Are we out of the woods yet?

Dicembre 2018

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    L'aria dicembrina era fredda e pungente, con il respiro del mattino che si condensava in piccole nuvole di vapore e la natura circostante era avvolta da un silenzio glaciale, rotto solo dal vento gelido che sibilava tra gli alberi spogli e le fronde secche. Ad ogni passo, gli stivali di Freya affondavano nella neve che copriva il terreno, ancora soffice e intonsa. Che cazzo di freddo. Pensò, tra sè e sè, sfregando le mani guantate sul viso e sollevando la sciarpa a coprirla sino quasi agli occhi. Il cielo era ancora avvolto nell’oscurità e, in quel buio spettrale, l’accampamento era insolitamente tranquillo, quasi pacifico. Gettandosi rapide occhiate alle spalle, si avvicinò alla tenda di Thomas e vi sgusciò all’interno. Le pareti sottili non offrivano molta protezione dal freddo penetrante, ma se non altro li riparavano dal vento. Dopo aver chiuso maldestramente il lembo che ricopriva l’entrata alle sue spalle, sgattaiolò fino al giaciglio del ragazzo, ancora profondamente addormentato. « Thomas. » Lo chiamò, scuotendolo delicatamente per la spalla. Il giovane mugugnò qualcosa, senza realmente svegliarsi. Freya sospirò, rassegnata, e dopo aver sfilato uno dei guanti affondò la mano gelida nell’incavo del suo collo. Le sue dita gelide cozzarono con la pelle morbida e calda di Montgomery e il ragazzo spalancò immediatemente gli occhi, le prosteste – sicuramente poco signorili – soffocate contro la mano sinistra di Freya che, guantata, premeva delicatamente sulla sua bocca. « Shhh! » Lo rimproverò, ritirando la mano gelida per portarsi l’indice alle labbra. « Scusa, non volevo spaventarti, ma non ho abbastanza tempo per aspettare che ti decida a svegliarti da solo. » Un sorriso divertito le piegò le labbra, gli occhi chiri che brillavano nel buio, segno che in realtà non era affatto dispiaciuta. « Non è ancora giorno. » Lo informò, con un cenno rivolto all’esterno. L'alba si faceva attendere, e una luce grigiastra e pallida cominciava lentamente a filtrare attraverso il tessuto della tenda. « Ieri sera Kadmus mi ha dato una lista di cose da comprare, carne, birra e quant’altro per festeggiare il Natale. » Fece una piccola smorfia, contrariata. Abbiamo un concetto diverso di “festeggiamento”. « Sarò di ritorno prima delle dieci con quello che mi hanno chiesto, ma ho altre commissioni da svolgere per cui dovrò tornare in città. » Non si trattava di un compito difficile, ma certo richiedeva discrezione: meno si facevano notare da estranei e babbani, meglio era. « Ho deciso che non voglio restare qui, stasera. Si ubriacheranno come al solito, persino peggio. » Non era un mistero che non si sentisse al sicuro nell’accampamento, in particolare quando i loro compagni di viaggio alzavano troppo il gomito. Esitò un istante, mordicchiandosi il labbro inferiore. Infine, infilò un biglietto di carta ripiegato su sè stesso nella mano del ragazzo. « È un indirizzo. Raggiungimi lì alle cinque, con la vecchia passaporta vicino al fiume. Mi è venuta in mente un’idea. » Per quell’ora il resto del gruppo sarebbe stato sin troppo alticcio per notare la loro assenza. Si chinò a lasciare un rapido bacio sulla guancia di Montgomery, la punta gelida del naso che sfiorò la sua pelle calda. Un istante più tardi stava già riaprendo la tenda, parzialmente illuminata dalla prima luce del mattino. « Ah, quasi dimenticavo. Non bere la birra, nemmeno un sorso. » E con un ultimo sorrisetto enigmatico, affondò le mani nelle tasche del parka e sparì all’esterno.

    […] Society Hill durante il giorno di Natale era una visione incantevole e magica; il quartiere era noto per i suoi storici edifici in mattoni rossi e le strade lastricate di ciottoli, che sembravano risplendere sotto il manto nevoso. I fiocchi di neve, gonfi come ciuffi di zucchero filato, ricadevano lenti sotto le luci colorate che decoravano le case e gli alberi, come se il tempo si fosse improvvisamente fermato o – se non altro – avesse rallentato. Il freddo invernale era avvertibile, ma non riusciva a intaccare la bellezza dell'ambiente. I festoni decorati con luci scintillanti adornavano le vie, mentre le finestre delle case erano illuminate da candele e luminarie, rendendolo un luogo dove il Natale era festeggiato con calore e tradizione. Avvolta in un pesante parka malandato, Freya era fermata all'angolo della strada. Aveva un anonimo sacchetto marrone tra le mani guantate, e il suo respiro formava nuvolette di vapore nell'aria gelida. Nonostante il parka fosse usurato e i suoi vestiti non fossero adatti per una festa natalizia, il suo volto emanava una felicità che non aveva provato da mesi. È in ritardo. Constatò tra sè e sè, lanciando un’occhiata preoccupata all’orologio che teneva al polso. Girò su sè stessa, leggermente nervosa. Quella mattina non aveva spiegato a Thomas ciò che aveva intenzione di fare; le poche informazioni che gli aveva dato erano la passaporta che lo avrebbe condotto a pochi minuti di distanza e quello specifico incrocio, in uno dei quartieri più ricchi di Philadelphia. Forse Kadmus lo ha scoperto. Oppure è successo qualcosa. Spostò il peso da una gamba all’altra, avvertendo la preoccupazione crescere di minuto in minuto. Se non è qui tra cinque minuti, torno indietro. Decise infine, scoccando un’ultima occhiata speranzosa nella direzione da cui era venuta. Quando finalmente riconobbe la figura di Montgomery avvolta in un pesante cappotto invernale, si concesse un sospiro di sollievo. « Stavo cominciando a pensare che te la fossi fatta sotto. » Lo punzecchiò, avvicinandoglisi senza riuscire a reprimere un sorriso. L’atmosfera fiabesca che regnava nel quartiere