Macerie prime

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    « Incroyable! La Bella Addormentata ci degna della sua presenza! » « Non rompere le palle. » « Complimenti per l'eleganza. Ma che figura mi fai fare? Non vedi che ci sono ospiti? » June indicò con un gesto la ragazza seduta sul divano al suo fianco, ed Émile che nel frattempo avanzava nel soggiorno strascicando i piedi, dovette combattere ogni istinto di alzare gli occhi al cielo. « Buonaseeeeeera » trascinò anche quel saluto, mentre raggiungeva la cucina in cerca di cibo. La Stone ormai sembrava aver messo le radici in quella casa: ogni scusa pareva valida per passare una serata con sua cugina sul divano a chiacchierare: a quel punto era ridicolo continuare a reputarla un'ospite, visto e considerato che da quando era lì Emi doveva preoccuparsi della propria mise ogni qualvolta lasciava la propria camera, onde evitare di scontrare la professoressa di Volo nel tragitto verso il bagno in déshabillé. A onor del vero, in fin dei conti, il vero ospite in quella situazione era proprio Émile: da quando aveva lasciato il dormitorio di Hogwarts si era parcheggiato nella stanza degli ospiti di June: era più comodo così, considerato che a Settembre si sarebbe trasferito in uno degli alloggi del college, e non aveva senso portare tutta la sua roba di nuovo a Londra. Il punto, però, che doveva aver fatto sorgere più di un dubbio nella Rosier era il fatto che da quella stanza, Emi, non era più uscito, se non per soddisfare qualche bisogno primario. Il tragitto più lungo che si riservava era quello dalla camera fino alla cucina, dove con la faccia da zombie scrutava il contenuto del frigorifero, recuperava qualcosa di non particolarmente nutriente e decisamente poco sano, e spariva di nuovo. Nel buio della stanza, sotto il lenzuolo sottile che aveva scelto come scudo dal mondo, Emi ogni tanto intravedeva la porta socchiudersi leggermente, facendo entrare un sottile spiraglio di luce. « Tutto okay? » « Come ti senti? » « Hai bisogno di qualcosa? » June esprimeva la sua preoccupazione con questi piccoli controlli di routine, ma non era mai stata invadente. Forse perché aveva capito la natura del disagio del cugino; in fondo anche lei aveva avuto la sua età, a un certo punto. Si era ritrovato a chiedersi se a lei fosse capitato di essere umiliato da tutti i suoi migliori amici al ballo dell'ultimo anno della scuola. Poteva davvero capirlo? Beh, è stata lasciata all'altare. Quella sì che è una bella umiliazione.
    Quella sera però c'era qualcosa di diverso nell'aria, e June per prima dovette notarlo, perché anziché sgattaiolare come suo solito verso la propria tana, Émile se ne stava impalato al centro della stanza. « Sto uscendo » si risolse a dire. Il volto della mora s'illuminò per un secondo. « Davvero? E dove vai? » « Ma i cazzi tuoi?» Un'altra cosa che in quei giorni June aveva notato, e di certo sopportato, era l'umore nero di Émile. Fece per rispondere, ma prima che potesse proferir parola Émile aveva già raggiunto l'ingresso, ed era uscito sbattendosi la porta alle spalle.

    Aveva i brividi. Una reazione curiosa, osservò tra sé e sé, considerato il caldo che colpiva Hogsmeade ormai anche a quell'ora della sera. Le luci dei lampioni sulla strada principale iniziavano ad accendersi, mentre il sole spariva dietro le montagne in lontananza, lasciando spazio al crepuscolo. Chissà se è a casa. Gli occhi caddero nuovamente sulla chat con Nessie, e sui numerosi messaggi di lei senza risposta. Nei giorni precedenti, non era riuscito a trovare nemmeno le forze di leggerli. Chissà se mi vuole ancora vedere. Erano passati cinque giorni dalla sera del ballo, anche se agli occhi di Émile pareva trascorso un secolo. Gli era successa una cosa strana, qualcosa che mai prima d'ora aveva provato: era stato investito da un'angoscia talmente potente da neutralizzarlo, da fargli sentire che niente era più importante. Era come se tutto ciò che aveva, a cui più teneva, d'improvviso, gli si fosse polverizzato davanti, come se non avesse più nulla. Perfino alzarsi dal letto era diventato complicato.
    Era una sensazione così curiosa, che l'aveva spaventato e confortato, al contempo, per quanto tutto ciò fosse strano. Il buio di quella stanza era diventato un mostro dalle braccia comode, che lo inghiottiva e lo proteggeva dal dolore e dalla vergogna. Chissà se mi odia. Erano stati i messaggi di Nessie, quasi miracolosamente, a convincerlo a venire fuori da quel giaciglio. E se quello slancio era stato vigoroso e impulsivo all'inizio, adesso, che si avvicinava all'abitazione della ragazza, tendeva a rallentare il passo, sempre più spaventato di ciò che quell'incontro gli riservava.
    Quando raggiunse la porta principale della casa, esitò, l'indice a pochi centimetri dal campanello. E se non fosse stata Nessie a rispondere? Le probabilità non erano poche. Se avesse aperto Ronnie quella porta? Scosse la testa, istintivamente, e sentendo già le guance avvampare per la vergogna: non era pronto a quell'incontro. No, l'unica persona che si sarebbe concesso di vedere, quella sera, era Agnès. Piccoli passi.
