The kids don't wanna come home

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  1. (icarus)
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    Quando Émile Carrow spalancò la porta della segreteria studentesca, si voltarono tutti a guardarlo. La veemenza di quel gesto, mista al fiatone che lo accompagnava, lo qualificarono da subito agli occhi di Millicent Grey, la vecchia segretaria sepolta dietro a una torre di scartoffie, come il visitatore più strambo della giornata. Lo vide sedersi in un angolo, ma stette fermo due minuti appena, per poi cominciare a misurare lo spazio piccolo della segreteria a passi veloci. Tra lo sbrigare di una pratica e l'altra, Millicent riservava al giovane Carrow occhiate di stizza, e ogni volta che posava lo sguardo sulla sua figura lo coglieva impegnato in un'attività diversa: ora giocava con il cellulare, ora disordinava una pila di moduli che lei personalmente aveva sistemato quella mattina, ora infilava le dita nell'orologio a pendolo appeso alla parete. I giovani d'oggi hanno proprio perso ogni forma di civiltà, pensò la donna, alzando gli occhi al cielo, mentre la studentessa dall'altra parte del vetro rimarcava il bisogno impellente di sostituire l'esame di Babbanologia II con quello di Storia Babbana. La stanza era piena zeppa di studenti, come d'altronde ogni primo di settembre: c'erano i nuovi iscritti che si presentavano per richiedere le informazioni più banali, laureandi incattiviti alle prese con la burocrazia, studenti che richiedevano aiuto per cambiare il piano di studi, trovare gli alloggi, e via dicendo. La giostra ricominciava. Millicent si era ripromessa, però, che quello sarebbe stato l'ultimo anno: a partire da giugno, non avrebbe più sentito ragioni, si sarebbe ritirata nella propria casetta in periferia di Hogsmeade e non avrebbe più voluto sentir parlare di college, iscrizioni, sessioni d'esami, alloggi universitari e così via. Dopo quarantacinque lunghi anni di carriera, era arrivato il momento di appendere al chiodo il cappello da segretaria e dedicarsi finalmente ad espandere la sua collezione di calzette da neonati.
    « Carrow vieni, forza » Quando arrivò il turno del giovane, perfino Millicent ne fu contenta, stanca di vederlo agitarsi nel suo campo visivo, giacché ne percepiva l'agitazione; e a lei le cattive energie non facevano proprio bene, come confermato da una recente lettura dei tarocchi fatta da Madame Troney.
    « C'è un problema con la mia stanza. » Buongiorno signora Millicent, che piacere rivederla, come sta? La trovo bene. Come ha passato le vacanze?
    « E che problema, sentiamo? »
    « Devo cambiarla. »
    Millicent aggrottò la fronte. « Cambiarla? » Sbuffò. « Senti, Carrow, non puoi venire qui a fare il principino a nemmeno mezz'ora dall'apertura del campus. Gli alloggi sono tutti uguali, non troverai di meglio. E anzi dovreste ringraziarmi, tu e il tuo amichetto, ché se non fosse stato per me sareste finiti in stanza con degli sconosciuti! » E così dicendo puntò il dito sul foglio di carta che il ragazzo teneva in mano, dove, insieme alle informazioni sul suo alloggio universitario per quell'anno, vi era anche il nome del suo compagno di stanza: Otis Branwell.
    « Come, prego? » Il giovane parve interdetto.
    Millicent sbuffò, visibilmente esasperata. « Tu e Branwell, zucche vuote che siete, avete dimenticato di inserire la preferenza del nome del compagno di stanza! Siete stati solo fortunati che abbia gestito io la pratica, e mi sono ricordata subito che siete sempre stati pappa e ciccia dal primo anno! Così ci ho pensato io a mettervi insieme. E nemmeno un grazie da parte tua sto sentendo! »
    « Allora è stata lei!!! »
    « Certo che sono stata io, ma sappi che è veramente l'ultima volta che vi vengo incontro. Ormai siete grandi, siete al college e dovete sbrigarvela da soli! »
    « Signora Millicent... Io non avevo inserito preferenze proprio perché preferivo stare in camera con uno sconosciuto. »
    « Ah, ma non dire scemenze Carrow! E lasciavi il tuo amichetto da solo? E poi non ha importanza, gli alloggi sono tutti assegnati ormai e non si possono più cambiare. »
    « Sì ma io non posso stare in camera con Otis! Abbiamo litigato! Capisce che è una cosa insostenibile? »
    Millicent si strinse nelle spalle. « Suvvia Carrow, queste sono cose da ragazzi. Vedrai che con l'occasione farete pace. E io veramente non posso farci proprio niente perché le stanze sono assegnate, non sei nemmeno la prima persona che me lo chiede oggi. Ho le mani legate. »
    « Sì ma signora Millicent lei deve capire la situazione particolare ch- »
    « HO DETTO NO! ENNE-O! GLI ALLOGGI NON SI CAMBIANO! » E mentre pronunciava queste parole, la vena gonfia sul collo rugoso e gli occhi strabuzzati, si voltò verso il resto dei presenti nella stanza. « E QUESTO VALE PER TUTTI! NON VENITE QUA CON RICHIESTE DI CAMBIO STANZA PERCHÉ VI BUTTO FUORI A CALCI NEL SEDERE! E ORA FILA ANCHE TU, CARROW! »

