{CHAPTER III} 1. The Fall - Ministero della Magia

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    Accadde tutto in una frazione di secondo: un attimo prima, la voce di Hopkins risuonava nella sua mente, avvertendoli che Inverness era già caduta; pochi istanti dopo, al rumore assordante degli incantesimi si aggiunse quello dei vetri infranti e delle grida spaventate degli studenti, mentre una pioggia di frammenti si riversava su chiunque avesse cercato rifugio all’interno di Hogwarts. Da ogni lato, le voci di comando dei soldati della Guarnigione si mischiavano alle urla degli Auror, il rumore ormai assordante degli incantesimi che schiantavano su bersagli inanimati e in carne ed ossa. In quella confusione, Juniper impiegò qualche istante ad accorgersi che un era stata separata da Ava. L’altra Grifondoro non si trovava più al suo fianco e, con il cuore che le batteva all’impazzata, June tentò di farsi largo tra gli studenti che si accalcavano nei pressi del protale, gli occhi chiari che schizzavano da un volto all’altro, alla ricerca di Ava. « Ava! » Tutto ciò che riusciva a vedere erano le espressioni di terrore e panico sul viso degli studenti più giovani, la voce di Jeremiah Longthorne parzialmente soffocata dalle grida della folla. « June! » La voce familiare di Èmile la spinse a voltarsi, le iridi cristalline intente a scrutare attorno a sè fino a quando non individuò la sua chioma ribelle. «Èmi! » Gridò, andandogli incontro. Gli gettò le braccia al collo, in preda ad una profonda sensazione di sollievo. Grazie al cielo. « Stai bene? Non sei ferito, vero? » Si allontanò di scatto, scrutandolo attentamente, le mani pallide che si posavano freneticamente sulle sue braccia. Si concesse un sospiro, nel notare che era fisicamente incolume. « Avanti avanti, non c'è tempo da perdere, attraversate il portale. Vi lascerà a Londra, dove uno dei nostri warlock vi guiderà al sicuro. » No! Dobbiamo rallentare gli Auror, ci serve più tempo. « Aspett- » Prima ancora che la Rosier potesse protestare, si ritrovò ad indietreggiare, spinta all’interno del portale insieme ad Èmile. La sensazione di essere stata strappata dalla battaglia fu talmente repentina da lasciarla in preda ad un insolito smarrimento. D’un tratto, nell’anonimo vicoletto di Londra, tutto sembrava normale – tranquillo, persino pacifico. June tentò di respirare profondamente, il mondo che ancora le vorticava attorno, il ricordo della battaglia che risuonava, ovattato, nelle orecchie. Era visibilmente scossa, con il cuore che batteva spasmodicamente contro la cassa toracica. « Svelti, entrate in quella cabina del telefono e non fatevi notare. Il Ministero è sicuro: ci sta un sacco di gente e riuscirete a confondervi. Tenete il profilo basso e parlate con meno persone possibile, ma rimanete compatti. » Ancora confusa, si voltò in direzione della cabina telefonica che l’uomo aveva indicato, verso cui alcuni studenti avevano iniziato ad accalcarsi. « Siete stati voi. È tutta colpa vostra. Se non aveste invaso Hogwarts... Non sarebbe successo niente... » Allungò una mano in direzione di Èmile, prendendo delicatamente la sua nelle proprie. « Dobbiamo andare, Èmi. Non possiamo fare nulla per ora. » Non possiamo tornare indietro. Soffocò quel pensiero con una punta di amarezza, tentando di apparire incoraggiante mentre un’inifità di emozioni contrastanti si agitavano dentro di lei: rabbia, per l’ennesimo scontro che avrebbe causato morti e feriti tra gli innocenti; paura, per tutti coloro che le erano cari e di cui non aveva notizie; e, forse più di tutto, impotenza per non poter fare nulla per rendersi utile. Si affiancò ad una ragazza bionda, confusa tanto quanto loro. « Branwell. » Cercò di attirare la sua attenzione con delicatezza. La conosceva di vista e, sebbene non potessero certo definirsi amiche, non era la prima volta che si trovava in una situazione precaria in compagnia di Elizabeth Branwell. E se Mun si è fidata di te, allora posso farlo anche io. « Tutto ok? » Le chiese, prima di fare un cenno in direzione della cabina telefonica. Un muto suggerimento. Dobbiamo toglierci dalla strada prima che la nostra presenza venga notata. Entrarono nella cabina telefonica, stringendosi insieme a qualche altro studente a cui June rivolse un sorriso incoraggiante. « Se il Ministero è pieno di gente potremmo mescolarci agli spettatori. Dobbiamo trovare una zona tranquilla, vicina alle uscite. » Potrebbero servirci. Nel pronunciare quelle parole mantenne lo sguardo fisso su quello di Betty. Erano due degli adulti presenti e, in quanto tali, sentiva la responsabilità di tenere al sicuro i più giovani. « Voi avete notizie di Inverness? Sapete se l'hanno evacuata? » La parola Inverness risuonò nella sua testa come una sirena e, istintivamente, June allungò le maniche della giacca a coprirle gli avambracci. Scosse piano il capo, nel momento in cui le porte si aprivano. Non possiamo parlarne ora, non qui. Eppure, nonostante le loro preoccupazioni, nessuno all’interno dell’atrio del Ministero parve far caso alla loro presenza. Seppur non fosse certa di cosa stesse accadendo, le espressioni sul viso dei presenti, unite alle grida degli Indicibili, avevano creato un senso di emergenza palpabile. « Il Prescelto? » Appiattiti accanto ad una colonna, June afferrò il foglio che Èmile aveva raccolto. Lo lesse più volte, confusa. Di che diavolo stanno parlando? Se si trattava dell’ennesima trovata del Ministero della Magia per consolidare il proprio potere, avevano lavorato un po’ troppo di fantasia. Aveva bisogno di capire cosa stesse accadendo, ma doveva farlo con cautela. Si sospinse in avanti, facendosi spazio accanto ad una coppia di streghe che bisbigliavano concitate – e fu in quel momento che lo vide: nel centro del cratere, accanto al Velo della Morte, Eric Donovan – in carne ed ossa - non poteva essere altro che una specie di miracolo o fenomeno magico inspiegabile. Non è possibile. Donovan è morto, hanno trovato il suo corpo sul treno. Istintivamente, si voltò verso Betty, ricordando che la ragazza era presente durante quel fatidico Capodanno. « Non può essere lui. Deve essere un trucco, qualche assurdo ingegno... » Biascicò, sentendo la gola spaventosamente secca mentre, intorno a loro, il silenzio si era fatto quasi assordante. Il suo cuore aveva ripreso a battere all’impazzata, il suo corpo invaso ora da una sensazione assai differente dalla paura suscitata dagli Auror. Si trattava di qualcosa di più profondo, di più sinistro. Una sensazione di inquietudine che le aveva procurato i brividi, tanto da farle acapponare la pelle. « Ma voi non eravate sul treno quando è morto? Non avevate visto il corpo? » June spostò rapidamente lo sguardo sul viso del cugino, annuendo appena. Era pallida, l’espressione greve. Aveva visto il corpo di Eric morto, era stato uno dei momenti più traumatici della sua vita. Ora, vederlo in carne ed ossa, sorridente e apparentemente sano, sembrava qualcosa di surreale. Qualunque cosa stesse accadendo, non era normale - e, se il ragazzo di fronte a cui il Ministro della Magia in persona si era appena inchinato era davvero Eric Donovan, il solo fatto che fosse in vita era in antitesi con la prima legge della magia. Nessun mago è in grado di resuscitare i morti. Restituire la vita è impossibile. Nel frattempo, bisbigli di incredulità, stupore ed ammirazione si sollevarono dalle persone attorno a loro mentre Donovan avanzava in direzione dei detenuti. Istintivamente, si ritirò leggermente nell’ombra accanto ad Èmile nel momento in cui, passando loro accanto, il ragazzo rivolse un saluto a Betty. Come Donovan passò oltre, June allungò una mano in direzione della Tassorrosso, stringedo la sua. « Betty. Ti senti bene? » Le gettò un’occhiata preoccupata, notando che era impallidita. Non che potesse darle torto, lei stessa si sentiva atterrita, in preda ad una sensazione di panico latente ma pronta ad esplodere da un momento all’altro. « Ma siamo sicuri poi che era morto morto per davvero, Donovan? [...] » June afferrò Èmile per il braccio, intimandogli di tacere. « Non so cosa stia succedendo, ma posso assicurarti che Donovan era su quel treno e che non respirava più quando lo ha lasciato. » Strizzò gli occhi, cercando di sopprimere un brivido al ricordo del corpo privo di vita del vecchio giocatore dei Falcons. Lo seguì con lo sguardo mentre liberava Montgomery, il suo volere ossequiosamente assecondato dal Ministro della Magia. Se anche fosse Eric Donovan, perché mai il Ministero vorrebbe inchinarsi ai suoi piedi? « Questa cosa non è normale. È impossibile secondo tutte le leggi della magia. » Sussurrò, guardandosi attorno alla ricerca di qualche volto amico. Vi erano facce conosciute sparpagliate qua e là, ma non si fidava abbastanza di nessuno di loro per chiedere aiuto. « Non credo che dovremmo restare qui. Forse è più saggio andarsene. Possiamo cercare una passaporta e trovare rifugio da qualche altra parte, almeno per ora. Al Roseto, oppure in Francia. » Spostò lo sguardo su Betty ed Èmile, sperando nel loro assenso. Non era da lei scappare in ritirata ma, in quel momento, si ritrovavano abbandonati a loro stessi in territorio nemico, ricercati da mezzo Ministero e in presenza di qualcosa del tutto innaturale. « Credo… credo che dovremmo farci da parte e avvertire chi di dovere. » Bisbigliò, in un implicito riferimento agli warlock. Fu in quel momento che lo sguardo le cadde sul cellulare che il cugino teneva tra le mani. « Non hai per caso il numero di qualcuno che possa essere… uhm, interessato a questa notizia da prima pagina? » Gli domandò, sperando che nel tempo trascorso ad Hogwarts Èmile avesse stretto qualche legame con gli warlock – abbastanza da avere il numero di telefono di uno di loro.


