Some things cosmic

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1.     +2    
     
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Creature Magiche
    Posts
    732
    Reputation
    +155

    Status
    Anonymes!
    Théa aveva anticipato, immaginato, proiettato nella sua mente la scena esatta di quel rincontro da quando aveva aperto gli occhi, quella mattina. Non era successo quando l'idea aveva cominciato a prendere forma nella sua testa, probabilmente mesi e mesi prima di trasferirsi tra le montagne scozzesi; non le era sovvenuto che stesse per succedere neanche quando, presa la decisione, aveva intinto la piuma nell'inchiostro opaco per scrivere l'invito che gli avrebbe fatto recapitare – in quel suo modo un po' eccentrico che sapeva o sperava lui avrebbe apprezzato (i cellulari erano ancora un'incognita indecifrabile, una scomodità persino, un nuovo linguaggio da dover apprendere con cui bisticciava, al massimo aveva scaricato Wiztagram). La trepidazione non era partita neanche nel momento in cui lui le aveva risposto positivamente, che sì, sarebbe venuto a cena con immenso piacere, e che bello che finalmente si fosse decisa a lasciare la Grecia – o forse era stata in Francia adesso?. Quante cose avrebbero avuto da dirsi, quante storie da raccontare, su quanto aggiornarsi, recuperare il tempo perduto. Théa si sentiva avvolta da un infantile desiderio esibizionistico, ardeva dalla voglia di incontrare i suoi occhi e nient'altro: mostrargli che adesso era una donna davvero. Erano trascorsi almeno sei anni dall'ultima volta che si erano visti, i suoi diciotto anni erano stati lenti, inesorabilmente lenti per lei, aggrappata con gli artigli ad un'infanzia che per le sue coetanee era sfuggita già da tempo portandosi via innocenza e giocosità. Lei non era stata pronta a smettere di giocare. Si ricordava di quando aveva quattordici anni, ed Eliphas, paziente, persino indolente a volte, la lasciava ciondolare dalle sue braccia, una scimmia che richiedeva solo vicinanza, nient'altro che prossimità – e lui lo sapeva, e la lasciava fare, mentre continuava a fare ciò che stava facendo, che fosse impegnare la mano libera per sfogliare un libro, o sporgersi per recuperare un tomo da uno scaffale alto, il peso corporeo di quella bambina perdutamente innamorata di lui a rallentarlo, ma non le diceva niente. «Perché sei sempre così buono con me?» e lui non rispondeva, o aveva dimenticato la risposta, e quella domanda rimaneva un interrogativo, così come tutta la persona di Eliphas era per lei un mistero, per quanto lo conoscesse da anni, per quanto lei, per lui, probabilmente invece fosse sempre stata trasparente come acqua di sorgente. Lui aveva sempre saputo. E le aveva lasciato capire che andasse bene così, che niente doveva mutare. A volte l'aveva colta a fissarlo (a quattordici anni nessuno sa nascondere l'amore senza dover negoziare con la vicinanza, qualcosa a cui Galathéa non avrebbe mai rinunciato), in quei pomeriggi assolati di studio in cui lei faticava sempre troppo a rimanere concentrata, le sensazioni, le distrazioni una stimolazione troppo forte per poterla eludere. Non l'aveva mai fatta sentire stupida, per quella sua adorazione, ne avevano riso, persino davanti ai commenti imbarazzanti dei genitori di lei o di Magnus, che non perdeva occasione per cercare di metterla a disagio – mai con cattiveria, ma con una declinazione di amore fraterno completamente diversa da quella che Eliphas le aveva riservato crescendo. Che fosse fraterno, poi, quel loro legame, era stata
    RsRYCUs
    un'ammissione di entrambi, a un certo punto, qualcosa che sopratutto lui, secondo quanto ricordasse allora Théa, aveva tenuto a rimarcare; si era chiesta se fosse davvero così, se davvero per lui lei fosse come una sorella, e non tanto perché in fondo sperasse che quell'amore platonico, un giorno, avrebbe potuto tramutarsi in qualcosa di più reale, ma piuttosto perché sembrava la definizione perfetta a fornire un antidoto imbattibile a quel suo sentimento, talmente perfetto da chiedersi se non fosse il modo più gentile che Eliphas avesse trovato per rifiutarla – ma non necessariamente il più sincero. Le voleva davvero così tanto bene? Avevano trascorso insieme non più di tre estati – un lasso di tempo raramente lungo da trascorrere stanziati in un unico posto, per degli warlock – rintanati tra le coste dell'America del Sud, fino a quando Eliphas non aveva concluso i propri studi e si era spostato verso Cuba. Lei e la sua famiglia erano rimasti lì, annidati tra le Ande, soltanto per qualche altro mese, gli studi di Galathéa fortunatamente obbligandola a spostarsi presto e lasciare quel posto che aveva pericolosamente cominciato ad avvertire come casa sua, prima di rendersi conto che