aveva scacciato per un momento le preoccupazioni e le difficoltà della vita nel bosco. Gli si avvicinò per stampargli un rapido bacio sulle labbra e afferrò la sua mano, trascinandolo verso destra. « Da questa parte. » Mormorò, mentre superavano una famiglia che camminava allegramente al centro della strada. Un lieve sorriso le piegò le labbra nell’osservare i bambini giocare con la neve. « Ok, hai tipo cinque minuti per indovinare dove stiamo andando – o cosa stiamo facendo. Ma non ti posso dare indizi, altrimenti sarebbe troppo semplice. » Sollevò entrambe le sopracciglia, con aria misteriosa. « L’unica cosa che posso prometterti è che ci sarà del cibo e farà caldo. » Il che praticamente equivale al Paradiso. « Ma prima toglimi una curiosità. » Gli rivolse un’occhiata innocente. « Quanto stavano fuori all’accampamento, da uno a dieci? Spero di non aver esagerato con la polvere di radici narcotiche. » Male che vada si addormenteranno di fronte al fuoco, dubito che ricorderanno alcunché domattina. Aveva recuperato il narcotico in una erboristeria magica in un paesino di provincia e lo aveva usato con parsimonia, per lo più mischiandolo alle bevande o al cibo per sedare gli animi quando la situazione si faceva difficile da contenere. Fino a quel momento, nessuno se ne era accorto. « Comunque » Riprese, svoltando in una via più ampia, le cui porte erano addobbate con ghirlande rosso fuoco. « mi sembra doveroso informarti che ciò che stiamo per fare è potenzialmente illegale – anche se non pericoloso. » Inclinò il capo di lato, soppesando l’espressione sul viso del ragazzo. « Perciò questa è l’ultima occasione per tirarti indietro. Se vuoi tornare all’accampamento sei libero di farlo. » Lasciò andare la sua mano, come a sottolineare quell’opzione. « In caso contrario... » Fece un passo in avanti, indicandogli gli scalini che conducevano
    all’entrata principale di una delle abitazioni. Le finestre erano oscurate, e la luce soffusa che filtrava dalle tende chiuse faceva sembrare la casa ancora più invitante. Era evidente che i proprietari erano in vacanza, e l'intero quartiere sembrava addormentato sotto una coperta di neve. Con un po’ di astuzia e di magia, nessuno avrebbe sospettato nulla. Freya estrasse la bacchetta dalla tasca della giacca, ruotandola rapidamente per castare un incantesimo di disillusione su entrambi. Si era già occupata della casa quel pomeriggio, assicurandosi che da fuori nulla apparisse fuori posto. « I proprietari sono in vacanza, non torneranno prima dell’anno nuovo. Ho pensato che potesse essere un modo piacevole per festeggiare il Natale. » Gli sorrise, ripescando una chiave dalla tasca prima di porgergliela. « Dopo di te. » Lo invitò, con le guance arrossate per il freddo.


    Edited by vanitatem - 11/9/2023, 00:26
     
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    Monte Minsi, Monroe County, Pennsylvania
    24 dicembre 2018

    «Thomas.» La voce distante di Freya non riuscì a penetrare la spessa barriera che proteggeva il sonno di Tom, avvolto nel sacco a pelo sintetico che gli elettrizzava i capelli. Erano arrivati nella contea del Delaware Water Gap – così chiamato per via del fiume omonimo che segna il confine tra la Pennsylvania e il New Jersey – soltanto qualche ora prima. Il percorso era stato fatto a piedi, come facevano la maggior parte del tempo affinché i loro spostamenti lasciassero il minor quantitativo di tracce possibili, in modo quasi contrario alla più immediata logica. I ghermidori agivano ad un livello di legalità piuttosto ambiguo, spesso eseguendo ordini ministeriali senza che ciò garantisse automaticamente una garanzia o un'assicurazione. Kadmus e Peter, qualche sera prima, si erano definiti “gli spazzini del Ministero”, e Tom non era riuscito a non concedergli un sorrisetto compiaciuto per l'efficacia dell'espressione. Per nessun altro al di fuori di lui trovarsi lì era stata una scelta. Probabilmente nessuno sarebbe mai riuscito a capire cosa l'avesse spinto a tanto, e Thomas stava ancora decidendo se la cosa lo preoccupasse davvero o meno. L'avrebbero definita noia, il lusso dei privilegiati, e sicuramente un fondo di verità c'era, non lo nascondeva. Ma la noia ti porta lontano fino ad un certo punto, dopo il secondo mese a dormire in tenda in ogni condizione atmosferica, a mangiare ciò che riesci a rubare o a cacciare, a lavarti quando riesci a rinunciare ad ogni forma di pudore e affezione per l'idea dell'acqua calda, è difficile credere che non ci sia proprio nessun altro passatempo che possa tenerti occupato. La domanda più ovvia di tutte sarebbe stata perché sei qui, eppure nessuno gliel'aveva mai posta. Evidentemente la paga era sufficientemente buona da non far venire interrogativi di quel tipo, forse semplicemente non interessava a nessuno, e certe domande semplicemente non andavano fatte. Dopo la nottata passata a setacciare la zona per un posto sufficientemente libero da occhi indiscreti, inclusi quelli di eventuali creature che popolavano la foresta, Tom e Freya si erano occupati di lanciare gli incantesimi scudo per rendere l'accampamento invisibile. Era un lavoro estremamente noioso e certosino, che poco dopo si era trovato a dover svolgere da solo – Kadmus che aveva richiamato Freya a sé, come faceva ogni tanto, per capriccio, e Thomas tratteneva un'espressione di disgusto nel vederlo poggiare le proprie mani grosse e luride sul corpo sottile ed elegante di Freya. Avrebbe voluto accertarsi che stesse bene, prima di andare a dormire, ma la ragazza non aveva più lasciato la tenda del loro capo, quella notte, così si era addormentato con un'ormai familiare sensazione di disgusto mista a preoccupazione. Come faceva, lei, a sopportarlo?