    Interagito con Emi&Betty.
    Junie non sa bene cosa fare, vorrebbe avvertire qualcuno ma non sa come senza farsi beccare. Sta meditando se cercare rifugio altrove.
     
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    « Ma tu guarda chi si rivede. » Nate Douglas sembrava altrettanto sorpreso di vederla; o, per lo meno, così parve quando gli occhi chiari del Serpeverde si soffermarono su di lei. « Io e te dobbiamo farci una chiacchierata quando avrai tempo, Thysen. » Con un leggero moto di nervosismo, Freya si stinse leggermente nelle spalle. « Perché no. Sono certa che la tua agenda sia più piena della mia, ma se ti avanza un po’ di tempo puoi trovarmi alla Testa di Porco. Ti offro una birra. » Accompagnò le parole con un sorriso apparentemente divertito, sebbene non le fosse sfuggita l’implicita ragione contenuta in tale invito. Dubitava fortemente che Nate desiderasse sedersi a prendere un caffè in sua compagnia per il puro piacere di rivangare i bei vecchi tempi: era lampante che si stesse riferendo al peso della sua testimonianza nel processo di Thomas, così come sarebbe stata pronta a scommettere che l’unico motivo per cui Douglas non si era ancora presentato alla sua porta era la riluttanza del giovane Montgomery nell’accettare il suo aiuto. Si sistemò accanto a Fitz, lo sguardo chiaro che si spostava dall’avanzare dell’eclissi agli schermi in cui si agitavano i due vampiri. « Non penso. Non hai sentito? Non siamo autorizzati. Dobbiamo solo assistere. » Quella risposta le strappò un sorriso, una manifestazione di ilarità assai più contenuta di quella che sembrò impossessarsi di Douglas. Fitzwilliam non aveva tutti i torti. Il Ministero aveva fatto le cose in grande, in quell’occasione; a tal punto che il non presentarsi avrebbe potuto essere interpretato come una palese manifestazione di dissenso. « E tu Freya, a che pensi? » La strega si mordicchiò il labbro inferiore, scoccando al Serpeverde un’occhiata in tralice, a metà tra il divertito ed il sarcastico. « Oh, la mia opinione conta poco, Nate. Decisamente meno della vostra. » Concesse, con un piccolo cenno in direzione di Fitz. I miei diritti non sembrano avere lo stesso valore di quelli degli altri maghi. Perchè dovrebbe essere diverso per i miei pensieri? « Ma, se devo essere sincera, trovo che il tutto sia un tantino sopra le righe. » Per non dire che sembra un vero e proprio circo. « Panem et circenses. Se non fosse che rovinare un tale spettacolo astronomico con questioni politiche pecca di cattivo gusto, non trovi? » Seppur si fossero trovati a frequentare feste ed eventi comuni ai tempi di Hogwarts, Freya non ricordava di aver mai trascorso più di qualche minuto in compagnia di Nate. Per lo più, si erano limitati a convenevoli, conversazioni superficiali o commenti circa la serata – ora, tuttavia, il giovane Douglas sembrava aver riscoperto un certo interesse nel punzecchiarla. Immagino che Thomas non abbia nulla a che fare con tutto ciò. Il pensiero di Montgomery si affacciò nella sua mente nello stesso istante in cui Fitzwilliam si inclinò per sussurrare qualcosa a Douglas. In un primo momento, Freya non vi fece troppo caso, gli occhi chiari fissi sull’avanzare dell’Eclissi, ma quando anche il capo di Nate si voltò in direzione della Statua della Fontana dei Magici Fratelli, la Corvonero fece altrettanto, incuriosita da cosa – o chi – avesse richiamato la loro attenzione. Non è possibile. Proprio lì, a soli pochi metri da loro, il suo sguardo si posò su niente meno che Thomas Montgomery in persona. Una sensazione mista di timore e sorpresa le attanagliò lo stomaco in una morsa dolorsa. Come poteva essere lì, in quel momento? Perché mai lo avevano portato fuori da Azkaban? Istintivamente, allungò una mano pallida ad afferrare l’avambraccio di Nathan, le dita sottili artigliate in una presa salda. Normalmente sarebbe stata più discreta ma, in quel momento, non si curò in alcun modo della presenza di Fitz o di ciò che il Corvonero avrebbe potuto pensare. « Tu lo sapevi? » Domandò, la voce bassa e velata di urgenza. Era sicura che non poteva essere una coincidenza. Perché prendersi tanto disturbo per dei detenuti? Non ebbe tempo tuttavia di cercare di mettere insieme i pezzi di un enigma che sembrava diventare sempre più complesso, poiché un rantolo profondo proveniente dalle viscere del Ministero gettò l’intero atrio nel caos. Il pregiato pavimento di marmo tremò e, poche file più avanti, oltre le transenne, una profonda crepa lo sgretolò pezzo dopo pezzo. Agitati, i presenti iniziarono a urlare, le grida sovrastate unicamente dalle parole degli Indicibili. « STA ACCADENDO! LE PROFEZIE SI STANNO COMPIENDO. NON È UNO SCHERZO, NON È UN'ESERCITAZIONE. IL PRESCELTO STA PER USCIRE DAL VELO! » Il Prescelto? « Di che diavolo