{CHAPTER III} 1. The Fall - Inverness

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    All'alba del 14 ottobre il canto stridulo di un corvo solitario ha scosso la quiete di tutta la città. Le strade un tempo silenziose si sono riempite di un brusio sconsolato, fatto di interrogativi senza risposta alcuna. La luce dell'alba non riesce a penetrare l'oscurità che avvolge Inverness; la città dei lycan è sotto l'assedio di una pesante coltre di nubi. Le strade che un tempo risuonavano di passi decisi e orde di onorevoli guerrieri sono ora avvolte nel silenzio interrotto solo dal crepitio delle torce e dal sibilo dei venti gelidi. Il silenzio degli abitanti è sconsolante, come se un potere oscuro avesse tentato di divorare ogni anima e ogni traccia di volontà e vita. Nessuno ha il coraggio di alzare la voce; nessuno osa chiedere, paralizzati da un presentimento che appare più di un semplice presagio. I fuochi fatui, un tempo amici dei cacciatori e fedeli compagni dei lycan, danzano ora nell'aria, sprigionando un bagliore sinistro che preannuncia la disgrazia della fu fiorente città. Le ombre di qualche squadra in movimento si allungano sulle vie deserte, testimoni mute di un'agonia che non c'è, ma arriverà. « LA CITTÀ SOTTERRANEA È CADUTA! Le armerie sono inagibili! Evacuate donne, anziani e bambini. » si sente in lontananza. « FATE ATTENZIONE AI FUOCHI! » La città sotterranea, da secoli il cuore dell'intelligence di Inverness è crollata su se stessa, diventando eterno luogo del riposo per chi al momento dell'accaduto si trovava in servizio. È venuta meno una parte del Corpo di Ricerca e, assieme a loro, preziosi materiali e armi dei lycan hanno trovato lì la loro tomba eterna. Quanti tesori persi, quanta storia sepolta. All'ombra della cattedrale al centro della città, i fuochi fatui ancora integri, si radunano attorno alla fonte di una luce oscura, il paziente zero, il primo fuoco fatuo incantato da Pius Bauldry. Un semplice tocco della creatura blu notte basta affinché la luce azzurrognola dei fuochi sani venga irrimediabilmente compromessa. E' successo per mesi, ma nessuno se ne è accorto; i fuochi corrotti sono rimasti a lungo nascosti e hanno acquisito sufficiente influenza sui sistemi di rilevazione dei lycan da passare indisturbati fino al giusto momento. Oggi è il giorno in cui compiranno il loro scopo. « Signore, i nostri collegamenti non funzionano. Non siamo in grado di smaterializzarci. » Anche i Portali, quelle pietre levigate biancastre, che per secoli hanno permesso ai cacciatori di spostarsi da una roccaforte all'altra, sono stati disinnescati. La civiltà dei lycan sembra così crollare su se stessa e anche le voci più ferme e lapidari appaiono spezzate dal peso di un potenziale fallimento della culla dei cacciatori. « Chiamate gli warlock. Senza le nostre difese, siamo impotenti contro il vero nemico. » Tra i lycan il vero nemico è sempre stata una paura tangibile; l'unica di fronte alla quale persino la loro influenza ha sempre presentato lacune. Seppur il branco abbia fatto di tutto per proteggersi dalle insidie della Loggia, oggi appare più evidente che mai che il vero nemico è sempre un passo avanti a loro, e spezzare la loro secolare culla non è mai stato impossibile. Dalle difese esterne si levano voci funeste, notizie raccapriccianti. Stormi di fuochi fatui corrotti hanno lasciato la Città Santa e si stanno dirigendo verso i vari punti di accesso alle Highlands e verso Hogwarts. E allora il Corpo di Sicurezza si divide; gran parte della Guarnigione e della Brigata Aerea parte verso Hogwarts e verso i vari punti di accesso al Libero Stato di Inverness per dare supporto, difendere i più piccoli ed evacuare i più deboli. Ma dove andare? Cosa fare? Con nessuno di cui fidarsi, e il mondo intero contro, i lycan possono fidarsi solo di loro stessi. « Fate confluire tutti all'alveare e a Hogwarts e fate aprire portali verso le principali abbazie del Credo. In questo momento la priorità assoluta è la sicurezza degli abitanti. » E così sotto la guida dell'Alfa il Corpo di Sicurezza si divide setacciando strada per strada, casa per casa, alla ricerca di chiunque abbia bisogno di aiuto per raggiungere il Centro di Addestramento di Inverness. Ci sono bambini e anziani, alcuni abbandonati a loro stessi, alcuni troppo spaventati dalle presenze maligne che scuotono dalle fondamenta le mura della Città Santa. Nel groviglio di agitazione del mattino nessuno ha tempo di rendersi conto che le mura esterne della Cattedrale di Saint Michael, uno dei simboli della florida civiltà, stanno via via cedendo, scosse dalla forza scellerata dei fuochi fatui che fanno tremare l'edificio dalle fondamenta. Sotto gli occhi degli abitanti in fugga, il campanile più alto crolla nel bel mezzo della piazza principale di Inverness, schiacciando sotto le macerie chiunque non abbia avuto il tempo di reagire all'impatto. Fermare i fuochi fatui è impossibile; non vi è incantesimo o fattura umana che sia in grado di fermarli e allora l'unica possibilità e evitarli e fuggire. « USATE I PATRONUS! I PATRONUS RIESCONO A SCACCIARLI! » Si sente ancora una volta dai tetti. E il patronus, per chi si oppone alla distruzione di massa dei fuochi fatui è l'unica speranza di salvezza.

    L'attacco dei fuochi fatui corrotti è cominciato all'alba ma i suoi effetti si sono visti solo quando la città sotterranea è crollata. Il crollo del campanile avviene attorno a metà mattinata. E' qui che inizia la role. Siete liberi di ruolarvi gli avvenimenti come più considerate adeguato. Inverness è un'area aperta; l'obiettivo di tutti i personaggi è raggiungere l'Alveare. I fuochi fatui non rispondono ad alcun incantesimo. L'unica chance che avete è evitarli e tentare di muovervi tra gli edifici che via via stanno crollando. I fuochi fatui non sono pericolosi e non sono in grado di nuocere alle persone, ma la loro influenza sull'ambiente può risultare fatale. Il patronus li tiene lontani dalla propria posizione esattamente come accade con i Dissennatori.
    Scadenza 1° turno: 21 settembre
    Durante un turno potete fare quanti post preferite. Qualora fosse necessario, il master interverrà anche prima. Se la partecipazione dovesse essere molto positiva, la scadenza del turno potrebbe essere anticipata.



     
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    Inverness, 6:10 am

    La mattina del 14 ottobre Otis Branwell era sveglio da prima che il confine con la notte fosse stato superato da sufficiente tempo da far rientrare l'orario indegno a cui aveva aperto gli occhi nel concetto, appunto, di mattina. Il sole stava soltanto cominciando a illuminare il cielo notturno, senza davvero riscaldarlo, e la campagna che circondava la casa di Otis e della sua famiglia era avvolta dalla nebbia condensata dalla rugiada. Non era riuscito a dormire granché, e alla fine si era arreso, tirandosi su dal letto caldo ma incredibilmente inospitale, un nodo allo stomaco di cui non riusciva a liberarsi e un mal di testa impetuoso, che non aveva avuto la grazia di lasciarlo stare neanche per un momento durante tutta la breve e infinita nottata. Seduto ad uno degli sgabelli della cucina, riusciva a sentire soltanto il proprio respiro, interrotto dai risucchi del caffè che sorseggiava dalla sua tazza preferita. Il rilancio del giornalino era un giorno importantissimo, questo era vero, e in una certa qual misura si aspettava tutta quella trepidazione; aveva preferito tornare a casa propria nei giorni preparatori al lancio, invece di rimanere nel proprio alloggio condiviso con Émile, l'aria difficilmente respirabile che si creava nel dormitorio decisamente troppo per i suoi nervi così tesi. Eppure non c'erano tracce della familiare trepidazione, mista a nausea, sì, ad una certa dose di ansia e paura, senz'altro, ma comunque sostanzialmente positiva: Otis aveva semplicemente un pessimo presentimento. Cercava di decifrarlo, massaggiandosi le tempie, il pensiero intrusivo che forse avrebbe dovuto dare ascolto a quella sua naturale inclinazione, e la razionalità che gli suggeriva che non fosse mai diventato particolarmente abile nel padroneggiare la propria sensitività. Ti stai facendo suggestionare, te la stai solo facendo sotto per il lancio. La scelta di far ripartire la redazione proprio quel giorno era stata rischiosa, ma la seduttività simbolica del momento era stata irresistibile: la nuova luna, l'eclissi solare, e una notizia così importante per il mondo magico in generale come la decisione del Ministero inglese di condannare a morte due creature fantastiche erano state un mix di fattori che avevano fatto pensare che non potesse che essere un successo, un rilancio in stile. Avevano interviste interessanti, vere, esclusive persino, notizie serie, concrete, importanti: rappresentava tutto ciò che il giornalino avrebbe dovuto essere da quel momento in poi, e inaugurare il nuovo anno e la nuova edizione senza poter coprire un evento così scioccante e rilevante come quello che si sarebbe svolto a Londra di lì a qualche ora sarebbe stata una mancanza inaccettabile. Aveva insistito tanto: sabato alle 9 di mattina, punto e basta. Difficilmente aveva tenuto il pugno duro in quel modo: si era sentito un po' fiero di sé. Sul bancone, nella penombra, l'edizione del Nottetempo del giorno prima se ne stava ripiegata in modo da mostrare le facce di Vladimir Isakovic e Diego Alonso Fernandez, incatenati e urlanti, tanto che a Otis parve di riuscire a sentirli, e fu come ipnotizzato da quella visione, al punto che dovette girare il quotidiano dall'altro lato, in uno scatto angosciato. Quello che stava succedendo negli ultimi mesi era innegabilmente strano, e ancor di più triste, tragico, orrendo – ma Otis sentiva che non fosse tutto lì. Chiunque, non soltanto un legilimens, avrebbe concordato con lui. Erano settimane che il Corpo di Sicurezza lavorava giorno e notte, instancabilmente, addirittura coinvolgendo tirocinanti addestrati ad hoc per poter entrare nelle fila dell'esercito il prima possibile. Si preparavano a qualcosa. Prese un lungo sospiro, scuotendo la testa, cercando di mantenere il focus sul da farsi. L'orologio segnava le sei e dieci: si sarebbe lavato, vestito, e sarebbe andato al Campus, per assicurarsi che per le nove la prima edizione del Sonorus stampata la sera prima fosse pronta per essere distribuita, e si sarebbe dimenticato di qualunque cosa quella orrenda sensazione che aveva addosso fosse. Fu mentre si alzava dallo sgabello che ne vide uno. Una sfera di luce azzurra. Si immobilizzò, aggrottando la fronte, gli occhi cerulei che si spostavano lentamente verso il bagliore, ormai svanito. Ma ne era certo: aveva appena visto un fuoco fatuo sfrecciare fuori dalla sua finestra. «È strano.» Bisbigliò, avvicinandosi al davanzale sopra al lavandino. Non dovette aspettare molto tempo per vederne un secondo. Quando aprì la porta di casa, attento a non fare troppo baccano, non avrebbe saputo dire quante ne aveva contati: forse venti, forse di più. Sembravano muoversi con intenzione, sinistra determinazione. Sembravano all'attacco. Richiuse immediatamente la porta, il cuore che per qualche motivo che non riusciva ancora a spiegarsi batteva come un tamburo senza sosta. «Non è normale». La cucina venne illuminata da quelle tinte scure e bluastre, quasi fluorescenti, mentre la fiotta di fuochi continuava a volteggiare verso una meta non chiara. Erano pericolose? Che cosa poteva essere? E d'improvviso si ricordò, capì il perché di quell'ansia che montava: un anno prima, nell'ufficio di Bauldry, ne aveva visto uno assumere lo stesso colore scuro anomalo che avevano quelli che intravedeva adesso. Quella volta la fiammella era entrata, azzurra brillante ed estremamente vivace, e così com'era venuta se n'era andata poco dopo, quando l'avevano catturata, ma diversa, più scura, in qualche modo meno rassicurante. La vicenda gli era parsa strana anche allora: non gli era chiarissimo a che cosa servissero, ma sapeva che l'Intelligence di Inverness e i cacciatori ne facessero uso continuamente, sopratutto quando si trattava di avere a che fare con la loggia nera. Li vedeva spesso in giro, ma adesso c'era qualcosa di completamente diverso in quelle creature luminescenti. Cosa avrebbe dovuto fare? Parlarne con qualcuno? Chiedere a sua madre? O era del tutto normale, e si stava immaginando tutto? «Non è il momento.» Si disse convinto, e ubbidì a se stesso: si diresse di sopra, fece una doccia veloce, sforzandosi di concentrare tutte le proprie energie mentali sul Sonorus e su nient'altro. Se ci fosse un pericolo lo sapresti, no? No. Quando mai ti hanno informato dei pericoli? Sei letteralmente sempre l'ultimo a saperlo.