quello che credeva fosse un posto del cuore in realtà era stato tale finché con lei c'erano state le persone a cui teneva di più, come Eliphas e la sua famiglia. Adesso, mentre sistemava la tavola imbandita accendendo una candela, i capelli lunghi e arricciati dall'acqua del lago che ricadevano in avanti, si domandò se rivederlo sarebbe stato come aveva sperato. Una parte di lei, in fondo, quell'invito aveva rimandato molto a elargirlo, per via di quel desiderio così comune di lasciarle intoccate, certe magiche bolle sospese nel tempo: non farle mai scoppiare. Dopo i tre anni nella provincia argentina di Santa Cruz, Théa aveva vissuto un po' ovunque nell'America meridionale, percorrendo la costa fin su, a Caracas – mai troppo lontana dall'acqua. Vivere su un'isola sarebbe stato ideale, ed era stata tentata di scegliere Cuba, ma persino per lei quello sarebbe stato un gesto disperato, e anzi aveva sentito il bisogno di trovare la propria strada, stare in piedi da sola invece di camminare arrampicandosi sulle spalle di Eliphas e facendosi portare in giro così, facendosi indossare come uno zainetto dal ragazzo, così permissivo di fronte a quelle evidenti invasioni dello spazio personale. Non aveva comunque scelto una meta troppo lontana, ad ogni modo, come una bambina che impari a dormire fuori dal letto dei genitori ma con la porta aperta, sia mai succeda qualcosa. Non era mai successo niente per cui avrebbe voluto disturbarlo, comunque, quella distanza geografica che aveva cominciato ad allentare anche la tenacia di quel legame, e aveva cominciato a renderla sempre più evanescente; si dimenticava di rispondere alle lettere che le inviava ogni tanto, per tenersi in contatto, e glissava ogni volta che le aveva fatto presente quanto poco distanti fossero, qualora avessero voluto vedersi per un giorno o due e poi fare ritorno alle proprie vite. Non era stato rancore, né durezza: era sicura che lui avesse capito che cosa fosse successo e perché lei avesse avuto bisogno di comportarsi così, dopo un po'. Si erano rivisti quando lei aveva diciotto anni, appunto, in occasione della celebrazione di uno dei quattro Sabbat minori – la Ostara. Congreghe da tutto il mondo si erano radunate per festeggiare l'equinozio di primavera, e Théa, insieme ad altre ondine e giovani ninfe come lei, non avrebbe potuto sottrarsene, non importava quanto poco avesse voglia di parteciparvi. L'unica cosa ad ombrare quella parentesi di festeggiamento, a cui normalmente Théa non avrebbe mai detto di no, era la terribile vergogna all'idea di dover cantare di fronte a tutti, proprio tutti gli warlock presenti – anche se fortunatamente non l'avrebbe fatto da sola – e la vaga possibilità che Eliphas si sarebbe presentato, come suo fratello le aveva accennato distrattamente, con la propria nuova fidanzata. Era immaturo, e insensato, e se lui l'avesse saputo probabilmente l'avrebbe giudicata infantile, e ne sarebbe rimasto deluso, ma quando li aveva visti arrivare si era sentita travolgere da un'ondata di gelosia che le aveva impedito di incrociare lo sguardo con quello di lui, in un primo momento. Anche lì, sperava avrebbe capito. In fondo, sapeva che avesse capito.
    La grande casa cosparsa di piante rampicanti sorgeva, com'era di vitale necessità per Théa, nei pressi di un lago; la parola d'ordine per la ricerca dell'abitazione sembrava fosse stata ascetismo, e lei non sembrava essersene ancora pentita. Con il tempo, il suo carattere si era fatto meno irrequieto, sebbene conservasse una componente di opaca inafferrabilità. La villa era grande, ancora riecheggiante per i pochi mobili che la riempivano, le luci artificiali quasi totalmente bandite, le fiamme delle candele e del camino – acceso nonostante fossero tecnicamente ancora in estate – sufficienti a illuminare senza violare quella regola che sembrava imporre ovunque indisturbata quiete: persino la luce avrebbe potuto causare rumore. Sembrava un posto adatto ad un'anziana, a tratti, in cui fare ritorno dopo una vita frenetica che si sia assopita. Quando dalla finestra lo vide arrivare, incamminandosi verso il portone alla fine del sentiero cosparso di sassolini bianchi, Galathéa dovette trattenersi dal corrergli incontro, la versione più bambina di sé che sembrava tornare a fare capolino e imporle i propri impeti. Ci teneva a dimostrargli di essere cresciuta, voleva almeno provarci. Gli aprì il portone prima che potesse bussare, e lo accolse illuminandosi in viso, concedendosi un sorriso dapprima contenuto, ma poi aperto e sincero. Cosa dire? «Sei proprio tu!» Fece candidamente, e poi dovette abbracciarlo, cingendogli la vita con le braccia e poggiando per qualche breve istante la testa contro il suo petto, per poi tornare a guardarlo in viso. Ora era a casa.


