we've not yet lost all our graces

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  1. vanitatem
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    Dall’esterno, il mondo di Freya e Thomas sembrava appartenere a due dimensioni distinte, divise da un abisso incolmabile. Lui era cresciuto nel lusso e nell'agiatezza, circondato da una famiglia apparentemente perfetta, il cui futuro era colmo di innumerevoli opportunità: erano lì, a portata di mano, tanto che avrebbe semplicemente dovuto scegliere quale cogliere. Freya, d'altra parte, aveva conosciuto solo l'instabilità, spostata di casa in casa, senza un punto fisso e una famiglia che le offrisse sicurezza e fiducia nel mondo. Ai tempi di Hogwarts, Freya si era convinta che non avessero nulla in comune. Gli si era avvicinata proprio per quello, attratta dalla leggerezza con cui il Serpeverde sembrava non curarsi del mondo. Non aveva cercato le sue attenzioni a caso: all’epoca, Thomas Montgomery era quanto di più distante vi fosse da Zip Trembley. Qualcuno a cui non avrebbe dovuto dare spiegazioni e che non ne avrebbe chieste, la cui esistenza appariva felice, pulita, priva di qualunque preoccupazione. Forse aveva peccato di ingenuità nel confondere l’apparenza con la realtà ma, anni dopo, aveva finalmente iniziato a vedere oltre la superficie. Nell'aspro e freddo inverno trascorso insieme negli Stati Uniti, le imperfezioni dietro la maschera avevano iniziato a emergere, in un'immagine che contrastava fortemente con quella del ragazzo viziato e cresciuto nell'agiatezza che aveva conosciuto in precedenza. Al principio, la semplicità con cui Montgomery si era adattato a quella nuova realtà, perfettamente a suo a suo agio in mezzo a ladri e criminali, l’aveva sconcertata e – al contempo – irritata, suscitando in lei un senso di ingiustizia e frustrazione: dall’alto della sua esistenza privilegiata, Thomas sembrava quasi godere di quella vita spregiudicata e fuorilegge mentre lei, dacché ne aveva memoria, non aveva fatto altro che tentare di rifuggirla, prigioniera di in un mondo a cui non apparteneva. Per qualche giorno lo aveva persino evitato, quasi risentita dalla sua sola presenza, ma – in breve – le piccole dimensioni dell’accampamento e la compagnia assai poco raccomandabile di cui erano circondati, lo avevano reso l’unica persona da cui Freya non si era mai sentita minacciata. Tutt’ora, non avrebbe saputo dire se lui se ne fosse accorto – ma, se ne era consapevole, era stato abbastanza galante da non rinfacciarglielo. «Non ci sarebbe niente di male, in questo» Un lieve sorriso si aprì sulle labbra di Freya, impercettibilmente divertita. No, non ci sarebbe nulla di male. Glielo concesse, mentalmente, con un lieve cenno del capo. Quella risposta era stata tanto semplice quanto prevedibile. Una scelta sensata, logica. Facile da comprendere per qualcuno come te, forse persino accettabile – più accettabile di trovarti disperatamente bisognoso dell’aiuto altrui, per lo meno. Soprattutto se disinteressato. Se qualcun’altro avrebbe considerato quelle parole come l’ennesima mera provocazione, Freya era più interessata a ciò che non era stato detto: il negare l’esistenza di ogni coscienza o senso del dovere che fosse, qualunque pilastro morale o emotivo che potesse, anche solo lontanamente, palesarsi come il fantasma quasi dimenticato di un’affinità effimera ma genuina. Sollevò gli occhi su di lui, in parte sorpresa e in parte divertita nell’accorgersi che, nonostante il tempo e le vicessitudini trascorse, riusciva ancora a intravedere in Thomas la medesima diffidenza in cui si era specchiata cinque anni prima. Non avevano trascorso più di qualche mese assieme, eppure quel breve periodo li aveva avvicinati bruscamente: complice la vita spartana in cui erano costretti, la noia nelle gelide serate all’accampamento e la differenza di età – e fedina penale - con la maggior parte dei loro compagni, avevano ben presto iniziato a chiacchierare del più o del meno, accovacciati accanto al fuoco o durante i rispettivi incarichi. Da quel momento, non era stato difficile per Freya iniziare a notare piccoli dettagli che, ai tempi di Hogwarts, erano passati totalmente in secondo piano. Il modo in cui Thomas arricciava leggermente il naso prima di