    Inverness, 8:16 am

    Era in ritardo, e sapeva per certo che avrebbe trovato una tale fila alla passaporta per Hogwarts che avrebbe dovuto prendere quella delle 9, probabilmente, e Alena avrebbe avuto un motivo in più per gongolare. Era stato soltanto qualche minuto dopo essere uscito di casa, lo zaino pesante in spalla e la sciarpa dai colori neri e ocra in cui nascondeva il viso, che si era reso conto del silenzio. Era stato quello a colpirlo, dapprima, e prima di rendersene conto si erano ripresentati, come avevano fatto prima a casa, quei fuochi dal colore più scuro del solito. Ne aveva colto il bagliore soltanto con la coda dell'occhio, non era sicuro. Alzò la testa dal proprio cellulare, estratto per cominciare a digitare un messaggio per avvisare Alena del proprio ritardo. Lo spettacolo che gli si parò davanti agli occhi non avrebbe mai potuto prevederlo. I fuochi tempestavano il cielo, volteggiavano ovunque, e sembravano muoversi con violenza. Otis non seppe se arrestarsi o continuare. In strada non c'era nessuno, solo qualche squadra in movimento. Fu incredibile quanto tempo gli ci volle per capire che tutto ciò che sembrava star accadendo stesse realmente accadendo: Inverness era stata presa d'assedio. «LA CITTÀ SOTTERRANEA È CADUTA! Le armerie sono inagibili! Evacuate donne, anziani e bambini. FATE ATTENZIONE AI FUOCHI!» Si limitò a fissare, osservare il cielo sinistro e inquietante coperto di luce oscura, guardare le guardie che comunicavano forsennate tra di loro, e cominciavano ad accompagnare gli abitanti fuori dalle loro abitazioni. «Cosa succede? Dove li portate? Dove sono tutti?» Nessuno avrebbe avuto tempo di dargli spiegazioni, era evidente: erano tutti nel panico. Si guardò attorno, cominciando a venire travolto dalle persone che venivano scortate di corsa, mentre lampi di incantesimi completamente vani venivano lanciati verso le creature evanescenti. Non c'era modo di arrivare ad Hogwarts, adesso. Prese a seguire un gruppo di donne e bambini, condotti verso un'abbazia lì vicino. A quel punto nella mente di Otis non esistevano più dubbi rispetto al tipo di attacco che stavano subendo. «Mio marito... È nel Corpo di Ricerca... Ditemi, vi prego, sta bene?» La guardia agì come se non avesse neanche sentito quella domanda. Otis sentì che aveva paura, ma aveva bisogno di risposte. Gli si avvicinò, provando a farsi strada tra le persone. «Dove sono Mia e il capitano Yagami? Sono... Sono vivi?» Un tentativo vano, ma che andava fatto. «Dobbiamo aspettare gli warlock. Seguitemi e cercate di fare attenzione». Otis cercò di passare in rassegna mentale tutte le persone che conosceva e che potevano essere in pericolo in quel momento, un pericolo che ancora neanche capiva. Sua madre? I suoi fratelli, a Hogwarts? Nessie, Ronnie, Emi? I ragazzi del giornalino? I fuochi sarebbero arrivati fin lì? Intravide Beatrice Morgenstern farsi strada tra le persone, circondata dai membri del branco. «Fate confluire tutti all'Alveare e a Hogwarts e fate aprire i portali verso le principali abbazie del Credo. In questo momento la priorità assoluta è la sicurezza degli abitanti». Sì, sarebbero arrivati anche ad Hogwarts. Era da solo. Nessuno gli avrebbe spiegato un cazzo, e non c'era modo di sapere come stessero i suoi amici più cari.


    Di base non ha fatto un cazzo: sta seguendo delle persone per poter raggiungere un monastero del Credo e si sta disperando perché non sa come e dove stanno i suoi amiki. Intercettatelo se siete a Inverness teniamoci la manina.
     
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    Silenzio. È da diverso tempo che non dice niente. Le voci degli altri le giungono ovattate, ma lei, non può fare a meno di prendersi un momento per raccogliersi in preghiera di fronte a quella che è diventata a tutti gli effetti una tomba. Non c'è tempo per disseppellirli, né in quel momento si è nella giusta posizione per concedersi la fatica di tirarli fuori. Nessuno lì sotto è vivo. Hanno tentato di raggiungerli col contatto sin da quando le interiora della Città Santa sono crollate. Ha sentito ogni brandello schiacciato; fa male morire soffocati, schiacciati da quelle stesse mura che avrebbero dovuto proteggerli. E a chi dare la colpa? Con chi prendersela. Chi aveva compiuto tutto quel orrore? È la prima volta che apre il contatto dall'altra parte del muro senza preoccuparsene di far saltare la copertura di Percy. A cosa erano serviti tutti quei segreti in fondo? La sua presenza a Londra non aveva portato a nulla se non a dividere un padre dai propri figli e un lupo dal proprio branco. È già la seconda volta che assiste inerme al dolore dei suoi fratelli, i suoi figli. « Mettiti in contatto con la rete di Londra e trovateci un passaggio sicuro. Da Inverness o da qualunque altro posto. » Si alzò di colpo in piedi osservando la propria metà stringendo i denti. « Quando Inverness verrà messa in sicurezza vengo a Londra. » E Dio mi perdoni per quello che succederà. Per ognuno dei nostri pagheranno dieci dei loro. Perché di una cosa Tris era sicura. Quella non era opera della Loggia. Qualcuno ha manomesso i fuochi fatui. E quel qualcuno ha scommesso tutto su chiunque ci sia dall'altra parte. Dicendo ciò si dilegua lasciandosi alle spalle le macerie della città sotterranea. Si dirige piuttosto a passo felpato verso la piazza principale, là dove il campanile più alto della cattedrale è già rovinosamente caduto. I fuochi fatui scuotono le mura della chiesa dalle fondamenta. La giovane alfa rivolge la bacchetta verso la propria gola per amplificare la propria voce. « A Inverness ogni casa ha una propria armeria. Man mano che gli abitanti vengono accompagnati all'Alveare dovete recuperare più armi, pozioni ed erbe possibili. Chi si dirige all'Alveare non può andare a mani vuote. Ci servirà tutto ciò che possiamo portare con noi. » Perché indipendentemente da chi tornerà nella città, Tris non intende tornare indietro. « Proteggete i fuochi fatui integri. » Se ce ne sono ancora. « Muovetevi in piccole squadre. Nessuno deve rimanere solo. Per ogni squadra a terra, voglio almeno un paio d'occhi dall'alto. Il resto della Brigata Aerea deve tenere i fuochi fatui lontani dalle mura e dalle barriere magiche. » Proprio in quel momento, si accorse che un cornicione era sul punto di crollare rovinosamente sopra la testa del giovane Otis Branwell. Mai più che in quel momento volle che i più giovani non si trovassero in città. Volse velocemente la bacchetta in direzione delle macerie, castando un veloce Immobilus facendo cenno al moro di sposarsi. « Svegliati Otis! O sei d'aiuto o se d'intralcio. » Asserisce di colpo alzando la voce contro il ragazzo un po' troppo allarmata. Un momento di debolezza, il cedimento di chi non riesce a vedere qualcun altro morire. Si muove quindi con sicurezza tra le persone alla ricerca dell'unico altro capitano rimasto a Hogwarts. Tocca appena la spalla di Raiden con cautela per poi sospirare. « Da qui io vado a Londra. Prenderò una squadra piccola. » Pausa. « Quando avremmo ristabilito la sicurezza della città anche qui ci vorranno persone fidate. Ci penserete tu ed Harry al Corpo di Sicurezza. » Non è difficile immaginare cosa gli sta dicendo. Lascia il comando a loro. E vorrebbe anche aggiungere altro, disposizioni, istruzioni, segreti della città che un custode dovrebbe sapere. E questo ciò che gli sta dicendo? Sta per diventare custode della Città Santa? « Perdonatemi. Abbiamo un problema. » È una giovane lycan ad avvicinarsi a loro, mentre altri lycan e membri della Squadra Aerea e della Guarnigione si radunano attorno a loro. « Il governo giapponese ci ha negato l'apertura dei portali. Temono che qualunque cosa stia succedendo qui possa arrivare anche là. Gli warlock possono accoglierne una parte, ma non c'è spazio per tutti. » Maledizione. « E le abazie? » La bionda scuote la testa deglutendo. « I nostri portali non accedono ai luoghi consacrati. C'è un certo raggio attorno ai luoghi del Credo a cui noi non possiamo accedere. Nessuno potrebbe. » E il fatto stesso che portali si aprivano a Inverness da tempi immemori dimostrava che lì, a casa loro, nel luogo che consideravano più sicuro, qualcosa era accaduto. « Porteremo tutti nelle città più prossime ai vostri luoghi di culto, ma per creare un contatto diretto, dovremmo avere accesso alle fondamenta delle vostre difese. È un processo lungo e - non abbiamo tempo. Siamo in ogni caso al lavoro sui fuochi fatui. » Lo sguardo di Tris non lasciò molto spazio all'interpretazione. « Proveremo a fermarli. Ma il processo non è reversibile. Le anime sono state corrotte. » Tris annuì passandosi una mano tra i capelli. « Quindi dobbiamo resistere.. » Resistere era una grossa parola quando tutto stava crollando a pezzi e l'umore di tutti era a terra. I lycan, specialmente, erano stati duramente colpiti da quelle perdite, ed era evidente fossero tutto fuorché concentrati.

    Interagito con Otis e Raiden. Il discorso della warlock può essere sentito da chiunque. Sksate porto cattive notizie.



     
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    Il Ministero della Magia era in fermento e pochi Auror si trovavano effettivamente nella sede del loro dipartimento quando un gufo proveniente da Flindrikin atterrò sulla scrivania di uno dei pochi addetti rimasti di turno. Gli bastò leggere quelle poche righe per spalancare gli occhi, correndo subito alla porta di Philip Collins. « Signor Collins!! I territori di Inverness sono sotto attacco. Gli Auror di Flindrikin dicono si tratti di fuochi fatui corrotti dalla magia nera. Stanno creando devastazione ovunque e si dirigono verso Hogwarts! » Ricevuto quel report, Collins comprese subito che questa era un'opportunità unica per riconquistare il castello e riappropriarsi dei territori usurpati dalle forze del Credo. « Chiamiamo all'adunata gli altri. Ogni Auror non addetto al controllo dell'evento al Ministero deve dirigersi immediatamente a nord. Avvisa il Ministro Campbell che oggi riprenderemo il castello. »
    Con fermezza, il Capo Auror radunò i team a Flindrikin, ormai abbandonata dai lycan - corsi ad assistere i loro compagni nel fronteggiare la minaccia dei fuochi. Sui visi degli Auror era chiara la preoccupazione, ma la decisione nelle parole di Collins diede loro speranza: « Abbiamo una chance unica di agire. » dichiarò con determinazione « I fuochi fatui corrotti hanno creato una distrazione ad Inverness, e dobbiamo sfruttarla. Hogwarts è stata sotto il controllo dei lycan per troppo tempo. È giunto il momento di riconquistarla e restituirla ai nostri figli. » Gli Auror annuirono, pronti per l'azione. Con Collins a guidarli, si prepararono per il difficile compito che avevano di fronte. Bacchette alla mano, alcuni si diressero ad Hogwarts, altri in punti strategici delle Higlands, e altri ancora - capitanati dallo stesso Capo Auror - a Inverness, nel cuore della devastazione.
    Giunti a Inverness, la città era irriconoscibile. I fuochi fatui corrotti avevano seminato il caos, e l'arrivo degli Auror non fece altro che gettare benzina sul fuoco di quella situazione disperata. Sapevano che dovevano agire rapidamente, ma con precisione: i cacciatori erano forti e non sarebbero caduti senza un'ostinata difesa. Nel fragore di incantesimi che si scontravano e tingevano di lampi colorati il cielo di quella tarda mattinata, la lotta si faceva sempre più intensa. Le strade fattesi campo di battaglia, con edifici bruciati e vie costellate di detriti erano testimoni di una distruzione senza precedenti. Gli ordini di Collins erano chiari: combattere senza tregua, senza pietà, fin quando la Città Santa non sarebbe caduta e i suoi esponenti consegnati alla giustizia.

    Al caos creato dai fuochi fatui si aggiunge l'arrivo degli Auror capitanati da Philip Collins, il quale ha disposto tutte le forze del Corpo Auror allo scopo di riconquistare Hogwarts e i territori strappati al Ministero, ponendo fine al dominio di Inverness. Approfittandosi della situazione disperata e dell'indebolimento dei cacciatori, gli Auror sono penetrati nei territori scozzesi e stanno ingaggiando la lotta con le squadre di Inverness allo scopo di espugnarla. Chiunque si trovi nella zona della città è un nemico.
    La scadenza del turno rimane fissata al 21 settembre.



     
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    « Vaffanculo - pezzo - di - merda - eccheccazzooo! » Queste e altre scurrili esclamazioni lasciavano le labbra di una sempre più infuriata Malia Stone, la quale accompagnava ogni parola con vigorosi colpi di bacchetta indirizzati in punti precisi di fronte a sé. E pensare che vi ho sempre reputato carini, commentò tra sé e sé, mentre l'ocellotto luminoso che scaturiva dalla sua bacchetta cacciava via con un balzo felino i fuochi fatui più vicini. Era ancora impossibile capire da cosa fosse scaturito l'attacco - e cosa ancora li aspettasse, perché quello era chiaramente solo l'inizio - ma al momento bisognava pensare a resistere, e organizzare la difesa nel migliore dei modi. Sorvolava i cieli di Inverness a cavallo di una Nimbus 3000 alquanto vecchiotta, che aveva recuperato in maniera fortuita all'alba, quando alle prime avvisaglie dell'attacco era stata buttata giù dal proprio letto con prepotenza. In un raro momento di pausa, ebbe occasione di posare lo sguardo sul panorama sotto i suoi piedi, e avvertì immediatamente una morsa allo stomaco: la città stava crollando su se stessa. Aveva assistito al crollo del campanile dall'alto, senza poter fare nulla. Quando cominciò a calcolare a mente chi avrebbe potuto trovarsi sotto quelle macerie, un brivido le percorse la nuca. Era quasi ridicolo come fosse ormai in grado di fare quei pensieri con tanta freddezza.
    Passò in rassegna le strade, scrutando tra le macerie, alla ricerca di un segnale, qualcuno che potesse avere bisogno d'aiuto: tutto taceva. Quando intercettò le figure di Tris e Raiden, planò velocemente nella loro direzione con la scopa, saltando giù ancora prima che questa fermasse la propria corsa, ad un paio di metri da terra. Salutò Raiden con un cenno del capo, guardò poi Tris. E pensare che ieri sera stavamo bevendo vino e sparlando dei vecchi compagni di Hogwarts. « Siamo riusciti a capire che cazzo è successo? » domandò spicciola. Ma non ricevette risposta, perché venne interrotta da qualcun altro. « Perdonatemi. Abbiamo un problema. » Un altro? Restò in silenzio, ad ascoltare lo scambio tra Tris e la giovane, l'espressione che si faceva man mano più affranta ad ogni nuova nozione rivelata dalla ragazza. Malia guardò Tris. Tutti guardavano Tris. « Quindi dobbiamo resistere... » E resistere significava rimanere intrappolati lì, a difendersi dal crollo degli edifici di una città che un tempo li aveva protetti, e che ora li uccideva. L'aria era carica di tensione, dolore e amarezza. Malia respirò a fondo. « E resistiamo » annuì, ripetendo le parole del Comandante della Sicurezza. Si guardò intorno, cercando l'assenso degli altri componenti. « Non abbiamo comunque alternativa. Raduniamo un gruppo di noi intorno a civili da difendere e nel frattempo... » Non riuscì però a completare la frase, perché all'improvviso fu travolta da un bagliore rossastro e, prima che potesse reagire o capire cosa stesse accadendo, si ritrovò ad essere scaraventata contro un mucchio di macerie. Le fu necessario qualche secondo per realizzare cosa era accaduto. Quando si mise a sedere, un po' dolorante per l'impatto subito, li vide. « AH! Ma che diavolo... » Erano tre uomini e una donna. Non fu difficile capire. Auror. Li stavano attaccando. « Eddai però! » si lamentò, scattando all'impiedi e chiudendo le dita intorno alla propria bacchetta. Anche questa non ci voleva. Iniziò a farsi strada tra le saette colorate degli incantesimi scagliati da entrambe le parti, lanciando a sua volta attacchi contro gli intrusi. « Diffindo! Stupeficium! » Intorno a lei era esploso il caos. Mentre correva tra le macerie, era costretta a scansare gli incantesimi di entrambe le parti. Riuscì a tirare un sospiro di sollievo solo quando intercettò la propria scopa tra le macerie. La richiamò con la bacchetta, e stava per decollare, quando una figura in mezzo a quel fuoco incrociato catturò la sua attenzione. « Branwell! Con me! » Prese la rincorsa con la scopa, volando ad altezza d'uomo fino a quando non lo raggiunse. « Sali, forza! » incalzò, tentando di prendere tempo, scagliando un Incarceramus contro uno degli Auror che avanzavano nella loro direzione. « Reggiti forte a me » fu l'unica raccomandazione che gli diede, prima di decollare verticalmente, decisa a prendere quota il prima possibile, per scomparire dalla loro vista. Mentre si sollevavano, trovò per un istante gli occhi di Tris in mezzo al branco. Accennò con lo sguardo ad Otis, alle sue spalle, e sembrò volerle comunicare con gli occhi. Lo porto al sicuro. Tu intanto non farmi brutte sorprese. Una volta sollevati da terra, la situazione (ovviamente) non era da meno rispetto a quella di terra. Non passò neanche qualche minuto prima che i due si ritrovassero una coppia di Auror che volavano nella loro direzione, decisamente malintenzionati. Io oggi butto un grido. « Branwell, eri tu quello che ha vomitato a maggio dopo la lezione sul Wronski Feint? » chiese, accigliata, tenendo il manico di scopa ben saldo con la mano sinistra e la bacchetta con la destra. « Disclaimer: ora ti faccio fare un po' di zig-zag. Tu pensa alle montagne russe e vedrai che ti diverti. » Insomma.

