The kids don't wanna come home

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  1. (icarus)
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    « Siamo compagni di stanza? » A Émile bastò un secondo per capire che quella convivenza sarebbe stata impossibile. Gli fu sufficiente notare come il suo corpo s'irrigidì a quelle parole, ed il senso di fastidio che sembrava percorrere ogni fibra del suo corpo al solo udire la voce del compagno. Si morse il labbro inferiore, mettendo a tacere l'istinto di fare qualche stupida battuta sarcastica sull'attenzione ai dettagli di Otis. Non era ancora pronto a fare la persona matura, andare avanti. Aveva bisogno di più tempo, e distanza. Fece spallucce, e si voltò di spalle, con l'intento di iniziare a disfare i propri bagagli. « Così pare » disse, ermetico, senza guardarlo, mentre apriva l'anta del proprio armadio e iniziava a riempirlo con i propri vestiti piegati alla bell'e meglio.
    « Uhm... E a te sta bene? Cioè, non... » Le mani di Emi, intente a piegare un paio di pantaloni, si fermarono un secondo appena. Un breve attimo di esitazione, nel quale il giovane aggrottò la fronte e ruotò il capo di poco in direzione del compagno, prima che, come se fosse niente, riprendesse i propri movimenti. Che domanda stupida, pensò, mentre sollevava da terra il proprio borsone e lo posizionava sul letto con un tonfo. Come poteva stargli bene una cosa del genere? Non vedeva Otis che era quella una situazione di merda? « Non c'è niente che si possa fare, immagino. »
    « Boh, per me è uguale » disse, lanciando un mucchio di calzini arrotolati dentro al cassetto del comodino. Mai ammettere di trovarsi in difficoltà con il nemico. Se la legge della giungla imponeva di mostrarsi più forte, Émile in quel momento avrebbe desiderato poter sfoggiare la protezione di un carro armato. « Se ti crea problemi puoi sempre andare a vedere cosa dice la segreteria. » Di certo non aveva intenzione di fargli sapere che il suo primo pensiero, non appena aveva saputo della cosa, era stato di correre proprio dalla segretaria per provare a pregarla di cambiargli la stanza. Aveva deciso, nell'istante in cui Otis era entrato lì dentro, che, se proprio doveva toccargli quella malaugurata sorte, allora l'avrebbe trasformata in un'occasione per comportarsi finalmente da persona matura, e lasciarsi finalmente quel bambino egoista e capriccioso alle spalle. E una persona matura non si arrabbia, non mostra disagio, sgradimento o inconvenienza. Una persona matura è compiacente, pacata, indifferente di fronte a questioni di poca importanza. Tutto ciò che Emi doveva fare era dimostrare che Otis era per lui ormai una questione di poca importanza - ed eventualmente, poi, col tempo, arrivare anche a maturare questa convinzione nella propria testa.
    « Come vogliamo organizzarci? Vuoi che rinunci all'alloggio? Io posso lasciare il posto a qualcun altro e torno a casa mia, non è troppo distante per me. » Quella sì che sarebbe stata la soluzione perfetta per lui: stanza libera (e vuota per almeno qualche settimana, prima che la segreteria trovasse qualche altro studente da piazzarci) e nessun impiccio. In fondo, poi, era proprio vero che Otis non abitava tanto distante da lì, dunque per quale motivo aveva bisogno di alloggiare al campus? Era praticamente un capriccio, il suo. Si strinse nelle spalle con nonchalance. « Per me va bene. » Insomma, problema risolto. E se mi lasci anche un'anta del tuo armadio mi fai un gran piacere.
    Quando riprese a frugare nel proprio borsone, avendo chiuso la questione nella propria testa, un oggetto in particolare catturò l'attenzione di Emi. Era una spilletta colorata a strisce, fucsia, blu e viola al centro, che riportava una ridicola scritta glitterata. La tirò fuori, e la esaminò con aria corrucciata per qualche secondo, prima di scuotere leggermente il capo e sbuffare. Ricordava perfettamente quando quella sanguisuga di Harriett Whitehall l'aveva fermato per i corridoi, qualche giorno prima, e l'aveva ammorbato per l'ennesima volta sulla necessità impellente che lui entrasse a far parte dell'associazione LGBTQ+ di Hogsmeade. A lui quelle cose non importavano, e più cercava di evitarle, più gli pareva di ritrovarsi Harriett in ogni angolo del paese - in piazza, da Mielandia, per i corridoi a scuola, nei DM su Wiztagram. Quel giorno era stata così insistente da volergli infilare quella stupida spilletta direttamente nel borsone, tra i libri che aveva appena ritirato per il nuovo anno. Senza pensarci più di tanto, Émile fece il giro del proprio letto e gettò la spilletta nel piccolo cestino della spazzatura sotto la propria scrivania, dove tintinnò per qualche secondo contro il metallo del contenitore. Sistemò dunque gli ultimi oggetti in giro per la stanza: posizionò tutti i nuovi libri sulla mensola sopra la scrivania, il binocolo magico nuovo di zecca, il kit di Cura delle Creatura Magiche, i guanti di Quidditch che gli aveva regalato Nessie e una ricordella un po' vecchiotta, che di tanto in tanto si colorava di rosso senza un vero motivo. Tirò fuori i due mazzi di Black Market - versione vietata ai minori e la pregiata Artist Deluxe Edition - e li gettò senza pensarci in un angolo in fondo al secondo cassetto del comodino, dietro ai calzini, lì dove non sarebbero state d'intralcio.
