we've not yet lost all our graces

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  1. roman candle
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    Settembre 2020
    «Dove? Dove cazzo sta? Trovatelo immediatamente, volete che vi faccia lo spelling, Cristo santo?» Il corpo di sicurezza annuì all'unisono, come fosse comandati da remoto da un telecomando che lo azionasse contemporaneamente. Si dispersero, ognuno in direzioni diverse, facendosi strada tra i tavoli imbanditi e gli invitati ubriachi del vino che Mitchum Montgomery aveva personalmente offerto agli invitati al matrimonio della figlia. Il castello di Dunrobin era stato gentilmente concesso come sede del sontuoso ricevimento di quella sera dalla contessa di Sutherland in persona, in nome del rapporto di amicizia che legava il clan alla famiglia Montgomery, e Missy non mancava di ricordarlo ai presenti assieme a sua madre; Tom, dal canto suo, si era detto che, fosse stato in lei, avrebbe serenamente mentito e raccontato a chiunque fosse dotato di orecchie di essere il legittimo proprietario della fortezza – tanto, già che ci sei. Non ci volle molto prima che i bodyguard del padre di Tom Montgomery individuassero l'erede della fortuna familiare seduto su uno dei divani in velluto scuro, nella biblioteca del castello. Chiaramente non era da solo. «Sì, sì, ho capito, arrivo» bofonchiò, prima di finire di inalare la striscia di polvere bianca che aveva accuratamente disposto sul retro di un centrotavola di cristallo. Tirò su col naso un paio di volte, piegando la bocca in una smorfia, prima di premere con l'indice sul vetro e catturare gli ultimi granelli rimasti. «Signorino Montgomery, deve venire con noi immediatamente, suo padre è stato molto chiaro.» Thomas infilò in bocca il dito coperto di polvere, chiudendo appena gli occhi, e lasciando correre la lingua sulle gengive. «Mh, mh» annuì piano, prima di schioccare la lingua. «Bo-hoo, party pooper» si lamentò una delle ragazze sedute accanto a lui. Non c'erano più di quattro o cinque persone, nella biblioteca, la musica proveniente dalla sala principale che arrivava ovattata, e ancor di più veniva filtrata dalle orecchie stordite di un Thomas decisamente troppo fatto per poter pensare di dover avere una conversazione con il patriarca. «Torno subito» la rassicurò lui, poggiando per qualche istante la mano sul suo ginocchio e stringendo appena. Il paparino ordina, tu obbedisci.
    «Dove cazzo eri finito?» Tom richiuse le pesanti porte dello studio della contessa di Sutherland dietro di sé, roteando gli occhi al cielo e trattenendo l'istinto di rispondere al padre che poteva anche, serenamente, farsi i cazzi propri. «Controllavo le cucine, che il servizio filasse liscio, tutto sotto controllo, hanno avuto un problema con il branzino ma Gil ha risolto subito, vecchia volpe» «Non sono dell'umore per le tue stronzate, Tom, e presto non lo sarai neanche tu.» Oh-oh. My Spidey-senses are tingling. Non era mai dell'umore per il suo sarcasmo, Mitchum, ma il figlio non potè che corrugare appena la fronte quando alzò finalmente lo sguardo e lo poggiò sul viso del padre. Sembrava più che arrabbiato, più che deluso, insomma non lo guardava come faceva tipicamente: era... spaventato? «Beh, allora? Cos'è questa suspance?» Il padre sospirò sonoramente, passandosi una mano pesante sul viso rugoso, che appariva particolarmente provato. Tom si sedette, l'espressione sempre più confusa che non sapeva mascherare, e si schiarì la gola per riempire il silenzio che suo padre non sembrava determinato a interrompere. «C'è un mandato d'arresto per te, Tom, se non ti consegni entro stasera. Mi ha chiamato Greengrass, che l'ha sentito da un collega del Wizengamot. Gli ho chiesto la cortesia di non farlo al matrimonio di tua sorella, creerebbe uno scandalo senza precedenti per la New Writing.» Ah, certo, cattiva pubblicità, il crollo delle azioni, bla, bla, bla. Tom cambiò posizione sulla sedia, prima di stringersi nelle spalle. Fece uno sforzo per tenere gli occhi ben aperti e dissimulare quanto poco fosse presente a se stesso, in quel momento, la mente che ragionava in modo rallentato, senza trovare spiegazione per tutta quella preoccupazione. «E quindi? Mi faranno altre domande, risponderò come ho già fatto, e mi lasceranno andare.» Una pausa, lo sguardo che cercava quello di Mitchum, che gli dava le spalle.