    Edited by galéne - 6/10/2023, 23:31
     
    .
  2.     +1    
     
    .
    Avatar

    jack in the box

    Group
    Ricercati
    Posts
    192
    Reputation
    +225

    Status
    Anonymes!

    Ad un occhio esterno la vita di uno warlock poteva apparire come qualcosa di confusionario, a tratti forse anche sregolato. Si muovevano in continuazione, viaggiando da un posto all'altro senza mai stanziarsi veramente se non in tarda età, quando le energie non gli consentivano di tenere il passo con quello stile di vita o quando raggiungevano una posizione talmente riverita nella comunità da ricoprire incarichi di leadership. Questa caratteristica quasi nomadica della loro cultura era forse una delle cose su cui aveva ricevuto più domande da quando era entrato in contatto assiduo con i maghi; molti gli avevano chiesto cosa intendesse per casa, se sentisse mai la mancanza di una sedentarietà, se non fosse triste all'idea di dover costantemente dire addio o non avere nemmeno il tempo di affezionarsi. Tutte domande che avevano un minimo comune determinatore: il concetto di avere delle sicurezze, dei punti fermi immutabili a cui sapere di potersi appoggiare. Immagino che solo ipotizzare l'esistenza di qualcuno che punti fermi non ne ha, sia tanto interessante quanto spaventoso. Gli warlock, tuttavia, erano pur sempre umani - esseri sociali che per natura avevano bisogno di costanti, di sicurezza e comunità; semplicemente, tutte queste cose le intendevano in modo diverso. Ed era esattamente questo ciò che Eliphas aveva provato nel ricevere la lettera di Thea. Le sue labbra si erano increspate in un sorriso nel leggere che stava bene, che presto sarebbe arrivata in Scozia e che le avrebbe fatto piacere rivederlo. Thea, per Eliphas, era una di quelle costanti: incarnava il senso di casa, di sicurezza e di stabilità alla pari di ciò che i maghi vedevano nei propri luoghi di dimora. E sì, sono sempre le persone a rendere i posti degni di essere chiamati casa, ma forse per gli warlock questo sentimento era più acuito. Quando non c'è un punto fisso di natura fisica, un incrocio di strade, un nome su una cartina a cui far ritorno con la certezza di essere esattamente dove dovresti essere - in quel caso valuti molto diversamente l'impatto che le persone hanno sulla tua vita, quanto siano parte di te e quanto fortemente ti definiscano nella tua interiorità e nella comunità di cui fai parte. Thea c'era sempre stata: l'aveva vista crescere, scoprire lentamente la sua natura, costruire passo passo la sua identità e diventare una giovane donna. Aveva guardato gli anni che li dividevano accorciarsi sempre di più, passando da una differenza quasi abissale ad una che sembrava ormai esigua. La distanza geografica non era mai stata un ostacolo insormontabile: avevano tenuto aperta la comunicazione, facendosi visita quando potevano e scrivendosi quando invece non era possibile. E ad ogni incontro o lettera, il giovane Luhng aveva potuto notare quei piccoli ma costanti cambiamenti in quella bambina che ormai, bambina, non lo era più: aveva la sua vita, le sue idee, il suo bagaglio, i suoi desideri - e per Eliphas era terribilmente affascinante osservare così da vicino il plasmarsi di una personalità che conosceva da sempre e che, al contempo, non faceva altro che cambiare.
    88f4f15f73620a6d43b27a8e39b2c5655a044a99
    Aveva accettato il suo invito senza esitazione, contento di potersi riconnettere con lei e di ritrovare qualcosa che sapesse di casa anche lì, in un luogo che lo vedeva circondato da persone che della sua comunità non solo non facevano parte, ma che per giunta ci capivano poco o niente. Col tempo aveva trovato il modo di farsi spazio nella società dei maghi, riuscendo almeno un po' a farsi accettare e comprendere, ma dire che si sentisse completamente a proprio agio non sarebbe stato esatto. In una delle lettere che aveva indirizzato a Thea tempo addietro, aveva espresso questo sentimento: "Mi piace qua. Hogwarts è bellissima e ricca di storia. Le persone sono interessanti e per lo più gentili. Però non ti nascondo di sentirmi perennemente ospite a casa altrui: attento a cosa dico, come lo dico, attento a non far troppo rumore e a non toccare nulla." Di certo non aiutava sapere con certezza matematica che molti ancora lo guardassero con sospetto e paura - paura della sua magia, dei suoi ipotetici moventi, di una diversità che non avrebbe potuto nascondere nemmeno se lo avesse desiderato. A volte si sforzava a credere di essere solo troppo paranoico, e altre volte accoglieva la propria frustrazione come qualcosa di lecito e naturale - ma il risultato finale non cambiava. E in quella condizione di perenne ospite - desiderato o meno che si sentisse - l'idea di tornare ad avere un punto fisso come Thea gli aveva infuso quel calore di cui aveva bisogno. Così, un po' per darle il benvenuto e un po' per ricambiare quel sentimento che gli aveva dato modo di provare, il bibliotecario le aveva preparato un piccolo regalo che sperava avrebbe apprezzato. Un pensiero piuttosto semplice, in realtà: un set di acquerelli con carta e pennelli. Aveva impacchettato il tutto con un fiocchetto e si era diretto verso il luogo indicato dall'amica: la sua nuova dimora scozzese. Una volta arrivato non riuscì a trattenere un piccolo sorriso, scorgendo la personalità di Thea in ogni dettaglio di quella casa che già soltanto dall'esterno sapeva così tanto di lei. « Sei proprio tu! » Ricambiò affettuosamente quell'abbraccio, cingendole le spalle e stringendola un po' a sé. Non provava imbarazzo, né sentiva come se il tempo passato avesse in qualche modo raffreddato il loro rapporto. Thea era diversa, era cresciuta, ma era sempre la ragazzina che faceva salire sulle proprie spalle per raccogliere i frutti dai rami più alti. « Sempre io. Anche se un po' più pallido, mi sa. » Ridacchiò, sciogliendo lentamente quell'abbraccio per guardarla in viso, osservandone i tratti come a volerne scorgere ogni più piccolo cambiamento. « Diavolo, sei cresciutissima! Ne è passato di tempo dall'ultima volta, eh? » A volte gli anni sembravano scorrere così velocemente che quello che la sua mente registrava come un incontro recente in realtà era già sufficientemente distante da potersi catalogare a pieno titolo come il passato. Galathéa, che di anni se ne passava sei con lui, era forse la più chiara testimonianza dello scorrere del tempo. « Ti ho portato un regalo. » disse dunque, sollevando la busta color smeraldo che teneva appesa alle dita e passandola tra le sue mani. « In realtà non so se hai già qualcosa di simile o se sia nei tuoi interessi, ma ho pensato che potesse piacerti. E sicuramente tu puoi farne uso meglio di chiunque altro. » D'altronde, coi poteri che aveva, la creatività poteva sprecarsi in quel caso. Rimase in silenzio per qualche istante, osservandone la reazione con un piccolo sorriso sulle labbra, prima di aggiungere: « Sono contento di rivederti. Sinceramente non mi aspettavo che saresti venuta qui in Scozia, ma è una sorpresa davvero gradita. » La linea disegnata dalle sue labbra si curvò in maniera sincera, come sempre succedeva quando sceglieva di esprimere uno stato d'animo. « Come mai questa scelta? Hai deciso di constatare di persona l'esistenza del mostro di Loch Ness? Ti avverto: qui la tematica è molto sentita. » Rise, ricordando alcune discussioni avute a riguardo con gli scozzesi nati e cresciuti lì. « Non ci scherzare troppo sopra con la gente del posto. Io l'ho imparato a mie spese. »

     
    .
  3.     +2    
     
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Creature Magiche
    Posts
    732
    Reputation
    +155