    Le dita di Tom si strinsero attorno al manico della bacchetta, sistemata sotto al cuscino – fabbricato con maglioni di lana pungenti arrotolati su sé stessi – appena avvertì il contatto della propria pelle con quella di qualcun altro. Spalancò gli occhi, voltandosi bruscamente, senza davvero essere del tutto sveglio. «Chi caz–» «Shhh!» Thomas deglutì, aprendo appena di più gli occhi, per poi poggiare la propria mano su quella ghiacciata di Freya. «Che fai qui? È successo qualcosa?» Devi avere un motivo sufficientemente buono per entrare nella mia tenda svegliandomi nel cuore della notte. «Scusa, non volevo spaventarti, ma non ho abbastanza tempo per aspettare che ti decida a svegliarti da solo.» «Ma perché, che ore sono?» Si allungò oltre Freya, ad afferrare la cerniera della tenda, dietro di lei, questo corpo gelido in una tenda umida e dall'aria pesante. Buio pesto. «Non è ancora giorno.» «Lo vedo.» Fece atono, ritirando su la cerniera e rinfilandosi nel sacco a pelo, in cerca del tepore che lo avvolgeva fino a poco prima. «Vuoi entrare?» Le chiese, facendosi un po' da parte, ignorando completamente il fatto che Freya fosse evidentemente in procinto di andare da qualche parte. «Ci riscaldiamo» aggiunse, richiudendo gli occhi pesanti e voltandosi a pancia in su e un braccio disteso verso di lei. Con le dita raggiungeva il suo braccio, per cui infilò la mano tiepida nella manica del suo maglione, e le cinse l'avambraccio, accarezzandolo con l'indice. «Ieri sera Kadmus mi ha dato una lista di cose da comprare, carne, birra e quant'altro per festeggiare in Natale.» Ecco cosa voleva. Sicuramente non era tutto ciò che voleva. «Sarò di ritorno prima delle dieci con quello che mi hanno chiesto, ma ho altre commissioni da svolgere per cui dovrò tornare in città.» «Che devi fare?» Chiese, gli occhi ancora chiusi e già un po' assopito, ma sforzandosi di ascoltare tutto ciò che Freya gli stava comunicando – senza ancora capire perché. La sua voce era rauca e impastata dal sonno – l'unico lusso che riusciva a concedersi ancora. Lei non rispose alla sua domanda. «Ho deciso che non voglio restare qui, stasera. Si ubriacheranno come al solito, persino peggio». Una risata bassa e lenta, sbuffata, lo fece voltare verso di lei, sdraiato sul fianco, la mano sinistra a raggiungere l'altra, al caldo con la sua pelle. «Ma come, è così divertente. Peter potrebbe ricominciare a raccontare quella volta che ha cavalcato un Occamy, non puoi perdertela.» Piegò un angolo della bocca in un sorriso sarcastico. Lui e Freya cercavano sempre di prenderla quanto meno seriamente fosse fisicamente possibile. Quando ci pensava, nella sua testa, l'irritazione che il capo di quel gruppetto ghermidori gli causava era difficilmente domabile, in un modo che avrebbe giocato a svantaggio di tutti qualora fosse emerso. Vedeva quanto fosse difficile per lei, ma non le dava davvero l'opportunità per sfogarsene – piuttosto la buttava sul ridere, o cercava di tirarle su il morale, le allungava un buffetto oppure le dava un bacio un po' più convinto. La maggior parte del tempo che passavano insieme sembrava dirle: non pensarci adesso, sei con me, e io non sono Kadmus. C'era una fisicità estremamente intima a unirli – come c'era sempre stata, ma si era rafforzata come mai prima d'ora in quei mesi. Il tocco di Freya era diventato familiare, rassicurante persino, e lui sperava di poter fare lo stesso per lei, perché i loro corpi si conoscevano da anni. Sfilò una delle mani impegnate in quel complicato esercizio di termodinamica per afferrare il bigliettino ripiegato. Tom aggrottò la fronte. «È un indirizzo. Raggiungimi lì alle cinque, con la vecchia passaporta vicino al fiume. Mi è venuta in mente un'idea.» Riprese a ridacchiare. «Che donna del mistero» commentò, piegando gli angoli della bocca verso il basso. «Questo vuol dire che non posso vederti fino alle cinque!» Si lamentò a bassa voce, tirandosi su facendo leva sul gomito. «Mi abbandoni il giorno della vigilia di Natale con un Demiguise nella tenda accanto e incazzato nero con noi. Dev'essere un'idea specialmente interessante» la ammonì, avvicinandosi a lei lentamente, mentre lei invece andava evidentemente di fretta. Complice il freddo, il desiderio di tornare a dormire, quello strano segreto che sembrava voler tenere fino a quella sera, Thomas si trovò a desiderare che Freya si trattenesse davvero lì accanto a lui. Quando lei si chinò per dargli un bacio sulla guancia, Tom girò il capo, inclinato verso l'alto, e la baciò sulle labbra, con una mano a trattenerle per qualche secondo il volto. Durò soltanto qualche secondo – qualcuno in meno di quanto avrebbe voluto lui – perché poi lei si allontanò, riaprendo la cerniera della tenda. «Ah, quasi dimenticavo. Non bere la birra, nemmeno un sorso.» «Pure?!» La inseguì con la voce, crollando sulla propria spalla e allungandosi a richiudere la fessura che lei aveva lasciato aperta.

    «Stavo cominciando a pensare che te la fossi fatta sotto.» Tom accolse quella provocazione così come la distanza ravvicinata che lei tracciò tra loro due, schioccando la lingua. La differenza di altezza gli imponeva di chinare il capo, le mani affondate nelle tasche del cappotto. «Temevi che non sarei venuto?» Ribatté, inclinando la testa, ricambiando quel bacio veloce e passandosi la lingua sulle labbra, quando Freya si allontanò. Era come se quando riuscivano a ritagliarsi dei momenti ricominciassero a vivere davvero – una sensazione difficile da spiegare per due persone che facevano una vita tutt'altro che monotona o smorta. Erano gli unici momenti in cui potevano essere sinceri, se non altro con i propri desideri, ed erano costretti a farlo in lassi di tempo precisi, con quel loro confabulare, abituati a parentesi veloci, sveltine scomode e arrangiate, ritagliate quando nessuno avrebbe potuto scoprirli e che lasciavano ben poco spazio alle conversazioni, che si tenevano spesso sul superficiale, e sopratutto sul leggero, su battute e commenti sardonici e complici. Ogni tanto, Tom si era ritrovato a domandarsi dove se ne andasse Freya quando non era con loro, e quando passeggiava o era affaccendata a cosa pensasse, cosa la preoccupasse; cosa c'era dentro di lei, dove lui non riusciva ad arrivare neanche quando annullavano ogni distanza? Era una curiosità pura, come quella che lo spingeva a seguirla in quel vialetto suburbano di Filadelfia la vigilia di Natale. « Ok, hai tipo cinque minuti per indovinare dove stiamo andando – o cosa stiamo facendo. Ma non ti posso dare indizi, altrimenti sarebbe troppo semplice. L’unica cosa che posso
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    prometterti è che ci sarà del cibo e farà caldo.»