    Fece il giro della casa, fino ad arrivare al piccolo giardino sul retro. Studiò la situazione per qualche momento, prima di avvicinarsi al muro esterno. Mannaggia a me che non ho portato la scopa, pensò tra sé e sé, mentre puntellava il piede sinistro sul tronco della grande pianta di glicine che si arrampicava fino al tetto della casa. Conosceva perfettamente quale fosse la finestra della stanza di Nessie, perché l'anno precedente la mora aveva deciso di ritinteggiare le persiane, e ovviamente l'infausto compito era toccato a lui, che aveva trascorso un'ora sulla scopa a mezz'aria proprio lì davanti, a cambiare colore fino a quando la proprietaria non si era dichiarata soddisfatta del risultato. « Che... idea... del... cazzo... » borbottò, stremato, mentre ansimava tra uno sforzo e l'altro. Chissà perché era convinto che quel glicine fosse più stabile e più agevole per aggrapparsi. Quando, finalmente, raggiunse l'altezza della finestra di Nessie, aveva la fronte imperlata di sudore e i palmi delle mani graffiati dal tronco della pianta. Bussò una volta, ma non ci fu nessuna risposta. Alla seconda volta, vide finalmente la ragazza avvicinarsi e aprire la finestra. « Ciaoscusamiforsedovevoavvertirti » disse subito, senza fiato, allungando una mano per aggrapparsi al davanzale della finestra. Devi sembrare proprio un coglione in questo momento. « Scusa se non ho suonato alla porta... È che volevo evitare di beccare Ronnie... Sai... » Abbassò lo sguardo, colto da un leggero imbarazzo. « Ness... Possiamo parlare?» O, quanto meno, se proprio mi devi buttare fuori, fammi almeno riprendere fiato.

     
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    I giorni dopo la festa erano trascorsi con una lentezza estenuante, pigri e sin troppo tranquilli. O, per lo meno, così era parso a Nessie quando, tra un sospiro rassegnato e l’altro, interrompeva l’attività di turno e ritornava puntualmente a controllare il cellulare, nella speranza di un nuovo messaggio da parte di Èmile. Niente, silenzio completo. Non solo non mi ha risposto, ma non li ha nemmeno visualizzati. Quel pensiero era stato accompagnato da un moto di fastidio, forse irritazione od orgoglio ferito. Ma, nel profondo, Agnés era soprattutto preoccupata. Da quando Veronica aveva involontariamente spinto Èmile a rivelare il suo segreto alla festa di fine anno, tutto era precipitato in una spirale di confusione e tensione. Si era interrogata più volte su come ciò fosse stato possibile, quale fosse stato l’istante che aveva irrimediabilmente dato il via all’effetto domino che si era implacabilmente abbattuto su di loro. Inutile dirlo, non aveva trovato alcuna risposta concreta ma, di giorno in giorno, le sue emozioni e paure si erano intrecciate in un labirinto complicato: il desiderio di capire, l’umore di Ronnie, la preoccupazione per Èmi e l'angoscia per la rottura – ormai apparenteente irrimediabile - dell’amicizia con Otis. Per finire, il bacio scambiato con Èmi durante il ballo, inizialmente così dolce e intenso, ora era avvolto da un'aura di incertezza. Non riusciva a togliersi dalla testa le parole non dette, le domande rimaste senza risposta. Con ciascuno di loro, aveva la strana sensazione che l’'amicizia che aveva sempre dato per scontata ora fosse fragile, e tale consapevolezza la faceva sentire vulnerabile e persa: anche se avesse voluto rimediare – fare qualcosa, qualsiasi cosa – non avrebbe saputo da dove iniziare. Per non pensarci - o, se non altro, limitare il tempo trascorso ad auto-commiserarsi - si era tenuta occupata come poteva: aveva pulito l'intero appartamento, rassettato tutti i cassetti della cucina, cambiato la posizione di alcuni mobili nella sua camera da letto, finito due libri di poesie su cui non era riuscita a concentrarsi per mesi, cucinato una quiche potenzialmente cancerogena e si era offerta volontaria per coprire i turni vacanti al rifugio per animali di Hogsmeade. Vi aveva trascorso quasi tutti i pomeriggi, svolgendo le mansioni dei volontari in vacanza, seguita fedelmente dallo zampettare di Hamelt. Alla fine era stata una buona idea: il caldo, la lista delle cose da fare ed i nuovi cuccioli di Mooncalf erano riusciti a distrarla a tal punto da farle perdere la cognizione del tempo. Erano ormai quasi le sette quando, dopo aver mandato un messaggio frettolo a Ronnie per scusarsi del ritardo, si era offerta di recuperare qualcosa per cena sulla via di casa. Avevano cenato assieme (per modo di dire, considerato che Nessie aveva sbocconcellato un paio di ravioli di verdure e qualche cucchiaiata di riso coi gamberi) e, accompagnata da un sonoro sbadiglio, Agnés si era chiusa in camera, impaziente di scivolare sotto la doccia e crollare a letto. Si era appena infilata il pigiama, ancora intenta a tamponare i lunghi capelli scuri con l’asciugamano canticchiando sottovoce una melodia classica, quando le parve di sentire un rumore. Si zittì, confusa, lo sguardo che corse in direzione della porta chiusa. « Ronnie? » Chiamò, incerta se l’amica avesse appena bussato. In genere, nessuna delle due si faceva troppi problemi e, dopo aver bussato, si limitavano ad aprire leggermente la porta per richiamare l’attenzione. Toc toc. Questa volta