stanno parlando? » Sbottò, senza ottenere alcuna risposta, afferrando uno dei fogli che piovevano dal cielo. Il Prescelto, un'ombra luminosa, riscatterà il mondo dal suo triste lamentare. Nelle settimane precedenti aveva letto degli strani avvenimenti circa l’Ufficio Misteri e la convocazione dei veggenti ma, nonostante ciò, quelle parole non avevano il minimo senso. La terra si era placata, ma la tensione nell'aria era ancora palpabile mentre tutti attendevano il Prescelto, lo sguardo fisso sul Velo della Morte. E poi accadde. Una mano emerse dal Velo, aggrappandosi alla pietra dell'arco, ed una figura fuoriusciva dal passaggio. Eric Donovan. « Non è possibile. » Fitz fece eco ai suoi pensieri. La tragica morte di Eric Donovan aveva fatto scalpore nel Mondo Magico: per mesi, teorie complottistiche ed omaggi si erano susseguiti sulle prime pagine dei giornali, alimentati dal fatto che l’assassino non fosse mai stato identificato. Ed ora, il ragazzo che tutti avevano pianto troppo presto, si trovava dinanzi a loro. In carne ed ossa. Era un evento che sfidava ogni logica, ogni insegnamento elementare della magia come l’avevano sempre conosciuta. « Mi sento un po' osservato. Ci ho perso l'abitudine. » Il silenzio nella sala era quasi opprimente, spezzato solo dalle parole sussurrate tra gli spettatori, un misto di meraviglia, timore e reverenza. La stessa reverenza con cui Campbell si inginocchiò di fronte al Prescelto, subito imitato dalla maggior parte dei presenti. Nessuno può tornare in vita. Nessuna persona è mai emersa dal Velo, le uniche creature che vi sono passate attraverso sono svanite, intrappolate dall’altra parte. E anche se riemergere fosse possibile… Le conoscenze del Mondo Magico circa il Velo della Morte erano limitate, ma era logico pensare che all’interno vi si nascondesse più di quanto fossero pronti a scoprire. La sensazione di inquietudine, ormai dilagante in una parvenza di panico, si acuì quando Donovan risalì le scale, diretto verso il gruppo proveniente da Azkaban. « Thomas Montgomery? » Istintivamente, Freya strinse spasmodicamente la presa sul braccio di Nate, il cuore che batteva all’impazzata. Aveva lo sguardo fisso su Thomas, senza osare respirare. « Liberatelo per piacere. » Come? La guardia sembrò esitare, ma l'intervento del Ministro della Magia pose fine a ogni resistenza e il rumore delle manette che si aprivano parve rimbombare lungo le colonne e gli ampi soffitti del Ministero. Guardò Thomas, finalmente innocente - finalmente libero. « Non so cosa diavolo stia succedendo ma forse è il caso di capirlo da un'altra parte. » Freya annuì, incapace di proferire parola. Tutto ciò che era accaduto le appariva irreale, quasi intangibile. Impiegò qualche istante a riscuotersi, quando Douglas si rivolse a lei. « Freya? Bisogna recuperare Tom. » La distanza tra loro non era eccessiva, ma non sarebbe stato facile farsi largo tra la folla in sua compagnia senza essere notata. Si alzò, leggermente tremante, sistemando un ciuffo di capelli biondo-argentei che minacciava di sbucare dal cappello. « Non allontanatevi troppo. Potreste doverci coprire le spalle. » Anche se spero ardentemente di no. In quel caso, non andremmo molto lontano. Si fece largo tra la folla come meglio poteva, sgusciando tra i presenti che si prostravano in direzione di Eric Donovan. Raggiunta la fontana, si ritrovò faccia a faccia con una delle guardie di Azkaban che l’aveva scortata lungo i corridoi della prigione, poco tempo prima. L’uomo parve riconoscerla, ma Freya non vi prestò attenzione. « Thomas. » Esclamò, sporgendosi leggermente affinché potesse vederla. Gli occhi chiari erano colmi di preoccupazione, le pupille dilatate fino a rendere l’iride un misero contorno. Nonostante ciò, tentò di nascondere l’incertezza nella voce, sforzandosi di apparire calma. « Tom, dobbiamo andare. I tuoi amici, la tua famiglia… ti stanno aspettando. » Allungò una mano pallida in direzione della sua, le dita sottili che ne sfiorarono il dorso. Deglutì, nervosa. Non le piaceva trovarsi al centro della calca, avvertiva innumerevoli occhi puntati addosso – non su di lei, ma su Thomas, d’improvviso tramutato nel simbolo della grazia del Prescelto. « Dobbiamo andare. Ti va di venire con me? » Richiuse delicatamente le dita attorno alla sua mano. Attese qualche istante e, infine, sfiorò l’interno del palmo con il pollice. Disegnò un cerchio sulla pelle sensibile, attraversato da un nodo. Un gesto che avevano ripetuto spesso in passato, cercando di non farsi notare da occhi indiscreti; un modo per attirare l’attenzione o, semplicemente, comunicare senza bisogno di parole. Fidati di me. Lo tirò leggermente nella sua direzione, cercando di farsi largo tra la folla per raggiungere Fitz e Nate. Dobbiamo andarcene da qui.