    Status
    Anonymes!
    «Sempre io. Anche se un po' più pallido, mi sa.» C'erano stati diversi momenti come quelli, nella loro vita: momenti in cui si erano rincontrati e Théa aveva avuto bisogno di appurare, come di sincerarsi che Eliphas fosse sempre quello stesso, solito, amato Eliphas. Qualunque cambiamento, quando si trattava di lui o di loro due, lo aveva affrontato con estrema difficoltà, con quella sensibilità particolare di chi sia sintonizzato sulle frequenze di un rapporto, persino quelle più fini. Non era da lei, quel suo dipendere così inesorabilmente da qualcuno, tutt'altro. Sarebbe stato chiaro a chiunque – anche a lui?, Théa non riusciva a rispondersi con completa sicurezza – come il legame che la univa al ragazzo fosse unico nel suo genere, speciale, elitario. Che fosse univoco, poi, era tutta un'altra faccenda, una di cui lei non si preoccupava più di tanto, non più; e quella maturità, quella lucida accettazione, la doveva solo ed esclusivamente all'influenza che Eliphas aveva avuto sulla sua vita, una sorta di sedativo, uno specifico antidoto a qualunque cosa fosse quella sua infantile irrequietezza. Non credeva che le persone potessero cambiare, eppure non riusciva a spiegarsi come lei ce l'avesse fatta, a diventare una persona migliore, in nome dell'amore e di nient'altro – un amore che non chiedeva niente in cambio. Lo scrutò bene in volto, poi, come se non conoscesse quei lineamenti a memoria, e ne registrò un aspetto più adulto, per quanto Eliphas non le fosse mai parso semplicemente un ragazzo. Aveva un volto estemporaneo, eterno, classico: avrebbe potuto avere diciassette come più di trent'anni, dai manierismi e dal modo di parlare: un ragazzo misterioso anche soltanto nell'ambiguità del suo aspetto. Con il pollice si sporse a segnargli una nuova ruga, proprio in mezzo alle sopracciglia. «Non ti sei ancora tolto questo brutto vizio di pensare troppo» fece, sfiorandogli la fronte soltanto per qualche istante. C'era stato un tempo in cui avrebbe dato di tutto pur di poter entrare in quella sua testa, pentita persino di non essersi dedicata alla magia psichica, che avrebbe senz'altro adoperato per puri scopi egoistici. Si fece guardare, quindi, beandosi di quelle brevi attenzioni, distendendo il viso perlaceo in un sorriso sincero, le mani sotto al mento come un angioletto. «Diavolo, sei cresciutissima! Ne è passato di tempo dall'ultima volta, eh?» Gli sorrise, scoprendo i denti bianchi e il piccolo spazio a separare i due incisivi superiori – un evento raro. «Entriamo, non restiamo sull'uscio» deviò, facendogli strada all'interno della grande casa, troppo grande per una persona sola. Era un po' triste, ma era come se a Galathéa piacesse sentire il peso della propria solitudine, sentirlo riecheggiare nelle stanze vuote, un ricordo della propria natura autarchica, un inno alla propria autosufficienza. O qualcosa del genere. Il grande salone era ancora mezzo vuoto, a riempirlo solo un grande divano color crema, il camino, e il pianoforte. A terra, accatastati in una pila precaria, sedevano tomi su tomi, in attesa di trovare un posto sugli scaffali. Continuava a procrastinare il momento in cui avrebbe sistemato le proprie cose, che ormai avevano trovato un ordine specifico negli scatoloni che da mesi prendevano polvere negli angoli della casa. C'era qualcosa, al pensiero di svuotarli, che la angosciava. Si voltò verso di lui, d'improvviso un po' in imbarazzo, fuori dalla sua comfort zone. Théa era sempre stata una ragazzina, per lui, e adesso lo accoglieva in casa sua, e aveva preparato la cena. Le parve tutto così impostato e adulto che si pentì, per qualche istante, di non aver pensato a qualcosa di meno elaborato, di meno formale. «Uhm... Vuoi qualcosa da bere? Che hai in mano?» Gli chiese, inclinando il capo, i lunghi capelli scuri che le ricadevano oltre le spalle. «Ti ho portato un regalo» le disse, porgendole una busta verde. «In realtà non so se hai già qualcosa di simile o se sia nei tuoi interessi, ma ho pensato che potesse piacerti. E sicuramente tu puoi farne uso meglio di chiunque altro». Cercando di tenere a bada la paranoia, lo guardò, gli occhi smeraldo illuminati da un guizzo, e prese il regalo senza dire niente, scuotendo la testa in un non dovevi. «Grazie, li
    8e952db6dd4be108c0840c05988f56f706bb9561
    userò tantissimo. Magari prima che vai via ti farò un ritratto»
    scherzò solo in parte, rivolgendogli un altro sorriso, sollevando un angolo della bocca. Rimane così per qualche istante, un po' goffa, incerta su cosa fare, o dire, ora che quel momento in cui l'avrebbe rivisto era presente e lei per niente preparata, se ne rendeva conto adesso. «Ci verso qualcosa da bere, dai. Un po' di vino? Tequila? Soju?» You name it, we have it. Uno dei vantaggi dell'aver vissuto praticamente ovunque era aver acquisito la cultura del bere di tutti i posti in cui si era ritrovata – anche se i superacolici prima di cena erano un vezzo tutto suo. La sua prima sbronza colossale in assoluto era stata proprio sotto la supervisione di Eliphas, anni prima. «Ti ricordi quella volta che mi ubriacai con due shot di tequila? Quanti anni avrò avuto?» Chiese, mentre si tirava sulla punta dei piedi per raggiungere i bicchierini da liquore, in alto nella credenza. «Forse 15, 16? E tu che avresti dovuto farmi da supervisore continuavi a versarmi tequila» o forse era lei che insisteva, e lui, al contrario, cercava di intimarle di fermarsi? «Ma poi com'è possibile che non ho un solo ricordo di te sbronzo? Non uno!» Era uno strato di accessibilità in meno, quello conferitogli dalla sobrietà, uno dei tanti che Théa aveva sempre ardentemente desiderato poter rimuovere. Mai l'aveva visto scomposto, mai fuori di sé. Neanche quando aveva perso il fratello. «Sono contento di rivederti. Sinceramente non mi aspettavo che saresti venuta qui in Scozia, ma è una sorpresa davvero gradita» Gli porse il bicchiere, mettendosi quindi a sedere al grosso tavolo di legno, una gamba sotto il sedere e l'altra a penzolare. «Sono molto contenta anche io» in un modo molto, molto diverso dal tuo. Nascose il viso nell'orlo del bicchiere, prendendo un sorso di vino, quel pensiero che le aveva causato una leggera fitta al cuore. Leggera. «Come mai questa scelta? Hai deciso di constatare di persona l'esistenza del mostro di Loch Ness? Ti avverto: qui la tematica è molto sentita.» Ridacchiò, scuotendo la testa. «Non ci scherzare troppo sopra con la gente del posto. Io l'ho imparato a mie spese» «Ma in realtà il motivo non è molto distante da quello che hai detto tu – moltissimi maridi sono stati chiamati a collaborare con le creature del mare del Nord per facilitare la comunicazione con il popolo dei Lycan di Inverness. Io sono una specie di ibrido, e lavoro con altre persone – Juniper Rosier, la conosci? – per questioni... diplomatiche? Burocratiche? Qualcosa del genere». Si strinse nelle spalle, la gamba che penzolava sfiorando il pavimento in legno con la punta del piede. «C'è un accordo tra le creature, facilitato anche dal fatto che gli warlock siano così tanto inclusi dal popolo lycan all'interno dei territori di Inverness. L'hai potuto appurare anche tu? È bello da vedere, questo senso di comunità, se dovesse essere sincera... Ad ogni modo devo ancora cominciare». Prese un altro sorso, esitando. «E poi volevo... Uhm... Per quanto mi costi ammetterlo, credo che sia arrivato tempo per me di provare a crearmi una casa da qualche parte, capisci che intendo? L'ultima volta che mi sono sentita di appartenere a un posto è stato anni fa, con te.» Strinse le labbra, cercando di smussare l'intensità di quelle ultime parole schiarendosi la voce. «Non lo so, non è detto che sia così semplice, ma ho pensato che fosse giusto farmi guidare dagli affetti, una volta tanto, e andare dove c'è qualche volto amico, e amico sul serio.» Lambì il labbro inferiore con i denti. «Tu come stai?» L'ultima volta che si erano visti era all'Avana, e sebbene nelle sue lettere Eliphas si fosse espresso rispetto a ciò che era accaduto, Théa veniva divorata dalla curiosità di sapere se ancora ci pensava – sicuramente, senza dubbio – e dalla voglia di poterne parlare faccia a faccia, di poterlo ascoltare e non soltanto leggere. «Sono passati cinque anni ormai... Ci pensi ancora, immagino?» Provò piano, desiderosa soltanto di ascoltarlo parlare, di annullare le distanze del tempo e dello spazio che li avevano separati fino a quel momento.