fu certa di non esserselo immaginato ma, invece che dalla porta, la fonte del rumore proveniva dalla finestra. Ma che accidenti… Agnés si avvicinò, scorgendo il viso di Èmi attraverso la stoffa leggera delle tende. « Èmile! » Sbottò, istintivamente, spaventata e colta alla sprovvista al contempo. Si affrettò a spalancare la finestra, accorgendosi solo in quell’istante che non solo Èmi stava tentando di entrare dalla finestra, ma che aveva deciso di compiere l’impresa alla babbana. Per Morgana, ci manca solo che caschi nelle aiuole velenose di Mrs Talbot! « Si può sapere che cosa t- » « Ciaoscusamiforsedovevoavvertirti » Nessie sbuffò, sollevando gli occhi al cielo. « Sì, avresti potuto avvertirmi. O rispondere ad uno dei miei duemila messaggi. » Replicò, con una punta di acidità, incrociando le braccia al petto. Mi hai fatto preoccupare, razza di stupido. « Scusa se non ho suonato alla porta... È che volevo evitare di beccare Ronnie... Sai... » Gli occhi nocciola della Serpeverde corsero istintivamente alla porta, al di là della quale la sua coinqulina era del tutto ignara di quanto stava accadendo. Probabilmente è meglio così. « Ness... Possiamo parlare?» Agnés lo osservò per qualche istante. Tutto in Èmile indicava che era chiaramente a disagio, dallo sguardo basso all’aria colpevole e, per finire, i graffi sulle mani, lì dove la corteccia del glicine si era conficcata nella carne tenera. Se fosse dipeso da lei, avrebbe voluto tenere il broncio più a lungo ma, nel profondo, si sentiva sollevata dalla sola presenza di Èmile. Sospirò ed annuì, allungando una mano nella sua direzione per aiutarlo a scavalcare il davanzale. « Al tre ti tiro dentro, ok? » Premette la mano libera contro il davanzale della finestra, per mantenersi stabile. « Uno, due, tre! » Lo tirò all’interno e, complice la spinta data da Èmile, riccaddero entrambi goffamente sul pavimento. « Ahi! » Per qualche istante, Agnés rimase immobile, il cuore che le batteva freneticamente nel petto all’idea che Ronnie potesse averli sentiti. Istintivamente, si sollevò su un gomito e posò
    una mano sulla bocca del Tassorosso, intimandogli di tacere, gli occhi fissi sulla porta ma ben consapevole del respiro caldo di Èmi contro il palmo dellasua mano. Dopo un paio di minuti che parvero ore, si rialzò, lasciandolo libero di parlare. « Non ci ha sentito. » Mormorò, lisciando nervosamente la stoffa del pigiama in raso rosa pastello. Era un gesto che compiva spesso quando si sentiva a disagio, senza nemmeno accorgersene. Si schiarì la voce e fece qualche passo nella stanza, senza una meta precisa. Dopo quanto accaduto la sera del ballo si sentiva in imbarazzo nello stare troppo vicino ad Èmile, in particolare ora che la situazione era confusa. « Volevi parlare, no? Ti ascolto. » Mormorò, facendogli cenno di accomodarsi sulla sponda del letto. Lo raggiunse poco dopo, richiamando a sé una pochette del primo soccorso con un colpo di bacchetta. « Guarda qui, sei pieno di graffi. » Commentò, con una vena di rimprovero nella voce, afferrandogli delicatamente il polso e ruotandolo all’insù. Versò il disinfettante su un batuffolo di cotone, sollevando appena gli occhi su di lui. « Potrebbe bruciare un po’. » Lo avvisò, prima di tamponare delicatamente le ferite. Ben ti sta. Così impari a comportarti da idiota.
     
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    « Sì, avresti potuto avvertirmi. O rispondere ad uno dei miei duemila messaggi. » Sì, beh, quella era un'idea. « Uff... Lo so, ma... Uff... » Ansimava un poco, mentre teneva le dita ben salde sul al cornicione della finestra, per non perdere l'equilibrio. « Ho pensato avesse più senso venirti a parlare direttamente di persona. » Anche perché per messaggi chissà perché finiamo sempre per litigare, aggiunse mentalmente, evitando però di dar voce a quei pensieri. Tirò un sospiro di sollievo quando vide lo sguardo di Nessie ammorbidirsi, e vide la mano di lei tendersi nella sua direzione per aiutarlo ad entrare. « Al tre ti tiro dentro, ok? » « Ok! » Strinse la mano della ragazza e fece leva con entrambi i piedi sul muretto. « Uno, due, tre! » Evidentemente le spinte di entrambi furono eccessive (Émile non era poi così pesante), tanto che caddero entrambi rovinosamente sul tappeto ai piedi del letto. Ouch. « Ahi! » « Scusascusascusa! » cominciò lui, mentre si sollevava con un piccolo piegamento sulle braccia per non schiacciarla col peso del proprio corpo. Non fece in tempo ad aggiungere altro che si ritrovò l'indice di lei premere contro le sue labbra, per suggerirgli di fare silenzio. Dagli occhi nocciola di lei capì cosa volesse dirgli: già, Ronnie è in casa. Probabilmente era anche un po' ridicolo comportarsi come due quattordicenni che si nascondevano dalla mamma, eppure in quel momento Emi sinceramente non aveva le forze per vedere nessuno oltre Nessie - figuriamoci Ronnie, con la quale si erano urlati appena qualche giorno prima! Stette perciò in silenzio, fermo in quella posizione, calato a pieno nell'imbarazzo di quel momento. L'ultima volta che i loro visi erano stati così vicini era stato al ballo. Émile avvertì un leggero calore alle guance, e pregò ardentemente di non star arrossendo proprio ora.