    Camminava verso la stanza n. 23 con lo stesso entusiasmo di un condannato al patibolo, trascinando i piedi sulle scale e fino al corridoio indicato sulla mappa del campus. Con una mano trascinava il proprio baule, mentre con l'altra reggeva la gabbietta di Marv, che si dimenava senza sosta già da un po'. Appollaiato sulla spalla del ragazzo, a godersi la passeggiata, c'era invece Gert, il suo ultimo acquisto: un Clabbert proveniente dalle foreste scozzesi, che il rifugio di Hogsmeade aveva recuperato e curato dopo l'attacco di un Augurey. Accudirlo, nelle ore di volontariato, era stata l'unica fonte di gioia di quell'estate per Emi, e così aveva scelto di tenerlo con sé in via definitiva. Era emozionato all'idea di poter finalmente abitare con i propri animali, viste le regole meno restrittive del college; al contempo, però, l'idea che questi ultimi dovessero condividere il proprio spazio con Otis non lo allettava particolarmente. L'idea di dover avere intorno il suo ex migliore amico lo innervosiva: aveva trascorso l'intera estate a cercare di dimenticare i fatti della sera del ballo di fine anno, e ritrovarsi la faccia di Otis ogni mattina dall'altra parte della stanza sapeva che non lo avrebbe fatto stare bene.
    Aveva tentato di affrontare razionalmente quella delusione, e nella sua autoanalisi aveva raggiunto diverse conclusioni, tra cui la più importante: non era ancora pronto a rivederlo. Sapeva che averlo vicino avrebbe riportato a galla quei ricordi, e quel buco nel petto che le parole di Otis gli avevano provocato. Fammi sapere quando decidi di crescere e di guardarti allo specchio per quello che sei. Un bambino egoista e capriccioso, che non sa scegliere, e non sa ammettere i propri errori. Le aveva sentite tutta l'estate nella propria testa, come una cantilena. A tratti gli aveva perfino dato ragione.
    Il fatto era che era complicato dire addio a qualcosa di così certo e stabile come l'amicizia con Otis. Sentiva di starlo facendo solo adesso per la prima volta, perché era successo qualcosa di definitivo e irrevocabile, quella sera del ballo, e per quanto Emi non ci avesse ancora del tutto fatto pace, sentiva di star pian piano accettando la natura delle cose. Aveva capito di essere rimasto aggrappato a quell'astio nei confronti di Otis così a lungo perché, in fondo, fino a quando c’era stato dell’astio, tra loro due, esisteva un legame. Erano uniti da un sentimento, pur negativo che fosse, ma che tracciava una corda invisibile che li univa anche quando stavano da due parti opposte di una stanza. Quell’astio li faceva trovare, in occhiate in cagnesco e sbuffi infastiditi, in messaggi glaciali. In quell’estenuante tiro alla fune, a un certo punto, Otis aveva di colpo e senza preavviso mollato la presa, e il contraccolpo aveva fatto cadere rovinosamente per terra il suo avversario. Ora non c’era più davvero niente. Otis l’aveva perso davvero quella notte.
    Era stato un po' come perdere un amore, ed Émile sapeva bene di avere ancora bisogno di un po' di tempo per guarire il proprio cuore spezzato. Aveva riconosciuto di essere rimasto a lungo indietro rispetto ai suoi coetanei, come i fatti gli avevano dimostrato la sera del ballo, e aveva bisogno di crescere. Anche quella constatazione era stata dolorosa, eppure necessaria.
    Motivo per cui questa non ci voleva. Contento com'era all'idea di voltare pagina finalmente, con l'inizio del college, il sorriso di Émile si era spento immediatamente non appena aveva letto il nome del proprio compagno di stanza. Ma non aveva intenzione di farsi abbattere da quel piccolo ostacolo: avrebbe presto trovato un modo di cambiare stanza, checché ne dicesse la signora Millicent. Nel frattempo, doveva solo stringere i denti.
    « Ciao. » Una volta fatto il proprio ingresso nella stanza, salutò Otis con cortesia: nessuna occhiataccia, nessuna smorfia o altro che potesse tradire emozioni; si sforzò di utilizzare il tono più neutro che gli riusciva, come se avesse di fronte uno sconosciuto - cosa non del tutto falsa, in fin dei conti. Senza dire altro, sistemò il proprio baule ai piedi del letto e si dedicò immediatamente ai bisogni dei suoi animali: tirò fuori dallo zaino un trespolo estensibile che posizionò accanto al proprio letto, in cui Gert corse ad appollaiarsi per un pisolino; passò poi a sistemare la gabbietta di Marv, dentro alla quale versò una manciata di gamberetti. Non si sa mai gli venga la voglia di mangiare un alluce a Otis. Non sarebbe un buon inizio.






     
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2 replies since 1/9/2023, 15:25   113 views
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