    [spoiler_tag][/spoiler_tag]interagito con Tris, salutato Raiden.
    Nel frattempo sono arrivati gli Auror ad attakkare tutto. Ha preso Otis povero ancyelo indifeso e l'ha portato via sulla scopa


     
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    Raiden si era spesso chiesto se sarebbe arrivato il giorno in cui la morte e la devastazione lo avrebbero colpito al punto da farlo crollare, se quell'assuefazione alla tragedia avrebbe prima o poi trovato un naturale limite. D'altronde la reazione più normale di fronte allo sgretolamento della propria civiltà e la morte dei propri compagni avrebbe dovuto essere il panico, la paralisi, forse addirittura la completa perdita del senno. Quando vedi le tue chance di successo farsi sempre più sottili, i tuoi compagni schiacciati come mosche e ogni tua difesa abbattuta, dovresti provare qualcosa. Disperazione. Forse a modo suo lo era, disperato. Sapeva che ormai erano stati sconfitti e messi all'angolo. La lotta contro i fuochi fatui si era rivelata vana e li aveva solo resi più vulnerabili e impreparati all'arrivo degli Auror, determinati a non farsi sfuggire quell'occasione. Eppure rimaneva lì, macchina fredda che metteva in pratica automaticamente tutto ciò che era stato forzato ad imparare quando era troppo giovane per comprenderne il prezzo. « Da qui io vado a Londra. Prenderò una squadra piccola. Quando avremmo ristabilito la sicurezza della città anche qui ci vorranno persone fidate. Ci penserete tu ed Harry al Corpo di Sicurezza. » Che fosse d'accordo o meno non importava, Raiden annuì comunque, perché quelli erano pur sempre ordini diretti del suo superiore. La situazione poteva ancora essere portata in salvo, nel momento in cui Tris aveva proferito quelle parole. Quando avevano convenuto di resistere per dar tempo agli warlock di guidare l'evacuazione, ciò che stavano vivendo appariva ancora sì tragico, ma affrontabile. Fu però la scintilla rossa che colpì Malia Stone a cambiare le carte in tavola. « Protego! » castò rapido, evitando per un soffio che il secondo schiantesimo finisse per infrangersi su di lui. « Mia, porta Haru lontano. Fatti aiutare da Eriko. » erano le parole che aveva rivolto alla moglie tramite il contatto quando aveva visto gli Auror entrare in città. Era stato quello, d'altronde, il momento in cui aveva capito che la città era persa, e che tutto ciò che potevano fare era tentare di guadagnare tempo per salvare quante più persone potessero. « Vi raggiungerò dopo. » E voleva farlo, voleva davvero. Se l'onore gli imponeva di rimanere sul campo di battaglia fino alla fine, anche a costo della vita, la responsabilità nei confronti della sua famiglia gli impediva di lasciare Haru senza un padre. Tuttavia in quel momento Raiden doveva essere Capitano prima di tutto il resto. « Si stanno muovendo compatti. Dobbiamo
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    attirarli in punti diversi. Voi! »
    indicò un gruppetto di lycan alla sua sinistra, tra cui le due Delgado « Venite con me. Li attiriamo alla vecchia distilleria. » Detto ciò fece cenno al gruppetto di seguirlo, facendosi largo a colpi di incantesimi mentre le varie squadre cercavano di fare il possibile per rompere le fila degli Auror e attirarli in punti strategici della città. Tutti lo stavano facendo, compresa la loro squadra, inseguita a poca distanza da un gruppo di Auror determinati. « C'è una strada più corta per la distilleria! Se continuiamo così facciamo il giro e torniamo indietro! » la voce di uno dei soldati si levò dietro le spalle di Raiden, che nella corsa svoltò bruscamente l'angolo verso un vicolo poco illuminato, reso ancor più fosco dalla polvere dei detriti. « Venite qua. Non potevo dirlo davanti a Tris ma abbiamo un altro compito. La città sta cadendo. Tutto ciò che possiamo fare è dar tempo agli warlock di evacuare tutti. » Lo scenario di disfatta che stava illustrando loro non sembrava coincidere né con il suo tono calmo, né tanto meno con lo sguardo risoluto. « Tris non lascerà mai Inverness di sua volontà, ma deve farlo. È l'alpha. Possiamo perdere la città ma non possiamo perdere lei. » Senza lei.. siamo finiti. Non abbiamo speranze. « Non ha bisogno che le copriamo le spalle. » Per questo ha ancora sufficienti uomini con sé. « Ma quando sarà il momento, dobbiamo portarla via. Urlante e scalciante, se necessario. » Tirò un sospiro. « Nel percorso, però, diamo a Collins un po' di pane per i suoi denti. » Fece una pausa, guardando tutti i compagni di squadra negli occhi. « Tutto chiaro? »

    Interagito con Tris, Mia (tramite contatto), Sol e Lola
    Nominata Malia

     
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    La notizia era arrivata quasi immediatamente alla sede del Gruppo Peverell, il quale era entrato subito in tumulto. Quella che doveva essere una normale mattinata lavorativa piena di impegni e scalette da rispettare, era presto diventata un caotico fuggi-fuggi in cui tutti cercavano di evacuare il luogo il prima possibile - che fosse per mettersi in salvo o per confluire verso i punti colpiti dai fuochi fatui per aiutare i compagni in difficoltà. Albus sapeva di non poterli rassicurare, e in cuor suo era consapevole del fatto che ogni mago e strega adulti fossero necessari altrove; così, tutto ciò che aveva potuto fare, era stato aiutarli ad uscire in sicurezza. Con le poche guardie rimaste a Cherry Island aveva fatto in modo che l'evacuazione si svolgesse nella maniera più coordinata possibile, senza intasare i punti di smaterializzazione, i camini o le passaporte. « DI QUA! PER HOGSMEADE DI QUA! » urlava uno dei soldati della guarnigione, evocando una freccia magica a indicare la via per i camini collegati alle attività del villaggio. Come lui, altri addetti alla sicurezza smistavano il resto del personale verso i mezzi predisposti ad altre destinazioni. « Se qui avete tutto sotto controllo io ho intenzione di andare ad Inverness. » Voleva dare una mano, ma prima di tutto aveva il dovere di accertarsi che i bambini stessero bene ed uscissero dalla città il prima possibile. L'uomo aveva annuito, garantendogli l'efficienza dell'evacuazione. E così, svelto, si era smaterializzato alle porte di Inverness, trovando di fronte a sé uno scenario irriconoscibile. Non c'era nessuno a sorvegliare l'ingresso. A dire il vero, non esisteva più nemmeno un ingresso. Era tutto un cumolo di macerie, mangiato dal fuoco, dalla polvere e dall'oscurità che i fuochi fatui disseminavano. Vedere a più di un metro dal proprio naso sembrava quasi impossibile, tanto che la prima reazione di Albus fu quella di chiudere gli occhi e sollevarsi il collo della giacca a coprire bocca e naso per proteggersi dalle polveri. « Testabolla. » castò veloce, con la voce arrochita dall'aria respirata. Non appena la bolla comparve intorno alla sua testa, riempiendogli le narici di ossigeno pulito, il giovane Potter prese un profondo respiro, avviandosi di corsa per le vie accidentate della città, in direzione dell'alveare.
    La situazione nel punto di ritrovo non era migliore. Nonostante la guarnigione tentasse di mantenere la calma tra i presenti, era chiaro che gli animi stessero iniziando a scaldarsi e il panico a dilagare. Lo stesso panico che provava Albus, il quale si faceva strada sgomitando e sporgendosi sopra la folla per cercare di individuare dall'alto le teste dei suoi bambini. Chiamava i loro nomi ad oltranza, chiedendo a chiunque si trovasse accanto a lui se li avessero visti, ma ciascuno era troppo preso dai propri cari per sapergli dare una risposta certa. « Sono due bambini. Un maschio e una femmina. Stanno insieme a una signora anziana. Molly Weasley. La conosce sicuramente. » Ma tutti scuotevano il capo. Il panico cresceva di secondo in secondo, rendendo i suoi respiri sempre più affannati mentre cercava i piccoli senza tregua. Li ho lasciati da soli. È colpa mia. Sarei dovuto venire qui subito quando ho saputo la notizia. Ma poteva? Poteva davvero lavarsi le mani di tutte le persone che lavoravano per lui? Poteva essere proprio lui il primo ad abbandonare la nave che affondava? « Mia! » Quella della Yagami fu la prima vera faccia amica che riuscì ad individuare, e vi si attaccò come ad una boa in mare aperto. « Hai visto Jay e Lily? Dovevano essere con nonna Molly ma non riesco a trovarli da nessuna parte. Li hanno già fatti evacuare? Dove li hanno portati? »

