Realized the older I get, I get more insecure

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  1. the educator
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    Otis Branwell
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    [17.32] 👍🏻😂

    13 giugno

    I corsi M.A.G.O. erano estenuanti esattamente come il nome faceva intuire. Otis era riuscito ad essere ammesso a cinque grazie ai risultati ottenuti ai G.U.F.O., il che significava dover sostenere cinque diversi esami per materia, il che significava morire. Studiare era sempre stato estremamente naturale, per lui, anche piuttosto facile, ma per qualche motivo sembrava che al sesto anno il suo corpo fosse stato posseduto da un demone impazzito che gli aveva fatto scegliere di intraprendere corsi di più alto livello per materie quali erbologia, babbanologia, aritmanzia, pozioni e demonologia; fatta eccezione per erbologia, che gli era sempre parsa piuttosto intuitiva una volta appresi i principi base – per quanto fosse incredibilmente estenuante doversi ricordare tutti i nomi latini e le famiglie di appartenenza e le proprietà delle piante – tutte le altre discipline erano oggettivamente troppo complesse. Oltre a tutta una serie di cambiamenti a cui aveva dovuto adattarsi nel corso dell'ultimo anno e mezzo, l'assenza di Émile, con il quale tipicamente si ritrovava per studiare, sicuramente aveva generato un suo effetto, che Otis volesse ammetterlo o meno. Ai tempi, il suo amico trovava difficile concentrarsi sulle parole e leggere libri interi senza che la propria distrazione coinvolgesse anche il compagno di stanza, mentre dall'altro lato le ripetizioni ossessive dell'allora piccolo Branwell, decantate a massimo volume mentre percorreva a falcate il perimetro della piccola camera erano sufficienti per mandare Émile in escandescenze. Per questo, poco dopo l'inizio della loro convivenza, avevano trovato – come per tante altre cose – un incastro perfetto: Otis leggeva, ripeteva tutto a Emi, il quale aveva un'intelligenza molto meno bibliografica e molto più intuitiva, veloce, così che ascoltare l'altro era sufficiente per imparare, per poi ripetere a sua volta a Otis, che così risparmiava la fatica di dover ripassare. Funzionavano in una sinergia talmente efficace che a volte, nel bel mezzo della notte, capitava che Otis si tirasse su dal letto di scatto, improvvisamente sveglio e incapace a ricordare un concetto della lezione appresa. In quei momenti svegliava l'amico, che, ancora mezzo addormentato, sapeva dargli la risposta che gli serviva per tornare a dormire sonni tranquilli – e questo perché Emi aveva una memoria decisamente migliore della sua. Insomma, erano un ingranaggio perfettamente oliato, una macchina ineccepibile, diventavano la memoria esterna l'uno dell'altro. Questo, insieme ad altri, era uno dei bonus di cui aveva imparato a fare a meno l'Otis diciottenne, che si ritrovava a preparare i M.A.G.O. da solo, contro ogni previsione. Imparare a studiare senza il proprio study buddy era letteralmente come ricominciare da capo, ridefinire il proprio metodo di studio a pochi mesi dalla prova finale non era esattamente rasserenante. Inutile dire che c'erano stati tentativi vani di unirsi a gruppi di studio, ma non era la stessa cosa, ognuno leggeva per sé e poi se lo ripetevano a vicenda, ma siccome la lettura era stata autonoma ognuno restituiva dettagli diversi del testo, a cui magari lui non aveva dato peso, e la cosa lo stressava, perché invece Émile gli restituiva esattamente ciò che lui, Otis, aveva precedentemente selezionato. Quella cosa lì era l'unica che riusciva veramente a fargli venire uno strano nodo alla gola. Quando si ritrovava in biblioteca o nel cortile del Castello con un gruppo di studio, il Tassorosso sentiva tutta la propria solitudine adesso che aveva perso il suo migliore amico. Da quando era tornato, però, la nostalgia sognante e idealizzante del passato era stata dissipata dalla dura realtà: Emi non aveva bisogno di lui. I corsi che condividevano gli permettevano di appurare come lo studio – anche soltanto in apparenza – per lui non fosse un problema come lo era diventato per Otis. Qualunque trucco ci fosse alla base, la risposta che si era dato era che semplicemente gli sempre stato chiaro che tra i due il più brillante fosse l'amico, anche se Otis era più book smart. Incapace di provare genuina felicità per lui, in quei momenti si era ritrovato ad invidiarlo, a domandarlo perché soltanto a lui toccasse avvertire in modo tartassante il peso di quell'assenza. Il punto era che sembravano arrivati a non parlarsi e a odiarsi soltanto per il gusto di farlo – sebbene molto probabilmente a nessuno dei due quel rancore facesse bene, questo Otis lo comprendeva. Da qualche parte, però, sapeva anche che finché rimaneva quell'astio così acceso, perdurava il loro legame, e che sarebbe sparito soltanto quando nessuno nei due avrebbe più pensato all'altro, o quando l'imbarazzo fosse subentrato: quando fossero tornati sconosciuti. Non esisteva un mondo in cui, anche se si evitavano e non erano più amici, Otis non conoscesse Émile; gli sembrava una condizione impossibile, ma con ogni giorno che passavano a non rivolgersi la parola e in cui nessuno dei due sembrava decidersi a rompere quel silenzio cresceva in lui la sensazione che il rischio di perdersi per sempre c'era davvero. Forse era già successo per Emi, mentre lui era l'unico che rimaneva incapace a percepire una reale estraneità dall'altro.