    Tom ridacchiò, scuotendo la testa. «Ma prima toglimi una curiosità. Quanto stavano fuori dall'accampamento da uno a dieci? Spero di non aver esagerato con la polvere di radici narcotiche» «Oh, hai decisamente esagerato, Thysen». Chiamarla per cognome gli ricordava i tempi della scuola, appena due anni prima ma distanti secoli dalla memoria. Adesso erano lì, a passeggiare mano nella mano sui vialetti decorati per Natale – se solo Zip avesse potuto vederli. Quel pensiero per qualche motivo accese a lui una scintilla di orgoglio, e serrò appena più forte la mano attorno a quella di lei, accarezzandogliela con il pollice. «Sono crollati tutti abbastanza velocemente, ma Kadmus se n'è dovuto scolare tre o quattro di birre prima di cedere, maledetto bestione. Esiste la possibilità che cerchi di scuoiare il Demiguise per farsi un mantello, per cui nel dubbio gli ho nascosto le bacchette». Un'accortezza anche di difesa personale, quella. «Comunque mi sembra doveroso informarti che ciò che stiamo per fare è potenzialmente illegale – anche se non pericoloso.» «Va be', niente di nuovo, insomma» «Perciò questa è l’ultima occasione per tirarti indietro. Se vuoi tornare all’accampamento sei libero di farlo.» E gli lasciò la mano, che ciondolò stupidamente sul suo fianco. Tom piegò la testa in avanti, confuso e divertito. «In effetti devo dirti che la ragazza di Lucius sono un paio di notti che mi fa gli occhi dolci... Non volevo dirtelo, sai, non sapevo come l'avresti presa» una stretta di spalle, l'insinuazione sottile, per quanto giocosa, che Freya avrebbe potuto sentirsi gelosa di lui, nonostante non fossero quelli i presupposti del loro rapporto. «Quasi quasi me ne torno indietro e passo un bel Natale con lei e un accampamento di narcotizzati» Continuò, percorrendo invece gli scalini che conducevano alla villetta. Voleva fare effrazione? Una roba da ragazzi, per due come loro. E infatti Freya, sotto lo sguardo compiaciuto e divertito di un Thomas vagamente estasiato, fece ruotare il polso, infilata la chiave nella toppa, e scattare la serratura della porta. «Dopo di te». Annuì, mordicchiandosi le labbra per soffocare un sorrisetto mentre la guardava. Spinse la porta con la punta delle dita, e quella si aprì semplicemente, niente allarmi, niente di insolito. La superò, e di riflesso – una memoria muscolare aberrante, deludente, da cancellare – gli venne spontaneo fare per togliersi gli scarponi sporchi di fango e consunti. Li sfilò e li posizionò ordinatamente all'ingresso, poi si tolse il cappotto e lo appese al gancio alla parete. Allo specchio, sopra un tavolino, si aggiustò i capelli, dando loro una forma più ordinata. Il volto era più ruvido dell'ultima volta che si era guardato, tipicamente comunque solo di sfuggita: la barba era ormai più di un semplice accenno, e le occhiaie sotto i suoi occhi portavano il segno di nottate scomode e per niente distensive. Si schiarì la voce, quindi si fece da parte, lasciando entrare Freya con una mossa del braccio che voleva invitarla ad accomodarsi. «Bentornata a casa, cara. Ti stavo aspettando per la cena.» Fece pomposo, richiudendo la porta dietro di lei. Quando ebbe finito di spogliarsi del cappotto, Tom fece un passo verso di lei, cingendole la vita con le mani, e facendola ruotare in modo da trovarselo di fronte. «Abbiamo la casa tutta per noi, ho mandato i bambini dalla nonna.» Si avvicinò ancora un po', sorridendo compiaciuto e trattenendo quel ghigno con i denti, gli occhi fissi sulle labbra di lei, e la fretta, sempre la solita fretta di azzerare ogni distanza non appena venivano lasciati da soli. L'imperativo di approfittare di ogni momento che gli capitava per stare insieme era la regola della loro relazione, perché da sempre era stata soltanto questo, una questione di occasioni, di ritagli, di necessità. Aveva fame, e voleva farsi una doccia, ma Freya era lì, davanti a lui, tutta per lui per più di una mezz'ora e qualcosa in più, e quella solita sollecitudine gli impedì di aspettare, così rimosse ogni distanza tra di loro, e poggiò le labbra sulle sue, con lenta delicatezza. Un contatto che aveva aspettato da quella mattina, per qualche motivo più impaziente del solito; forse perché era in quella trasgressione, in quella fuga complice che si annidava ciò che più gli piaceva del loro rapporto, forse perché la sera prima non l'aveva più vista ed in genere tornava sempre a dormire nella propria tenda, forse perché era la cazzo di vigilia di Natale, ma Tom non riuscì a limitarsi, e così approfondì quel bacio, schiudendo le labbra, le mani che la spingevano appena di più contro di lui, e poi una proprio alla base del collo, e la punta della lingua che sfiorava la sua. Interruppe il bacio per qualche secondo, il respiro già pericolosamente più affannato, e si inumidì le labbra, gli occhi sempre fissi sulle sue. «Mi sa che mi sei mancata, oggi. Ceniamo?»