    Interagito con Fitz&Nate
    + tentato di recuperare Thomas
     
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    « Betty, posso chiederti una mano? » Si voltò verso la voce melodiosa che decisa aveva richiamato la sua attenzione. Cercò di seguire i suoi movimenti veloci mentre maneggiava una serie di pietre; quasi nella speranza di trarre da esse un'antica forza ancestrale. Betty era alquanto scettica, ma ognuno aveva il diritto di trarre la propria forza da ciò in cui credeva. « Betty, per favore, unisciti a me in questo rito. Abbiamo bisogno di ogni possibile fonte di protezione in questo momento. Questo cerchio di gemme può aiutarci a respingere il male e a portarci fortuna. Aiutami a completarlo. Siamo più forti insieme. » Avrebbe voluto esserle d'aiuto, dire che ci credeva; ma ormai Betty aveva visto e assistito a troppo per credere in qualcosa che andasse al di là delle capacità e dei desideri del singolo individuo. « Insieme siamo più forti, però le persone hanno bisogno di aiuto... » e il nostro compito è quello di dare sostegno. Strinse le sue mani, cercando di trasmetterle quelle fantomatica orza di cui la ragazza parlava. Il loro piccolo rituale venne interrotto da un fragore di verti che scatenò le urla. Il panico si diffuse tra le persone, spingendole a fuggire mentre gli auror facevano irruzione all'interno del castello. Incantesimi iniziarono a volare tra soldati della guarnigione e auror, mentre gli warlock cercavano di far fuggire le persone attraverso i portali. Betty venne spinta all'improvviso insieme ad un altro gruppo. « Avanti avanti, non c'è tempo da perdere, attraversate il portale. Vi lascerà a Londra, dove uno dei nostri warlock vi guiderà al sicuro. » Avvenne tutto in un batter d'occhio, fino a qualche secondo prima era tra le mura familiari di Hogwarts e subito dopo era tra le vie di una grigia Londra. Una Londra in cui non metteva piede da troppo tempo e che quasi stentava a riconoscere. Il suono di vetri infranti e di urla era stato sostituito dal vociare incessante della città; un cambiamento che la lasciava perplessa e per certi versi intontita. « Svelti, entrate in quella cabina del telefono e non fatevi notare. Il Ministero è sicuro: ci sta un sacco di gente e riuscirete a confondervi. Tenete il profilo basso e parlate con meno persone possibile, ma rimanete compatti. » Era tutto più facile a dirsi che a farsi. Osservò i volti delle persone accanto a lei e riconobbe June e Emile, il migliore amico di Otis. « Branwell. Tutto ok? » Forse. Avrebbe voluto rispondere, perché nonostante la fuga dal luogo della battaglia non riusciva a sentirsi al sicuro; come se qualcosa stesse incombendo sulle loro teste. « Per ora direi di sì, voi tutto ok? Nessuna ferita? » Da un primo sguardo sembravano spaesati quanto lei, presi in contro piede da ciò che era successo al castello. Segui June verso la cabina telefonica indicata dal warlock e il gruppetto si strinse al suo interno. Dovevano rimanere uniti e una parte di lei si sentiva responsabile per gli studenti che erano stati spinti attraverso il portale. « Se il Ministero è pieno di gente potremmo mescolarci agli spettatori. Dobbiamo trovare una zona tranquilla, vicina alle uscite. » Il via vai delle persone era incessante, tutti mormoravano di quanto quella giornata sarebbe servita da esempio per tutti. « Voi avete notizie di Inverness? Sapete se l'hanno evacuata? » Scosse mestamente la testa, le uniche informazioni che aveva erano stralci di conversazioni tra le guardie; informazioni che non le permettevano di capire l’entità e l’estensione della distruzione che aveva colpito il centro nevralgico dei lycan. Stava per
    PkJ3Mui
    chiedere se il ragazzo avesse qualche informazione di suo nipote quando nuove urla esplosero tra le mura del ministero. A differenza di Hogwarts non sembravano urla di terrore; ma più di stupore e incredulità. Le persone alzavano le mani verso il soffitto, quasi come a ringraziare qualcuno. Molti spingevano per addentrarsi nei corridoi del ministero. « Il Prescelto? » Di cosa stava parlando esattamente Emi?! Cercò di sbirciare il foglio che June teneva in mano, ma le poche frasi che riuscì a scorgere le sembravano semplicemente vecchi versi a cui avevano disperatamente cercato di dare un senso. Fu il volto di June a catturare la sua attenzione, o meglio fu quell’espressione di stupore misto ad incredulità. Seguì il suo sguardo e rimase congelata. Smise di ascoltare le persone intorno a sé, chiusa in un mondo di ricordi dove nessuna voce era in grado di raggiungerla. Fu catapultata indietro nel tempo. Distratta si guardò le mani e vide di nuovo il sangue…il sangue di Donovan. Lo stesso Donovan che ora era in piedi di fianco al velo della morte. Il suo sangue le aveva ricoperto le mani e, quando si era inginocchiata per scuoterlo, le aveva inzuppato l’abito sporcandole le ginocchia. Aveva urlato Betty, aveva urlato e lo aveva pregato di svegliarsi. « L-lui…..non può essere. » « Ma siamo sicuri poi che era morto morto per davvero, Donovan? [...] » Guardò il ragazzo malinconica, quasi sollevata che qualcuno facesse fatica a credere l’orrore che si era consumato su quel treno. Orrore che l’aveva tormentata a lungo, che le impediva di dormire la notte. Ci erano voluti mesi prima di non vedere più il sangue sulle mani, per dimenticarne la viscosità e l’intensa tonalità di rosso. « Sì…era morto e scuoterlo, chiamarlo fino a perdere la voce non è servito a nulla. » Non poteva fare a meno di osservarlo mentre camminava tra la folla, tra le persone adoranti. Alcune si gettavano ai suoi piedi inneggiando al Salvatore, altre cercavano di toccarlo; quasi come se stessero cercando un miracolo. Arrivò a pochi passi da lei, sorridendole e facendole un cenno di saluto. Una parte di lei voleva seguirlo, osservarlo e cercare l’imbroglio; ma la parte razionale di Betty sapeva che quello non era il momento di cercare risposte o conferme. « Credo… credo che dovremmo farci da parte e avvertire chi di dovere. » Betty non poteva che essere d’accordo, il ministero stava per diventare il centro nevralgico del miracolo di questo secolo. « Sì…e dobbiamo trovare un modo di andarcene da qui…siamo troppo esposti. I miei genitori vivono ancora a Londra però adesso sono in viaggio. » avrebbero potuto sfruttare la sua casa di famiglia come rifugio; almeno fino a quando la folla avesse fatto rientro e liberato le strade. Dando loro il tempo di contattare qualcuno e capire cosa stesse realmente accadendo.