    « Non ci ha sentito. » decretò la ragazza, dopo qualche minuto di silenzio. « Bene. » Si schiarì la gola, scattando celermente all'impiedi, per poi mettersi a sedere sul bordo del letto. Ebbe qualche secondo per guardarsi intorno: era già entrato qualche volta in quella camera, ma notò facilmente alcuni piccoli cambiamenti rispetto all'ultima volta che l'aveva vista. Appesi ad una delle pareti c'erano nuove stampe raffiguranti Parigi, una nuova luce notturna colorata posizionata sul comodino, e sulla scrivania, posizionata in equilibrio tra il portapenne e una pila di libri, vi era una polaroid di Nessie e Raphael in qualche posto in Francia. Émile si stava sforzando di non fare una smorfia schifata alla vista di quell'immagine, quando le parole della ragazza lo riportarono al presente. « Volevi parlare, no? Ti ascolto. » Già, è vero. Sei venuto qui per parlare. Bene, che cosa diciamo? Emi non aveva la più pallida idea di cosa avrebbe dovuto dire. Non si era preparato un discorso, non aveva nemmeno pensato ai punti da toccare. Sapeva solo che dovevano parlare, un imperativo che nasceva dal senso di vuoto e dall'angoscia che l'avevano travolto negli ultimi giorni. Aveva bisogno di Nessie, e al contempo gravava sulle sue spalle il senso di responsabilità per ciò che era successo al ballo, e le nuove informazioni che l'avevano lasciata quanto meno confusa. Sì, ma da dove cominciare? « Oh, sì, beh, io... Volevo dirti che, mhm... » Il suo prendersi del tempo fu accompagnato dai gesti della ragazza, la quale, piuttosto che stare ferma ad ascoltarlo aveva deciso di improvvisarsi crocerossina, richiamando a sé il proprio kit di pronto soccorso. « Guarda qui, sei pieno di graffi. » « No ma dai Ness, che dici, guarda che non è niente » si oppose, imbarazzato, cercando di sfilare il polso dalla sua presa. « Davvero daiii Ness non mi sono fatto niente!! » cantilenò come un bambino capriccioso, e proprio come un bambino capriccioso fu messo a tacere dalla propria controparte. Sconfitto e annichilito nella propria virilità, tacque e la osservò versare un po' di acqua ossigenata su un batuffolo di cotone.« Potrebbe bruciare un po’. » Si mordicchiò il labbro inferiore, il viso ridotto ad un'espressione contrita che ne rivelava il fastidio per quella sensazione pungente sui palmi delle mani. Si costrinse tuttavia a non lamentarsi - aveva già abbastanza fatto la figura del bambino.
    La osservò per qualche secondo ancora, in silenzio, mentre gli ripuliva le ferite, per poi inspirare profondamente. « Mi dispiace tanto, Ness. Non so davvero da dove cominciare » disse, lo sguardo basso, puntato sulle mani di lei. Pensò che era un bene che lei in quel momento fosse concentrata su altro, e che il non essere costretto a guardarla negli occhi mentre parlava per ora lo aiutava. « L'altro giorno ho passato una serata di merda. L'unica cosa bella di tutta la festa sono stati quei pochi minuti che ho passato con te, e mi dispiace se anche quelli sono stati rovinati da... sì, insomma, da tutto quello che è successo dopo. » Si strinse nelle spalle. « Avrei dovuto dirti che non c'era stato mai nulla con Ronnie. E non te l'ho tenuto nascosto in maniera intenzionale - cioè, non adesso, ecco. Stupidamente, pensavo che non fosse più importante.
    Né per te, né per Ronnie, e nemmeno per Otis. Ma mi sbagliavo alla grande. »
    Sospirò, passandosi una mano tra i ricci scompigliati, ma pentendosene immediatamente nell'avvertire i capelli sfiorargli le piccole ferite sul palmo. Scostò lo sguardo dal copriletto color lavanda al volto di Nessie, che era ancora intenta a strofinare il batuffolo sul suo palmo. « È che avevo quindici anni quando è successo tutto. Ero piccolo, sono andato nel panico e mi sono inventato questa stupidaggine senza senso. Poi è passato il tempo e non ci ho più pensato, perché in fondo sono passati tre anni, non mi sembrava più una cosa importante. Anzi, se te lo avessi detto ora sarei sembrato ancora più scemo. Insomma, più il tempo passava e più questa cavolata che ho fatto diventava ingombrante. » Sarebbe stato più semplice dimenticarla e lasciar correre. « Mi dispiace, avrei dovuto essere più sincero con te. È che... boh, a volte sono così. » Sospirò, e in quelle ultime parole una punta di frustrazione parve aggiungersi al suo rammarico. Prese a disegnare con la punta dell'indice sui ricami della trapunta di Nessie, perso nei propri pensieri. « Non lo so che cosa mi passa per la testa. Ci sono volte in cui mi ritrovo con una persona davanti e, non so spiegarlo, è come se dovessi a tutti i costi dimostrare qualcosa; di andar bene, di essere più figo, di avere più esperienza. E così finisco per raccontare un sacco di cazzate. » Aggrottò la fronte, l'indice che ancora percorreva il tratto delle cuciture del copriletto. « Io però a te non ne racconto mai stupidaggini, Ness. E non te ne voglio più raccontare. » Istintivamente, chiuse la mano che lei stava curando, per catturare le dita di lei e stringerle delicatamente. Sollevò lo sguardo, incontrando finalmente gli occhi castani di lei. « Tu mi piaci veramente. »


     
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    Seduta accanto ad Èmile, Nessie appariva insolitamente calma. Senza guardarlo, tamponò delicatamente le sue ferite con il cotone imbevuto di disinfettante. Prese tutto il tempo necessario, decisa ad evitare di posare lo sguardo su di lui per quanto le fosse stato possibile. Da un lato, sentiva ferita da quello che era successo, dal fatto che Èmile le avesse mentito così a lungo; dall’altro, non poteva fare a meno di provare una fastidiosa sensazione di rabbia ed impotenza. Si sentiva piccola, poco importante – persino insignificante – e mai, prima di allora, aveva ricondotto quelle sensazioni al pensiero di Èmile. « Mi dispiace tanto, Ness. Non so davvero da dove cominciare » La voce di Èmile, carica di rimorso, cercò di rompere il silenzio. Nessie lo ascoltò attentamente, senza interromperlo. Nei giorni precedenti aveva tentato a lungo di mettere ordine tra i suoi pensieri, nel garbuglio di sentimenti che a fatica era riuscita a districare ma, ora che si trovava in compagnia di Èmi, ogni suo sforzo era stato del tutto inutile. « [...] L'unica cosa bella di tutta