma non poteva fare a meno di sentire una specie di vuoto dentro, che non sapeva bene da dove partisse. Probabilmente era solo esausto, si disse: le settimane precedenti erano state un inferno. Studiare per i MAGO si era rivelato mille volte più complesso di quanto immaginasse, niente a che fare con la passeggiata che erano stati i GUFO. Per prima cosa, si era ritrovato a studiare tutto da solo, senza Otis che era sempre stato la sua ancora di salvezza nello studio - e lui in solitaria non brillava mai. Si distraeva, alzandosi dalla sedia alla prima occasione, o semplicemente perdendosi a guardare il muro di fronte a sé per ore. E quando si costringeva a fissare il libro, le lettere cominciavano a vorticare nella sua testa senza che riuscisse ad attribuirvi un senso, perché di concentrarsi non se ne parlava. Per fortuna, dopo due settimane di osservazione del muro studio inutile, il suo compagno Nick Davis era corso in suo soccorso. Nick era il classico ragazzo dalle mille risorse: quello che ti procurava l'erba, le carte di Black Market truccate, ma anche una giustificazione con la firma identica a quella di tuo padre quando serviva. In quel caso, dopo le richieste supplicanti di Emi, il Grifondoro era entrato nella sua stanza sbattendo la porta, con un sorriso a trentadue denti e l'aria di chi stava per svoltare la vita del proprio interlocutore. E in effetti, così era stato: il giovane aveva frugato nella propria tasca e aveva tirato fuori un barattolo in vetro, contenente una manciata di piccole pastiglie azzurre. « Il segreto di ogni studente » aveva esclamato, entusiasta, incoraggiando Emi a provarne una. « Vedrai, con queste qui sei a posto fino agli esami. Altro che Pozione della Memoria! » Emi la Pozione della memoria l'aveva provata, ed era stato un mezzo fiasco: certo, era riuscito a concentrarsi per un po', ma alla fine dei conti aveva dato ragione a Nick - quelle pastiglie magiche erano tutt'altra roba. Nick non aveva voluto rivelargli cosa ci fosse dentro, né se l'assunzione fosse effettivamente legale: sapeva solo che le aveva recuperate tramite un amico di un amico che aveva un negozio a Knockturn Alley, e che l'anno precedente durante la sessione d'esami erano spopolate tra gli studenti del college. Emi non tardò a scoprirne i motivi: gli bastava prenderne una per raddoppiare, se non triplicare, la quantità di studio svolta in un pomeriggio - per non parlare della concentrazione! Ogni forma di iperattività sembrava svanita, e all'improvviso era per lui sorprendentemente semplice trascorrere ore di fronte ad un libro, a memorizzare concetti e svolgere esercizi. Quelle pillole furono talmente miracolose da risolvere anche il fastidioso ostacolo del sonno: all'improvviso, semplicemente non ne aveva più. Tolto di mezzo quest'impiccio, poteva studiare tranquillamente anche di notte, dove la concentrazione raggiungeva picchi massimi, raggiungendo così una ventina di ore sui libri al giorno senza che gli pesasse più di tanto.
    Ora, però, dopo quattro settimane di cura dello studio costante e ripetitiva (era arrivato ad assumere anche quattro pillole al giorno, e non era proprio certo che fosse consigliato) era possibile che il suo fisico stesse cominciando ad accusare qualche colpo; anche perché, va da sé che qualche effetto collaterale l'aveva avuto: roba da niente, per carità - aveva un mal di pancia costante, ogni tanto aveva le vertigini, e aveva perso sei chili nel giro di un mese a causa della diarrea quotidiana. Però tutto sommato ne era valsa la pena.

    « Neil vai a prendere un'altra cassa di burrobirra? Qua sta finendo tutto, sono degli animali! » urlò, dall'altra parte del bancone, mentre versava l'ennesima pinta ad un compagno. Era stata una festa un po' improvvisata, quella, organizzata a tavolino la mattina stessa, e per questo motivo i membri del comitato in prima persona si erano ritrovati a servire i compagni. Ad Émile però faceva piacere, aveva un sacco di energia in corpo da liberare, e rimanere così attivo gli era più che utile. « Il prossimo. » « Ciao! » Quando sollevò il capo, e si ritrovò di fronte Otis, rimase per un attimo interdetto. « Ciao! » Che fare? Cosa dire? Avrebbe dovuto far finta di niente? Gli rivolse un sorriso a labbra strette, e proprio in quell'istante vide l'espressione gioviale morire negli occhi del compagno, quando si accorse chi aveva davanti.
