we've not yet lost all our graces

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  1. roman candle
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    Freya gli era piaciuta da subito per quella fame che gli era sembrato di leggerle nello sguardo. Era ciò che più gli piaceva nelle ragazze con cui si accompagnava, e in lei in particolar modo. Non inseguiva necessariamente il brivido della trasgressione, quello poteva farlo da solo: aveva un senso di invincibilità, crescendo, abbastanza pronunciato da bastare per lui e per chi fosse insieme a lui; sicuramente non gli serviva qualcuno che lo assecondasse nelle proprie bravate – un termine con cui comunque aveva sempre bisticciato perché difficilmente per lui si trattava di agire per provocare qualcuno o per dare fastidio. A Tom interessava molto poco violare le regole per il gusto di farlo o per il piacere sadico che gli adolescenti più ribelli traggono dal prendersi gioco degli adulti, delle autorità. Thomas voleva soltanto prendersi tutto. Non aveva una natura protestante, per lui, quell'irrequietezza: era semplicemente la sua natura, la sua fame, la possibilità di chiedersi “perché no?” sapendo che non esistesse una risposta sufficientemente valida o convincente, la tendenza a cogliere, prendere, provare. Era ciò che nessuno nel mondo adulto era riuscito a capire di lui e di quelli come lui, abituati ad una visione del mondo binaria, moralista, fatta di buoni e cattivi, di persone decenti e teppisti buoni a nulla; era un mondo ipocrita, perché le persone che avevano più successo nella vita e che arrivavano più lontano non erano quelle che i professori, i genitori, gli educatori e i parenti avrebbero voluto che lui fosse, e cioè gli onesti, i quieti, gli assennati. Il mondo era sempre stato dei voraci, di chi cercava di prenderselo, afferrarlo, per ingordigia, avidità, o per capriccio. Non sapeva cosa spingesse Freya ad essere chi era, a scegliere la vita che aveva scelto – se di scelta si poteva parlare – ma sapeva che con lei non ci fosse moralismo, dicotomia buoni e cattivi, giusto e sbagliato: si fa ciò che si deve fare per soddisfare i propri bisogni, si asseconda la fame. Spesso nella vita di Thomas queste necessità erano appagabili a discapito di altri, ma non era forse sempre stato quello l'ordine naturale delle cose? Bisognava soltanto scegliere da che parte stare, o provare con tutte le proprie forze a trovare la propria posizione, tollerando le oscillazioni: adesso, le manette incantate che gli illuminavano i polsi di una luce verdognola, non era altro che un'oscillazione, e presto sarebbe tornato a occupare il proprio posto. Questa profonda convinzione che lui in carcere non ci sarebbe rimasto ancora per molto e che presto le cose sarebbero cambiate aveva mantenuto accesa la fiamma dell'orgoglio, che seppur tremolante non si era mai spenta; gli aveva permesso di tollerare la perdita dell'identità, del senso di sé, ma mai della dignità, perché in fondo capiva come quella fosse l'unica valuta che aveva e che nessuno potesse portargli via. E tuttavia, mentre adesso Freya gli stava di fronte, quella fiamma sembrava vacillare pericolosamente. «Nel caso in cui non l'avessi notato, non sono mai stata particolarmente prudente». Si tirò giù le maniche della divisa, a coprirgli le nocche delle mani ossute e pallide, stendendo le braccia sul tavolo. Inspirò, quindi, finalmente, ricambiò lo sguardo che lei gli stava rivolgendo, pronunciando quelle parole. Oh, l'aveva notato. Se lo ricordava bene. Normalmente avrebbe piegato un angolo della bocca in un sorriso complice, ma adesso rimase fermo dov'era, guardandola e annuendo, stringendo le labbra. Era proprio quello il problema: non c'era spazio per le imprudenze. Non poteva dire con precisione che cosa l'avesse fermato dal contattarla di preciso, ma quel fattore sicuramente aveva giocato un ruolo fondamentale, in quel momento così come ai tempi: due come loro non sarebbero andati molto lontano se uno dei due non avesse avuto, a rotazione, il ruolo di rallentare l'altro; si davano il cambio, frenandosi quando la curiosità e la tentazione di spingersi un po’ oltre si faceva troppo forte per la propria sicurezza, o un po’ dopo di questa soglia, a sfiorare il limite sempre con la punta delle dita, saggiarlo prima di venire tirati indietro dalla mano dell’altro, per non perdere l’equilibrio. Aveva deciso per lei. «Quindi hai semplicemente deciso di non tentare? Non è certo una mossa da Thomas Montgomery.» Non era un ruolo che spesso si era trovato a ricoprire: Tom pensava per sé, agiva per sé, in una filosofia che trascendeva l'egoismo e che aveva a che fare con l'autoconservazione, la consapevolezza di non poter fare affidamento su nessuno quanto se stesso; se gli altri volevano rovinarsi la vita, affondare, lui al massimo avrebbe teso una mano, ma sarebbe stata sempre una decisione altrui quella di afferrarla. Freya non era stata un'eccezione a quella regola: l'aveva protetta, in fondo per proteggere se stesso, decidendo al posto suo per salvare entrambi, per quanto poi lui fosse caduto a picco. «Non era il momento giusto» liquidò la faccenda con una stretta di spalle, preferendo non continuare a soffermarcisi: che importava perché non l'aveva contattata? Non era forse libera, mentre lui no? Ma lei non sembrò voler mollare la presa, e Thomas