la festa sono stati quei pochi minuti che ho passato con te, e mi dispiace se anche quelli sono stati rovinati da... sì, insomma, da tutto quello che è successo dopo. » La Serpeverde strinse appena le labbra, soffocando un sospiro. Non si tratta di questo. Non solo, almeno. Si tratta del fatto che mi hai mentito di nuovo, anche dopo avermi promesso di non farlo più. Tenne per sé quel pensiero, applicando un cerotto pulito sopra una delle ferite più estese. Erano passati solo pochi giorni dal ballo, quando le mani di Èmile le avevano accarezzato la pelle nuda della schiena e loro due si erano trovati così vicini da respirare l’uno l’aria dell’altra; eppure, all’interno della piccola camera da letto, le parve che fossero trascorsi anni da quel momento, l’intimità di quell’istante spezzata da ciò che era accaduto in seguito. « Non lo so che cosa mi passa per la testa. Ci sono volte in cui mi ritrovo con una persona davanti e, non so spiegarlo, è come se dovessi a tutti i costi dimostrare qualcosa; di andar bene, di essere più figo, di avere più esperienza. E così finisco per raccontare un sacco di cazzate. » Suo malgrado, Nessie lanciò una rapida occhiata verso di lui, mordendosi l’interno della guancia. Avrebbe voluto mantenere un distacco, mostrarsi impassibile e controllata, ma il tono voce di Èmile non le fu indifferente. Era evidente che quanto accaduto lo avesse scosso e, per quanto il giovane Carrow ne fosse il diretto responsabile, non era difficile per Agnès immaginare che si fosse sentito accerchiato, forse persino oggetto del giudizio altrui. « Io però a te non ne racconto mai stupidaggini, Ness. E non te ne voglio più raccontare. » Le iridi nocciola di Agnès si scostarono appena in tempo per evitare lo sguardo di Èmile, fingendosi intenta a riporre i cerotti inutilizzati. Non è vero. Me ne racconti in continuazione. L’albero di Natale, la finta storia con Ronnie, la cotta per Louis. E hai persino fatto il cascamorto con la Osbourne. Non riuscì a frenare quel pensiero, con un briciolo di amarezza. Le parole di Èmi le risuonavano nelle orecchie, creando un vortice di emozioni contrastanti; sarebbe stato più facile rimanere arrabbiata con lui se solo non si fosse sentita così confusa. Una parte di lei, ingenua e incline al perdono, voleva credergli. Il fatto che lui avesse ammesso di mentire, di sentirsi inadeguato o insicuro in particolari circostanze l’aveva colta di sorpresa. Era un lato di Èmile che non aveva mai visto prima, un Èmile inaspettatamente più maturo e vulnerabile al contempo. Ma vi era anche una parte di Nessie che si sentiva soffocare dall’incertezza: le bugie passate di Èmile avevano risvegliato le sue insicurezze, instillando il dubbio nella sua mente. Poteva veramente fidarsi delle sue parole? O era possibile che tutto ciò che stesse dicendo fosse solo un disperato tentativo di togliersi d’impiccio? « Tu mi piaci veramente. » Il contatto con le dita calde di Èmile che si chiudevano sulla sua mano la fece sobbalzare leggermente, attirando la sua attenzione. Sollevò istintivamente lo sguardo per incontrare quello di lui, e in quel momento, vide una sincerità che non aveva mai notato prima. C'era fragilità nei suoi occhi, un desiderio di essere onesto – solamente sè stesso, senza inganni o artefici. Schiuse le labbra, senza sapere cosa dire e distolse momentaneamente lo sguardo, nel vano tentativo di ritrovare un barlume di lucidità. Le ultime parole di Èmi le avevano causato un nodo in gola e il suo cuore aveva preso a battere più rapidamente. Le sue emozioni erano un groviglio di speranza e timore, tenerezza e paura di essere ferita di nuovo. In un certo senso, sentiva che erano giunti ad un punto cruciale nella loro relazione, un istante che avrebbe potuto cambiare irreparabilmente il loro rapporto. « Lo so che ti dispiace. Ti credo. » Mormorò, scegliendo accuratamente le parole. Non voleva dire qualcosa di affrettato o fraintendibile. « E so anche che quando fai qualche stupidaggine non lo fai con cattive intenzioni. Ti conosco, Èmi. » O almeno credo. « Ma ho sempre pensato che non ci fossero questo tipo di segreti tra noi. Non sulle cose importanti. » Esitò un istante, stringendosi nelle spalle. « Non mi riferisco solo alla bugia su Ronnie, ma a tutte le cose che hai nascosto per tutto questo tempo. Mi fa sentire… non lo so. Come se non ti fidassi di me. » La sua voce si incrinò leggermente mentre pronunciava quelle parole. Deglutì, tentando di scacciare la fastidiosa sensazione di lacrime in arrivo. « Come se non fossi stata abbastanza importante da condividere queste parti di te con me. O come se fossi troppo stupida per capire o… anche solo accettarti per quello che sei. » Non fu semplice esprimere ad alta voce ciò che provava, ogni parola minacciava di restarle incastrata in gola, dolorosa e impronunciabile forse perchè, inevitabilmente, lei stessa si stava mettendo a nudo. Lei stessa gli aveva nascosto – e ancora nascondeva - più di quanto il giovane Carrow potesse immaginare; piccoli
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    dettagli, insicurezze, minuscoli difetti che, agli occhi di Agnès rappresentavano imperdonabili mostruosità. Ma non è la stessa cosa. « E poi » Inclinò il viso di lato, I capelli che scivolarono a nasconderne parzialmente il profilo delicato. « lo so che hai passato la serata con Séline Osbourne. Vi ho visti. » In realtà Otis vi ha visti, ma non importa. Séline Osbourne. Il suo nome risuonava nella testa di Nessie come una campana fastidiosamente insistente. Era innegabile che Séline fosse una ragazza affascinante, con la sua bellezza e il suo carattere allegro. Agli occhi di Nessie, sembrava così sicura di sé, così a suo agio in ogni situazione. Le sembrava impossibile che Èmile potesse mai preferirla a una ragazza come Séline. « Se lei ti interessa davvero non dovresti lasciare che quello che è successo tra noi al ballo cambi le cose. È stato un bacio, Non voglio che tu faccia qualcosa solo per me, solo perché ci siamo baciati. » Quindi,con le dita ancora unite a quelle di Èmile, lo guardò finalmente negli occhi. « G-giuro che non sono arrabbiata per quello. Possiamo essere amici lo stesso. » Non mentirmi di nuovo. Questa volta non potrei perdonarlo.