    «OTIS! OOOOOTIS!»
    Le palpebre pesanti del ragazzo sembravano essere fatte di cartone, impossibile aprirle senza provare un dolore e uno sforzo fisico fuori dal comune. «Stiamo andando al Gazebo, vicino la tenuta esterna. Pare ci sia una festa per la fine degli esami, ci vieni?» C'era ancora qualche sprazzo di luce che tingeva il cielo serale, irresistibilmente riportando alla memoria i ricordi dell'estate, la sensazione che fosse incredibile pensare che stesse per arrivare anche quell'anno. Otis rimase a fissare lo spazio sconfinato sopra di lui per qualche secondo, prima di tirarsi su facendo leva sulle braccia. «Lucy l'aveva detto che ti aveva visto dormire nel cortile, ma non credevo che dicesse sul serio. Ti senti bene?» Lui annuì prontamente, ancora un po' stordito da quella che era stata la prima dormita profonda da... non lo sapeva neanche da quanto. Si schiarì la voce. «Sto bene, sto bene. Devo essermi appisolato al sole dopo l'esame...» Dan annuì, prima di assestargli una pacca sulla spalla. «Beh, comunque, se vuoi unirti a noi siamo lì. È aperta solo agli studenti dell'ultimo anno, c'è anche la musica, l'hanno organizzata quelli del comitato per le feste» Ah. Inspirò profondamente, stropicciandosi un po' la faccia e deglutendo. «Si beve?»

    Sentiva lo stomaco attorcigliato. Non voleva pensare a come fosse andato quell'ultimo esame, non riusciva a smettere di tornare con la mente a ogni singola domanda del quiz senza finire in una spirale ossessiva di dubbi e incertezze. Ormai è fatta. Arrivò alla festa al gazebo più tardi rispetto a Dan e agli altri ragazzi con cui aveva condiviso gli ultimi mesi di studio matto e disperato, la strana sensazione che ora che era tutto finito non ci sarebbe più stato un buon motivo per continuare a vedersi o rimanere amici. Gli studenti del settimo anno erano tutti, più o
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    meno, un anno più piccoli di lui, e la cosa non gli era mai pesata, ma adesso che si faceva strada tra la folla animata con le mani infilate nelle tasche dei pantaloni qualcosa lo fece sentire un po' fuoriluogo. È il caso di prendere qualcosa da bere. Cercò facce conosciute, salutò qualcuno con un entusiasmo che a dirla tutta non riusciva propriamente a sentire, adocchiò qualche studente più piccolo, imbucato di stramacchio, bere da una di quei fusti di burrobirra con una sorta di tubo attaccato – insomma, tutto sotto controllo. «Tu che dici? L'avrai passato con una O o una E, secchia che non sei altro?» «Dico che chiudo qui la conversazione e vado a prendere una burrobirra, ciaooooo» ribatté, scomparendo con una sorta di moon walk mal riuscito che provocò qualche risata e un paio di occhi al cielo. Prevedibilmente, la coda per lo stand delle bevande era infinita, così estrasse il cellulare dalla tasca in un gesto automatico. L'occhio cadde sulla penultima chat di whatsapp del tutto involontariamente, la doppia spunta blu a cui ormai era abituato. Fece scivolare il dito sulla casella, in modo da archiviarla. «Il prossimo» Bloccò il cellulare e estrasse il portafogli. «Ciao!» fece, prima di alzare la testa e trovarsi davanti Émile Carrow. «Ah» disse stupidamente, deglutendo. «Ciao» fece nuovamente, stavolta con un tono di voce più basso. «Una pinta di burrobirra, per piacere». Seguì i movimenti del ragazzo con gli occhi chiari, mentre il tempo che lo spillatore impiegava per riempire il bicchiere sembrava infinito. «Bella festa. Avete organizzato bene» si limitò a dire, stringendo le labbra e annuendo tra sé e sé. «Grazie. Quant'è?» fece meccanicamente. «Ci... vediamo in giro. Buon lavoro» continuò cordiale, prima di prendere il suo bicchiere e filarsela. Sconosciuti.


    Edited by the educator - 11/6/2023, 18:34
     
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