pumped up kids.

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    Freya si era svegliata presto quella mattina; aveva dormito poco e male, la mente agitata da pensieri ed incertezze. Era rimasta sdraiata nel letto a fissare il soffitto per un periodo di tempo indefinito, la luce del sole appena spuntato che filtrava attraverso le tende della sua camera da letto, e la sua mente piena di pensieri turbolenti riguardo al processo di Thomas. Almeno un centinaio di scenari ed opzioni si erano affacciate sulla sua mente, susseguiti da una lista altrettanto infinita di conseguenze intrise di un vago sentore di paranoia. Forse era colpa dell'insistenza con cui Thomas l'aveva messa in guardia, o forse aveva fatto correre troppo a lungo la fantasia, in preda ad un primordiale stato di ansia all'idea di ritrovarsi a prendere il thé con Nate Douglas - il ché, ad ogni modo, non era nemmeno lontanamente paragonabile a ciò che, eventualmente, l'avrebbe aspettata se avesse deciso di sedere al banco dei testimoni. Che situazione di merda. Dopo una rapida doccia, decise di recarsi da Eren prima che il mondo si svegliasse completamente. Sulla strada che separava la Testa di Porco dal grazioso appartamento di Eren, nel centro di Hogsmeade, si fermò alla caffetteria per acquistare brioches e caffè bollente - un innocente pretesto per la sua visita. Ritrovatasi di fronte alla casa di Eren, si rigirò le chiavi tra le dita. Il cuore le batteva velocemente nel petto, la tensione accumulata dalla notte prima si era fatta sentire durante il tragitto. Tra qualche ora di sonno e l'altra, aveva deciso che aveva bisogno di raccontargli quanto accaduto; non tanto per cercare il suo consiglio o la sua opinione, quanto per alleggerire quel peso che le gravava sulle spalle. Prese una profonda boccata d'aria per calmarsi, quindi infilò la chiave nella serratura. Il suono del chiavistello e il rumore della porta che si apriva le procurarono un nodo allo stomaco. Entrò silenziosamente, come se fosse nella sua stessa casa: non era mai stata tipo da fare complimenti e, quando Eren si era trasferito, gli aveva bellamente sotratto una copia delle chiavi. « Ereeeen! » Chiamò, dalla cucina, annunciando la propria presenza. Nessuna risposta. Sicuro sta ancora dormendo come un ghiro. Abbandonò le chiavi sul tavolo della cucina e, facendo alleggiare la colazione con un colpo di bacchetta, si diresse verso la camera da letto. Avanzò nel buio con sicurezza e si fermò di fronte alla finestra, spalancando le tende con decisione ed illuminando l’intero ambiente. Bestemmia in arrivo tra tre, due… Si lasciò ricadere sul letto accanto al fratello adottivo, senza preoccuparsi di non disturbarlo troppo. Poi, con delicatezza, iniziò a punzecchiarlo leggermente sul braccio. « Eren! » Lo chiamò, di nuovo, lasciando adagiare il caffè sul comodino accanto al letto. A giudicare dalle condizioni della stanza – abiti lasciati ai piedi del letto – e dal gugnito che le venne rivolto, Eren doveva aver fatto nottata la sera precedente. Almeno uno di noi si è divertito. Pensò, con un piccolo sorriso. « Mhhh, non dirmi che sei uscito a sbronzarti senza di me ieri sera. Che razza di stronzo. » Adesso me la paghi. Ridacchiò, rotolandogli accanto e avvicinandosi al suo orecchio. Prese un respiro profondo. « COME VA LA TESTA? » Si scansò rapidamente, nel caso l’altro avesse deciso di colpirla per farla tacere. « Sono la sorella migliore del mondo, ti ho pure portato il caffè! » Si appoggiò con la schiena contro la testata del letto e, senza fare troppi complimenti, aprì il primo cassetto del comodino. Oh, oh, oh. Guarda un po’. Rovistò all’interno ed estrasse una confezione di tabacco, un grinder e una bustina di erba. « Non ti dispiace, vero? » Non aspettò risposta, iniziando a rollare una canna. La accese e inspirò profondamente, appoggiando il capo contro il muro. Socchiuse gli occhi e si godette la sensazione della nicotina che le riempiva i polmoni, il sapore più intenso della marijuana. Per un istante tutte le sue preoccupazioni svanirono, come il fumo nell’aria. Ora che si trovava lì, non aveva la minima idea di come affrontare la questione. Tergiversare e guadagnare tempo era decisamente più semplice – poteva concederselo, almeno fino a quando Eren non avesse bevuto il caffè. « Sei passato al ristorante ultimamente? » Domandò, riferendosi ai signori Park. « L’altro giorno sono andata a recuperare qualche avanzo e Mamma Park non ha fatto altro che chiedermi come stai. Dovresti farti vedere ogni tanto, o almeno mandarle un gufo. Di questo passo penserà che tu sia morto. » Scherzò, con un
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    accenno di rimprovero. Era piuttosto ironico che provenisse da lei ma, da quando era tornata in Inghilterra, si era tenuta in contatto in maniera abbastanza stabile con la sua famiglia adottiva. Sorseggiò un sorso di caffè e si inumidì le labbra, prima di scoppiare in una risata. « Ci hai mai pensato a come sarebbero le cose se non ci fossimo mai conosciuti? Nel senso, se non fossimo finiti entrambi a casa dei Park. » Inclinò il capo di lato, pensierosa, prendendo una seconda boccata dal joint. « Immagino che ci saremmo conosciuti lo stesso, ad Hogwarts. Scommetto cinque galeoni che avremmo pure scopato. » Rovistò nel sacchetto e ripescò la brioche, addentandola con un morso. Era palesemente nervosa, talmente in ansia da aver iniziato a straparlare pur di non affrontare l’argomento principale per cui aveva avuto la delicatezza di tirarlo giù dal letto alle sette del mattino, di sabato. « Come stai? » Domandò, come se niente fosse, afferrando la coperta con cui Eren tentava di schermarsi dalla luce e sollevandola bruscamente.

     
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