     
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    La verità è che Émile e Agnés non si capivano mai. La loro storia era fatta d'incomprensioni e parole fraintese, silenzi scomodi e offese facili - il che è l'esatto opposto di ciò che ci si aspetterebbe da due ragazzini che sono letteralmente cresciuti insieme. Avevano condiviso tanto negli anni, e ad Émile sarebbe piaciuto poter dire di conoscere Nessie a fondo; per certi versi era così, specie con le piccole cose che la riguardavano: sarebbe stato in grado di elencare a memoria i capi del suo armadio, oppure i suoi film preferiti. Con le piccole cose era bravo, era facile. Ma le cose importanti... Erano quelle che proprio non riusciva a capire, di lei. Ad esempio il perché Nessie instaurasse continuamente delle relazioni così superficiali con i ragazzi, che si ritrovava lei stessa a lasciare dopo poco tempo; oppure il perché avesse deciso di unirsi ai Ribelli, dopo che avevano commesso quell'attacco così barbarico al castello e a Hogsmeade, che continuavano a tenere in ostaggio. Finiva per scervellarsi intorno a dei suoi atteggiamenti o modi di fare, quasi fosse un'estranea, e per questo ogni sua azione gli risultava imprevedibile e inaspettata - come quando l'aveva baciato a Saint Maxime, o quando aveva deciso di tornare a Parigi a studiare. La conosceva, sì, nelle sue espressioni più quotidiane e tipiche, ma non sentiva di conoscerla davvero. Per certi versi era frustrante, ma c'era anche un certo intrigo in quella scoperta costante, in quei nuovi puzzle da risolvere ogni volta che l'aveva accanto.
    Tra tutto, quella sera Emi non immaginava di vederla piangere. Quando si accorse delle prime lacrime luccicare nelle sue iridi scure, drizzò la schiena, improvvisamente a disagio. « Ma ho sempre pensato che non ci fossero questo tipo di segreti tra noi. Non sulle cose importanti. » In quel momento, avrebbe voluto ribattere. Era proprio sulle cose importanti che loro due non trovavano una connessione. I segreti, i sogni, le paure... Era sempre stato molto più semplice trovarsi a sfogliare un giornaletto stupido, a fare i compiti o a condividere un gelato. I discorsi erano difficili: e soprattutto Emi li aveva sempre reputati come qualcosa di superfluo, specie per loro due che erano amici da una vita: cominciava però a scoprire che crescere significava anche parlare sempre di più, spiegarsi, dover rendere conto di qualcosa. « Non mi riferisco solo alla bugia su Ronnie, ma a tutte le cose che hai nascosto per tutto questo tempo. Mi fa sentire… non lo so. Come se non ti fidassi di me. » Quelle parole lo fecero sentire piccolo piccolo. Percepì che provenissero da un luogo lontano, diverso, non alla sua portata: in quegli anni, mentre lui era rimasto fossilizzato nelle sue abitudini, Nessie era cresciuta, si era allontanata di qualche passo da lui, e in virtù della sua maturità ora pretendeva qualcosa di diverso dal loro rapporto: sincerità, lealtà, fiducia. Non erano questi dei concetti nuovi per Emi, eppure la loro declinazione in quel nuovo contesto gli risultava difficile. Si sentì improvvisamente inadeguato a quelle lacrime, a quella frustrazione: non sapeva come reagire. « Come se non fossi stata abbastanza importante da condividere queste parti di te con me. O come se fossi troppo stupida per capire o… anche solo accettarti per quello che sei. » Émile abbassò lo sguardo, incapace di sostenere ancora quello di lei. Una morsa gli chiudeva lo stomaco. Era davvero riuscito a farla stare così male? Era quello il risultato delle sue menzogne? « Non è così, Ness, è che io... » Con l'indice prese a disegnare dei ghirigori sul copriletto chiaro, nel tentativo di concentrarsi meglio su ciò che voleva dire. « Io mi fido di te. Non volevo farti stare così, veramente. È solo che non ho pensato a tutte queste cose. Sono un coglione » ammise infine, scuotendo lentamente il capo, e non sapendo come altro giustificarsi. Cosa poteva dire di fronte a quella delusione che aveva creato lui stesso? Aveva perso la fiducia di Nessie, e questo era chiaro.
    « E poi lo so che hai passato la serata con Séline Osbourne. Vi ho visti. » Deglutì, per poi spalancare gli occhi. Non si aspettava che quello sarebbe stato un punto della conversazione. « Ma non è vero! » replicò, d'istinto, scuotendo il capo. Sì, okay Emi, però riformuliamo. « Voglio dire, non è vero che ci ho passato tutta la serata. Saranno stati dieci minuti... » si affrettò a puntualizzare, alzando gli occhi al cielo. « Se lei ti interessa davvero non dovresti lasciare che quello che è successo tra noi al ballo cambi le cose. È stato un bacio, Non voglio che tu faccia qualcosa solo per me, solo perché ci siamo baciati. » Aggrottò la fronte. Che significa? Questi erano i momenti in cui non capiva Nessie. Immaginò che anche lei facesse fatica a capire i suoi comportamenti, d'altronde. « G-giuro che non sono arrabbiata per quello. Possiamo essere amici lo stesso. » Ci risiamo. Era la storia della loro vita. Émile percepiva addosso la frustrazione di quell'infinito avvicinarsi e allontanarsi, come due calamite che si attraggono e poi, quando sono infinitesimamente vicine, si respingono di nuovo. Senza una ragione logica.