     
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    « Temevi che non sarei venuto? » Freya si lasciò andare ad una risata divertita, lasciando scivolare le mani guantate sul bavero del cappotto di Thomas. « Mh, non proprio. So che non riusciresti a resistere, ma iniziavo a pensare che fosse successo qualcosa. » Ammise, stringendo la mano attorno a quella di lui. Ma sono felice che non sia così. Fin da quella mattina, Freya sapeva che Thomas sarebbe venuto. Non avrebbe saputo spiegare logicamente come o perché, era una di quelle strane certezze nella loro complicata relazione. Avevano condiviso abbastanza esperienze per capire quanto fossero simili sotto certi aspetti: al di là delle loro inumerevoli differenze, entrambi amavano rompere i confini, spingersi oltre i limiti e cercare il brivido del rischio. Un rischio che, paradossalmente, s’intrecciava alla promessa di una tranquilla normalità: una passeggiata la sera di natale in una strada addobbata da festoni e luminarie, il confortevole calore di una casa, la morbidezza di un letto. « Oh, hai decisamente esagerato, Thysen » Freya si voltò appena verso di lui, rivolgendogli la migliore espressione innocente del suo repertorio. « Addirittura? » Domandò, divertita, prima di ridacchiare nell’apprendere l’effetto suscitato dalla sua piccola “manomissione”. « A conti fatti gli ho persino fatto un favore, non solo li ho salvati da una sbronza colossale, ma sono certa che stanotte faranno la dormita migliore della loro vita. » Dovrebbero ringraziarmi. Soprattutto il Demiguise. « Anche se ammetto che mi dispiace essermi persa la scena. » Serrò le labbra, con espressione apparentemente imbronciata, mentre trascinava Thomas lungo gli scalini. Si fermò sul pianerottolo e lo lasciò andare, lasciandogli qualche istante per prendere una decisione. Nel mentre, continuava a fissarlo, gli occhi chiari che brillavano nel buio. Persino da quella distanza riusciva a vedere il sorriso malcelato sulle labbra di Tom, percepiva il brivido di anticipazione che lo attraversava all’idea di fare qualcosa di illegale, di infrangere le regole imposte dalla società o dal destino, e - sopra ogni cosa - di sentirsi vivi mentre lo facevano. « In effetti devo dirti che la ragazza di Lucius sono un paio di notti che mi fa gli occhi dolci... Non volevo dirtelo, sai, non sapevo come l'avresti presa. Quasi quasi me ne torno indietro e passo un bel Natale con lei e un accampamento di narcotizzati. » Freya roteò gli occhi al cielo, apparentemente seccata; per quanto assurdo, non le dispiaceva prestarsi alla parte, scivolare dentro e fuori a quella recita che entrambi portavano avanti e che, in alcuni momenti, si intrecciava indissolubilmente alla realtà. « Per Merlino! E io che pensavo che fosse Lucius, quello invaghito di te. » Sgranò gli occhi, fingendosi sconvolta. « Insomma, pensaci bene. Non fa altro che ronzarti intorno, piazza sempre la sua tenda accanto alla tua… e l’altro giorno credo che abbia tentato di seguirti al fiume. Nel caso in cui avessi bisogno di aiuto per lavare la schiena, sai. » Accompagnò le parole con un’occhiata complice, implicitamente ambigua, ed altrettanto forzata. Fece scattare la chiave nella serratura e indietreggiò di un passo, osservando Thomas passarle accanto con un sorrisetto intimamente soddisfatto. Non era la prima volta che si trovavano in una situazione del genere insieme. Da quando si erano ritrovati negli Stati Uniti, avevano condiviso momenti di fuga e ribellione e, ogni volta, quella sensazione di essere complici in qualcosa di innegabilmente sbagliato aveva rafforzato il loro legame. In piedi sulla soglia, le mani guantate affondate nelle tasche del parka ed il capo appoggiato contro lo stipite, seguì i movimenti di Thomas con sincera curiosità. La sua espressione si ammorbidì nel vederlo sistemarsi i capelli, quasi rapita dalla scena. Per la prima volta, si sentì come se stesse assistendo allo scorcio di una prospettiva di vita che non aveva mai sperimentato con lui; per quanto irreale, era un pensiero affascinante, una visione di normalità che sembrava così distante dalla loro realtà. « Bentornata a casa, cara. Ti stavo aspettando per la cena. » Allungò una mano ad afferrare quella di lui e si lasciò trascinare all’interno, richiudendosi la porta alle spalle con una risata leggera. « Oh, grazie a Dio. Ho avuto una giornata davvero infernale in ufficio. » Marcò la parola con aria teatrale, abbassando la lampo e, al contempo, scalciando via gli stivali. Si sfilò il parka e lo sistemò sull’appendiabiti, gettando maldestramente sciarpa e guanti dentro alle tasche. Avvertì le mani di Thomas posarsi delicatamente sui suoi fianchi, il calore della pelle percettibile attaverso gli strati degli indumenti. Un brivido leggero le percorse la schiena quando la invitò a voltarsi, annullando d’un tratto ogni distanza. « Abbiamo la casa tutta per noi, ho mandato i bambini dalla nonna. » Senza dire una parola di più, senza alcuna esitazione, si avvicinarono l'uno all'altra. Freya gli circondò il collo con le braccia, sollevandosi sulla punt dei piedi fino a sfiorare il naso di Thomas con il proprio. Erano così vicini che riusciva a percepire il suo respiro, l’elettricità che si annidava nei pochi millimetri di distanza tra le loro labbrra; e il desiderio – il desiderio impellente di annullare ogni distacco, di stringersi l’uno all’altra senza sprecare tempo con tutto ciò che era superfluo. « L’ho sempre detto che ho fatto un’ottima scelta, ma stasera ti sei aggiudicato il titolo di Marito dell’anno. » Scherzò, sulle sue labbra, appena prima che Thomas annullasse ogni distanza. Al principio, fu un contatto delicato, gentile, quasi ricolmo di tenerezza; poi, d’improvviso, le labbra di Thomas cercarono le sue con una fame primitiva, un desiderio che bruciava come una fiamma, impetuoso e contagioso, tanto che Freya si spinse istintivamente verso di lui, le mani pallide che si aggrappavano ai suoi vestiti, alla ricerca del calore della sua pelle. Era un bisogno profondo di contatto, il modo in cui sapevano comunicare, confortarsi, esprimere tutto ciò che provavano senza bisogno di parole. Quando Thomas interruppe il bacio, Freya proruppe in un gemito risentito; non si era aspettata che decidesse di tirarsi indietro così presto. «Mi sa che mi sei mancata, oggi. Ceniamo?» Sollevò lo sguardo chiaro su di lui, le iridi