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    «No?» «Hanno la bacchetta.» Tom sbuffò in una risatina, scuotendo la testa mentre si passava la lingua sulle labbra. «Quale bacchetta, pa'? Di che stiamo parlando?» «Dobbiamo contenere quanto più possibile lo spargimento di questa notizia. Sui giornali abbiamo controllo, non c'è problema, ma il problema sono le reti indipendenti e la Wiz–» «Ma chi cazzo è questo?» «Paul Chapman, responsabile PR e pubblicità» «Ma che cazzo me ne fotte, perché sta qui questo?» Mitchum continuava a rivolgergli le spalle, il che continuava a snervarlo. «Mi spieghi qualcosa, cazzo?» Il padre sospirò sonoramente, ancora una volta, prima di voltarsi e scuotere la testa. «Dio mio, non credevo fossi rincoglionito fino a questo punto. Ti arrestano Tom, perché hanno le prove per procedere ad un'imputazione. Hanno la bacchetta che hai – che hanno usato quella sera.» «Ma questo non ha senso. Sarà un falso, un duplicato, la mia bacchetta l'ho fatta appositamente distruggere» «Non c'è tempo per pensare a come, se, e ma, lo capisci? Riesci a ragionare per cinque cazzo di minuti o hai il cervello troppo fottuto per capire costa sta succedendo?» Tom serrò la mascella, deglutì, il sangue che gli saliva vorticosamente alla testa al punto di sentire il battito del suo cuore rimbombare nelle orecchie. «Io posso provare ad aiutarti. Ma tu devi sapere che se vai a picco ci andiamo tutti: io, tua madre, l'intera cazzo di baracca. Non possiamo permetterci uno scandalo del genere.» Tom trattenne una risata isterica. Che stronzo. «Per cui, pensa bene, sforzati: esiste qualcosa o qualcuno al mondo che può costituire una controprova sufficientemente salda da scagionarti, Thomas?» «Non... Non mi viene in mente... Io non... Non sono stato io, non è colpa mia» Balbettò, la voce pericolosamente rotta, adesso evitando lo sguardo del padre, che gli si faceva più vicino. «Questo potrebbe essere il momento che definisce il resto della tua vita, Tom. Divorerebbe tutto. “Ragazzo ricco uccide una babbana”: non sarai mai nient'altro che questo.» Una singola lacrima, scacciata via con forza. «O potrebbe essere ciò che dovrebbe essere: un incidente, un caso di persona nel posto sbagliato al momento sbagliato. Pensa, Tom.»