    Non è giusto, pensò tra sé e sé, la stretta allo stomaco che si faceva più insopportabile. Sapeva di aver combinato quel casino da solo, ma sapeva anche che non era la prima volta che Nessie tentava di allontanarlo dopo un momento importante - come quando l'aveva baciato a Sainte Maxime. Andava sempre così, e lui non capiva perché. Si sforzava, ma non sapeva venirne a capo: di lei, di loro, di quel filo invisibile che a volte pareva legarli insieme alla perfezione, e altre gli si ingarbugliava attorno come un gomitolo disordinato.
    Cercò il suo sguardo, che in quel frangente lei aveva sapientemente nascosto alla sua vista, coprendo parte del viso con qualche ciocca di capelli. « Ness? Mi guardi un attimo? » le chiese, in tono supplice, mentre si spostava con cautela sul letto, per sedersi più accanto a lei. Strinse di più la mano intorno a quella di lei, accarezzandone dolcemente il dorso con il pollice. Inclinò leggermente il capo, per guardarla dal basso, oltre quella cortina di capelli che aveva tentato di dividerli. Solo quando riuscì a trovare le sue iridi nocciola, prese a parlare. « È vero che in queste settimane ho passato del tempo con Séline. Però non è successo niente, te lo giuro. » La guardava negli occhi, sforzandosi di non battere ciglio. Come faccio a farglielo credere? Sperava che Nessie lo facesse e basta. « Lo so che devo guadagnarmi di nuovo la tua fiducia. » E che tutto quello che dico ormai non avrà più valore per te. Me lo merito. « Però per me quello che è successo al ballo con te le cose le cambia e basta. E non voglio che siamo amici. » Dimmi che per te vale lo stesso. Perché io non ti capisco, Ness.
    A volte ho l'arroganza di crederci, ma la verità è che mi tieni sempre all'erta, in attesa di scoprire cosa farai.
    « E mi sento uno schifo vivente se penso che ti ho fatta stare così male per tutto questo tempo, che non te lo meriti e probabilmente non ti meriti me. » Allungò la mano libera fino a sfiorare il suo viso, per poi catturare una lacrima che le scivolava sulla guancia con la manica della propria felpa. Di Nessie probabilmente non comprendeva le parole, però sentiva di capire quello. I bisogni primari, la vicinanza, gli sguardi, i respiri. « E non devi pensare quelle cose. Per me sei la persona più intelligente che conosco, e la mia fiducia te la sei sempre meritata. Sono io che... mhm, non sono stato in grado di capirlo. Però se ti fidi di me un'ultima volta, Ness... io ti giuro che non voglio più comportarmi come ho fatto in questi anni. Io voglio... Voglio essere più maturo. E se tante brutte abitudini le ho perse è anche grazie a te. » sospirò, mentre si avvicinava di più con il viso a quello di lei. Rimase cauto, mantenendosi ad una certa distanza, un po' per concederle il suo spazio, un po' riservarsi il tempo di scostarsi qualora Nessie avesse voluto stampargli una cinquina sulla guancia. « Io vorrei... ecco, vorrei stare con te, Ness... » A quella distanza riusciva già a vedere il proprio riflesso nelle pupille di lei. Percepiva l'aria elettrica della stanza, satura d'indecisione, attesa e incertezza. Sentiva i nervi del proprio corpo in tensione, pronti a scattare - in un senso o nell'altro, tutto dipendeva da lei. « Mi dai un bacio? » chiese, a voce bassa, con la stessa timidezza di un ospite consapevole di fare una richiesta eccessiva. Mi dai una possibilità?
     
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    All’improvviso, fu il turno di Èmile di abbassare lo sguardo, intento a disegnare linee invisibili sul copriletto. « Io mi fido di te. Non volevo farti stare così, veramente. È solo che non ho pensato a tutte queste cose. Sono un coglione. » Nessie soffocò un sospiro, senza sapere cosa dire. In un altro momento, si sarebbe affrettata nel trovare parole di conforto o, per lo meno, nel tentare di alleggerire la situazione. In quel momento, però, le veniva difficile dire qualcosa di sincero e comprensivo al tempo stesso. Ma non c’è poi molto da dire, è sempre così con te. Non hai cattive intenzioni, ma non pensi mai alle conseguenze. Per Nessie, fidarsi di Èmile non era solo questione di credere o non credere alle sue parole; era molto di più: una di paura profonda di essere ferita nuovamente, radicata nelle sue insicurezze. Era una strana sensazione sentirsi così vulnerabile di fronte a lui; dopotutto erano cresciuti insieme, condividendo molti più momenti ed esperienze di altri adolescenti, eppure aveva la sensazione che il loro rapporto fosse mutato enormemente. Fino a qualche anno prima avrebbe potuto giurare di conoscere Èmi come il palmo della propria mano mentre ora sentiva che, sotto certi aspetti, erano ancora due completi estranei. Quando è successo? Non me ne sono accorta io oppure è sempre stato così Tutto ciò la confondeva, come se l’immagine del suo migliore amico – lo stesso che conosceva da sempre, di cui sapeva di potersi fidare – a tratti combaciasse con quella di un altro Èmile, diverso e sconosciuto. « Ma non è vero! » Colta alla sprovvista, Nessie sollevò il capo di scatto, sorpresa. Era possibile che Otis si fosse sbagliato? Forse ha frainteso. Oppure stavano solo chiacchierando. « Voglio dire, non è vero che ci ho passato tutta la serata. Saranno stati dieci minuti... » Ecco, appunto. Nessie si strinse nelle spalle con apparente nonchalance, senza riuscire a dissimulare totalmente la delusione. Il pensiero di Èmile e Séline insieme suscitava in lei un misto di emozioni complesse e contrastanti. In primo luogo, provava una sensazione di nausea nel profondo dello stomaco, un senso di disagio che la spingeva a tormentarsi le dita in grembo, in preda al nervoso. Era una sensazione incredibilmente sgradevole, come se