    Edited by galéne - 6/10/2023, 23:30
     
    .
  4.     +1    
     
    .
    Avatar

    jack in the box

    Group
    Ricercati
    Posts
    192
    Reputation
    +225

    Status
    Anonymes!

    « Grazie, li userò tantissimo. Magari prima che vai via ti farò un ritratto. » Ridacchiò, fermandosi improvvisamente sul posto e incorniciandosi il mento con pollice e indice come a mettersi in posa. « Dici che ho una carriera da modello? » La sola idea lo faceva ridere; Eliphas era noto per non riuscire a starsene fermo e zitto con le mani in mano per più di cinque minuti. Anche se con occupazioni tranquille e silenziose, il giovane Luhng aveva bisogno di occupare in qualche modo il proprio tempo, soffrendo terribilmente la noia che derivava dalla completa stasi. « Ci verso qualcosa da bere, dai. Un po' di vino? Tequila? Soju? » « Per me tequila, grazie. » Quando si trattava di alcolici, gli warlock erano piuttosto rinomati per non andare sul leggero, ed Eliphas ne era il perfetto rappresentante. Per come la vedeva lui, la tequila era ottima per l'aperitivo e il soju per pasteggiare. « Ti ricordi quella volta che mi ubriacai con due shot di tequila? Quanti anni avrò avuto? Forse 15, 16? E tu che avresti dovuto farmi da supervisore continuavi a versarmi tequila. Ma poi com'è possibile che non ho un solo ricordo di te sbronzo? Non uno! » Sorrise al ricordo. Thea, forse per una questione di costituzione, non era esattamente ciò che gli alcolisti avrebbero definito un peso massimo. E forse nemmeno Eliphas avrebbe dovuto esserlo, dato che la sua stazza si misurava per lo più per lungo, ma non ricordava una singola volta in cui avesse perso il lume della ragione per colpa dell'alcol. Beveva tanto, secondo alcuni forse anche troppo, ma conosceva bene se stesso. Persino in situazioni di festa e relax, il demonologo stava molto attento a non superare mai quella linea sottile che divideva il divertimento dal malessere: accompagnava ogni bicchiere di alcolico con uno di acqua, ricordava a chi aveva intorno di rimanere idratato ed era piuttosto categorico quando decretava l'ultimo bicchiere. « Di solito chiedo ad Aslan di obliviare i testimoni per cancellare ogni ricordo compromettente sul mio conto. Potrebbe essere questa la ragione. » Inclinò il capo di lato, facendo schioccare la lingua contro il palato. « Oppure eri più sbronza di me. » Si strinse nelle spalle in un moto di leggerezza, lasciando che una piccola risata sottolineasse l'ironia di quelle ipotesi. Tra una chiacchiera e l'altra il bibliotecario prese posto al tavolo, guardandosi intorno con occhi curiosi per ammirare l'arredamento. Thea aveva sempre avuto buon gusto, spiccando per una certa sobrietà rispetto alla media degli warlock; anche ciò che poteva sembrare in disordine non lo era veramente, ma rispondeva a un certo canone estetico che la giovane riusciva a cogliere anche nelle cose più apparentemente semplici e triviali. Eliphas le aveva sempre un po' invidiato questa qualità: gli sarebbe piaciuto avere una casa del genere, un luogo così personale e al tempo stesso così gradevole all'occhio. Lui, d'altro canto, era l'esatto opposto - o troppo caotico o troppo preciso. Gli piaceva riporre i vestiti nell'armadio in maniera ordinata, ma allo stesso tempo impilava libri su libri in ogni angolo della casa e lasciava gli strumenti meno pericolosi del suo mestiere un po' dove capitava. Nulla della sua dimore poteva essere definito esteticamente appagante - semmai era solo riflesso del caos che covava latente nella sua testa. « Ma in realtà il motivo non è molto distante da quello che hai detto tu – moltissimi maridi sono stati chiamati a collaborare con le creature del mare del Nord per facilitare la comunicazione con il popolo dei Lycan di Inverness. Io sono una specie di ibrido, e lavoro con altre persone – Juniper Rosier, la conosci? – per questioni... diplomatiche? Burocratiche? Qualcosa del genere. » Aveva il bicchiere alle labbra quando il nome di Juniper saltò fuori e per poco non sussultò alla sua menzione, coprendo quella sorpresa dietro un sorso forse troppo generoso di tequila. Non incrociava la Rosier da un bel po', e in realtà una parte di lui preferiva che fosse così. Sentiva di essersi reso ridicolo di fronte a lei alla festa di Natale, e sebbene fossero ormai passati quasi due anni, l'imbarazzo era un sentimento che difficilmente dimenticava. In quell'occasione una qualche pozione gli aveva cacciato fuori di bocca delle parole che per diversi motivi non si sentiva pronto a pronunciate; un po' perché la sua cottarella non era fondata su nient'altro se non un'attrazione fisica e questo lo rendeva a tutti gli effetti uno sconosciuto per lei, un po' per via del fatto che ai tempi nessuno conoscesse la sua appartenenza agli warlock, e infine perché il lutto che ancora portava nel cuore gli impediva di andare avanti. Voleva davvero chiederle di uscire? Tecnicamente sì. D'altronde quell'intruglio che gli avevano dato con l'inganno lo aveva obbligato a dire qualunque verità gli passasse per la testa. Ma al tempo stesso, se quel fattore magico non ci fosse stato, Eliphas non avrebbe mai fatto quel passo - e non perché fosse timido o altro, ma perché aveva di fronte a sé un ostacolo che non poteva o non voleva superare. In ogni caso, in seguito a quell'incidente, con Juniper non aveva più avuto contatti. Nessuna risposta è una chiara risposta. Aveva dunque incassato quel rifiuto con classe, senza insistenze o altro, rispettando la palese volontà della Rosier. « Mh sì la conosco di nome. Non sapevo che lavorasse anche lei in questo ambito. » disse, cercando di ostentare una certa naturalezza sull'argomento prima di scrollare le spalle. « Beh comunque interessante. So che le comunità di maridi tendono ad essere molto chiuse e riservate, quindi immagino che non sia facile. » Ma se qualcuno può farcela sei proprio tu, immagino. « C'è un accordo tra le creature, facilitato anche dal fatto che gli warlock siano così tanto inclusi dal popolo lycan all'interno dei territori di Inverness. L'hai potuto appurare anche tu? È bello da vedere, questo senso di comunità, se dovesse essere sincera... Ad ogni modo devo ancora cominciare. » Annuì piano, prendendo un altro sorso di tequila - questa volta più contenuto. « Sì, per quello che ho potuto osservare i lycan tendono ad essere più inclusivi pur essendo una comunità relativamente piccola e fortemente strutturata. Immagino sia dovuto anche al loro status di minoranza all'interno del mondo