    Oggi
    «Hey.» Freya aveva scelto una giornata no. L'ultima visita di Nate era stata seguita da un silenzio assordante. Sulla Gazzetta si parlava già di possibilità di riaprire il processo e lui non ne sapeva niente. Lo faceva sentire sull'orlo della pazzia, quello starsene rinchiuso senza avere notizie di ciò che sarebbe stato della sua vita. In stanze lontane da lì la gente si riuniva per parlare di lui, il suo nome sulla bocca di tutti e ora addirittura di nuovo su uno dei giornali di suo padre, per altro, e lui fermo, escluso, all'oscuro. Ma sapeva di dover mantenere la calma, tenere la testa bassa, riuscire a trovare la forza per continuare a limitarsi ad aspettare. Ogni tentativo di quieta meditazione, tuttavia, era stato facilmente infranto dalla voce atona dell'Auror che aveva battuto la propria bacchetta contro il ferro delle sbarre della cella di Tom. «Altra visita, sei popolare, Montgomery. Una biondina niente male, stavolta» era stato sufficiente per destare la sua attenzione. E così adesso che se la ritrovava di fronte, la divisa da detenuto che gli stringeva sul corpo trasformato da due anni di regolare e severo esercizio fisico, Thomas si limitò a guardare Freya per qualche secondo, senza parlare, in attesa che lei ricambiasse il suo sguardo. Sbuffò in una risatina quando cercò di abbracciarlo, e indietreggiò di un passo, non volendo infrangere alcuna regola. Ci teneva molto, a rigare dritto. «Sono contento di vederti» le disse sincero mentre seguiva il cenno di sedersi. Come di riflesso, aspettò che lo facesse prima lei, per poi prendere posto dal capo opposto del tavolo. Non la vedeva da almeno cinque anni. Faticava a distogliere lo sguardo da lei, la sincera curiosità di che cosa l'avesse spinta a venire adesso, i ricordi di quel breve lasso di tempo che avevano trascorso insieme che cominciavano a risvegliarsi. «Mi dispiace di non essere venuta prima. Sono tornata in Inghilterra solo poco prima del... del
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    casino di Hogwarts. Per un po' non ho potuto lasciare Hogsmeade e –»
    «Non serve che ti giustifichi, Freya. Non so se io sarei venuto a trovarti se i ruoli fossero stati inversi.» Disse, un po' provocatorio, piegando un angolo della bocca in un mezzo sorriso. In fondo non avevano condiviso così tanto, loro due. Si era sempre trovato bene con Freya, ora cominciava a ricordare bene le lunghe chiacchierate all'adiaccio, sotto il cielo stellato, separati dal mondo esterno da un Protego Totalum castato alla bell'e meglio. Avevano passato bei momenti insieme, ma in fondo il tempo che si erano dedicati era sempre stato limitato, e questo l'avevano saputo dal primo momento. Erano stati una parentesi l'uno per l'altra, quando si trovavano dall'altra parte dell'Atlantico a giocare a fare i criminali. Solo che poi uno dei due lo era diventato davvero. «Ho visto l'articolo sul Profeta. Dicono che sono disposti a riaprire il processo.» «È per questo che sei venuta?» Fece, espirando e cambiando posizione sulla sedia. Era inquisitivo, genuinamente curioso, oppure voleva soltanto sentirselo dire? «Bah, sto...» indicò lo spazio attorno a se con un movimento della testa. «...come si sta nel carcere di massima sicurezza per maghi, insomma. Come un pesce fuor d'acqua» Sorrise nuovamente. Irremovibilmente poco serio. Più di tutto, Tom cercava normalità. Starsene lì a parlare con una ragazza che era presente al momento del delitto di cui era accusato, dopo non averla vista per cinque anni e mezzo, poteva essere reso tollerabile soltanto da quell'atteggiamento disperatamente leggero. E se gli altri lo prendevano per coglione immaturo, Thomas sapeva che era l'unica cosa a tenerlo ancorato alla realtà. «Ti frequenti ancora con quel Kadmus?» la provocò, con un cenno del mento nella sua direzione e sollevando le sopracciglia. «In giro si dice che il MACUSA si sia accertata che lui e i suoi amici tengano la bocca chiusa assicurandosi che la mantengano ben impegnata, e non solo nel senso ambiguo dell'espressione.» Del resto tutti loro, tranne Freya, erano stati assoldati direttamente dal MACUSA per svolgere tutte quelle operazioni non proprio limpide e cristalline che si può lasciar compiere all'intelligence. Voci di corridoio parlavano di un accordo tra il Ministero inglese e il MACUSA, un'intesa volta a interrompere ulteriori ricerche sulle persone coinvolte nell'omicidio di Lilian Murphy per non ribaltare mattonelle che avrebbero fatto bene a lasciare dov'erano. Questa era l'idea che si erano fatti Tom e i suoi avvocati, ed era anche la più probabile. I nomi delle persone coinvolte negli eventi che lo vedevano considerato responsabile non erano mai venuti fuori, chissà perché. «Hanno contattato anche te? Ti hanno proposto qualche accordo per non farti parlare? Il Ministero americano sa che eri lì?» Del resto, non era esattamente tra di loro in veste ufficiale. Poggiò i gomiti sulla superficie dura del tavolo, sorreggendo la testa sui palmi aperti.
     
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