    « Come hai potuto ottenere i permessi per portare due creature non domestiche all'interno degli alloggi per studenti quando non sono concessi neanche i gatti a meno che non siano famigli? » Spostò lo sguardo su Otis, guardandolo effettivamente per la prima volta da quando erano insieme in quella stanza. Trattenere una risata in quel momento fu un'impresa titanica, perché per quanto il Tassorosso si guardasse bene dall'esprimere verbalmente alcun giudizio, i suoi occhi erano tutt'altra storia: e ad Émile bastò un'occhiata per capire esattamente cosa stesse pensando. In quel momento, siccome si parlava di animali - e lui non riusciva mai a star zitto quando quello era l'argomento di conversazione - e siccome era pure un po' divertito dallo sguardo di puro disgusto di Otis, si trovò a tradire il proprio proposito di ridurre qualsiasi comunicazione all'osso. « Beh, Marv è fondamentalmente innocuo. A Hogwarts poteva essere problematico perché ci stavano in giro i bambini di undici anni, ma al college tutti sanno cos'è un Purvincolo e come fare attenzione. Cioè, a meno che non sei deficiente non ti attaccherà mai. » Si strinse nelle spalle, recuperando la mela che aveva rubato a casa di June prima di lasciarla. « Quindi ho fatto una richiesta speciale e dato il mio indirizzo di studi e considerato il mio impegno al rifugio mi hanno dato il permesso di tenerlo. Verranno però quelli del rifugio a controllare una volta al mese qui in camera che lo stia tenendo nelle giuste condizioni. Sai, l'alimentazione, lo spazio per andare un po' in giro, eccetera. »
    Diede un morso alla mela, per poi avvicinarsi a Gert e accarezzarne la testa con il dorso dell'indice, con delicatezza. L'animaletto parve gradire, tanto che chiuse gli occhi e piegò il capo di lato, domandando qualche carezza anche sulla cresta. « Gertaldo invece è un animale della foresta, vive sugli alberi, non dovrebbe proprio stare a casa. È solo che il mese scorso l'ha attaccato un Augurey e ci è quasi rimasto secco, fortuna che l'abbiamo trovato con quelli del rifugio. Dopo che l'abbiamo curato si è attaccato molto a me, non mi lasciava proprio andare. Ho provato a liberarlo un sacco di volte, perché è giusto che stia nel suo habitat, ma secondo me ha una specie di trauma. Ogni volta che lo mettevo sul ramo di un albero finiva per gracchiare e correre via, per poi saltare di nuovo sulla mia spalla. Non lo so, è strano. » Scostò il borsone per gettarsi sul letto a peso morto. Diede un altro morso alla mela, lo sguardo perso per qualche secondo tra gli alberi fuori dalla finestra. « Per quanto riguarda il permesso, per lui non l'ho chiesto. Ma semplicemente perché non sono io a tenerlo qui. È lui che non se ne va. Ma se anche venissero a vedere, cosa potrebbero dire mai? Potrebbe essere tranquillamente entrato dalla finestra per caso, come una lucertola o un piccione. Non l'ho messo mica in gabbia, può andarsene quando vuole. » Si strinse nelle spalle, dando un altro morso alla propria mela. Non nascondeva che l'affetto che Gert gli dimostrava lo lusingasse: era stato infatti una specie di legittimazione, per lui, quasi come se quella piccola creaturina, con il suo attaccamento morboso, volesse dirgli: hai scelto la strada giusta. E ora, vederlo saltellare e arrampicarsi tra gli oggetti domestici era una grande soddisfazione, specie se ripensava a come era ridotto dopo l'attacco dell'Augurey.
    Tutto ad un tratto, immerso in quel silenzio nuovo, si ricordò di essere nella stessa stanza di Otis; si accorse di aver parlato un po' troppo rispetto a quanto avrebbe preferito, di essersi mostrato forse troppo entusiasta, troppo vero, troppo normale. Come se davvero non fosse successo niente tra di loro. E per quanto ambisse a manifestare indifferenza, quella che ricercava lui era diversa. Sentiva come l'esigenza di proteggere anche quella parte di sé, fatta di passione ed entusiasmo, dagli occhi di Otis. Se non faceva più parte della sua vita, non era più giusto che potesse partecipare a quel suo amore.
    Sospirò, gli occhi castani fissi sulle travi di legno del soffitto. Non fare il bambino egoista e capriccioso. « Senti, se ti dà fastidio stare in stanza con me, posso anche andarmene io » disse, a voce bassa, portando entrambe le mani dietro alla nuca, e senza mai guardare Otis. « Posso andare da mia cugina June. A lei non cambia niente. »








     
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