     
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    Non era quella la sede giusta per quel tipo di riflessioni, e più tardi Tom si sarebbe sentito perplesso, se non direttamente un po' imbarazzato, per essersi perso in pensieri così futili ed insulsi in un momento così sconvolgente. Eppure forse aveva senso, quella sua invidia, proprio in virtù della propria distanza dal gruppo – una emotiva oltre che fisica. Una per una vide le teste prima di Fitzwilliam, poi di Nate, e infine di Freya rivolgersi nella sua direzione, tutte comicamente stupite, nonostante alcuni cercassero di dissimularlo più di altri. Era lì di fronte a loro, i polsi legati da un Incarceramus, e per la prima volta dopo tanti anni ricordò quel senso di lontananza, di differenza. Con un angolo della bocca piegato dall'ilarità di quel loro girarsi verso di lui come tessere del domino, riuscì a guardarsi da fuori, e vide la scena per quello che era: quattro ex compagni di scuola la cui adolescenza era stata indissolubilmente intrecciata che adesso stavano ai poli opposti dell'atrio del Ministero della Magia – non si capiva perché, tutti completamente all'oscuro sui meccanismi e ragionamenti politici presenti – chi rinchiuso Azkaban e chi caduto dalle grazie del classe dirigente, brillanti di una luce ormai quasi spenta, risalente ad un'epoca precedente. Dello sfarzo che li avvolgeva prima non c'era più traccia, e quella semplice realizzazione accese come un moto di assurda leggerezza dentro di lui: avevano perso tutto, e adesso erano lì, e non potevano più togliere loro niente. Così quell'invidia per chi godeva ancora del diritto alla libertà si tramutò in qualcos'altro, nella consapevolezza che tra di tutti lui fosse quello a cui era toccata la mano peggiore, che se la fosse cercata volontariamente o meno, e che forse per questo poteva essere il più privilegiato di tutti, perché aveva affrontato la Paura, e ne era uscito dall'altra parte, sebbene ancora formalmente prigioniero. Ognuno ha timori diversi da affrontare nel corso della propria vita, e magari tutti loro avevano dovuto farci i conti, chi in un modo, chi in un altro; ma, Tom ne era certo, a nessuno era andata male quanto a lui, nessuno aveva perso quanto lui. Probabilmente era quella la verità più grande che tutta quella situazione aveva portato a galla: la loro diversità, nel bene e nel male; nella mente di Thomas non esisteva quasi più niente ad accomunarlo a chi a quei livelli non ci era mai
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    sceso, a chi non conosceva quello specifico tipo di bassezza e di umiliazione. Loro fin lì non ci sarebbero mai arrivati, se ne rendeva conto: sarebbero per sempre rimasti legati, se non da altro, dalla consapevolezza che dov'era finito lui non ci si sarebbero mai spinti, che si sarebbero sempre fermati prima, e quella sarebbe rimasta una distanza tra di loro incolmabile, che si sommava a quelle che già erano precedentemente esistite. Freya, forse, era l'unica che poteva immaginare che cosa si provasse. Gli occhi scuri di Thomas si illuminarono quando incontrarono quelli di lei, che parve più vicina di quanto non fosse in realtà. Ne studiò i lineamenti, come non aveva fatto quando se l'era ritrovata di fronte, ad Azkaban, e ne appurò l'indomita bellezza, come aveva fatto tante altre volte prima. Su tutto, si soffermò, fuorché sulla questione più urgente di tutte, troppo sovrastimolato per dare una priorità ai propri pensieri, finché non fu obbligato a farlo, la terra sotto i piedi di tutti loro che cominciò a tremare. La presa della corda attorno ai suoi polsi si fece più stretta. «Ouch» si lamentò inutilmente Thomas, la guardia Auror completamente galvanizzata dalla visione che si svolgeva di fronte a loro. Seguendone lo sguardo, Tom osservò il pavimento aprirsi di fronte a loro, le urla di tutti, ad eccezione di chi era troppo incredulo per produrre un suono. La visione non gli era chiara, ma ciononostante non poté che registrarla: Eric Donovan era appena emerso dalla terra sotto di loro. Tacque, e guardò gli altri detenuti, completamente inebetiti, e così pure la maggior parte delle altre persone, ad eccezione del Ministro della Magia. Le cariche del Ministero sembravano muoversi con timore reverenziale, ma con una certa consapevolezza: era chiaro che tutto questo teatrino fosse stato messo su appositamente per questa... resurrezione? Ma perché il Ministero voleva far risorgere un ex giocatore di Quidditch e perché si riferiva a lui come il Prescelto andava oltre i limiti della comprensione di Thomas – e a quel punto aveva smesso di cercare di capire, il pensiero immediatamente successivo era decodificare se quella fosse una situazione pericolosa per lui. Nate, Fitz, Freya si guardavano, persi esattamente come lui, cosicché Thomas era distratto a guardarli quando il Prescelto si era diretto verso di lui. Aveva sentito l'aria farsi improvvisamente più pesante quando aveva spostato lo sguardo sul corpo di Eric Donovan, leggermente più difficile da respirare. «Thomas Montgomery?» Conosceva Donovan personalmente? Aggrottò a fronte, ammutolito, abituato che fosse qualcun altro a parlare al posto suo. Confuso, guardò l'ex campione avvicinarsi ulteriormente a lui. Non proferì parola, nonostante Eric continuasse a rivolgersi direttamente a lui – gli occhi di tutti puntati su di loro, li sentiva sulla pelle. Quale altra sorte gli sarebbe toccata? «So che non sei colpevole di ciò di cui ti hanno accusato. Stai scontando una pena ingiusta. E questa umiliazione è solo un ulteriore smacco che non meriti» E fin qui siamo d'accordo. Ruotò appena la testa, la coda dell'occhio ferma su una figura che diceva tutte le cose giuste ma che nonostante ciò non smetteva di dargli i brividi. Da così vicino faceva ancora più impressione, il viso di una persona morta, al 100% morta che adesso si muoveva per parlare con lui. Quel «liberatelo per piacere» che seguì poco dopo fu un'allucinazione, ne era sicuro. Il seguente «fate quello che dice» del Ministro della Magia in persona fu la conferma che doveva esserci qualcos'altro dietro, il Ministero sembrava aver fatto di tutto pur di tenerlo dentro; e la pressione crescente che finalmente si allentava dai suoi polsi, dietro la schiena, non fu davvero registrata, le mani che rimasero dov'erano, i pugni chiusi, la mascella serrata. Le tenne lì anche mentre gli occhi gli si riempivano di lacrime, e Eric Donovan gli dava le spalle, e procedeva come se niente fosse, come se non avesse appena cambiato la traiettoria della sua vita dopo tre anni di inferno, e preghiere rivolte a niente e a nessuno, e grida nel vuoto, con tre semplici parole. C'erano voluti meno di cinque minuti affinché Thomas tornasse libero. Quando le lacrime presero a rigargli il viso, scarno e barbuto, le mani di Thomas erano ancora lì, dove dovevano stare da tre anni a quella parte – dove non avrebbero dovuto stare mai più. La seconda cosa che il Prescelto aveva fatto dopo essere tornato dall'aldilà o dovunque si trovasse era stato ridargli la libertà. Il motivo di quel gesto rimase inspiegabile, ma a Thomas non interessava che cosa avesse mosso la mano che l'aveva salvato, e se ci fosse un prezzo da pagare, in quel momento – andando contro ogni istinto di preservazione, ogni impulso calcolatorio. Ci credette: era davvero così semplice. «Thomas». Il capo chino, aspettò qualche secondo prima di alzarlo per guardare Freya. «Tom, dobbiamo andare. I tuoi amici, la tua famiglia… ti stanno aspettando.» Niente di quello che stava dicendo registrò come dotato di significato, alle orecchie del ragazzo, ancora immobile, attendeva gli ordini, di essere strattonato, scortato fuori da lì e di nuovo nella sua cella. La guardò confuso, lo sguardo vacuo, la fronte corrugata. Gli occhi che gli stavano ancora addosso adesso non li sentiva neanche più, nella testa la voce di Donovan che riecheggiava: stai scontando una pena ingiusta, e questa umiliazione è solo un ulteriore smacco che non meriti. «Dobbiamo andare. Ti va di venire con me?» Finalmente mosse una mano, lenta, pesante, e la richiuse attorno a quella sottile e delicata di lei, guardandole unirsi. Quel gesto familiare sembrò aiutarlo a darsi una scossa. Piano, rispose al cerchio che aveva disegnato sul palmo della sua mano con uno identico su quello di lei, più incerto. Si chinò a raccogliere uno dei fogli che riportavano le profezie, un gesto più automatico che non particolarmente calcolato. «Stai col Prescelto? Montgomery? Sei un seguace del Prescelto?» Le voci lo inseguivano dalla folla che circondava lui e Freya mentre cercavano di trovare l'uscita del Ministero, o quantomeno un camino da cui spostarsi. Il trambusto era tale che riuscire a camminare senza spintonare gli altri era praticamente impossibile. «Hai ricevuto la grazia dal Messia! Lui è Grande! È misericordioso!» «Tom! TOM! Emily Smith, Gazzetta del Profeta. Hai una dichiarazione da fare? Vuoi dire qualcosa a tuo padre sulla tua affiliazione a Donovan? Avevate stretto un patto?» Un'espressione disgustata fu tutto ciò che riuscì a dispensare alla giornalista. Completamente dissociato, non si rese neanche conto di star venendo diretto verso i gabinetti. «Smaterializzamoci» propose a voce ben alta, rivolto a Freya, Fitz e Nate, più avanti. Ma dove sarebbero andati? Lui non aveva più una casa, non aveva più niente. «Andiamo via prima possibile, e ai gabinetti c'è una fila infernale, la gente si ammassa.». Guardò Nate, speranzoso che gli venisse in mente un posto dove potessero andarsene per rifugiarsi da tutto quel casino. Non posso più tollerare un altro essere umano a meno di un metro di distanza da me.