cristalline ormai fuse in argento liquido, mentre respirava attraverso le labbra socchiuse, il petto che si alzava ed abbassava più velocemente del normale. Da quella vicinanza, poteva leggere la stessa brama negli occhi di Thomas; sapeva che le sarebbe bastato sporgersi verso di lui, accanirsi sulle sue labbra o insinuare una mano sotto il pesante maglione di lana per spingere entrambi oltre il limite proprio lì, nel bel mezzo dell’ingresso. No. Non ora. Ci sarà abbastanza tempo, più tardi. Deglutì, aggrappandosi saldamente all’ultimo barlume di lucidità, e si allontanò di un passo da lui, a malincuore. Intrecciò le dita con le sue, incapace di interrompere ogni tipo di contatto, dirigendosi verso l’ampia cucina a vista. « Mi piacerebbe potermi vantare di essere un’ottima cuoca ma, purtroppo per te, il mio piatto forte è il toast al formaggio. » Ridacchiò. « Magari sarei abbastanza fortunato da assaggiarlo domattina, ma per stasera mi è toccato ricorrere ai veri professionisti. » Mentre pronunciava quelle parole, dondolò davanti ai suoi occhi il sacchetto di carta, la cui capienza era stata espansa con la magia. Lo appoggiò sull’isola della cucina ed estrasse alcune confezione di cibo take-away. Aveva optato per l’asporto per una questione di praticità, ma aveva scelto i piatti con l'entusiasmo di chi cercava di creare un pasto speciale con ciò che aveva a disposizione. « Prima che ti possa lamentare, non c’è nulla tipo caviale o arrosto. Avrei dovuto rubare troppi portafogli per permettercelo. » Arricciò il naso, scuotendo piano il capo. « In compenso, c’è il meglio del peggio che l’America ha da offrire: hamburgers, pizza in stile New York, sushi, alcuni piatti cinesi e donuts per dessert. » Afferrò una patatina fritta da un cartoccio e se la mise in bocca. Avevano talmente tanto cibo che ne avrebbero avuto a sufficienza per il giorno seguente. Almeno potremo evitare lo stufato di Peter. « In più, credo che ci sia anche qualcosa nel frigo. » Si avvicinò al frigorifero e spalancò la portiera, ritrovandosi a fissare ripiani su ripiani pieni di cibo e bevande. Solo i ricchi se ne vanno in vacanza per due settimane con il frigorifero ancora pieno. Che spreco! Forse era un segno del destino che fossero capitati proprio in quella casa: per lo meno, tutto quel cibo non sarebbe andato sprecato. « Guarda qui! Torta al limone, torta di zucca… ah! » Afferrò una bottiglia dallo scomparto laterale, mostrandola a Thomas con aria estasiata. « Champagne! » Non che Freya si intendesse particolarmente di vino o bollicine, ma l’aspetto elegante della bottiglia era sufficiente a lasciar intendere che doveva essere piuttosto costosa. « Ok, per questa servono le flute. E anche l’argenteria. » Con un rapido movimento della bacchetta, tovaglia, piatti e bicchieri si librarono nell’aria in direzione della sala da pranzo, seguiti dalle posate e dal cibo. Freya batté le mani tra loro, soddisfatta e spensierata. Non ricordava di aver mai festeggiato il Natale prima di trasferirsi dai Park e, da quel momento in poi, le celebrazioni si limitavano più che altro a una cena in famiglia un po’ più abbondante del solito e qualche piccolo scambio di regali tra lei ed Eren. Quella sera era così diversa da tutto ciò a cui era abituata, che non riusciva a trattenere il suo entusiasmo. « Anche noi dovremmo darci una sistemata, non credi? » Afferrò entrambe le mani di Thomas nelle proprie e gli depositò un rapido bacio a fior di labbra, il sorriso ormai indelebile dal suo viso. « Scommetto che i proprietari hanno un armadio più grande dell’intero dormitorio di Corvonero. Come minimo ci troveremo solo vestiti da sera e pellicce. » Si avviò su per le scale, diretta al piano di sopra. Non fu difficile individuare la camera padronale, elegantemente arredata con tanto di bagno privato e cabina armadio. Spalancò la porta ed entrò, ritrovandosi circondata da una quantità spropositata di capi d’abbigliamento, eleganti completi d’ufficio, leggeri abiti estivi, vestiti da cocktail e ogni tipo di accessori e gioielli. Spalancò gli occhi, stupita. Vi erano così tanti vestiti che i proprietari avrebbero potuto non comprare più un singolo indumento e utilizzare ciò che avevano fino alla fine della loro vita. « Per Merlino, sembra di stare all’interno di una botique! » Ripescò un paio di abiti tra quelli appesi, avanzando fino all’interno della cabina per posizionarsi di fronte allo specchio. Li appoggiò su di sè, poco convinta, osservando il proprio riflesso nello specchio. « No, questo non mi piace. Il colore non mi sta bene. » Li scartò uno dopo l’altro, lanciandoli sulla poltroncina posizionata nell’angolo. Lasciò scorrere le dita lungo le grucce, sfiorando la stoffa degli abiti fino a quando non ne incontrò una che le piaceva – liscia e delicata, sembrava scivolarle tra le dita. Seta. Ripescò un abito rosso scuro, dello stesso colore di un vino pregiato, con un lungo spacco sul lato. Mentre se lo appoggiava addosso, incrociò lo sguardo di Thomas riflesso nello specchio. Gli sorrise, con un’accenno di malizia. Senza distogliere lo sguardo da quello di lui, si sfilò il maglione oltre la testa, subito seguito dalla maglia a maniche lunghe. Affondando il pollice tra la pelle e il tessuto, sfilò la gonna e le calze di lana, abbandonandole in un groviglio di indumenti ai suoi piedi. Solo allora portò le mani al gancetto del reggiseno, facendo scattare lentanente ogni componente della chiusura. Fece scivolare le spalline lungo le braccia e lo sfilò con pigrizia, lasciandolo dondolare per qualche istante tra le dita, prima di farlo ricadere a terra. Si era sempre sentita a proprio agio nel proprio corpo, nuda o vestita. E, se lo desiderava, le piaceva essere guardata, da Thomas in particolare. Senza fretta, liberò l’abito dalla stampella e lo indossò, la stoffa leggera che scivolava sulla pelle nuda come una carezza. Roteò su sè stessa, allargando le braccia per non intralciare la stoffa. « Che ne dici? » Gli domandò, evidentemente soddisfatta della propria scelta. Scansò i vestiti che aveva scartato e si accomodò sulla poltroncina, i piedi nudi che sbucavano appena al di sotto dell’orlo dell’abito. Sorrise in direzione di Thomas, leggermente impaziente. « Ora tocca a te. Hai l’imbarazzo della scelta. » Lo incitò, mettendosi comoda per osservarlo. Probabilmente stava giocando col fuoco, ma non aveva alcun timore di scottarsi.