    Interagito con Mia

     
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    Si immaginava una mattina completamente differente quando era andata a dormire la sera prima. Mia si sarebbe dovuta presentare all'Alveare come ogni mattina per gli allenamenti dei più piccoli. Non era andata proprio così. Quel grosso edificio che si era ormai abituata a chiamare posto di lavoro era quel giorno in subbuglio. Maghi esperti tenevano lontani i fuochi fatui grazie ai Patronus, mentre gli warlock preparavano diligentemente i portali verso le destinazioni che avevano individuato come possibili luoghi sicuri. « Mia, porta Haru lontano. Fatti aiutare da Eriko. » Quell'avvertimento e un veloce sguardo a cosa stesse accadendo sulle strade di Inverness saltando da una prospettiva all'altra le bastò per comprendere che la situazione stava sfuggendo di mano. « Raiden, per favore, fai attenzione. » Dire che quella fosse una preghiera era poco. Sapeva che non poteva chiedergli di mettersi al riparo dalla lotta. Raiden non lo avrebbe fatto in ogni caso. Tutto ciò che poteva fare era tenersi occupata. Con Haru attaccato al collo, in attesa dell'arrivo di Hanna, si avvicinò a uno degli warlock picchettando energicamente sul suo braccio. Il bambino osservò l'warlock ignaro da ciò che gli accadeva attorno, reduce dalla playlist che Raiden e Mia gli facevano ascoltare da quando era ancora nel pancione. Con quelle piccole cuffiette con orecchie da coniglie sulle orecchie, sembrava accorgersi solo in parte dei boati attorno a sé. « Cassius, non abbiamo più tempo. I bambini e gli anziani devono lasciare questo posto subito. Gli Auror sono entrati in città e questo posto non reggerà in eterno. » « Siamo pronti. Fate scendere tutti nei sotterranei quando arrivano. Il portale sarà più stabile se riusciamo a restare concentrati senza che ci caschi addosso di tutto. Poche decine alla volta. Intensi. » E così fecero. La Guarnigione stava portando in gruppi più o meno numerosi tutti i superstiti, strappandoli all'orrore delle macerie, indicando loro la via verso i portali aperti. Tra loro piccoli abitanti in lacrime, anziani spaventati e sfollati disperati. « Ho perso mio nonno! Per favore, non riesco a trovarlo nemmeno col contatto. Avrà perso conoscenza. È molto anziano e fragile. Non può stare lì da solo. » Con il cuore in gola, gli occhi gonfi di lacrime e il respiro affannato, tirò un sospirò di sollievo nel veder entrare Hanna da una delle porte sul retro assieme a un piccolo gruppo di abitanti della zona Est. « Meno male, stai bene. » « Sto bene. Raiden? Eriko e Hiroshi? » Mia deglutì stirando un veloce sorriso teso. « Raiden sta bene. Eriko e Hiroshi stanno a Hogwarts. Ci raggiungeranno attraverso i portali aperti lì. Voi partite con il primo. » Le passò Haru che attaccò subito a piangere non appena venne strappato dal collo della mamma portando Mia a provare un senso di colpa senza precedenti. Aveva fatto del suo meglio per restare calma e infondergli emozioni positive. Canticchiava nella testa le stesse canzoncine che il bambino sentiva, provando a mantenere un vago senso di allegria. Ma quando il bimbo venne staccato dal petto materno, ogni traccia di pensiero positivo venne meno. « Tieni, la copertina, e il pupazzo coniglio. Nella borsa ci sta un cambio e un altro ciuccio, uno di quelli morsicchiati, perché quelli nuovi non gli piacciono.. » Tirava su col naso, cercando di non piangere, mentre osservava il bambino dimenarsi tra le braccia della nonna. « Rimettigli Dynamite. Gli mette tanta allegria. » Disse indicandogli il piccolo MP3 nella taschina della giacchetta del bambino. Mentre Mia cercava di dare istruzioni di cui Hanna non aveva bisogno, Haru continuava a piangere. « Ci vediamo dopo. Fai il bravo coniglietto, ok? Ti riporto papà così giochiamo insieme con le lego. » E così dicendo tirò su col naso, distanziandosi dalla suocera e dal bambino, lasciandoli attraversare il portale verso la safe zone individuata dai suoi compagni d'armi e dagli warlock. Si occupò del flusso di gente per diverso tempo indicando ai più giovani e anziani la direzione da prendere, chiedendonloro se fossero con qualcuno o se avessero qualucuno che li aspettasse dall'altra parte. La situazione è tutto fuorché tranquilla. Per molte di quelle persone, Mia compresa, Inverness era casa. Lì c'erano tutti i suoi amici, la sua casa, i suoi animali. Al solo pensiero sembrò essere sul punto di piangere di nuovo. « Mia! Hai visto Jay e Lily? Dovevano essere con nonna Molly ma non riesco a trovarli da nessuna parte. Li hanno già fatti evacuare? Dove li hanno portati? » La giovane ex Serpeverde trassalì di colpo. L'emergenza nella voce di Albus Potter la portò a ispirare profondamente e ritrovare la calma che aveva tentato di mantnere fino a quel momento. « I bimbi sono già stati evacuati assieme ai loro accompagnatori. Lily e Jay sono stati evacuati assieme ai tuoi nonni nello stesso gruppo di mio figlio. » Li aveva visti. Gli occhioni di Lily grossi quanto una casa. Jay l'aveva salutata timidamente con la manina, prima di scomparire nel portale. Tu non vieni? La nonna dice che il papà e la mamma sono già là. Ci sono anche il tuo papà e la tua mamma? Mia aveva annuito con occhi umidicci deglutendo. Arrivo tra un po' gli aveva detto. « Sono nel quartiere warlock a Londra. Da lì verranno ripartiti secondo le disposizioni del Corpo di Sicurezza. » Indipendentemente dalla possibilità di restare lì o dover abbandonare il campo, si chiedeva quale sarebbe stato il loro futuro. Per qualche istante non dice niente. Poi volge lo sguardo in direzione del moro. « Era figo l'editoriale che hai scritto ieri. Si.. mi è piaciuto. Ci sai fare con le parole. Ho sempre voluto dirtelo - » Leggo anche io ogni tanto, sì. Ovviamente si era scagliato contro il possibile restringimento dei diritti delle creature magiche ampiamente anticipato dalla stampa inglese. Non sapeva nemmeno perché glielo stesse dicendo. Cerca un brandello di normalità in tutto quel caos. Che strano. Un tempo eri il ragazzo dei miei sogni e ora siamo al punto in cui ti dico che mio figlio e i tuoi sono stati evacuati da casa loro nello stesso punto. « AUROR IN ARRIVO DA EST. LE MURA STANNO CEDENDO! CIRCOLARE!! NON ABBIAMO PIÙ TEMPO! » E poi un boato improvviso. Il boato delle mura che crollano di colpo. « L'ala ovest è crollata. Sono stati gli Auror sulle scope. La Brigata è in netta minoranza. » Subito dopo una serie di urla, e un groviglio di scie luminose saettò nell'atrio dell'Alveare. « MANTENETE LA POSIZIONE FINCHÉ I CIVILI - » Boom! In un istante l'entrata dell'edificio dell'Alveare non esisteva più nè avevano più un tetto sopra la testa. « Attento! » Spinse Albus sufficientemente da evitargli il fatale crollo di un pezzo di soffitto, ma nella manovra rimase sprovvista di bacchetta che finì chissà dove tra i detriti. In quel groviglio di incantesimi, urla e ordini urlati a più non posso da una parte e dall'altra, non si rese neanche conto di quando un incantesimo la scaraventò lontana contro un muro pericolante. Alcuni mattoni le caddero addosso e un fischio acuto si sostituì al caos generale. Le luci bluastre dei Patronus saettavano nel cielo chiedendo aiuto e supporto, mentre diverse figure bardate sul cui petto riconobbe i distintivi degli Auror, penetravano nell'edificio.
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    « SETACCIATE OGNI ANGOLO! VOGLIO QUESTO POSTO RIPULITO DA CIMA A FONDO. » Non seppe dire se fosse il proprio dolore o quello di qualcun altro ad animarla. Forse furono le urla di Stacey che si dimenava tra le catene degli Auror o qualcun altro. Di certo, quando uno degli Auror le si avvicinò, Mia scosse la testa indietreggiando quasi spaventata. « Garret! Ne ho trovata un'altra. » « Lasciate stare la mia amica. STACEYYYY!! » L'Auror l'afferrò per un braccio tentando di rimetterla in piedi per arrestarla. « Eddai, bestiolina, non ho tutto il giorno. » Ma Mia ringhiava e continuava a trascinarsi a terra, cercando con gli occhi il supporto di qualcuno. Non c'era nessuno. E allora, quando l'Auror riuscì finalmente a rimetterla in piedi pronto a metterle le catene, Mia fece l'unica cosa che poteva in quel momento. Si piegò finché non riuscì ad afferrare un lembo della carne di lui coi proprie denti. Ringhiava a ansimava pesantemente, affaticata dalla brutta caduta, eppure mise tutta la sua determinazione in quel morso che portò l'uomo a urlare più forte che potesse. Anche quando mollò la presa su di lei, Mia non fece altrettanto. Piuttosto, percepito il sapore di rugine, il dolore di quel bruto, ne rimase come ipnotizzata, mentre uno dopo l'altro, le ossa di lei si spezzavano e contorcevano riportandola a una dimensione a cui non pensava potesse ancora accedere. La lupa dal manto rossiccio si avventò contro l'Auror, lasciandone in pochi istanti solo una carcassa informe, che divenne ben presto poco interessante. Ne voleva di più. Non a caso si avventò contro il braccio di un altro mago intento a scagliare incantesimi contro le scope della Brigata Aerea. Rimasto senza bacchetta, l'uomo scappò via spaventato. È incredibile. Questa forma. Questa forza. Ma era anche spaventoso. Ogni suo istinto e senso la disorientava. Poteva solo supportare chiunque fosse nei dintorni. Avrebbe voluto che qualcuno potesse sentirla, dirle che sta andando alla grande e che non stava facendo del male. Io però quell'uomo l'ho ammazzato. L'ho fatto a pezzi. Sono un mostro?

    Interagito con Albus.
    Breve recap per i mortali. All'Alveare sta cadendo tutto a pezzi.
    - L'edificio sta crollando.
    - La poca gente rimasta tenta di passare attraverso i portali e i lycan stanno mandando patronus e segnali di fumo per chiedere supporto perché la situazione è no buena.
    - Gli Auror hanno iniziato a fare prigionieri.

    Mia thanks very much si è ricordata dopo anni che è una lycan e quindi si è trasformata. Sta un po' scapocciando in queste vesti quindi se vi può servire o volete darle una mano a non mordere chiunque siete ben accetti cià. Ha morso il braccio di un tizio che stava attaccando chiunque.




     
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    Eleanor non riusciva a restare neanche per qualche secondo con gli occhi puntati sulle macerie del campanile. La rabbia le stava salendo come era già successo più volte durante il lockdown e la pietra che aveva appesa al collo cominciava a brillare di un rosso intenso. Mentre gli altri annunciavano le perdite e provavano a ricapitolare quello che stava succedendo all’interno della città, Eleanor, vicina a Tris, cominciò mentalmente a contare alla rovescia da dieci, cercando di calmarsi. Peccato che, visto che la sua pazienza stava arrivando al limite, non sopportò minimamente le urla di uno dei capitani dello squadrone, tanto che, mentre stava passando, lo prese per il colletto, portandolo fuori dalle fila. “Mi spieghi che cazzo c’hai da urlare? Siamo in pericolo? Sì. Ci sono state delle perdite e bisogna evacuare? Sì. Però non urlare, spaventi le persone e l’ultima cosa che vogliamo è scompiglio. Sono stata abbastanza chiara?”
    Le sue parole non erano da interpretare come un consiglio, ma uno stramaledetto ordine. Se avessero messo ancora più paura alle persone della città, molto probabilmente si sarebbe scatenato il panico e non sarebbero più riusciti a far arrivare tutte le persone sane e salve ai portali. “Ed ora sbrigati, utilizza il sonorus, e stai fottutamente calmo, non ti puoi permettere di spaventare le gente.” Ellie lasciò il colletto del caposquadra e lui, con gli occhi sgranati dallo stupore, unì i piedi e fece il saluto militare prima di ripartire con la sua squadra, puntando la bacchetta alla gola per amplificare il suono della voce. Oh, così si fa.
    Appena Eleanor si girò, oltre alle macerie, vide Tris intenta a parlare palesemente con Londra. Quanto avrebbe voluto mettersi in contatto con suo fratello in quel momento, Ellie, non avrebbe saputo neanche spiegarlo. Per quello ed anche per prendere il figlio di buona donna che aveva mandato quei fuochi fatui a perseguitarli, Eleanor voleva andare insieme a Tris al Ministero, appena si fosse sanata la situazione.
    “ Vengo con te.”
    Affermò Ellie, per poi girarsi e proseguire verso il centro della piazza. Però, nonostante la sua preoccupazione principale rimanesse quella di vedere il proprio fratello e salvare i suoi compagni dalla caduta di Inverness, le venne in mente altre due personcine, che magari avevano bisogno di aiuto. Dove straminchia sono i gemelli? Sono al sicuro? Non ritroverò un cumulo di macerie anche lì, vero?.
    Per cui, subito dopo il discorso di Tris, Ellie cercò di avvicinarsi per poterle parlare. Però, una cosa si susseguì all’altra e l’unico momento in cui sembrò disponibile fu dopo aver dato ordine a Raiden di proteggere la Città Santa fino al suo ritorno.
    “Tris, i gemelli, dove sono?”
    La lycan sapeva quanto fossero importanti per entrambe ed era sicura che Tris non avrebbe lasciato i due bambini a loro stessi in un momento del genere, ma Ellie aveva un sesto senso e credeva fermamente che qualcosa stesse per andare storto. Però, magari, si era confusa con la connessione che aveva con Percy. In ogni caso, doveva avere una risposta, perchè in quel momento non poteva sbagliarsi, doveva capire quali fossero le persone che doveva proteggere.
    Ovviamente, non passarono neanche cinque minuti che subito uno dei lycan, che si era messo in contatto con il Giappone, aveva portato brutte notizie. L’unica fortuna è che rimaneva almeno una possibilità per loro di riuscire a portare fuori tutti gli abitanti della città. Però, dovevano resistere e combatterli finché gli warlock non fossero riusciti ad aprire i portali e ripristinare i fuochi fatui.
    “Sì, possiamo, dobbiamo almeno provarci. Siamo molti e per ora almeno abbiamo capito cosa contrasta i fuochi. A meno che non ci siano altri imprevisti, dovremmo..”
    Ma non ci fu neanche il tempo di finire la frase, perché degli schiantesimi cominciarono a volare in tutte le direzioni, finendo in primis su Malia. Ellie riuscì in tempo a lanciare un protego ed a fare una giravolta su sé stessa per castare uno Stupeficium di contrattacco. La pietra che aveva al collo, ovviamente, riprese ad illuminarsi come una lucina di Natale.
    “Ma guarda se non mi devo incazzare. Bastardi.”
    Ellie, si girò verso Tris, cercando di capire cosa avesse voluto fare. Di sicuro, lei, al momento, non si poteva permettere di starsene con le mani in mano, soprattutto ora che gli Auror erano approdati direttamente in casa loro. Però, voleva essere sicura che la lycan avesse capito che poteva contattarla in qualsiasi momento per partire per la spedizione punitiva a Londra. Perchè altro non si trattava che di un bagno di sangue, dal quale però, Ellie, avrebbe fatto uscire suo fratello completamente indenne. Glielo doveva.
    In ogni caso, visto che comunque si stavano facendo avanti da tutti i lati, Ellie tirò su una delle macerie con un wingardium leviosa, in modo da poterla usare come scudo e correre verso uno dei vicoli della piazza. In un istante si girò verso Tris e le sue parole furono chiare “Chiamami.”. Chiamami quando hai intenzione di andare a Londra, di andare da Percy.
    Con quella affermazione si dileguò, fino a finire dietro ad un muricciolo, così da poter richiamare la sua amata scopa con un accio. Infatti, dall’alto, sicuramente sarebbe stata più a suo agio e sarebbe riuscita a colpire meglio gli avversari. La bacchetta, ovviamente, non le sarebbe bastata, ma avrebbe avuto bisogno anche di altre armi. Armi che avrebbe potuto trovare perfettamente in una delle case dei lycan aldilà del vicolo.
    Sicché, con scopa alla mano, si fece spazio tra i passanti, finché davanti non si ritrovò una scena raccapricciante. Uno degli Auror stava portando per i capelli una dei soldati della brigata fuori dalla porta, chiamandola con nomi che non riporterò qui. Senza neanche doverci riflettere, Ellie si accucciò a prendere il suo pugnale di riserva dallo stivale ed effettuò un perfetto lancio verso la spalla dell’auror, tanto che fu costretto a lasciare la presa ed urlare per il dolore. Un pugno gli arrivò dritto al naso e l’uomo cadde a terra inerme. Ellie a quel punto si girò verso la ragazza e cercò di farla alzare da terra per vedere se aveva delle lesioni o qualcosa di rotto, ma in realtà, a parte qualche ferita superficiale, non sembrava aver subito grossi danni.
    “Tutto bene?” Chiese la strega, andando direttamente verso l’armeria, nella speranza che la ragazza riuscisse a rispondere, ma solo un flebile “sì” uscì dalla sua bocca. Però, per Ellie, fu sufficiente, anche perché non poteva stare a guardare una sola persona, quando ne avrebbe potute salvare altre cento. “Bene, prendi questo. Nel caso ti serva.” La lycan estrasse il coltello dalla spalla dell’auror, lo pulì sulla gamba e lo passò alla ragazza. Dopo un'ultima occhiata, Ellie si infilò a tracolla il fucile e mise le due pistole cariche nel porta-fondina, che aveva prelevato dall’armeria. I coltelli, che vi erano rimasti, in ogni caso li prese e li aggiunse allo spazio che aveva all’interno dei due stivali. Uno andò a prendere il posto del precedente e l’altro invece lo spazio, che era rimasto sempre vuoto nell’altro stivale.
    A quel punto, bella carica, Ellie fece capolino dalla porta e repentinamente salì sulla scopa e prese il volo. Pronta ad affrontare quella giornata di merda, nonostante avesse ancora quel peso sullo stomaco che non le diceva niente di buono.
    Perciò prese quota e si avventurò in quel marasma di gente. Neanche durante una partita di Quidditch ne aveva viste così tante. Però, Ellie sapeva qual era il suo obiettivo: rimanere intatta almeno fino alla chiamata di Tris. Comunque, nel frattempo, poteva mettere fuori gioco un paio di auror facendo giri della morte e lanciando incantesimi a raffica, finché alcuni di loro non li vedeva cascare come mosche.
    All’orizzonte intravedeva Malia e Otis fare zigzag tra i vari auror e fuochi fatui del caso e, visto che erano inseguiti da almeno quattro persone, Ellie decise di dare una mano, in modo che Malia potesse portare al sicuro Otis il più velocemente possibile. Infatti, se dovessi dire tutta la verità, Eleanor non credeva minimamente che i nuovi studenti di Hogwarts avessero le capacità di fare quello che facevano loro, soprattutto in un momento così problematico come quello. Probabilmente, Otis avrebbe finito per farsi ammazzare e basta.
    “Expulso!” Castò la lycan, cercando di attirare la loro attenzione. Nel mentre, una forte scarica elettrica avrebbe inondato il corpo di uno degli uomini, tanto da farlo precipitare verso terra svenuto. Ellie, vedendo gli altri tre auror fermarsi per capire cosa stava succedendo, castò immediatamente un diffindo, che andò a tagliare di netto la mano di uno dei tre, il quale non poté fare altro che svenire e cascare verso terra. Poi, visto che ormai gli altri due avevano individuato la sua posizione, Eleanor decise di sparire tra le nuvole poco più sopra di lei, sicura che avrebbero cominciata ad inseguirla. Malia ed Otis ormai erano abbastanza più avanti e lei non aveva problemi a lanciare qualche protego per ripararsi dagli schiantesimi, che le sarebbero arrivati dopo qualche minuto. “Lentini, comunque.”