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    « Ah. Ciao. » Quel tono distaccato lo riportò alla realtà. Afferrò un bicchiere vuoto appena lavato, e prese ad asciugarlo con uno strofinaccio, tanto per darsi qualcosa da fare. « Dimmi pure. » « Una pinta di burrobirra, per piacere » Annuì e si apprestò a seguire gli ordini, compiendo movimenti meccanici. « Bella festa. Avete organizzato bene. » « Grazie! È stata veramente una cosa fatta proprio all'ultimo, quindi è tutto un po' improvvisato, ma mi piace l'atmosfera che si è creata » ammise, visibilmente contento. Guardò Otis, in quel frangente, e gli sorrise. Un sorriso sincero, spontaneo. Non seppe perché, però gli sembrò un momento come un altro. Quella battuta di Otis, breve e di certo circostanziale, gli parve come una specie di spiraglio: una piccola toppa della porta in cui spiare con un occhio, di nascosto, per scoprire che le cose avrebbero potuto essere semplici, come scambiare due parole davanti a una burrobirra. Una volta riempito il boccale, lo poggiò sul bancone, proprio davanti a lui. « Grazie. Quant'è? » Si strinse nelle spalle, per poi congedarlo con un gesto della mano. « Lascia stare, ne abbiamo presa un casino, avanzerà di certo. » Gli sembrò maleducato farlo pagare quella birra, nonostante tutto. Da quando erano amici, Otis non aveva mai pagato a nessuna delle feste organizzate da Emi, e cambiare proprio ora quella tradizione sarebbe stato un po' da stronzi. « Come- » « Ci... vediamo in giro. Buon lavoro. » -sono andati gli esami? Deglutì, mentre quella domanda gli moriva in gola, e restò in silenzio a guardare Otis che se ne andava. Chissà perché aveva pensato che avrebbero potuto conversare pacificamente, nonostante tutto. Gli occhi fissi sulla schiena del Tassorosso che si allontanava, sentiva la rabbia montare e una specie di groppo in gola. E un vuoto nello stomaco. All'improvviso, gli parve di capire meglio le sensazioni di quella mattina. Ora lo vedeva: era quasi in cima a quella scalinata, ma seduto sugli ultimi gradini, a impedirgli di andare avanti, di godere il panorama mozzafiato che si sarebbe meritatato... c'era proprio Otis. Si sfregava le mani con malizia e lo guardava, soddisfatto di fungere da impedimento alla sua felicità. Lo vedeva, mentre chiacchierava e scherzava con i suoi nuovi amici, davanti a quella birra che gli aveva stupidamente offerto, e buttava nel cesso anni di amicizia; di confidenze, di risate, di lealtà. Lo guardava e non lo riconosceva più. Voleva solo buttarlo giù da quelle scale.
    Non seppe perché fece quello che fece più tardi. Forse era la rabbia, forse l'alcol o forse semplicemente il fatto che non gliene importava più niente. Aveva trascorso il resto della serata a servire birra e a lanciare occhiatacce infastidite alla serenità che pareva emanare il suo ex migliore amico, e a un certo punto sentiva che avrebbe potuto esplodere. Fatto sta che vide Seline Osbourne, in compagnia di qualche amica, poco distante da dove stava proprio Otis. E fu proprio quella vicinanza a far scattare la decisione: sfruttò la prima occasione per prendersi una pausa e avvicinarsi alla ragazza, cingerle la vita con una mano e stamparle un sonoro bacio sulla guancia, il tutto nella maniera più plateale possibile. « Ma sai che sei proprio splendida stasera, Osbourne? » si complimentò, gettando una fugace occhiata alle spalle di lei, lì proprio dove stava il diretto interessato. E giù con altri complimenti e moine, d'altronde negli ultimi tempi Émile sembrava essere diventato campione del nobile sport di fare lo scemo con le ragazze. Ciò che aveva scelto di fare adesso ad Otis, però, provandoci platealmente con la ragazza che storicamente piaceva a lui, aveva un significato importante. Si vergognava di se stesso, perché due anni prima lui stesso avrebbe considerato una mossa del genere come un terribile oltraggio: ma ora semplicemente non gli importava più. Al contrario, desiderava vedere Otis arrabbiarsi, rovinare quell'idillio che lui non meritava. Ripagare il favore.


     
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3 replies since 29/5/2023, 19:16   118 views
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