    Ce l'abbiamo fatta team, l'abbiamo portata a casa
    Interagito con Nate, Fitz, Freya, Eric (più o meno). He wants to get the fuck out e capire k succ con la gang di scooby doo. Mun, Greg, Percy & la vecchia kasta JOIN USSSS lui sta troppo dissociato per guardarsi attorno
     
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    In mezzo alla folla, per un istante, Mun si fermò. Una massa di capelli corvini attirò la sua attenzione. Era inconfondibilmente lei. Sgranò gli occhi e volse lo sguardo verso Percy. « Dammi un attimo. » Approfittandosi dello scompiglio generale, si mosse in mezzo alla massa di persone facendosi spazio furtivamente finché non afferrò il polso di June. Un solo sguardo a Emi e Betty prima di rivolgersi direttamente alla cugina, posando il pollice sulle labbra per farle cenno di rimanere in silenzio e ascoltarla. « Hai notizie di Lily e Jay? » Probabilmente no; ma quella domanda aveva un doppio scopo. Da una parte rivelare la sua identità ai tre volti amici, dall'altra indagare sulla sorte dei figli. Non aveva tempo di chiederle altre informazioni, seppur di domande ne aveva anche troppe. Se Emi era lì, significava solo una cosa: qualcuno stava portando via le persone da Hogwarts, e allora situazione era più complicata di quanto pensasse. « Non ho tempo. Prendete una delle cabine telefoniche e dirigetevi verso la Londra babbana. Il più lontano possibile da qui. Betty ha casa in città. Se vi rifuggiate lì, verrò a cercarvi o manderò qualcuno. » Pausa. « Il prima possibile abbiamo un lavoro da fare e avrò bisogno che voi rimaniate a Londra. » A quel punto guardò la cugina con un'espressione estremamente seria. « Alexandria va sigillata. » Di questo ormai era certa. Casa sua doveva rimanere fuori dai radar di qualunque cosa stesse succedendo al Ministero. « Ora. Uscite adesso. » E quindi spintonò i tre in direzione dell'uscita dell'Atrio, approfittandosi di quel via vai di curiosi che spintonavano le persone nella speranza di poter vedere o toccare il Messia. Poi, mentre si dirigeva assieme a Percy verso l'uscita. L'urlo di una giornalista con al seguito il fotografo di turno, la raggiunse prima che venisse spintonata per seguire Tom. Thomas è libero, ma ora è braccato dagli sciacalli. Si chiese come ci si sentiva a poter tornare a calcare quelle pietre miliari senza doversi preoccupare degli sguardi insistenti degli Auror. Non bene evidentemente. Adesso, per lui, sarebbero arrivati altri problemi. «Tom! TOM! Emily Smith, Gazzetta del Profeta. Hai una dichiarazione da fare? Vuoi dire qualcosa a tuo padre sulla tua affiliazione a Donovan? Avevate stretto un patto?» Fosse stata al posto del giovane Montgomery, avrebbe risposto in maniera estremamente acida. Lapidaria, persino. Ma Mun non era in condizione di fare nulla, allo stato attuale, se non vivere nella sua parte - quella di una strega qualunque, trovatasi lì perché come ogni altra pecora del Regno Unito, quello era il posto in cui doveva essere. E a proposito della pecorella le cui sembianze aveva sottratto, Mun si ritrovò di colpo a guardare l'orologio al polso. Lo aveva importato affinché le mostrasse ogni quanto doveva ingerire la Polisucco. Mancava poco. Meglio correre ai ripari, specialmente perché, stava già iniziando a sentire quel leggero formicolio tipico dei momenti precedenti alla dissoluzione degli effetti della pozione. Mise mano alla tasca della giacca, sgranando di colpo gli occhi. Cazzo. Nei suoi occhi il terrore; uno che andava al di là della visione di un morto che cammina e dei suoi miracoli. Tastò entrambe le tasche, rovistò nella borsa, ma niente. La Polisucco non c'era. Non poteva averla semplicemente persa. Non era umanamente possibile che di tutte le cose, aveva lasciato incustodita l'unica ancora di salvezza che aveva. Si guardò attorno, osservando il gruppo di giornalisti che si allontanavano con al seguito diversi maghi che urlavano contro Thomas, per poi voltarsi impanicata nella direzione di persi. « La Polisucco. Non ce l'ho più. » Parlava a voce bassa, ma il panico che provava, era evidente. Non poteva nasconderlo. Più si agitava più sentiva quel formicolio strisciarle sotto la pelle. « Il mio tempo sta per scadere. Ho meno di dieci minuti prima di.. » Prima di essere completamente spacciata. Non c'era alcuna speranza affinché potesse uscire da lì dentro senza che nessuno facesse caso a lei. Era sola. E anche nella remota ipotesi in cui Percy avesse deciso di tenderle una mano, erano comunque soli. Soli contro un'orda di Auror e maghi incantanti da Minerva. La stessa Minerva contro cui Mun si era scagliata pubblicamente poco più di un anno fa rendendo la sua presenza a Londra impensabile. A tutto ciò si aggiunse quel lieve vociare che sembrò riempire le bocche di diversi maghi attorno a loro. Harry Potter è morto. « Hai sentito? Harry Potter - me l'ha detto or ora mio cugino che sta a Hogwarts.. brutta storia - » Strinse i denti, e osservò Percy con un'espressione quanto mai persa. Non è possibile. Deve esserci un errore. Al solo pensiero, si rese conto che doveva trovarsi ovunque tranne che lì. Doveva tornare dalla sua famiglia. Accertarsi che Albus stesse bene, che i suoi bambini fossero al sicuro, e che casa sua era ancora al sicuro.