magico. Mi hanno ricordato un po' noi, per certi versi. Sai.. per la loro idea di comunità, il fatto che superino i confini geografici a livello identitario e più in generale proprio lo spirito di solidarietà. » Sì, Inverness gli piaceva. Per quanto diversa fosse rispetto a casa propria, aveva tutti gli elementi fondamentali che a suo parere una società doveva avere. « Ti troverai bene. Ne sono certo. » Sorrise, annuendo con convinzione alle proprie stesse parole. « E poi volevo... Uhm... Per quanto mi costi ammetterlo, credo che sia arrivato tempo per me di provare a crearmi una casa da qualche parte, capisci che intendo? L'ultima volta che mi sono sentita di appartenere a un posto è stato anni fa, con te. » A quelle parole, il giovane Luhng le scoccò un'occhiata indecifrabile, rimanendo per qualche istante in silenzio a guardarla e basta. Non sapeva di preciso come interpretare quell'ultima affermazione, essendo consapevole dei sentimenti che Thea aveva provato - e forse in parte ancora provava - per lui. La cosa non lo aveva mai disturbato, e dal canto proprio non ne aveva fatto una questione di Stato, stabilendo delicatamente i propri limiti senza farglielo mai pesare. D'altronde i sentimenti erano la cosa più naturale del mondo, e non vedeva per quale ragione dovessero costituire un problema. « Non lo so, non è detto che sia così semplice, ma ho pensato che fosse giusto farmi guidare dagli affetti, una volta tanto, e andare dove c'è qualche volto amico, e amico sul serio. » « Penso sinceramente che sia il posto giusto per crearsi una casa. » disse quindi sull'orlo di un sorriso gentile, sottolineando le parole con un lieve cenno
    gz7GSdx
    del capo. « Tu come stai? Sono passati cinque anni ormai... Ci pensi ancora, immagino? » Quella domanda riuscì a tutti gli effetti a prenderlo in contropiede. Eliphas non parlava praticamente mai di Aleyda, o comunque aveva smesso di farlo quando aveva iniziato a vedere la compassione della gente nei suoi confronti cominciare a sfumare pian piano verso atteggiamenti più naturali. D'altronde si dava per scontato che a un certo punto la ferita cominciasse a rimarginarsi, che la vita riprendesse il proprio naturale andamento. Per Eliphas, tuttavia, non era così; era semplicemente diventato abile nel mascherare ciò che provava. Senso di colpa, per lo più. Rimorso. Tristezza. Sono passati cinque anni ormai. Ormai. Quella parola sottolineava quanto il tempo passato dovesse essere sufficiente a voltare pagina. Cinque anni erano tanti, al punto che quantificarli suonava sconvolgente alle orecchie del bibliotecario, che sentiva ancora quei fatti così freschi - come se fossero avvenuti solo una manciata di mesi prima. Abbassò lo sguardo sul bicchiere quasi vuoto, rigirandoselo tra le dita mentre si umettava le labbra in silenzio. Perdere Aleyda non gli aveva strappato solo la donna di cui era innamorato, ma lo aveva a tutti gli effetti bloccato dal vivere una vita normale a livello relazionale. Sì, aveva avuto un paio di storielle occasionali, ma non si era mai dato la possibilità di approfondire alcun legame, e per lo più anche queste avventure erano state segnate da uno strisciante senso di colpa. Il che era quasi ironico, visto che sin dall'inizio lui e la compagna avevano concordato su una relazione aperta - e allora perché si sentiva come se la stesse in qualche modo tradendo? Come se la sola idea di essere felice con qualcun altro fosse una mostruosità quasi peggiore di quella che l'aveva condannata a morte certa? « Sto.. » iniziò, cercando di forzarsi fuori dalla gola una qualche frase fatta che con ogni probabilità sarebbe stata falsa. Non sapeva nemmeno perché sentisse il bisogno di mentire: non temeva il giudizio altrui e non credeva che il suo stato d'animo fosse biasimabile. Forse il problema stava nel fatto che parlarne fosse doloroso per lui in primis - e il dolore, Eliphas cercava di evitarlo ad ogni costo, timoroso com'era di gravare sul prossimo. Tirò su col naso, forzando le labbra ad incurvarsi in un sorriso nel riportare lo sguardo sul volto di Thea. « ..non è facile. Ma sto bene. Mi tengo impegnato, faccio del mio meglio, cerco di non pensarci. » Buttò giù ciò che rimaneva nel bicchiere, poggiandolo poi vuoto sul tavolo. « Ovunque si trovi adesso.. ho paura che mi odi. Ne avrebbe tutte le ragioni. » Lo stesso risentimento che Eliphas provava nei confronti del gemello - ovunque fosse anche lui. Se consapevolmente sapeva di non poter vivere di "se", una parte di lui non riusciva a resistere dall'abbondarsi alle scie di ipotesi riguardo come sarebbero andate le cose se avesse compiuto scelte diverse. Se si fosse opposto, se non avesse dato retta a Magnus, se invece Magnus fosse stato il primo a sostenerlo nell'attendere che Aleyda raggiungesse il santuario prima di sigillare le porte. Tutti scenari irrealizzati e dunque ormai inutili, che tuttavia spesso prendevano residenza nei pensieri di Eliphas. Sospirò, tamburellando piano le dita sulla superficie di legno. « Ma indietro non si può tornare. Quindi immagino di doverci semplicemente convivere. » Aveva davvero risposto alla domanda di Thea? Probabilmente no, o quantomeno solo in parte, ma era già più di quanto avesse detto a chiunque altro negli ultimi anni. Infatti scosse il capo, cercando di rimettersi sulle labbra un sorriso più allegro. Tutti lo conoscevano così: allegro e sorridente. E a lui piaceva, anche quando ciò non rispecchiava veramente il suo stato d'animo. « Vabbè.. non farmi fare l'ospite cafone che appesantisce l'atmosfera. Dobbiamo festeggiare, no? Sei qui, hai intenzione di rimanere, ti sei messa su una casa bellissima.. non voglio intristirti. » Incrociò infatti le braccia sul tavolo, sporgendosi appena nella sua direzione con sguardo curioso. « Voglio sapere tutto dei tuoi viaggi. Non ci credo che non hai altre storie oltre quelle che mi hai raccontato per lettera. Dammi tutti i dettagli che non si mettono per iscritto. Ti sei divertita? Hai incontrato qualcuno? Hai fatto cazzate che non devono assolutamente uscire da questa stanza? » Ridacchiò, allungando una mano per darle un piccolo buffetto sul braccio. « Non ti rivedo da quando eri una ragazzina. Sono venuto qui per conoscere la Thea adulta. » Rimase per qualche istante in silenzio, abbassando leggermente il capo per fissarla da quell'angolazione con un sorriso che sembrava volerla incoraggiare in quel gioco mentre le poneva la mano tesa di fronte. « Piacere, Eliphas. Mi hanno detto che ti sei appena trasferita. »