     
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    «Mi piacerebbe potermi vantare di essere un’ottima cuoca ma, purtroppo per te, il mio piatto forte è il toast al formaggio.» Un risolino malizioso gli fuoriuscì dalle labbra, ancora pericolosamente vicine a quelle di Freya, gli occhi fissi lì, dove avrebbe voluto continuare ad approfondire il contatto. Con il pollice, le accarezzò una guancia, rapito e assorto. «Magari sarei abbastanza fortunato da assaggiarlo domattina, ma per stasera mi è toccato ricorrere ai veri professionisti». Si scostò allora, inclinando la testa per sbirciare il sacchetto di carta che la ragazza aveva portato con sé, e guardandola con aria stupita. «Genio del male» commentò, scuotendo la testa, mentre si avviavano verso il grosso bancone al centro della cucina. La casa in cui erano capitati era davvero enorme, si ritrovò a pensare, forse persino più grande di casa Montgomery – ma avrebbe potuto tranquillamente trattarsi di un fattore percettivo, come gli capitava quando tornava a casa, a malincuore, dal dormitorio di Hogwarts, e tutto sembrava essersi espanso come d'improvviso, i saloni addirittura parevano semivuoti, l'arredamento insolitamente spoglio. Lasciò scivolare le dita sul bancone di marmo, l'effetto di quel lusso, familiare ma vietato, che lo riempivano di un'eccitazione inaspettata. Scivolò alle spalle di Freya, mentre trafficava con il contenuto della busta, le mani sulle sue spalle e la testa oltre la sua spalla, superata in altezza di qualche decina di centimetri. Osservava, compiaciuto, curioso. Quanto ci hai pensato a fondo? «Prima che ti possa lamentare, non c'è nulla tipo caviale o arrosto. Avrei dovuto rubare troppi portafogli per permettercelo.» «Per chi mi hai preso, Thysen?» Le soffiò all'orecchio, prima di allungare una mano nel sacchetto e esplorarne il contenuto lui stesso. «Mi stai dicendo che hai comprato tutta questa roba rubando portafogli Schioccò la lingua, scuotendo la testa. «Verrebbe da pensare che frequenti dei brutti giri, dei criminali che hanno una cattiva influenza su di te», la canzonò, ridacchiando. «In compenso, c'è il meglio del peggio che l'America ha da offrire: hamburgers, pizza in stile New York, sushi, alcuni piatti cinesi e donuts per dessert.» Doveva aver speso tutto il giorno per occuparsi di quell'intera preparazione, un pensiero che elaborò soffermandosi con lo sguardo sulla nuca di lei per qualche istante, soppesandolo. «Ti sei davvero data da fare» disse infine, scostandole i capelli dal collo e poggiando la testa nell'incavo tra la testa e la spalla, chinandosi leggermente, mentre le mani le cingevano delicatamente la vita. Si sarebbe lasciato coccolare, l'avrebbe concesso, per quanto l'idea lo facesse sentire strano, per quanto la sensazione fosse insolita. Saprò contraccambiare il favore. Imitandola, estrasse un involtino primavera da uno dei sacchetti unti, addentandolo prima di voltarsi per seguirla con lo sguardo mentre esplorava anche il frigo. Il sapore delicato misto al grasso della frittura gli esplose in bocca, costringendolo a chiudere gli occhi per qualche secondo per gustarlo appieno. «Il cinese non è mai stato così buono» mugugnò a bocca piena, mentre con le mani si issava sul bancone, per sedercisi. «Guarda qui! Torta al limone, torta di zucca... ah! Champagne!» Thomas strabuzzò gli occhi leggermente, l'altra metà dell'involtino ancora in bocca. «Dio, quanto amo i soldi» disse, prima di raggiungerla per ispezionare la bottiglia. Ancora chiusa. Forse riservata per un'occasione speciale, ma cosa c'è di più speciale del Natale? Infilò le dita nella base concava, rigirandosela tra le mani. «È un Veuve Clicquot La Grande Dame Brut del 2015», fece, ancora intento a masticare. «Mi pare che una bottiglia stia sui 26 galeoni... Sono tipo 170 dollari babbani. Stappiamo?» Mica male, come bottino. «Ok, per questa servono le flûte. E anche l'argenteria.» Annuì, rigirandosela tra le mani sporche, la sensazione che quello che stavano facendo fosse dissacrante, e per questo giusto, sacrosanto. Ripose la bottiglia in frigo, pensando che sarebbe tornata utile più tardi. «Anche noi dovremmo darci una sistemata, non credi?» «Mh...» concordò, afferrando un altro involtino, troppo affamato per aspettare. «Dio solo sa cosa farei per una doccia.» La facciamo insieme? Diceva il malizioso sorriso che le rivolse, coperto dal bacio leggero che lei gli lasciò sulle labbra, prima di avviarsi di sopra. Mi ci potrei abituare. Gli occhi completamente rapiti seguirono Freya mentre percorreva le scale, mentre lui rimase a esplorare l'ambiente. «Ti raggiungo. Metto un po' di musica, vediamo se 'sti ricconi hanno buon gusto in fatto di album oltre che di champagne.» Nel salotto, comunicante con la cucina, un camino trionfava maestoso accanto all'albero di Natale, rimasto spento. Con un gesto distratto Tom estrasse la bacchetta dai pantaloni, incastrata nella cinghia della cintura, sul fianco, e luce fu. Addentando nuovamente l'involtino e guardandosi attorno, un altro gesto del polso accese un fuoco nel camino, il freddo di una casa rimasta chiusa da qualche giorno, evidentemente, che cominciava a farsi sentire. E poi lui sapeva come creare una certa atmosfera, questo gli andava attestato. «Phil Collins... Miles Davis... Ella Fitzgerald... C'è qualcuno che non sia morto, qui?» mormorò. Ne scelse uno a caso, facendolo librare in aria fino a raggiungere il giradischi, su un mobiletto in fondo alla stanza, sotto l'ampia finestra. Per un secondo posò lo sguardo all'esterno, il vento che piegava gli alberi lungo il vialetto, la neve che cadeva rapida, veniva giù come pioggia. Provò una sensazione pericolosamente piacevole, confortevole, che per un secondo lo spaventò. Era una parentesi talmente tranquilla da essere pericolosa. «Per Merlino, sembra di stare all'interno di una boutique!» Fu il richiamo al presente di Freya, la mente di Thomas già cavalcante verso il momento in cui tutto ciò sarebbe finito e sarebbero dovuti tornare alla realtà. Si passò una mano tra i capelli, ripulì le mani unte con un canovaccio afferrato dalla cucina, recuperò la bottiglia e due flûte e la raggiunse al piano di sopra.