uno sbadiglio, la piccola fossetta che compariva a lato delle labbra quanto tentatava di nascondere uno sprazzo di inadeguata ilarità, il modo in cui raramente la interrompeva nel bel mezzo di un discorso e – in quelle rare occasioni – si limitava a invitarla a continuare, talvolta con tono innocentemente canzonatorio. E, man a mano che si rivelavano a vicenda pezzi delle loro vite, aveva intuito, per la prima volta, che a dispetto delle apparenza vi era qualcosa in Thomas che riconosceva come proprio: un’affinata maestria nel non esporsi mai troppo e l’abilità, quando necessario, di distaccarsi da qualunque posizione scomoda, nascosti dietro commenti pregni di impersonalità e generalizzazioni. Lo stesso modo in cui, in quel momento, annaspava alla ricerca di una spiegazione logica e concreta – un do ut des da cui temeva di essere tratto in inganno. «L'hanno fatto tutti gli altri, Freya.» La ragazza inarcò appena un sopracciglio, tamburellando silenziosamente con le dita sul tavolo. «Perché tu non avresti dovuto? Non ti avrei biasimato né giudicato.» Si limitò a fissarlo senza rispondere, seguendo il filo dei suoi pensieri. Al suo posto, qualcun altro sarebbe stato ferito da una constatazione tanto diretta, ma, suo malgrado, Freya riusciva a comprendere il meccanismo alla base di tale conclusione. Dopotutto, nessuno fa niente per niente. Decise di tenere per sé quel pensiero, ben lontana dal biasimarlo; a parti inverse, lei stessa si sarebbe rifiutata di abbassare la guardia ed aveva la netta sensazione che approcciare l’argomento avrebbe sortito tutto fuorché l’effetto desiderato – qualunque esso fosse. Si limitò a scuotere appena il capo, tradendo un rassegnato dissenso, spostando per un istante gli occhi sul resto della stanza. Non era sicura di quanto tempo avessero a disposizione, ma invischiarsi in discorsi filosofici sulla complessità della natura umana non li avrebbe portati da nessuna parte. Non le sfuggì come, d’un tratto, Thomas le parve inquieto nel rispondere alla sua domanda. Lo osservò tentennare prima di rispondere, le iridi chiare che si soffermarono su quei sottili indizi di nervosismo. Da quando sono in grado di metterti a disagio? Non ricordava fosse mai capitato, in precedenza; nemmeno quando gli aveva rivolto richieste decisamente più scomode. «Ho supposto che i casi potessero essere due. Che avevi accettato i soldi e che volevi viverti la tua vita in pace, lontana da tutto questo casino, come chiunque con un po' di sale in zucca avrebbe fatto oppure che non li avevi accettati, e in tal caso coinvolgerti nel processo sarebbe stato controproducente per entrambi, perché tu non hai idea dello schifo e del marcio che c'è dietro questo caso, Freya.» Inclinò appena il capo di lato, incrociando le braccia sopra al tavolo e scivolando leggermente in avanti. Lo fissò di sottecchi, quasi volesse confessargli un segreto. « Nel caso in cui non l’avessi notato, non sono mai stata particolarmente prudente. » Replicò, con un accenno di ironia. Quella spiegazione era troppo logica, riduttiva per avere senso; non riusciva a credere che si fosse arreso di fronte al verdetto, accettando il suo silenzio come un tacito segno del destino. Non quando l’enjeu era la libertà. « Quindi hai semplicemente deciso di non tentare? » Domandò, non senza un barlume di sfida. Vuoi dirmi che hai consapevolmente accettato tutto questo senza nemmeno provare a ribaltare la partita quando sapevi di avere un asso nella manica? « Non è certo una mossa da Thomas Montgomery. » Non me la dai a bere. Inarcò appena un sopracciglio, scrutandolo in attesa di una spiegazione – una vera spiegazione - che non era certa le avrebbe concesso. D’altronde, lei non si trovava nella posizione di pretenderla. «Se ti avessi menzionata come testimone la tua intera vita sarebbe stata scandagliata alla ricerca di informazioni che potessero metterti fuori gioco. […] Tutt'ora ti dico, non credo cambierebbe qualcosa. Non sono sicuro che esista un modo per te di renderti utile, mi dispiace per te.» Freya si reclinò all’indietro, tornando ad appoggiare la schiena contro la parete gelida, sbuffando una risata. « Non dispiacerti per me, Thomas. Non ne hai motivo. » Non sono io quella col culo al fresco. Esitò per un istante, prima di