    Interagito con:
    - Tris
    - Una soldatessa lycan a cui ha salvato al vita
    - Malia ed Otis sulla scopa (eliminati i quattro auror che li inseguivano)


     
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    E così alla fine i presentimenti erano giusti. Ascoltare le correnti e osservare i riflessi sugli specchi d'acqua era una pratica in disuso, sopratutto tra gli warlock: l'acqua per sua natura è mutamento, in continuo scorrere; una volta Théa aveva letto in un libro che era come il linguaggio, perché “non segue alcun ordine. Gli avvenimenti non rispondono al rapporto di causa ed effetto come vorremmo. È tutta una serie di frammenti e ripetizioni e trame”. Immagini future miste a passate che cambiavano di fronte ai tuoi occhi, piegavano il suono proprio mentre lo stavi decifrando, e quello scrosciava via: era dispendioso e misterioso, eppure assolutamente necessario e seduttivo nella sua natura. Inverness era stata presa d'assalto da una forza ancora poco chiara, e Théa l'aveva vista riflessa nelle increspature della superficie fratturata dal vento, immagini mescolate, e ora che le vedeva davvero, com'era sempre, le erano familiari senza che davvero le avesse mai viste limpidamente, prima. Il problema era duplice, perché se da un lato i fuochi fatui distruggevano gli edifici senza attaccare in modo diretto le persone, dall'altro il Ministero aveva appena inviato i propri Auror – e si distinguevano dalle saette cremisi che lanciavano dalle loro bacchette contro tutto ciò che si muovesse. Dovette fermarsi a fare due conti, momentaneamente da sola: poteva rendersi utile con degli scudi d'acqua, provare a utilizzare del ghiaccio, ma sarebbe stato sufficientemente forte per difendersi da entrambi? In più, la sorgente d'acqua nelle immediate vicinanze era seriamente limitata, e quella che c'era l'avrebbe dovuta usare per spegnere i fuochi innescati dagli Auror prima che potessero spargersi. Pensa. Una cosa per volta. Decise di procedere con ordine: la problematica maggiore era la devastazione causata dai fuochi, le parve, le macerie che rischiavano di mietere molte più vittime in molto meno tempo delle forze armate – e comunque c'era il Corpo di Sicurezza. Dunque doveva provare a contenerli. La fontana. Théa puntò gli occhi verde smeraldo sulla scultura acquatica al centro della piazza, o su ciò che ne rimaneva; così volle tentare: poggiò una mano al suolo, il respiro regolare, i rumori isolati. Il rigagnolo d'acqua, dapprima modesto, cominciò a scorrere animato da una corrente invisibile che lo guidava discreto verso di lei, sicuro. Non le servivano esplosioni o getti d'acqua ad alta pressione, anzi. Voltò il palmo verso l'alto, lenta, il resto del corpo immobile, e il corso d'acqua lo seguì, mentre Théa portava la mano sempre più in alto, piegando la gravità. Con un'altra rotazione del polso la materia si piegò in una sfera. Un fuoco fatuo, poco distante, si schiantava ripetutamente contro un edificio, e Théa prese la mira, scagliando la bolla d'acqua verso la sfera bluastra. «Sono idrofobi.» Bisbigliò, osservando il fuoco vibrare pericolosamente e venire deviato dal lancio della bolla. Aveva un effetto simile a quello dei patronus dei maghi. «Sono idrofobi!» Ripeté, più forte, cercando di pensare a come quella nozione potesse tornare loro utile. Significava due cose: la prima, la conosceva bene, era che le creature che provengono dalla Loggia Nera non possono entrare a contatto con l'acqua; se l'aveva sentito e intuito, percependolo con ancor più forza nel momento in cui li aveva visti, adesso ne aveva la certezza: i fuochi erano animati da magia oscura. La seconda era che allora dovesse esistere un modo, se avesse recuperato sufficiente acqua, per poterla utilizzare per proteggere ulteriormente gli edifici dove gli abitanti di Inverness stavano venendo condotti. Diede la priorità a quella comunicazione, quindi, ergendo scudi d'acqua attorno ad alcune delle abitazioni e dei palazzi che stavano venendo martellati di più dai fuochi, in modo tale che agissero come cuscinetti, sperando che in tal modo però non venissero direzionati verso quelli non protetti, che così sarebbero stati ulteriormente presi d'assalto. Servivano altri elementali, altre ondine, e un piano sensato. Théa cercò di individuare la figura del Capo del Corpo di Ricerca. Lo individuò intento a combattere al fianco di altri lycan contro una squadra di Auror, nei pressi della distilleria. Evocò una fitta nebbia protettiva, che fornisse loro qualche secondo, nient'altro, per poter comunicare, nascondendoli temporaneamente ai nemici, che si augurava non avrebbero attaccato alla cieca. «Solo un secondo, Capitano Yagami». Piccole schegge di ghiaccio fendevano la nebbia, partendole dalle dita, verso gli Auror. Avrebbe potuto usare incantesimi regolari ma non erano mai stati il suo forte e sperimentarli sul campo di battaglia non era un'idea vincente. «I fuochi sono idrofobi – non ero sicura, ma è così, l'acqua li respinge e non riescono ad attraversarla. I portali stanno conducendo all'Alveare, ma non possono accedere ai luoghi del Credo, giusto? Forse l'acqua può essere utile per rendere questi i posti limitrofi più sicuri» Esisteva la possibilità che fossero penetrati fino all'Alveare, e magari Raiden aveva comunicazioni con il Branco che potevano aiutarli a capire se fosse un luogo sufficientemente protetto, o se ci fosse bisogno di altre aree di raduno, che però erano meno fortificate. Nel frattempo, un lampo verde smeraldo tentò di penetrare la barriera spessa e pesante della nebbia, e Théa provò a risucchiarla in un vortice, troppo modesto, per cui dovette scansarlo, un'armatura liquida che prendeva forma avvolgendola e poi allungandosi fino a Raiden, quando lo toccò per spostarsi dalla traiettoria del colpo. «Con sufficiente acqua a disposizione posso evocare una barriera di ghiaccio attorno all'edificio, l'Alveare se necessario, o altri. Abbinato a dei sigilli protettivi potrebbe funzionare. Può valere la pena provarci?» Sarebbe incredibilmente faticoso, ma non sarei da sola. La nebbia era ormai dissipata. Esisteva un rimedio estremo ma estremamente prossimo per procurarsi altra acqua, al momento – uno a cui Théa non avrebbe voluto pensare. Inclinò il capo, e la decisione fu presa nel giro di istanti. Bastò serrare il pugno perché i polmoni dell'Auror che stava per attaccarla si riempissero dall'interno, manomessi, traditi dai propri stessi tessuti. Il corpo umano è composto al 60% di acqua. Era un metodo troppo lento, però, e non era realistico che da sola riuscisse a ucciderne più di uno per volta. Fu a terra nel giro di dieci secondi, un'infinità durante una battaglia, il liquido trasparente che adesso sgorgava da praticamente ogni orifizio. Un respiro profondo, poi di nuovo, altri scudi, a coprire chiunque fosse disarmato e in movimento nel debole raggio di un paio metri da lei. «Mi dica cosa conviene fare, Capitano.» Odiava doverselo far dire per filo e per segno – e ancor di più mettere gli altri nelle condizioni di doverla guidare – ma quella era una battaglia inedita per lei, e prese di posizione in nome dell'orgoglio sarebbero insensate e controproducenti: era al servizio della comunità lycan ed aveva bisogno di ordini, era quella la realtà dei fatti.


    Interagito con Raiden.
    Scoperto che i fuochi fatui siano idrofobi, ha cercato di ridurre i danni ambientali ergendo degli scudi d'acqua a destra e manca attorno ai palazzi in modo che evitino di farli crollare, ma questo può comportare che si accumulino altrove, in caso, perché l'acqua li respinge soltanto (that's all she could do, sorry). Ha protetto delle persone un po' in giro, sopratutto quelle vicino a lei, e ha ucciso un Auror.
     
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    « Giuro che di rosario te ne basta uno solo, nonna. » Aveva proferito secca la più piccola delle Delgado, parandosi fisicamente davanti alla diretta interessata, che aveva sparso il contenuto del suo portagioie adibito ai suddetti sul tavolo. « No! Non so donde està eso de Santiago de Compostela, Isabel! » Aveva detto con disperazione crescente nella voce, il tono salito di qualche ottava per sottolineare la gravità della situazione: non aveva intenzione di lasciare la casa senza il suo prezioso rosario. Quello e nessun altro. Era una questione di principio. La verde argento però non aveva intenzione di sentire ragioni. Non più. « Nonna. » Era già esasperata. Un'esasperazione che divenne evidente nella poca grazia con la quale le sbatté in mano il fagotto contenente gli oggetti quelli davvero essenziali. Di prima necessità. « Basta, va bene? Qui c'è tutto quello di cui potresti avere bisogno per... » Quanto tempo? Non lo sapeva nemmeno lei. Se stavano evacuando tutti, con quella urgenza per di più, la situazione non si poteva considerare certamente buona. Non lo era. «...per il momento. » Scelse comunque di dire, sostenendo lo sguardo agitato di nonna Dolores. « Il resto pensiamo a recuperarlo io e Lola. Ti portiamo tutto quello che non sei riuscita a trovare, ok? Adesso non c'è tempo. » Ma la nonna non voleva demordere. Strinse le labbra in una linea sottile prima di pronunciare un: « Ma se sareste in grado di perdervi la testa, come vi aspettate di trovare le mie cose? » E fece quasi per poggiare il fagotto che le aveva precedentemente dato la nipote sul tavolo e riprendere la sua ricerca, ma Sol fu più rapida.
    Le mise entrambe le mani sulle spalle, abbassandosi lievemente, quanto bastava per poterla guardare negli occhi. « Va bene. Hai ragione. Recuperi tutto da sola. Per conto tuo. » Lasciò che il peso di quelle parole aleggiasse tra di loro, nella speran za che fossero sufficienti a creare una parvenza di speranza. Una patina sufficientemente resistente da permettere alla Signora Delgado di varcare la soglia di casa ed evacuare. Lo sappiamo tutti, in fondo, che il problema non è mai stato il rosario preso a Santiago de Compostela. Né tantomeno i gingilli che hai cercato per tutta casa. No, il problema era un altro; il problema era che Dolores era tutto meno che una donna abituata a scappare. Era orgogliosa, combattiva, mordace, ed il solo fatto di dover chinare la testa e scappare con la coda tra le gambe doveva pesare moltissimo sulle sue spalle ora esili per colpa del tempo. Lo sapeva Sol, così come lo sapeva sua nonna - il sassolino che aveva sconvolto l'equilibrio era rappresentato dalla paura. Un sentimento, quello, che la donna nascondeva abilmente sotto strati e strati di inutile nevrosi materialista. Eppure, nel guardarla dritta negli occhi, così accesi nonostante l'età, la nipote notò che qualcosa fosse mutato a quelle parole. « Quando sarà tutto finito? » E Sol non poté far altro che annuire. « Quando sarà tutto finito. » L'anziana stirò quindi un sorriso millimetrico e annuì a sua volta e proferì un categorico « Tu e quelle teste calde. Non fate casini. » Poi, finalmente, si decise a lasciare l'abitazione per farsi scortare fino al punto di evacuazione più vicino.
    [...]
    Non fare casini, avrebbe presto scoperto, era una missione impossibile. La situazione si stava rivelando tutto meno che buona - le facce dei lycan rimasti erano comprensibilmente scure, gli animi tesi. Lei, di fianco a Lola, proprio non riusciva ad immaginare come, di preciso, avrebbero fatto a gestire quella situazione - se non alla meglio, abbastanza da non lasciarci le penne. Questa non sembra nemmeno più Inverness - si ritrovò a pensare. Quella che un tempo era casa, un luogo sicuro, qualcosa di sacro, stava cadendo preda della devastazione più totale. « Lols. Se ti perdo di vista o ti succede qualcosa stai tranquilla che ti resuscito solo per riammazzarti con le mie stesse mani. » Le disse sottovoce. Non ebbe tuttavia il tempo di aggiungere dettagli a quella promessa perché la sua attenzione venne propriamente attirata da Raiden. « Venite con me. Li attiriamo alla vecchia distilleria. » E lì non potè fare altro che scattare nella direzione indicata dallo Yagami, esattamente come tutti gli altri del loro gruppetto. Non erano tantissimi. Sicuramente meno degli Auror. Sentì piuttosto distintamente la voce di Noah Breakspear in fondo al gruppo rallentare solo per lanciare uno Schiantesimo dietro di sé, nella speranza di mandare fuori gioco i due più lesti nel gruppo di inseguitori. Lei tuttavia continuò a correre fino al vicoletto indicato dal giapponese, premurandosi solo di controllare che Lola non fosse rimasta indietro.
    « Venite qua. Non potevo dirlo davanti a Tris ma abbiamo un altro compito. La città sta cadendo. Tutto ciò che possiamo fare è dar tempo agli warlock di evacuare tutti. [...] Nel percorso, però, diamo a Collins un po' di pane per i suoi denti. Tutto chiaro? »
    E, di fronte a quell'ordine, la Delgado non potè far altro che annuire. Dobbiamo farcela per forza. Se non potevano preservare Inverness dovevano almeno arginarne le perdite in fatto di vite. « Tutto chiaro. Ora ci organizziamo.» Quindi si voltò verso Lola gli altri. « Li decimiamo se possibile, li chiudiamo da qualche parte e li facciamo saltare in aria. Che dite? Tanto ormai... » Almeno gli facciamo capire che entrare qui dentro non è stata una grande idea. Non ebbero tuttavia di consultarsi ulteriormente. Di fronte al rumore di passi sempre più prossimo al loro nascondiglio, la Delgado dovette obbligatoriamente sbucare da dietro l'amgolo. « Excelsiosempra! » Puntò la bacchetta contro uno di loro. « Expulso! » Sbraitò verso un altro. Poi, nel rendersi conto che solo alcuni di loro si fossero fermati a soccorrere i compagni, riprese a correre: « Lols! Noah! Di qua! » E si premurò pure di essere ben udibile. Vi prego, vi prego, vi prego - ditemi che siete con me sul farli saltare in aria , pensò mentre correva sempre più veloce alla volta della loro meta. Dove la loro meta era il primo edificio che potesse prestarsi al piano.