    Interagito con June, Betty, Emi e Percy. Nominato il povero Thomas.



     
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    « Il Messia compie già i suoi primi miracoli! Hogwarts è libera! » Intento com'era a seguire da lontano i movimenti di Freya, Nate registrò con qualche secondo di ritardo quelle informazioni. Scambiò uno sguardo fugace con Fitz, la cui espressione però gli parve indecifrabile. « E quel traditore di Harry Potter è morto! » Sgranò gli occhi verdi, colto di sorpresa da quelle parole. « Avviciniamoci a Freya e Tom » disse tuttavia con tono estremamente pacato, piegandosi verso l'amico. Il sottotesto era chiaro ad entrambi: un attacco a Hogwarts, la morte di Harry Potter, la resurrezione di un cosiddetto Messia, tutto nelle stesse ore? C'erano troppe cose che non tornavano, e il Ministero, al centro di quel caos non appariva più come un luogo sicuro. Si avviarono a passo rapido verso la coppia, che nel giro di pochi attimi era già stata circondata da giornalisti e curiosi. « Tom! TOM! Emily Smith, Gazzetta del Profeta. Hai una dichiarazione da fare? Vuoi dire qualcosa a tuo padre sulla tua affiliazione a Donovan? Avevate stretto un patto? » Si fecero strada a fatica in quell'ammasso di gente, fino a ricongiungersi a loro. Donovan nel frattempo era passato oltre e, per quanto su di lui fosse concentrata una gran parte dell'attenzione dei presenti, muoversi liberamente era pressoché impossibile. Nate si sporse in avanti, oltre la spalla di Thomas, e constatò a malincuore che i gabinetti erano ancora troppo distanti. « Smaterializziamoci. Andiamo via prima possibile, e ai gabinetti c'è una fila infernale, la gente si ammassa. » Alle parole di Thomas si voltò, individuando i camini: in mezzo, si frapponeva quello che a tutti gli effetti era un oceano di persone. Eh, la fai facile. Diede un'ultima occhiata ai gabinetti, dove una gran folla di persone si stava già ammassando. Scosse il capo, poi inspirò profondamente. « Hai ragione. Andiamo di là, è meglio » indirizzò i compagni, indicando con un cenno della testa i camini, che già cominciavano a illuminarsi di luce verde. Si fecero strada a poco a poco, circondati da uno sciame di curiosi che non sembrava volerli lasciare andare. « Thomas, Thomas da questa parte! Ti aspettavi quest'atto di grande generosità da parte del Messia? » Nate aggrottò la fronte, posando una mano sulla spalla di Tom, quasi a volergli ricordare che non era da solo. Stai tranquillo, non
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    dire niente, non fare scenate.
    Conosceva il carattere irriverente dell'amico, ma era estraneo a qualsiasi declinazione questo potesse aver preso in un posto come Azkaban. Sperava l'amico non desse spettacolo, in un contesto del genere. Mentre avanzavano, di tanto in tanto Nate scagliava furtivamente qualche Everte Statim non verbale, capace di respingere qualche gruppetto di persone particolarmente fastidiose, che finivano per terra l'una sull'altra, spinte da una forza invisibile. In mezzo a quel caos, sarebbe stato difficile individuare l'origine di quei piccoli disordini.
    Una volta arrivati a circa metà dell'atrio, individuò quasi per caso una figura familiare tra la folla. « Percy! » Sollevò un braccio per farsi notare, e si avvicinò insieme agli altri tra la folla. « Ma che diavolo è appena successo? Ne sai qualcosa? » Era probabile che anche il giovane Watson, come tutti loro, fosse all'oscuro di tutte le stranezze a cui avevano appena assistito, ma valeva la pena chiedere. Mentre parlava, qualcos'altro catturò l'attenzione di Nate: accanto a Percy, la stessa donna stramba che poco prima aveva scontrato, pareva colta da una strana agitazione. « Stiamo cercando di uscire e- » si arrestò, colto alla sprovvista. Lanciò una seconda occhiata verso la donna, quasi volesse assicurarsi di aver visto bene: avrei giurato che avesse gli occhi castani. Se lo ricordava perché quegli occhi l'avevano fissato con fare insistente, poco tempo prima. Ora invece questi erano indubbiamente celesti, di ghiaccio, quasi. Assottigliò lo sguardo, osservando la donna senza particolare pudore: c'era qualcosa che non tornava. E mentre guardava il suo volto trasformarsi lentamente, il naso che si assottigliava, ed i capelli diventare sempre più corvini, Nate capì. Amunet Carrow non aveva ancora del tutto riacquistato le proprie sembianze, ma quei pochi dettagli furono sufficienti a riconoscerla. « E tu che accidenti ci fai qua » le sussurrò, gli occhi sgranati per la sorpresa. Si guardò intorno: il caos non faceva che aumentare, insieme agli occhi insistenti puntati su Thomas - e di conseguenza su tutti loro. D'istinto, si tolse la sciarpa scura che portava al collo e la porse alla ragazza. « Tieni, cerca di coprirti con questa. » Era chiaro che, se qualcuno l'avesse vista, o avesse anche solo sospettato di vederla, non avrebbe avuto vita facile. « Thomas Montgomery! TI PREGO UNA FOTO PER LA GAZZETTA! » Qua si mette sempre peggio. Nate guardò Percy, il quale, rispetto al resto del gruppo, si trovava in una posizione privilegiata per raggiungere le uscite. « Dobbiamo raggiungere i camini, il prima possibile. » Lanciò un'occhiata in direzione di Tom, poi una verso Amunet. Anche perché abbiamo letteralmente tra le mani non una, ma ben due bombe a orologeria.