ci fosse qualcosa di profondamente sbagliato in quella prospettiva. La gelosia, invece, era un'emozione più difficile da ammettere – o anche solo accettare. Lucidamente, Agnés era consapevole di non aver alcun diritto di essere gelosa; Èmile era libero di fare le sue scelte e di trascorrere del tempo con chiunque desiderasse, e seppur Nessie volesse vederlo felice, egoisticamente non riusciva a smettere di desiderare di averlo esclusivamente al suo fianco. « Ness? Mi guardi un attimo? » La Serpeverde esitò per qualche istante, ma sollevò appena il capo quando avvertì il peso del corpo del ragazzo farsi più vicino sul materasso. Le iridi nocciola si soffermarono su quelle altrettanto calde di lui, il cuore che prese a battere più rapidamente. « Lo so che devo guadagnarmi di nuovo la tua fiducia. Però per me quello che è successo al ballo con te le cose le cambia e basta. E non voglio che siamo amici. » Mentre Èmile parlava, il suo sguardo rimaneva fisso sul viso di Nessie, forse alla ricerca di una reazione; ma dentro di sé, invisibile ed impalpabile, Nessie era confusa, a tratti smarrita. Quando si trattava di Èmile, Agnés si sentiva costantemente intrappolata in un limbo: una ricerca di risposte che si confondeva con l'incertezza che aveva sempre provato riguardo i sentimenti che nutriva nei confronti del giovane Carrow. C'era una parte di lei che desiderava comprendere, ma c'era anche una parte che aveva paura delle risposte che avrebbe potuto trovare. « E mi sento uno schifo vivente se penso che ti ho fatta stare così male per tutto questo tempo, che non te lo meriti e probabilmente non ti meriti me. » Istintivamente, Agnés reclinò il capo contro la sua mano, socchiudendo appena gli occhi. Le parole di Èmile le rimbombavano nelle orecchie, più assordanti persino del sangue che scorreva rapido nelle tempie. « E non devi pensare quelle cose. Per me sei la persona più intelligente che conosco, e la mia fiducia te la sei sempre meritata. Sono io che... mhm, non sono stato in grado di capirlo. Però se ti fidi di me un'ultima volta, Ness... io ti giuro che non voglio più comportarmi come ho fatto in questi anni. Io voglio... Voglio essere più maturo. E se tante brutte abitudini le ho perse è anche grazie a te. » Si accorse che Èmi si era avvicinato leggermente, tanto che l’aria tra loro parve farsi più densa, quasi malleabile. Da quella distanza riusciva a riconoscere le prime lentiggini, le ciglia scure. « Io vorrei... ecco, vorrei stare con te, Ness... » Nessie deglutì a fatica, il cuore in subbuglio nell’esile prigione della cassa toracica. Era un momento che aveva aspettato a lungo, ma quella consapevolezza era sempre stata offuscata da altro, nascosta dietro scuse e parole non dette. Si sentiva vulnerabile e confusa, percorsa al contempo da un groviglio indistricabile di speranza e paura, tenerezza e insicurezza. Era difficile, quasi impensabile, per Agnés accettare che Èmile potesse vedere qualcosa di speciale in lei, soprattutto quando lei stessa si vedeva come una persona comune, persino mediocre, non particolarmente interessante o talentuosa. Aveva paura che, con il passare del tempo, Èmile potesse scoprire tutti i difetti, le insicurezze e le imperfezioni chesi sforzava costantemente di nascondere e che, inevitabilmente, ne sarebbe rimasto deluso o disgustato. Eppure, gli occhi scuri di Èmi risplendevano di sincerità. Era come se il mondo intorno a loro si fosse fermato, lasciando spazio solo a loro due e alle loro emozioni. Esisteva una connessione profonda tra loro, un filo invisibile che li legava, in procinto di essere tirato ancora più forte o spezzato definitivamente. Tutto ciò che contava era lì, in quel momento. « Mi dai un bacio? » Suo malgrado, una risatina leggera sfuggì alle labbra di Nessie. Era acuta, flebile, ma sincera. « Scusa » Si affrettò a dire. « non volevo ridere di te. G-giuro che non lo sto facendo, è solo che... » Si strinse nelle spalle, leggermente in imbarazzo. « Solo tu potevi chiedermi un bacio in queste condizioni. » Si passò la manica della vestaglia sulla guancia, tirando leggermente su col naso. Era felice di non poter vedere il proprio riflesso nello specchio, non voleva nemmeno immaginare quale fosse il suo aspetto in quel momento. Si avvicinò leggermente ad Èmi, sfiorando delicatamente il suo naso con il proprio. Avvertì il suo respiro sulle labbra socchiuse, tipiedo ed invitante. « Prometti che non dirai a nessuno che stavo piangendo. Non è molto
    romantico. »
    Mormorò, ormai sulle sue labbra. In quell’istante decise di fidarsi di lui, di credere che ci fosse qualcosa di speciale tra loro, qualcosa che andava oltre l'amicizia di lunga data; era una speranza fragile, ma era lì, nel profondo del suo cuore. Inclinò appena il capo di lato e si avvicinò, fino a colmare quei pochi centimetri e posare le labbra su quelle di lui. Le labbra di Nessie tremavano leggermente, ma il contatto con quelle di Èmile era caldo e rassicurante. Si sfiorarono con cautela, esplorando un territorio nuovo e sconosciuto, in un bacio lento e carico di tenerezza. Nessie poteva ancora sentire il sapore salato delle lacrime, il suo respiro leggermente irregolare che si mescolava con quello di Èmi in una promessa di conforto. Gli depositò un piccolo bacio sul labbro inferiore e si scostò appena, senza tuttavia indietreggiare o allontanarlo. « Resta. Non voglio dormire da sola, » Lo pregò, guardandolo attraverso le ciglia umide. D’un tratto era come se il mondo esterno si fosse dissolto, lasciando solo loro due nel loro piccolo universo privato, all’interno di quella camera da letto. E Nessie non avrebbe potuto desiderare altro.



     
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