     
    .
  5.     +2    
     
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Creature Magiche
    Posts
    732
    Reputation
    +155

    Status
    Anonymes!
    Versandogli la tequila non potè che sollevare un sopracciglio, divertita e presa leggermente alla sprovvista: passare del tempo in compagnia di persone che sono state formative spesso significa rintracciare parti di sé nell'altro e riconoscerne la radice, perché formarsi, in minima parte, significa prendere in prestito vezzi e parti altrui, e così realizzò che forse proveniva proprio da Eliphas quella insolita propensione a preferire liquori e superalcolici prima di cena, invece che a conclusione del pasto. Si domandò passivamente se avesse mai deliberatamente deciso di assumere quell'abitudine per spirito emulativo, come senz'altro aveva fatto con altre caratteristiche prese in prestito da lui dalla Théa adolescente, ma qualora ciò fosse accaduto aveva dovuto farlo senza rendersene conto. In fondo non era un segreto come lo warlock le avesse trasmesso più insegnamenti, abitudini e caratteristiche di quanto non avesse fatto il suo stesso padre, senza che nessuno dei due se ne rendesse davvero conto. Persino in quel suo modo di gesticolare, così fortemente suo, inimitabile, Théa rivedeva tracce di sé, realizzando come dovesse aver preso da lui quel modo di inclinare la testa di lato quando parlava. «Di solito chiedo ad Aslan di obliviare i testimoni per cancellare ogni ricordo compromettente sul mio conto. Potrebbe essere questa la ragione.» «Ma questo può valere per tutti gli altri! Non anche per me!» Fece, fingendosi offesa, spingendo il mento in avanti, in fondo mentendo soltanto in parte. Aslan non le era piaciuto granché, quando lo aveva conosciuto. Dalle poche volte che ci aveva scambiato due parole, si era fatta l'idea che fosse una persona che amava condividere il meno possibile su di sé, preferendo invece ficcare il naso nelle faccende altrui, secondo quello spirito comunitario e fraterno che permeava la comunità warlock e a cui Théa si era sempre maladattata. Si erano incrociati in Francia, forse – non ricordava più. Ogni volta che aveva sentito lo sguardo di lui puntato su di lei era stato sempre con una leggera nota di preoccupazione, puntualmente irritante sebbene discreta, a modo suo. Detestava la compassione, non amava che sconosciuti si sentissero in dovere di allungare una mano nella sua direzione soltanto perché era più piccola o apparentemente più sola. Non riuscì a trattenere una smorfia leggera, presa da quei pensieri al sentir nominare Aslan, prima di acquisire consapevolezza delle proprie espressioni facciali e darsi un contegno. Eliphas era sempre stato più bravo di lei a stringere rapporti con le persone – non doveva essere un segreto per lui quanto difficile fosse che qualcuno riuscisse a piacerle. «Oppure eri più sbronza di me.» Annuì veementemente, piegando verso il basso gli angoli della bocca. «Più probabile. Comunque si migliora con gli anni, per fortuna.» Sorrise, facendo tintinnare il proprio bicchiere contro quello di Eliphas, il sapore acre del liquido rosso che andava a colpire proprio nel punto giusto. Si passò la lingua sulle labbra tinte dal vino.
    Incrociò le gambe sulla sedia, le dita affusolate poggiate attorno alla base del calice che lo facevano roteare in modo ipnotico mentre ascoltava Eliphas parlare delle proprie impressioni sulla comunità dei lycan – una realtà a cui lui doveva essersi ormai abituato più di lei, che ancora si sentiva come un pesce fuor d'acqua, sia metaforicamente che non. «[...]Mi hanno ricordato un po' noi, per certi versi. Sai... per la loro idea di comunità, il fatto che superino i confini geografici a livello identitario e più in generale proprio lo spirito di solidarietà. Ti troverai bene. Ne sono certo.» Théa prese un respiro profondo, increspando le labbra. «Eppure non è che io mi sia mai trovata granché bene, nelle congreghe.» Disse piano, lo sguardo catturato dal lento roteare del vino nella coppa. Era sempre stata un outsider, un po' per natura, un po' per scelta – questo, di lei, Eliphas lo doveva ricordare. La filosofia e cultura collettivista intrinseca ad una comunità come quella warlock, socializzata a preoccuparsi per l'altro come fosse un fratello, l'assenza reale di un concetto di famiglia nucleare in senso stretto, ad alcuni dava la sensazione di non essere mai veramente da soli; molti di loro riuscivano a ricoprire i ruoli socialmente previsti per loro senza troppa difficoltà, e sopratutto senza sentirne il fardello, perché, per come la vedeva Galathéa, si trattava di richieste implicite molto sottili che la collettività rivolgeva al singolo. Era intrinseco alla natura stessa di un warlock, per tutti loro, che il più grande tenesse d'occhio il più piccolo, che lo riprendesse qualora commetteva un errore, che svolgesse quindi compiti educativi, pedagogici, in una trasmissione di lezioni su come stare al mondo molto poco strutturata ma sufficientemente salda da funzionare a dovere, rinsaldando la sensazione di essere una parte di un tutto, superando l'egoismo individualistico in favore dell'altro. E questo era nobile, e bello, e ammirevole. Ma non era la natura di Galathéa, o forse non c'entrava la natura ma la storia personale – qualunque cosa fosse, da quando ne aveva memoria Théa aveva cercato di scappare dallo sguardo degli altri, dai loro giudizi non richiesti, dalle loro domande preoccupate. Non si era obbligati a far parte di un branco, come forse funzionava per i Lycan, e potevi esistere come lupo solitario, ma il prezzo da pagare era la sensazione di inadeguatezza. «Non sono mai stata granché brava ad appartenere a qualcosa – a voialtri sembrava sempre venire più facile.» Un sorrisetto un po' amaro. «Ma mi piace che non siano retrogradi, ignoranti e pregiudizievoli verso gli warlock come tanti altri.» Un discorso sull'appartenenza, quello, che non poté che concludersi riconducendolo a Eliphas, forse peccando di leggerezza, lasciando uscire parole che era