    [spoiler_tag][/spoiler_tag]Interagito con tutto il gruppo Fitz-Freya-Tom + Percy e Mun.
    PERCY PORTACI VIA DA QST POSTO BRTTTT


    Edited by stupor mundi. - 4/10/2023, 18:12
     
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    Probabilmente nulla avrebbe potuto prepararlo allo scenario che si parò di fronte ai suoi occhi. Nemmeno nella fantasia o nella paranoia più sfrenata avrebbe mai creduto che qualcosa del genere fosse possibile. Le leggi della magia erano chiare, e per quanto la storia avesse mostrato tutti i possibili sotterfugi per aggirarle, non era mai accaduto che queste venissero apertamente infrante. Vedere un morto che camminava in carne ed ossa tra i vivi, dunque, non era solo l'evento epocale di cui tutti parlavano, ma un vero e proprio spartiacque che avrebbe dovuto sollevare una terribile domanda: se persino le leggi più basilari della magia potevano essere infrante, cos'altro sarebbe potuto accadere? Se c'era una cosa che Percy aveva imparato nella propria vita, era che nulla veniva dal nulla, e soprattutto non c'era niente di gratuito. Specialmente quando si tratta di magia. Fissava la figura di Eric Donovan con un misto di stupore e orrore, lasciato forse per la prima volta senza parole. Che fosse lui non vi erano dubbi, che fosse reale anche, ma il come era tutta un'altra storia. Non sapeva davvero cosa aspettarsi. Forse un fulmine dal cielo, un'orda di demogorgoni in procinto di uscire dal velo come stuolo di Donovan. Di certo non una vecchia guarita miracolosamente dalla cecità e Thomas Montgomery scarcerato nel giro di due minuti. Dire che fosse confuso sarebbe stato riduttivo. Lui, che il futuro non poteva prevederlo ma ne calcolava sempre ogni variabile con maniacale precisione, per la prima volta si sentiva completamente privo di punti di riferimento di fronte a ciò a cui stava assistendo. Era come giocare a scacchi con un avversario, solo per poi rendersi conto a partita inoltrata che l'altro stesse in realtà giocando a un gioco completamente diverso di cui non si conoscevano le regole. E senza regole, Percival si sentiva completamente perso. « La Polisucco. Non ce l'ho più. Il mio tempo sta per scadere. Ho meno di dieci minuti prima di.. » Ci mancava solo questa. Annuì veloce, cercando con lo sguardo la via d'uscita più vicina. « Tieni il profilo basso e resta di fronte a me. Passo spedito. Non guardarti alle spalle, sono dietro di te. » proferì a voce bassa e monotona, cercando di non dare troppo nell'occhio. La figura di Percy poteva facilmente coprirla mentre raggiungevano l'uscita. Dubitava che qualcuno avrebbe fatto troppo caso a loro nel marasma generale. L'importante era non rendersi un target con movimenti troppo bruschi e tirare dritti. Facile a dirsi. « Percy! » Cazzo! Poggiò una mano sulla spalla di Amunet, intimandola a fermarsi momentaneamente. « Ma che diavolo è appena successo? Ne sai qualcosa? » « Mh onestamente non era nella mia bingo card della giornata. » Cercò di rispondere prontamente, nella speranza di dileguarsi in fretta dalla conversazione e dal Ministero stesso. Non sapeva se potesse fidarsi di Nate - o di chiunque altro - in quelle circostanze, dunque preferiva non giocarsela. «
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    Stiamo cercando di uscire e- »
    Quando lo sguardo dell'ex compagno si posò su Amunet, passando velocemente dalla confusione alla realizzazione, un brivido gelato percorse la schiena di Percy, che strinse la presa intorno alla bacchetta riposta nella tasca del mantello, pronto a intervenire qualora ce ne fosse stato bisogno. Certo, a quel punto più che un'andatura svelta, la loro sarebbe dovuta diventare una fuga - ma che altra scelta aveva? « Tieni, cerca di coprirti con questa. » Fu allora che la presa intorno all'arma si allentò appena, portandolo a puntare lo sguardo in quello di Nate in silenzio. Perché la stesse aiutando e cosa gli tornasse in tasca, Percy non poteva saperlo, ma forse non era nemmeno quello il momento per fare domande. « Dobbiamo raggiungere i camini, il prima possibile. » Annuì. « Con Thomas vicino attiriamo troppa attenzione. La vedranno. » Praticamente sarebbe stato come puntare una freccia luminosa su Amunet e chiedere di guardare da quella parte. Sospirò, voltandosi in direzione dei giornalisti che sgomitavano per arrivare a loro. Sospirò. « Coprimi un attimo. » chiese a Nate, indicandogli con un cenno del mento quello spazio che avrebbe coperto la visuale dei loro tampinatori. Non appena fu sufficientemente coperto spostò la bacchetta nella fondina dei pantaloni, sfilandosi il mantello per metterlo sulle spalle di Tom e tirargli il cappuccio sul capo. « Voi due andate avanti con lei. Vi hanno già visti insieme a Tom. Io vi seguo a pochi passi con lui. Ci vediamo al solito posto. » Rivolse un'occhiata eloquente a Nate, che avrebbe inteso il luogo di cui parlava. E detto ciò, fece loro cenno di avviarsi per primi in direzione del camino.

    Interagito con Mun, Nate, Tom e Freya

     
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