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    prese a cambiare posizione sulla sedia, esagitato. «Vuoi sapere cosa penso?» «Illuminami.» «Penso che tu abbia avuto paura. Magari sarebbe davvero stato del tutto inutile ed entrambi saremmo andati a fondo ma, dal mio punto di vista, non è una scusante abbastanza concreta. Paura di rischiare, di incontrare un esito ancora peggiore o, forse, di non avere più alcun appiglio futuro a cui aggrapparti se il tuo appello fosse stato rigettato. Ma hai anche avuto paura di chiedere aiuto. Non è un'accusa. Lo capisco.» Gli si avvicinò, Freya, e Thomas colse i suoi occhi azzurri illuminarsi con un guizzo nell'oscurità della stanza ombrosa. Ma lui si allontanò, poggiando la schiena contro la sedia, irritato da quell'approssimarsi, da quel tentativo di decifrarlo. E ci mancherebbe che fosse pure un'accusa. Contrasse la mascella, il pomo d'adamo che rimbalzò lievemente mentre deglutiva. «Perdonami la schiettezza, ma che te ne frega? Perché questo processo alle intenzioni? Cristo, ti ho parato il culo e ora devo sentirmi lo spiegone su come ho avuto paura Sillabò duro, ma piano, aggrottando la fronte. Cosa voleva che le dicesse? Perché quello scavare nelle sue motivazioni? Perché quell'ulteriore umiliazione? Come se chiedere aiuto adesso non fosse abbastanza difficile, per lui, doveva star lì e sentirsi psicoanalizzare da una persona che aveva pure cercato di proteggere? «Non mi aspettavo che me lo chiedessi, né mi interessa che tu lo faccia. E ti prego di non considerarlo una ricerca di conoscenza o un debito nei miei confronti. Si tratta di una mia scelta, e, a prescindere da tutto, ti posso assicurare che non è dettata da pietà o compassione» Roteò gli occhi al cielo, soffocando una risata sommessa. «Ah, grazie tanto per non compatirmi, allora! Cristo Santo, Freya, ma davvero? Devi parlarmi per forza in modo così accondiscendente?» Si passò una mano sul viso scarno, espirando a fondo, cercando di dosare la propria reazione. Accartocciandosi la faccia, tacque per qualche istante, mordicchiandosi le labbra. Non si era mai sentito così tanto in difficoltà in vita sua, probabilmente, e reagendo così, se ne rendeva conto, non faceva che corroborare la versione delle cose di Freya – neolaureata in psicologia, a quanto pareva – dando l'impressione di non riuscire a sopportare l'idea di mostrarsi bisognoso. Ma era così difficile capire che semplicemente non fosse quello il momento? Avrebbe preferito parlare molto di meno del perché e del per come, farsi meno domande possibili e guardare avanti, non indietro. «Okay, senti.» Si grattò la testa bionda, passandosi la lingua sulle gengive. «Io non lo so perché non ti ho chiesto una mano prima. Va bene? Non lo so, è la verità.» Visto che qua sembra di essere sotto processo, l'ennesimo. «Cazzo, probabilmente hai pure ragione tu ed è perché solo il pensiero della telefonata che avrei dovuto farti, alzare la cornetta e chiederti di rinunciare a tutta la tua vita per correre in mio soccorso mi causava l'orticaria. Il fatto stesso che tu fossi lì quando è successo e abbia dovuto vedermi crollare subito dopo l'accaduto...» Un'espressione disgustata comparve sul viso di Thomas, al ricordo delle immagini di lui che tratteneva le lacrime con Freya al suo fianco, dopo aver occultato il cadavere. Scosse la testa di scatto, non volendosi soffermare sulla scena ulteriormente. «Forse sarebbe più facile per me se per te in questo ci fosse un qualunque tipo di guadagno. Forse lo capirei di più se fossi in debito con te, dopo. Per qualche motivo sento che in questo ci sarebbe più dignità, Freya. Capisci?» Provò a spiegarsi, l'espressione dura di poco prima in una più pensierosa, come se maturasse quelle consapevolezze mentre le pronunciava, la rabbia che aveva lasciato il posto ad una calma rassegnazione. «Nate non sa niente. Se gli avessi detto qualcosa lo sapresti perché non ti lascerebbe in pace, avrebbe tampinato me e te finché non mi fossi deciso a lasciarti testimoniare. Non posso farti avere il suo numero perché chiaramente non ho più il cellulare, ma posso dire ai miei avvocati di chiamarti e farti parlare con lui.» Tirò sul col naso, evitando di guardarla. «Qualunque cosa ti serva e tu voglia in cambio, qualunque, comunicala al mio avvocato e troverò il modo di venirti incontro, a tempo debito.» È tanto più facile lo scambio, tanto più paritario, tanto più impersonale. «Puoi cambiare idea in qualunque momento, Freya, e io ti prego di considerare di farlo. Ma hai ragione: la scelta è tua, e non sceglierò più al tuo posto, per cui se decidi che vuoi darmi una mano io non potrò fare molto se le cose andranno per il verso sbagliato.» Alzò gli occhi cerulei, a incontrare i suoi. «Pensaci.»

     
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