    Interagito con Lola e Raiden;
    Proposto di chiudere gli Auror da qualche parte per farli saltare in aria LOL









     
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    Se vi era una cosa di cui essere certi a casa Delgado era che, indipendentemente da età, professione o numero di figli sfornati, il sabato e la domenica mattina erano rigorosamente riservati alla messa. Vi si recava l’intera famiglia, a metà tra una processione e una punizione divina. O, per lo meno, così era sempre parso a Lola, nei suoi vent’anni di vita e poco più. Inevitabilmente, dopo tutto quel tempo trascorso strizzata nel vestito buono, con aria penitente, tentando di nascondere la noia, sentiva fisicamente il bisogno di rintanarsi spesso e volentieri in compagnia di Sol, per dare sfogo alla quantità di energia repressa che era stata costretta a sopprimere sotto lo sguardo severo di nonna Dolores; futile precisarlo, solitamente tale bisogno creativo trovava la sua massima realizzazione in maniera più disparata: con qualcosa di eretico (o erotico), moralmente discutibile o illegale. Quella mattina, se ne stava seduta sul bordo della finestra in soffitta, i piedi scalzi a penzoloni nel vuoto e un joint che le pendeva assai poco elgantemente dalle labbra. Guardando fuori dalla finestra, Lola scosse la testa. « Dì un po’, hai notato anche tu il nuovo seminarista? Nonna ha detto che viene dall’Irlanda. » Aspirò un’altra boccata di fumo, lo sguardo fisso sulla nipote. « Boh, comunque non è niente male. Uno di quei pezzi da novanta che è chiaramente ricolmo di amore divino, lì c’è stato messo dell’impegno. » Annuì tra sé e sé, con aria rassegnata. « Questi sono i momenti in cui io un po’ i protestanti li capisco. Insomma, come fai ad apprezzare le opere divine se non puoi nemmeno godertele? Sarebbe la fine del mondo se anche i cattolici iniziassero a divertirsi un po’? » Aveva appena finito di pronunciare quella frase che un boato lontano, accompagnato da forti vibrazioni, la costrinse ad aggrapparsi allo stipite della finestra. Sgranò gli occhi, sbalordita e colta alla sprovvista dal terremoto, ritrovandosi istintivamente ad incrociare lo sguardo di Sol. « Dicevi? » Le domandò, con un sentore di cinismo a mascherare un barlume di preoccupazione. Altissimo, era solo una proposta. Prenderla sul personale mi sembra un tantino esagerato.

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    […] Accadde tutto così in fretta che, inevitabilmente, Lola fece fatica a registrare ogni dettaglio. Dovette ripetersi ciò che avevano deciso – dove il resto della famiglia avrebbe prestato aiuto, chi era con chi, eventuali modi di comunicare o punti di ritrovo – mentre avanzava accanto a Sol, le dita che facevano roteare velocemente un pugnale, in un gesto istintivo, di puro sfogo. Mamma e nonna verso i cancelli, papà al portale, Darius e Sal verso la porta ad Est. Gli occhi chiari schizzarono da un edifico all’altro, ipnotizzati dalle macerie, il frastuono, le urla. Tutti i suoi sensi erano attratti da un avvenimento dopo l’altro, non solo per la sua natura di lycan, ma a causa della sua singolare iperattività. Istintivamente, avvertiva i muscoli tesi, pronti a scattare nell’una o l’altra direzione qualora avesse deciso di smettere di ricorrere agli espedienti che le erano stati insegnati sin da bambina per mantenere il controllo. « Stupeficium! » Lanciò l’incantesimo in direzione di un Auror che si stava avvicnando troppo ad un’abitazione in procinto di essere sgomberata, tentando di coprire le spalle ad alcuni lycan intenti a distribuire armi. Intorno a loro regnava il caos, tanto che non avrebbe saputo da che parte iniziare: se tentando di liberare un passaggio per arrivare più agilmente al cancello, recuperando quante più armi possibili per distribuirle in giro o lanciandosi contro gli Auror che avevano iniziato a riversarsi all’interno di una Inverness ormai morente. Non hanno mai voluto la pace. Non hanno fatto altro che aspettare, attendere il momento giusto per attaccarci di nuovo. Se potessero… se solo potessero farebbero esattemente come in Giappone. O peggio. Il ricordo del genocidio le provocò un profondo senso di nausea, alimentando un ringhio che soffocò in gola; d’un tratto non sentiva più paura. Fu la voce di Sol a riscuoterla, un lampo di ragione in mezzo alla rabbia. Non era il momento di fermarsi o cedere all’istinto – non ancora, almeno. « Lols. Se ti perdo di vista o ti succede qualcosa stai tranquilla che ti resuscito solo per riammazzarti con le mie stesse mani. » Lola sorrise appena, spingendo il dito indice contro il pugnale affilato, quel tanto che bastava per provare una sensazione di dolore abbastanza intensa da sgomberarle la mente. Doveva essere lucida, attenta. « Scordatelo. Se arrivo al Paradiso, col cazzo che torno indietro. » E se mi tocca l’Inferno, tanto vale portare quanti più di questi bastardi a farmi compagnia. « Flagràmus! » Una frusta di fuoco si abbatté contro un gruppo di Auror, sbalzadone alcuni di parecchi metri e costringendo altri ad una rapida ritirata. Con la coda dell’occhio, riconobbe la figura di Raiden poco distante. « Venite con me. Li attiriamo alla vecchia distilleria. » Annuì, raggiungendoli rapidamente mentre, di tanto in tanto, si intercambiava con Sol nel lanciare incantesimi difensivi alle loro spalle. Se non potevano fermare gli Auror, per lo meno potevano rendergli più difficile conquistare la Città Santa. Ascoltò le parole di Raiden con espressione seria, stringendo appena le labbra. Non avrebbe potuto biasimare Tris per voler difendere Inverness a tutti i costi. Ma Raiden ha ragione. Ci sono altri luoghi in cui possiamo rifugiarci, chiedere aiuto, organizzarci. Ma senza Beatrice non abbiamo scampo. « Li decimiamo se possibile, li chiudiamo da qualche parte e li facciamo saltare in aria. Che dite? Tanto ormai... » Gli occhi di Lola si illuminarono, la mente già all’opera nel tentare di escogitare un piano. Se vi era qualcosa in cui eccelleva era fare danni e, inutile dirlo, le esplosioni rientravano tra questi – ne aveva già dato prova al Ministero della Magia, quando uno degli ascensori era stato ridotto a coriandoli dalla sua pozione esplosiva. « Dietro l’angolo dovrebbe esserci il v- » Le sue parole vennero troncate dall’ennesimo fascio di luce aregentea che si abbattè su un edificio vicino, esattemente sopra le loro teste. Merda. « Stupeficium. » Si accodò a Sol, gettando un’occhiata in direzione di Yagami e del resto dei compagni. « Se riusciamo a portarli più avanti, potremmo passare attraverso il vecchio deposito dell’armeria. Non c’è molto che potrebbe esserci utile, ma è pieno di residui di polvere da sparo. » Basterebbe una scintilla. « Sol! Fai strada, alla Botte. » Era così che avevano sempre chiamato il vecchio deposito, ormai adibito a magazzino temporaneo o deposito per le vecchie armi in attesa di essere riparate. Era un capannone ampio, provvisto di due entrate, in cui non correvano il rischio di perdersi. Il più è attirarli dentro. « Resto indietro io, andate avanti. » Incitò i compagni, approfittando di qualche istante di vantaggio per riparare dietro alcune macerie. Fu a quel punto che notò una ragazza intenta a respingere alcuni fuochi fatui con l’acqua. Qualunque cosa fosse, non doveva essere una strega: il modo in cui maneggiava – forse persino creava? - l’elemento era del tutto nuovo. « Hey, via di lì! Dobbiamo andare dentro! » Scattò istintivamente nella sua direzione, tentando di sospingerla all’interno dell’edificio. Avrebbe voluto bloccare l’uscita da cui erano entrati per evitare che gli Auror potessero fuggire se si fossero resi conto del loro piano, ma ormai era troppo tardi. Cambio di piani. Corse a perdifiato, la mano stretta intorno a quella della ragazza per non lasciarla indietro. « Ci siamo quasi, quella è l’uscita. » La sospinse in quella direzione, restando indietro quel tanto che bastava per attirare il gruppetto di Auror esattamente dove li voleva. Le sarebbero bastati pochi passi per ritrovarsi di nuovo all’esterno, ma comunque vicino all’esplosione. Sapeva già che non sarebbe stato piacevole, in caso fortunato se la sarebbe cavata solo con qualche bruciatura superficiale. Sol? Alcuni potrebbero riuscire ad uscire. Preparatevi a schiantarli. E credo mi servirà un aguamenti. Uno Schiantesimo la sfiorò pericolosamente, costringendola a saltare di lato. Fu a quel punto che ebbe un’idea, potenzialmente geniale quanto pericolosa: se fosse riuscita a scagliare una Bombarda maxima nel momento esatto in cui uno Schiantesimo la colpiva, la forza sarebbe stata abbastanza da catapultarla fuori dal capannone nel giro di una frazione di secondi. Doloroso, ma meno letale del bruciare viva in compagnia degli Auror. L’uomo più vicino a lei mosse la bacchetta e Lola si irrigidì, studiandone il movimento nella speranza di riconoscerlo – e precederlo. « Bombarda Maxima! » Gridò, nello stesso istante in cui la luce argentea si dirigeva verso di lei, la bacchetta puntata verso i piedi degli Auror, alle cui spalle si trovava ancora qualche vecchio barile di polvere da sparo.

    Interagito con Sol, Raiden e Théa (ha letteralmente cercato di trascinarla via).
    Volendo, chiunque sia nelle vicinanze può aver preso parte alla missione suicida / aver assistito / essersene scappato altrove.
    E niente, incrociamo le dita affinché tutti gli Auror nel capannone facciano KABOOOM, senza che Lola ci resti secca.
     
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    Nel cuore della tragedia, Inverness tremava come un gigante morente. Le strade erano ormai inondate da detriti fumanti e le case si erano trasformate in ruderi. Il cielo era solcato dalle fiamme e dai sinistri bagliori verdi dei fuochi fatui, che danzavano come spettri infernali. Nel fragore della battaglia, l'ultima speranza di difesa si era concentrata sulle file dei lycan e dei ribelli. Il silenzio cadde come un sudario sulla città di Inverness, rotto solo dai laceranti lamenti del vento che si intrecciavano con le fiamme divoranti. A qualche angolo battaglie si combattevano ancora strada per strada, casa per casa, mentre i superstiti cercavano di avanzare intenti a fermare l'avanzata degli Auror. Gli ordini della matriarca erano chiari; Inverness non doveva cadere, la culla dei cacciatori doveva essere messa in sicurezza. Il giorno sembrava farsi sempre più cupo, come se la stessa oscurità avesse inghiottito ogni residuo di speranza. I fuochi fatui danzavano come spettri infernali, illuminando il panorama apocalittico. Le strade erano ormai irriconoscibili, coperte da una coltre di detriti e macerie fumanti. Case ridotte a scheletri bruciati erano il muto testimone della disperazione che aveva permeato la città. Ciò che era più preoccupante era, tuttavia, l'orda di fuochi fatui scacciata da Théa; privati della loro prima missione, i fuocherelli scacciati da diversi edifici cercarono di aggrapparsi a nuove mura, ormai ridotte in macerie. Affamati e arrabbiati, divennero una massa più definita, attraverso la quale sembrava quasi impossibile scrutare la qualunque. Inghiottirono una piccola squadra della Guarnigione, lasciandone trasparire dall'interno solo urla. Al loro passaggio, neanche un graffio sul corpo delle vittime; solo occhi spiritati, come se avessero appena visto la morte in faccia. Il compatto gruppo di fuochi fatui si spostò in massa, ripetendo la stessa operazione diverse volte. Più avanzavano più le fila dei lycan e ribelli venivano decimati. Dietro di loro, gli Auror si apprestavano ad arrestare e immobilizzare chiunque riuscissero. Alcuni, dalla volontà più forte, riuscivano a scappare, ma molti altri restavano indietro. Si arrendevano semplicemente al loro destino, quasi come se non avessero più nulla per cui vivere. L'agglomerato di fuochi si avventava su ogni cosa lungo il proprio cammino. Scope in volo, squadre a terra; nessuno era al sicuro. Inghiottivano le persone da entrambi i fianchi, come una bestia sul punto di schiacciarli con entrambi gli artigli. Circondati da ogni dove dai fuochi fatui corrotti, le vittime perdevano ben presto l'orientamento; persino le fedelissime scope, rimanevano come prive di vita, fluttuanti in mezzo al nulla. Faceva freddo lì dentro. Talmente freddo da sembrare di trovarsi dall'altra parte. Tutto perdeva di senso, sopito, per lasciar spazio alle immagini più dolorose che le vittime potessero immaginare o che volevano dimenticare. Talmente densi, rendevano qualunque contatto con la realtà impossibile.