stringere appena le labbra. « Vuoi sapere cosa penso? » Non attese la sua risposta. « Penso che tu abbia avuto paura. Magari sarebbe davvero stato del tutto inutile ed entrambi saremmo andati a fondo ma, dal mio punto di vista, non è una scusante abbastanza concreta. » Si inumidì le labbra. « Paura di rischiare, di incontrare un esito ancora peggiore o, forse, di non avere più alcun appiglio futuro a cui aggrapparti se il tuo appello fosse stato rigettato. » Ti serviva un’ultima carta vincente, qualcosa che preservasse una possibilità di ipotetico trionfo. « Ma hai anche avuto paura di chiedere aiuto. » Accennò ad un flebile sorriso, avvicinandosi nuovamente al tavolo e spezzando quell’improvvisa distanza tra loro. « Non è un’accusa. Lo capisco. » Al tuo posto, avrei avuto altrettante riserve. Il suo tono di voce si ammorbidì e Freya allungò istintivamente le mani nella sua direzione, sul legno scuro del tavolo. Si soffermò a pochissima distanza dalle sue, sfiorandole appena. « Ma il fine giustifica i mezzi e questa non è una battaglia che puoi vincere da solo. Non c’è nulla di male nel chiedere aiuto. » Sospirò. « O nell’accettarlo. » Non sono venuta qui per sentirtelo chiedere, ma nemmeno per supplicare il tuo permesso o la tua benedizione. «Forse qualcosa sta cambiando, in effetti. Tu da sola, come testimone, potresti essere facilmente messa a tacere. Ma con Nate stiamo pensando di agire su più fronti.» Gli fece cenno di continuare, leggermente confusa da quell’improvviso cambio d’argomento. Ai tempi di Hogwarts, lei e Douglas erano stati unicamente conoscenti – studenti che si incrociavano per i corridoi o scambiavano qualche parola alle feste, senza realmente avere nulla in comune. Almeno apparentemente. Lo lasciò finire di parlare, mantenendo lo sguardo fisso in quello di lui. Infine, abbassò lo sguardo sul tavolo, forse nel tentativo di nascondere una risata leggera. « Non mi aspettavo che me lo chiedessi, né mi interessa che tu lo faccia. E ti prego di non considerarlo una ricerca di riconoscenza o un debito nei miei confronti. » Si strinse nelle spalle, sollevando nuovamente lo sguardo su di lui. « Si tratta di una mia scelta e, a prescindere da tutto, ti posso assicurare che non è dettata da pietà o compassione. » Vi era più di una ragione per cui voleva farlo ma le veniva difficile spiegarlo a parole. Si trovava divisa tra la volontà di testimoniare a suo favore e una profonda confusione riguardo al motivo che la spingeva a farlo. Non era una questione di pena, anche se il significato di quella scelta le sfuggiva. Razionalmente, riconosceva che la sua sola presenza l’aveva fatta sentire al sicuro durante il periodo trascorso negli Stati Uniti e, inevitabilmente, quel legame confortevole si era trasformato nel primordiale abbozzo di un affetto sincero. Ma vi era qualcosa di più – di diverso – che non riusciva a spiegare nemmeno a sé stessa. Forse era dovuto alle esperienze condivise, alle cicatrici che avevano portato con sé, a volte combattuti da una continua ricerca di qualcosa o qualcuno che potesse riempire quel vuoto che li accomunava entrambi. « Ma di certo preferirei vederti in qualcosa di diverso da… questo. Quel colore non ti dona. » Accennò all’uniforme, in un goffo tentativo di spezzare la tensione.
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    « Per quanto riguarda Douglas, può trovarmi alla Testa di Porco. » Trattenne a stento una risatina. « Sarà un vero spettacolo vederlo entrare lì dentro. » Probabilmente l’ultimo posto al mondo che vorrebbe visitare, dopo Azkaban. « Immagino che non sappia che fossi negli Stati Uniti, all’epoca. » Dubito che ti avrebbe lasciato mantenere il segreto, in caso contrario. « E se dovessimo considerare concretamente l’opzione di usare la mia testimonianza, suppongo di dovergli fornire un minimo di contesto. » A partire da Hogwarts, ad esempio. « Di quanto è al corrente, esattamente? » Non era entusiasta all’idea di dover rivelare buona parte della sua vita privata a Nate Douglas, ma vagliare possibili dettagli scomodi avrebbe aiutato ad evitare inconvenienti futuri in vista di un nuovo processo. Se avremo un’occasione, non possiamo permetterci il lusso di sprecarla.
     
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