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    Lungo il corridoio, le mani dietro la schiena, il ragazzo si soffermò a curiosare tra le foto di famiglia, appese al muro incorniciate, avvicinandosi al vetro. Una famiglia normalissima, con visi banali e vite banali – perfettamente ordinaria. Secondo me lui la tradisce. «No, questo non mi piace. Il colore non mi sta bene.» Piegò un angolo della bocca in un sorriso a sentire quelle parole, riponendo la cornice che teneva in mano dove l'aveva trovata, sul mobiletto del corridoio. Fece capolino dalla porta della camera da letto, in cui si era prontamente infilata Freya, la sua noncuranza l'aspetto più eccitante in assoluto di lei. «Che fai?» La canzonò, immobile, gli occhi che vagavano in giro per la stanza per poi tornare su di lei, immersa nella cabina armadio. Avanzò di un passo, insolitamente discreto, passando la punta delle dita sulle lenzuola perfettamente distese, profumate, poggiando la bottiglia sul comodino. Era una vita che non avrebbe mai desiderato, per quanto estremamente seducente potesse essere – ne conosceva perfettamente il prezzo da pagare: l'infelicità eterna. Per come la vedeva lui, però, si sarebbe finiti infelici sempre e comunque, in un modo o nell'altro, per cui tanto valeva godersi la vita nel frattempo. Ma i soldi portavano con sé così tante rogne, così tanti compromessi, sacrifici, sforzi per mantenerli, terrori di perderli. Erano esattamente come quel momento: belli per essere gustati con la consapevolezza che non possa durare per sempre. Ma finché c'erano, tanto valeva attingerne a piene mani. Un altro passo avanti, e la sagoma di lui comparve nello specchio di fronte a lei, cosicché lei sapesse che lui la stava guardando. Quando Freya si sfilò il maglione Thomas la osservava sereno, e rimase fermo, le mani dietro la schiena, con un cenno del mento che la invitò a continuare. Sapere che lei voleva che lui rimasse lì, che ricercasse i suoi occhi, incastrati attraverso la superficie dello specchio, e quindi non direttamente addosso, lo solleticava in modo particolare. E così la vide rimuovere uno strato di indumento dopo l'altro, fino a rimanere in reggiseno. Poi fu il turno della gonna, e delle calze, e infine rimosse anche quell'ultimo confine a separarla dalla parziale nudità, e le iridi chiare di Thomas ne furono ingorde, percorrendo il profilo del corpo di lei non più tramite il riflesso, ma sulla versione reale, che gli stava davanti. Sembrava sciocco, banale, conosceva quelle linee fin troppo bene, così come lei conosceva quelle di lui, e tuttavia era passato tanto tempo da quando aveva potuto saggiarle con gli occhi, prendersi il tempo e il modo di farlo, e non solo con il tatto. Si gustò la scena intera, ricordando in quel momento, senza riuscire a controllarlo, la versione di quella corporeità di qualche anno prima, quando erano adolescenti, e la trovò leggermente diversa – il suo corpo di ventenne era più adulto, più pieno, come una scultura giunta a compimento. Tornò a incontrare i suoi occhi, rimanendo alle sue spalle, mentre lei si allungava per recuperare un abito e indossarlo. «Che ne dici?» Solo allora lei si voltò, squisitamente puntuale, proprio quando lui si faceva più vicino. Rimase comunque sulla soglia della cabina armadio, un'intenzione chiara nello sguardo, come una promessa, l'implicita dichiarazione che la Thysen avesse appena rinunciato alla possibilità di assicurarsi che si sarebbero trattenuti. E parve chiaro che neanche lei intendesse considerare quell'opzione. «Mi piaceva di più prima» scherzò, mentre lei lo superava per sedersi su una poltroncina alle sue spalle. Freya sapeva tentare, provocare, ma lo faceva in modo elegante, sottile, come una donna, non come una ragazzina. Questo di lei l'aveva sempre sorpreso, distaccandola nettamente da tutte le altre ragazze con cui Tom era stato. Era semplicemente diverso, con lei – tutto. L'affinità che sentiva era elettiva, inedita. «Ora tocca a te. Hai l'imbarazzo della scelta.» Thomas si lasciò andare ad uno sbuffo sonoro, roteando gli occhi e cedendo appena nelle ginocchia. Per quanto mi devi torturare ancora in questo modo, Thysen? Deglutì, passandosi la lingua sui denti. «Mh...» Strinse le labbra, voltandosi verso la cabina armadio. La maggior parte dei vestiti erano da donna, mentre la parte dedicata ad abiti da uomo occupava forse un quarto dello spazio, ed era riempito di completi gessati e camicie perfettamente inamidate. «Le uniche opzioni che ho sono broker di Wall Street...» commentò, la voce ovattata dai vestiti, mentre li ispezionava senza particolare cura. «Oppure tuta per la domenica a casa a guardare il football Fece, calcando un inefficace accento americano. «Non c'è sfizio, così. Vediamo se trovo qualcos'altro». Quando riemerse dalla cabina, gli occhi gli brillavano di pura estasi e divertimento. «Guarda cos'ho trovato». Il sorriso serafico stampato in viso, Thomas lasciò dondolare, tenendole con pollice e medio, un paio di manette. Niente di troppo scandaloso, decisamente, ma nondimeno esilarante, trovare dettagli scabrosi del genere in casa di sconosciuti. «Scommetto che ai Thompson piacciono certe robe un po' kinky...» Ridacchiò, poggiandole sul comò, sia mai che tornando utili. «Va be', io andrei a fare una doccia» fu la crudele frase apparentemente disfattista che pronunciò dopo. Quasi distrattamente, Tom si sfilò a propria volta il maglione, consunto e infeltrito, i lunghi capelli biondi che non tagliava da mesi un po' arruffati. Il lembo della t-shirt che portava sotto si sollevò appena, lasciando intravedere la linea dell'elastico dei boxer, ma lui non se ne preoccupò, anzi, il torso asciutto parzialmente rivelato. Come se lei neanche fosse lì e lui fosse da solo, si slacciò la cintura con una mano, lasciandola poi cadere a terra. Solo quando aveva una mano sul gancio dei jeans, il primo della fila, Thomas si voltò verso Freya, alla sua destra, soffermandosi per qualche secondo. «Che fai? Guardi o mi aiuti?» La invitò, deglutendo, aspettando che lei si avvicinasse, compiacente, accondiscendente. La guardò fare, mentre allentava i bottoni uno per uno, vicini, le dita fredde di lei che, a contatto con la pelle calda del bacino di lui, lo fecero trasalire appena. «Che dici? La cena può aspettare?» Soffiò piano quando le dita di lei cinsero l'ultimo bottone. Una richiesta implicita e innocente, la propria intenzione resa chiara da segni anche non necessariamente verbali. Inclinò la testa, per incontrare lo sguardo di lei, un'espressione apparentemente innocente. «Vieni con me?» Fece infine, per la prima volta toccandone la pelle, la mano maliziosa che superava il lembo del vestito, sottile e setoso, e giungeva con facilità a poggiarsi su una natica, stringendo appena a contatto con la carne calda. Non dirmi di no.
     
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