    Ginny Weasley, fino a quel momento fiera e determinata, si stagliava nel caos completamente disorientata dalle notizie del patronus giunto a dare la triste notizia a tutta Inverness. L'aria intorno alla donna carica di elettricità, testimone del muto dolore per la perdita della persona più importante della sua vita. La scopa abbandonata al suo fianco. Gli occhi colmi di lacrime. Il senso di colpa e il rammarico. Quando il patronus della figlia è giunto, Ginny stava sorvolando i cieli sopra la squadra di Beatrice Morgenstern, vigile nel premurarsi che l'alfa fosse ben protetta. Ma ora? Ora è sul punto di arrendersi. La bacchetta ancora impugnata in mezzo a un cumulo di macerie. « Ginevra Molly Weasley è in arresto per alto tradimento e cospirazione contro lo Stato Magico Inglese. Consegni la sua bacchetta. » In quell'istante il destino di Philip Collins era stato sigillato, non a caso, Ginny, in ginocchio in mezzo alle macerie, sembrò sorridere. Piangeva, ma rideva anche. In cuor suo trovava divertente e ironico che ad arrestarla fosse proprio Philip Collins, dopo tutto ciò che è successo. Con al seguito un mucchio di uomini, il leader nemico avanzava in direzione della donna, apparentemente sconfitta e malleabile. La morte del marito doveva averla completamente rovinato. « Mi dispiace per suo marito, Ginevra. E così che va quando ci si schiera dalla parte sbagliata. Lei e suo marito - i suoi figi - i suoi nipoti.. meritavate di meglio. » Ma Ginny ride. È una risata amara. Straziante. Quasi inquietante. « Arre- » Philip Collins non riesce neanche a conclude il suo ordine. Roteando appena la bacchetta, Ginny ha sfruttato l'informazione più importante appresa quel giorno. A Inverness ogni casa ha una propria armeria. E così, uno dei pugnali presente nell'armeria sotto le macerie si conficca dritto per dritto nella fronte del Capo Auror. « Questo è per aver rinchiuso il mio bambino. » Con un secondo movimento di bacchetta, la stessa fine fece la sua squadra; i tre uomini caddero a terra con altrettanta facilità senza nemmeno accorgersene dell'accaduto. « Avete rovinato la mia famiglia - i miei bambini. » E ai suoi bambini pensava, mentre ancora in ginocchio tra le macerie piangeva disperata senza consolazione alcuna.

    Mentre le fiamme divorano gli ultimi frammenti di speranza, i lycan sopravvissuti cercano una via di fuga tra le rovine. Ogni passo è un tributo alla perdita, ogni respiro una preghiera silenziosa per i caduti. Attraverso tunnel oscuri e sentieri nascosti, emergono come fantasmi dalla città morente, assetati di libertà e di un futuro senza catene. Inverness è ormai una tomba di ricordi, ma nei cuori dei sopravvissuti brucia ancora la fiamma della resistenza. Con lo sguardo fisso sul cielo in procinto dell'Eclissi, si allontanano da quel luogo di morte e distruzione remando attraverso i portali degli warlock verso gli amici e le poche zone sicure che hanno ancora a disposizione, pronti a scrivere nuove pagine di coraggio e rinascita. Il loro cammino è illuminato solo dalla fiamma della loro determinazione, pronti a sfidare il destino e a combattere per la libertà che avevano tanto duramente guadagnato. E mentre Inverness giace in rovina, i sopravvissuti portano con sé il peso dei loro caduti e la promessa di un futuro migliore.


    Recap veloce. Nella prima parte l'escamotage di Téa ha funzionato, ma ha creato un nuovo problema. I fuochi fatui scacciati dalle abitazioni e dagli edifici ancora interi hanno creato una grande massa che avvolge chiunque trovano lungo il loro cammino mostrando loro immagini/ricordi/possibili situazioni molto dolorose. La simil-sfera oscura si ciba del dolore delle proprie vittime e diventa sempre più violenta man mano che avanza. Potete utilizzarla se volete.
    Nella seconda parte Philip Collins assieme ad altri auror ha tentato di arrestare Ginny e niente è morto male. Lui e i tre-quattro auror che stavano con lui. RIP.
    Nella terza parte Inverness non esiste più. Tutti stanno lasciando la città. Molti lycan sono stati stremati dalla battaglia o dai fuochi fatui. Molti sono morti e le forze sono state decimate. Rimanere è un suicidio.
    Obiettivo del turno è lasciare la città tramite i portali degli warlock o tramite altre vie e andare verso le fortezze del Credo. Chi si trova a Inverness è potenzialmente ricercato o comunque rischia molto nell'andare dritto per dritto nel Mondo Magico. Comportatevi quindi di conseguenza finché il turno non sarà finito e avrete ulteriori dettagli su quanto accadrà in seguito.
    Scadenza turno: 28 settembre
     
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    Il tempo per indugiare era finito; con l'entrata degli Auror a Inverness, era evidente che il gioco si era spostato su un piano differente. Erano chiamati non solo a scacciare i fuochi fatui dalla città, ma anche assicurarsi che gli uomini di Collins non avrebbero preso possesso della città. « Ma guarda se non mi devo incazzare. Bastardi. » Prima che Ellie potesse sfuggirle per l'ennesima volta, Tris la afferrò per un polso, evitandole alcune macerie che erano sul punto di colpirla. In mezzo al cumulo di polvere, per un istante, non fece altro che guardarla lungamente, lapidaria e autoritaria. Ellie aveva sbraitato per tutta la mattina, e per più volte aveva detto e fatto cose che Beatrice mal sopportava. Aveva ignorato il suo tono diverse volte, presa da questioni più importanti, ma trovata la finestra giusta di tempi, non esitò a farle notare che aveva passato il segno. « Ascoltami attentamente, Eleanor. Tuo fratello mi ha chiesto di prendermi cura di te. » Ti ho accolta in casa mia. Ho tentato di farti sentire a casa. Ma si vede che non hai imparato proprio niente in tutti questi anni a Inverness. Di certo non il senso della gerarchia, né il rispetto verso i suoi simili. « Ma se sbraiti o metti le mani addosso un'altra volta a un tuo simile, un mio uomo, un tuo cazzo di superiore, ti prometto che a Londra ci andrai da sola per restarci. » Indipendentemente dalle sue buone intenzioni, Ellie era pur sempre una recluta, e per quanto recalcitrante, doveva imparare a seguire gli ordini o sarebbe stata un pericolo prima di tutto per se stessa. « Non voglio sentire una parola. Fai quello che ti viene detto e segui gli ordini. Non farmelo ripetere un'altra volta: stai - al tuo - posto. » Che a parlarle fosse la sua alfa e non la fidanzata del fratello fu evidente dal tono fermo che mantenne durante tutto quel discorso. Speso, Tris si mostrava anche troppo permissiva nei confronti dei suoi simili; erano i suoi fratelli, la sua famiglia. Ma non era un giorno adatto per tentare di sfidare la pazienza della Morgenstern. Non a caso quando le lasciò andare il polso, fu evidente che il discorso si era concluso e non avrebbe tollerato alcuna insubordinazione da parte della bionda. Corse via tra le macerie cercando di individuare la sua squadra in cielo e a terra. Ciò che seguì fu una battaglia strada per strada nel tentativo di dividere i gruppi compatti di Auror. Le diverse squadre si muovevano in tutte le direzioni della città, cercando di tenere la squadra guidata da Collins lontana dall'alveare. Si coordinavano tramite il contatto. Se un gruppo di superstiti prendeva una strada, i combattenti prendevano una via alternativa. Combattevano senza sosta, come se quelle mura, seppur sgretolate, fossero la ragione stessa della loro vita. E per chi a Inverness viveva da sempre era proprio così. Tris era stata lontana per molti anni, e per tanto tempo Inverness l'aveva vista solo nei libri dei suoi maestri. Dicevano che un giorno sarebbe tornata lì e l'avrebbe guidata. I monaci dicevano che il suo destino era più grande di lei, che avrebbe dovuto prendere decisioni difficili. Ma alla sua terra e alla sua gente, alla sua famiglia, ai suoi fratelli, doveva aggrapparsi con le unghie e coi denti. Inverness è l'ultima diga a difesa dell'umanità. Ma ora chi proteggeva loro. Chi proteggeva Tris dalle innumerevoli fitte che provava ad ogni respiro interrotto di un suo simile? Riusciva a sentirli tutti. I sofferenti e i morti - fino all'ultimo momento, fino all'ultimo respiro. Assieme a loro moriva anche una piccola parte di lei. In quegli anni aveva provato così tanto dolore non proprie. Così tante anime intrappolate, torturate, uccise senza pietà. L'ultima di cui ebbe notizia non l'aveva sentita, ma l'urlo della moglie e il volteggiare in aria di quella volpe argentata le diedero un'idea piuttosto chiara si chi fosse. Harry Potter è morto. Il Prescelto è morto. Quella voce si era spara tra i lycan istantaneamente. Lo stesso peso della fine di un'era.
    E così, finisce un'era. Secoli di storia sepolti da macerie, polvere, mattoni sgretolati. Sotto di essi il ricordo di una città fiorente, sobria sì, ma non per questo meno allegra. Quelle strade, ora irriconoscibili, erano un tempo battute da bambini ridenti, vecchietti arzilli e giovani scomposti. Nessuno ha mai capito Inverness. Nemmeno quando Tris ne ha aperto le porte con orgoglio, mostrando solidarietà a chi un posto non l'aveva più, quelle serpeggianti viottole strette, nessuno aveva mai tentato di comprenderle; non il peso, o la storia di cui erano impregnate, o ancora, il sudore e l'abnegazione con cui ogni casa era stata eretta, per accogliere chiunque appartenesse alla stirpe o ne fosse amico. Era un'opera impressionante, la Città Santa. Le sue mura erano state uno degli ultimi avamposti dell'umanità. Lì, tra quelle case, in mezzo al brusio del mercato e il dolce scorrere delle sorgenti sotterranee, il sole non aveva mai smesso di splendere, nemmeno nella più buia delle ore. Mentre il grigio avanzava, scontrandosi le imponenti porte della Città, all'interno sono sbocciati amori, sono nate nuove vite, altre sono state legate dall'eterno vincolo del matrimonio. A Inverness la vita non si era mai fermata. Il sole non era mai stato oscurato, la notte non era mai stata buia. Neanche nei momenti peggiori, la città non è mai crollata, né le persone che vi abitavano si erano mai arrese. Ed era proprio a Inverness che Tris aveva dedicato tutta la sua vita. Tutto ciò che conosceva vorticava attorno a quel simbolo, alla possibilità che per quanto buia fosse la notte, lei sarebbe tornata a casa. Lì dove era nata, lì dove sua madre l'aveva data alla luce per poi spegnersi. Quelle mura, l'ultimo testimone muto dei suoi ultimi momenti. E a che pro? Tutto questo, a cosa è servito? Cosa abbiamo ottenuto? Hanno continuato a guardarci con scherno, e ora, le stesse persone che abbiamo tentato di salvare ci stanno distruggendo dall'interno. Lo sguardo rivolto verso casa, il volto carico di polvere e sudore. « Mi dispiace.. ti ho deluso. Ho fallito. » L'immagine di quella che un tempo era casa la sconvolse. In lontananza, di quella che un tempo era stata residenza di ogni leader del Credo prima di lei, era rimasto poco più che ricordo. L'ultimo ricordo di una famiglia che le era sempre stata negata, che non aveva mai avuto modo di conoscere e della quale aveva sempre tentato di farne a meno. Orfana a modo suo per tutta la vita, costretta a errare alla ricerca di una conoscenza che non è stata comunque sufficiente per restare a galla. Era questo ciò che bruciava più di tutto - non essere stata abbastanza, non aver saputo proteggere e proteggersi a sufficienza. Fu quell'immagine a farla sussultare; la realizzazione, la dimostrazione, la riprova di aver perso. Nella propria casa Tris si sentiva invincibile. Lì c'erano i suoi affetti, la sua storia, i suoi ricordi. Lì, pensava, nella sua stanza dal terrazzo circolare, a guardare l'intera città sotto di sé, nessuno l'avrebbe mai raggiunta. Non c'è più. Casa mia non c'è più. Quelle mura avevano accolto parenti, amici e amanti; lì aveva bevuto con le sue migliori amica, aveva riso. Lì aveva imparato a conoscere l'amore, l'affetto, la possibilità di sentirsi un po' meno sola al vertice. Come l'immagine della casa demolita, altrettanto demolita era la sua speranza. Era doloroso vederla cadere - casa - e rischiare anche di rimanerci sepolti. « Tris! Sono quasi tutti fuori. È tempo.. » La voce di uno dei capi squadra risuonò ovattata nella sua testa. È tempo. Tempo di andare. « Ma io non posso lasciarla così. » Casa. Non si abbandona la propria nave. Neanche nei tempi più disperati. Nell'esordire quelle parole però, Tris era tutto fuorché l'alfa autoritaria che aveva impartito ordini per tutto il giorno. La tensione di tutto quel dolore l'aveva portata al massimo della sopportazione. Errava senza meta, evitando i fuochi fatui, l'abominio a cui avevano dato vita e anche gli auror. Si muoveva in mezzo al nulla senza meta, mentre di tanto in tanto salvata nella testa di qualcuno per venire a contatto solo con altra devastazione, duelli, o battaglie all'ultimo sangue. E in mezzo a tutto quel nulla, una figura sembrò materializzarsi di fronte ai suoi occhi in maniera quasi miracolosa. Tris lo guardò con occhi piedi di lacrime, ma non disse niente. Rimase a qualche metro di distanza per diversi istanti, prima di andarci incontro e abbracciarlo forte. Non ricorda un solo momento in cui si fosse abbandonata a una sola manifestazione di affetto nei confronti del giovane Potter seppur si trattasse della persona su cui avrebbe dovuto contare. Non disse niente. Tentò solo di controllare il flusso delle lacrime attraverso ampi respiri. Si staccò solo dopo un po' dandogli spazio. Ma non disse comunque niente. Non c'era nulla che Tris potesse aggiungere per rendere quel momento più sopportabile o meno doloroso. E allora fece l'unica cosa che poteva per risparmiarne altri. « Gli superstiti sono salvi. A tutte le squadre: battete in ritirata. » Quelle parole giunsero ad ogni lycan dentro Inverness, e di conseguenza gli stessi ordini giunsero ad ogni combattente. Tris, però, sarebbe rimasta fino alla fine. La fine di un'era.