certa lui dovesse già conoscere, ma che ciononostante sembrarono arrestarlo per qualche istante, durante i quali lei ne sostenne lo sguardo, invece di rifuggirne, come tipicamente succedeva. Cosa ti stupisce? «Penso sinceramente che sia il posto giusto per crearsi una casa.» Théa ridacchiò per la risposta diplomatica e un po' impersonale, mordicchiandosi le labbra. L'aveva messo a disagio? In fondo il loro rapporto aveva sempre sfiorato la linea del fraterno, e quelle parole non lasciavano necessariamente intendere dell'altro – altrimenti non le avrebbe mai pronunciate, quello era un patto chiaro ad entrambi. Si aspettava, forse, che qualcosa in lei fosse mutato, in tutti quegli anni? Sentimenti che erano stati mostrati alla luce del sole, celati per una vergogna che era stata strappata via dalla rassicurazione che niente sarebbe cambiato, erano adesso capaci di metterli in difficoltà, qualora fossero stati anche solo intravisti? Eliphas sapeva che niente avrebbe mai potuto cambiarli?
    Affondò le unghie nel palmo della mano quando si rese conto della pesantezza della domanda che gli aveva appena posto, di nuovo stranamente leggera, forse senza davvero pensare all'altro ma solo al propri desiderio di vicinanza. Il pensiero le provocò una fitta intensa di disgusto verso se stessa, così egoisticamente bisognosa. Deglutì, fissandolo, osservandolo abbassare lo sguardo e cercare le parole. «Sto... non è facile.» «Scusa, Eli, sono stata indelicata, non so cosa mi è preso» Ancora una bambina, dopotutto, incapace di capire il limite senza che l'altro debba tracciarlo. «Ma sto bene. Mi tengo impegnato, faccio del mio meglio, cerco di non pensarci.» Non avrebbe mai conosciuto l'entità del dolore che aveva provato, perché lui non l'avrebbe mai lasciato emergere – sicuramente non con lei. Lo rispettava, ma si detestò per avergli dato un altro buon motivo per dover ingoiare il rospo. Un elefante in una cristalleria, quando si trattava di sentimenti. D'istinto, mosse una mano verso quella di lui, ma si arrestò prima di ricoprirla con la propria. «Ovunque si trovi adesso.. ho paura che mi odi. Ne avrebbe tutte le ragioni.» «Nessuno potrebbe odiarti.» Scosse la testa, sotto voce, senza distogliere lo sguardo. Non si riusciva ancora a perdonare, dopo tutto quel tempo. Ricordava le parole di odio che aveva rivolto a se stesso nelle lettere che si erano scambiati in quel periodo, sapeva di non averlo mai visto così prima, che non conosceva quel lato di lui, che non credeva esistesse un mondo in cui qualcuno sarebbe stato capace di essere duro con lui quanto faceva lui stesso. L'aveva anche spaventata, aveva temuto potesse farsi del male – non sapeva, sinceramente, fin dove Eliphas fosse capace di spingersi pur di punire se stesso. E per quel tipo di modo di vedere le cose incolpava la congrega e il messaggio che trasudava da ogni rimprovero o punizione o ammonimento: tutto per il bene della collettività, l'autorinuncia e il sacrificio sono la cosa più importante, il peccato più grave è l'egoismo. Riconosceva in se stessa una simile imperitura moralità, rigida e severissima, un codice di comportamento che faceva dell'autopunizione l'arma più potente. Non sapeva come dirglielo. Aggrottò la fronte, alla ricerca delle parole giuste, che però le morirono in gola, quando lo vide forzarsi per sorridere in modo tanto artificioso da mortificarla. «Vabbè.. non farmi fare l'ospite cafone che appesantisce l'atmosfera.» «No, sono stata io a tirar fuori l'argomento – scusami.» Serrò la mascella, e ricambiò il sorriso di lui, altrettanto forzato, decisamente meno marcato. «Dobbiamo festeggiare, no? Sei qui, hai intenzione di rimanere, ti sei messa su una casa bellissima.. non voglio intristirti.» Galathéa sospirò nuovamente, ma rispettò il suo desiderio di cambiare argomento, e lo assecondò, senza controbattere. «Non ti rivedo da quando eri una ragazzina. Sono venuto qui per conoscere la Thea adulta. Piacere, Eliphas. Mi hanno detto che ti sei appena trasferita.» Roteando gli occhi al cielo, senza riuscire a sopprimere un sorriso, stette al gioco, e gli strinse la mano, sebbene con poca convinzione. «Piacere mio. Tu chi sei? Fai il modello, ho sentito dire?» Lo punzecchiò, il contatto con la sua mano solitamente piacevole, un groppo in gola che deglutì per mandare giù. Sciolse la stretta, quindi, scuotendo la testa. Se possibile, parlare di sé le veniva ancora più difficile e spiacevole che sentirsi in colpa per aver fatto quasi piangere la persona per lei più cara al mondo. Si prese il viso tra le mani, coprendolo per qualche istante, prima di stropicciarselo. «Mi sembra di non avere niente da dire – sarebbero tutte cose molto noiose, comunque. E poi vedo quello che stai cercando di fare, Eliphas Luhng, e non riuscirai a evitare di parlare di te tutta la serata riempiendomi di domande.» Lo ammonì, alzando l'indice, un angolo della bocca inclinato. «Usiamo il sistema di una domanda a testa? È equo.» Un escamotage estremamente infantile ma necessario, che avevano già usato in passato, per due persone che devono essere forzate a parlare di sé per farlo: una domanda a testa, senza possibilità di passarla all'altro. «Vuoi farlo con penalità o senza?» Una variante che talvolta introducevano, obbligando l'altro a bere uno shot di alcool qualora si rifiutasse di rispondere. «Intanto vado a recuperare qualcosa da mangiare per antipasto, tu pensa ad una domanda tra le trenta che mi hai fatto.» Si alzò, i piedi scalzi a contatto con la pietra riscaldata, a terra. «Una sola!» Ripeté poi dalla cucina. Quando fece ritorno trasportava una serie di preparazioni diverse di verdure, preparate al forno, crude con una ciotolina di humus di ceci accanto, ripassate in padella. «Ah, novità numero uno, credo: sono vegetariana. Non mi ricordo se te l'avevo detto.» Poggiò il vassoio sul tavolo e poi sistemò due piatti e delle posate, servendo prima lui. «Okay, hai pensato?» Fece, addentando una carota croccante.
     
    .
4 replies since 27/8/2023, 20:42   215 views
  Share  
.