    Interagito con Ellie e Albus.
    Sorry non c'è molto. Ma è un po' un addio.



     
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    «Otis? Che fine hai fatto? Sei in ritardo». Le mani erano corse al cellulare immediatamente, ricordando soltanto in quel momento che avrebbe potuto semplicemente telefonare ai propri amici per sapere come stavano, la situazione troppo surreale per pensare lucidamente. Nella quiete che proveniva dall'altro capo del telefono – ad eccezione della voce petulante di Alena Gauthier – Otis trovò uno spiraglio di luce. «Alena...» provò debolmente, mentre cercava riparo nel vano di un'arcata, in quello che una volta, soltanto poche ore prima, doveva essere un porticato. Esitò, ma comunque sarebbe stato interrotto dalla ragazza, e ciò che normalmente l'avrebbe frustrato gli mozzò il fiato, e lo fece sospirare. «No ZITTO! Guarda, non me ne frega niente delle tue scuse. Io non capisco veramente che razza di Caporedattore lascia il suo team da solo il giorno dell'uscita del primo numero di un giornale. NON MI IMPORTA DOVE SEI OTIS! DOVEVI STARE QUA, ACCIDENTI!» Siete al sicuro. Si passò la lingua sui denti, quella che sembrava un'esplosione poco distante da lui, forse qualcuno che ancora tentava di lanciare incantesimi di attacco contro le sfere infuocate, causando più danni che altro. Non era sicuro restare lì, mettersi a parlare al cellulare, tra tutte le cose che avrebbe potuto fare nel bel mezzo di un attacco, di una guerra; eppure teneva il telefono con due mani, aggrappato, arpionato a quella normalità. Chinò la testa, e sbuffò in un sorriso amaro. «Già. Dovevo essere lì. Scusami. Sono stato trattenuto.» Il tono spaventosamente quieto. «Io qui sto cominciando a distribuire le copie senza di te. Non possiamo aspettare. Così la prossima volta impari a prenderti le tue sacrosante responsabilità.» Forse non era vero che sarebbero arrivati ad Hogwarts, i fuochi fatui? Doveva avvisarla o l'avrebbe soltanto fatta impanicare? Non gli avrebbe dato ascolto, esattamente come Otis avrebbe fatto se le parti fossero state invertite. Il resto della telefonata Otis rimase in ascolto, lo sgomento che montava dal momento esatto in cui aveva sentito la voce del preside Cooper, neanche il tempo di cominciare a sperare che i suoi amici sarebbero stati risparmiati. «Alena? Mi senti? Rispondimi, ti prego» era il bisbiglio sconfitto di chi sapeva che rimanere ad ascoltare alla cornetta sarebbe stato solo una tortura, e che probabilmente non gli avrebbe mai risposto. Eppure rimase lì, ipnotizzato, incapace di fare altro, grato a quell'unico debole contatto con il Castello che gli permetteva di immaginare che cosa stesse succedendo altrove, dove lui non poteva andare. Gli occhi spalancati, cercava di decifrare qualunque informazione utile. « Avete visto per caso Veronica Rigby o Agnes D'arcy voi?» riuscì a distinguere, ovattato, il respiro che si affannava sempre di più, spettatore esterno, inerme, quando attorno a lui si scatenava il caos più completo. Alena avrebbe sentito lo schianto, se avesse accostato il telefono all'orecchio in quel momento. Il campanile era crollato a rallentatore, Otis avrebbe potuto giurarlo: il tempo era stato piegato insieme allo spazio, e si era frammentato, scheggiato e deflagrato, così come il concetto stesso di casa. Perdere un posto del cuore per via di una partenza, di un nuovo inizio, lo rende distante nel tempo, e ogni volta che vi si fa ritorno sembra di tornare al passato; Otis aveva trascorso tutta l'estate chiuso in una stanza come fosse una cripta, una capsula del tempo, avvolto nella propria infanzia che ufficialmente era terminata senza che lui avesse dato il proprio consenso. Perdere un posto del cuore perché quel posto non esiste più significa che esso mancherà per sempre, in ogni tempo, senza possibilità di ritorno, cancellato anche dallo spazio, da ogni dimensione. La distruzione che stava prendendo luogo attorno agli occhi di tutte le persone che chiamavano Inverness e dintorni casa stava delineando una cancellazione assoluta: non esisteva più un luogo a cui fare ritorno se non con la propria memoria. Gli angoli venivano annullati, anche quelli in cui la luce entrava dalle finestre illuminando il pavimento con un fascio perfetto; non esistevano più le nicchie in cui ripararsi, lo spazio al di sotto del tavolo, quello attorno al bancone della cucina: c'erano soltanto macerie. Gli occhi azzurri di un Otis Branwell che sentiva di aver perso tutto, ogni cosa, forse anche la madre, forse anche i fratelli, non esiste più niente, si riempirono di lacrime bollenti. Il richiamo all'attenzione di Beatrice Morgenstern non gli arrivò neanche, il suono completamente assorbito dal rimbombare del proprio cuore, che sentiva nelle orecchie, pulsante nella punta delle dita, mentre annaspava pur di riuscire a respirare, immobile, a tutti gli effetti paralizzato. Le mani non si muovevano più, bloccate in una posizione dalla rigidità tale da procurargli dolore. I massi bloccati, che stavano per crollargli addosso, lui non li aveva neanche visti. La famiglia a cui si era accodato era andata avanti, non concedendosi il tempo di guardarsi indietro, attorno, di sopra, di sotto. Otis l'aveva fatto, aveva guardato Medusa negli occhi e adesso si era pietrificato. Alle due più famose reazioni di attacco o fuga se ne aggiunge sempre una terza: la paralisi. Aveva gli occhi fissi su una ragazza, la riconosceva, erano stati compagni di classe, avevano seguito insieme il corso di Pozioni per gli studenti del secondo anno; era Corvonero, e decisamente più abile di lui nelle pozioni, ma mai quanto Ronnie, nessuno era come Ronnie. Come si chiamava? Era già morta? O soltanto svenuta? Avrebbe voluto avvicinarsi, o forse avrebbe dovuto farlo, perché declinare il verbo volere in una situazione del genere non aveva senso. Che cosa avrebbe voluto? Sì, pensiamo a questo, un pensiero più bello: avrebbe voluto trovarsi al chiosco che aveva allestito con Alena e i ragazzi del giornalino, un bel caffè fumante tra le mani, la voce petulante della Gauthier che si sarebbe ostinata a richiamare l'attenzione delle persone urlando invece di aspettare che fossero loro ad andare da loro, avrebbe voluto litigare con lei, sentirsi dare del nevrotico e darle dell'isterica. Avrebbe voluto intravedere Émile, e avrebbe voluto avere il coraggio di mantenere il contatto visivo con lui, invece di interromperlo – come invece molto probabilmente avrebbe fatto. Avrebbe voluto sostenerne lo sguardo e poi alzare una mano in cenno di saluto. Perché litigavano? Te lo ricordi, perché non vi parlate? Forse c'entrava il ballo, ma no, era una cosa che partiva da molto prima. Avrebbe voluto salutarlo, per una volta, con intenzione, non perché obbligato a farlo dalla prossimità forzata, e poi magari avrebbe voluto avvicinarglisi, porgergli una copia del proprio nuovo giornale, fiducioso che avrebbe capito che giorno speciale fosse, quello. Perché non siamo più amici? Dovremmo essere amici. «Branwell! Con me!» Poi forse li avrebbe raggiunti Ronnie, gli avrebbe avvolto le spalle con un braccio ciondolante, l'avrebbe preso in giro per quanto era teso, scompigliandogli i capelli, e rubandogli un sorso di caffè, per poi lamentarsi di quanto
    zucchero ci mettesse. «Sali, forza!» Otis sarebbe morto, quel giorno, se non fosse stato per il lampo dell'Incarceramus della professoressa di volo. Lo squarcio nella fantasia in cui si era rifugiato, la secchiata di acqua giacciata: doveva sopravvivere. Le gambe lo portarono a salire in groppa alla scopa senza neanche registrare il fatto che ai fuochi fatui si fossero aggiunti degli Auror che erano lì con l'intenzione di uccidere tutti loro. «Reggiti forte a me» e lui ubbidì. Come si chiamava, la ragazza di Corvonero? Non potè fermarsi dal guardare in basso: non esisteva più niente. Sentì le lacrime montargli in gola, gli occhi pizzicare di nuovo, il pianto non era niente rispetto a quello che avrebbe voluto fare, non c'era reazione misurata, sufficiente, era quella la disperazione. «Branwell, eri tu quello che ha vomitato a maggio dopo la lezione sul Wronski Feint?» Chiuse gli occhi, rimandò giù il rospo: ci sarebbe stato tempo per quello strazio. Tutta la vita, probabilmente, per potersi riprendere. «Per fortuna ho fatto una colazione leggera» provò, parlando per la prima volta quella mattina, recuperando tutta la forza di cui era capace e che la professoressa Stone riusciva a trasmettergli. Sfrecciava gettando occhiate alle loro spalle, di tanto in tanto, e solo quando riuscì a combattere la paura dell'altezza e finalmente si decise a voltarsi capì che cosa stesse succedendo. «Ci inseguono, vero?» «Disclaimer: ora ti faccio fare un po' di zig-zag. Tu pensa alle montagne russe e vedrai che ti diverti.» La strinse più forte, sentendosi più bambino che mai, il corpo esile ma forte della giovane prof di Volo che lo ancorava alla realtà, così grato che l'avesse salvato e che fosse lì con lui che avrebbe voluto poter ricambiare il favore invece di essere solo peso morto. Almeno posso smettere di piangere. E evitare di sboccare. Tirò su col naso un paio di volte, chiudendo gli occhi. Fu un Expulso a toglierglieli dalle calcagna. Quando atterrarono, incredibilmente salvi nei pressi di uno dei portali che gli warlock avevano allestito, Otis crollò al suolo, le gambe di gelatina che non potevano sorreggerlo più. «Cos'è successo a Hogwarts, signorina Stone? Possiamo andarci? Possiamo raggiungere gli altri? Come facciamo a sapere che stanno bene? E dove andremo a vivere?» Un fiume di domande a cui nessuno avrebbe potuto rispondere, a cui se ne aggiungevano di nuove ogni cinque minuti. Di chi è opera? Che cosa vuole? Perché proprio noi? Perché non ci lascia in pace? Era sopravvivenza più che investigazione riuscire a dare una spiegazione a tutto quello che era appena successo. Ricordò la conversazione con Beatrice, un anno prima, dopo la presa di Hogwarts da parte del Branco, e pensò che avrebbe dovuto fare più domande, capire meglio, essere più in controllo. Non aveva aiutato, non era servito a niente, ancora una volta. Si tirò in piedi, ripulendosi i pantaloni sporchi di terra, quelli che aveva scelto di indossare soltanto poche ore prima, quando esisteva ancora un armadio che conteneva i suoi vestiti, quando il suo letto era un'entità solida con caratteristiche proprie, forma e non solo materia. Estrasse la bacchetta dalla tracolla, ancora ben salda attorno alla sua spalla, e si chinò sulla gamba della professoressa di volo, che sedeva a terra, in attesa che fosse il loro turno di attraversare il portale. «Epismendo.» La ferita, comunque poco profonda, lentamente cominciò a rimarginarsi. «Come sta? Ha altre ferite?» Un passo felpato, rivelato soltanto dal rotolare di sassolini, catturò la sua attenzione, a pochi metri da lui. Quel manto grigio, quegli occhi zaffiro: nonna Edith. La gatta accelerò il passo, a questo punto correndo verso di lui, la coda leggerissima che spazzolava la terra dal suolo. «Nonna.» Pianse di nuovo, accarezzandole il pelo polveroso, pulendola come poteva, sporcandosi le mani, mentre la gatta strofinava la testa contro la sua fronte. Rimasero così a lungo. «Io rimarrò qui, vicino al portale. Non posso tornare in città... Ma posso aiutare a curare chi non è in condizioni di viaggiare o smateralizzarsi...» Comunicò alla Stone, affinché qualcuno sapesse dove si trovava. «E poi non me ne vado finché non trovo mia madre e i miei fratelli.»


    Nell'ordine: risp telefonata di Alena, avuto attacco di panico, salvato dalla Stone, poi atterrato, ricontrato nonna Edith, deciso di rimanere a dispensare cure a chiunque si trovi nei pressi del portale prima di viaggiare verso il luogo sicuro e che non sia in condizione di farlo + espresso preghierina di rincontrare mamma e fratelli. Qualcuno gli spieghi che deve andarsene e che alla reunion ci pensiamo dopo.
    Quindi: interagito con Malia & Alena e menzionati Tris, Emi, Ronnie, Alena


    Edited by the educator - 24/9/2023, 22:02
     
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