Phantom liberty

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    Cosa posso fare? Cosa posso ancora fare? La notte appena trascorsa, Beatrice l'aveva passata lì. Non in un letto, non in una casa, non con un tetto sopra la testa, bensì sopra un tetto. Il cielo stelato a farle da testimone è una bottiglia di liquore ad appannarle o sensi. Era bello il quartiere warlock. Così tranquillo, pacifico. Abbiamo sbagliato a venire qui? E se dovessimo disturbare la quiete di queste persone? Ovunque vado succede di tutto. Aveva parlato da sola, poi aveva riso, poi pianto, e poi ancora parlato. Ce l'aveva con tutti. Chiunque. Con Malia che l'aveva rintracciata sul campo di battaglia e con Raiden che l'aveva trascinata attraverso il portale. Ce l'aveva con tutti quei volti smunti che avevano osservato il suo lento e patetico trascinarsi verso il quartiere warlock, controvoglia e non senza urlare e scalciare. Non si abbandona il campo di battaglia, mai. Questo, oppure, piuttosto che affrontare quella amara sconfitta, Tris avrebbe preferito morire. Come avrebbe fatto a guardare ancora in faccia i suoi compagni d'armi? La sua famiglia. I suoi amici. Per dire loro cosa? Per impartire quali ordini? Non ho più ordini da impartire. Non ho più niente da dire. Non voleva parlare, né sentire, né pareva avere ancora le forze per fare alcunché. Qualcosa però lo fece, e in quel trambusto prese a scorrere le notizie della sera prima. Ora che si trovava a Londra, aveva nuovamente accesso a tutto ciò che accadeva nella capitale. E così, aveva appreso non solo che casa sua era stata completamente schiacciata e annichilita per ordine del Ministero della Magia, non solo che il Prescelto era morto onorevolmente in battaglia a Hogwarts ucciso da uno dei suoi stessi compagni d'armi - no, tutto questo non sarebbe abbastanza. Il suo ex ragazzo, al cui funerale aveva assistito e la cui morte aveva pianto, era vivo e vegeto, ed era ora da tutti soprannominato il Messia. Di quella informazione, lì per lì, colta dal dolce torpore dell'alcol, Tris non seppe cosa farsene. Sembrava scivolarle tutto di dosso come se nulla avesse importanza. Ed era così. Aveva perso la sua casa, la sua casa; molte delle persone che di lei si fidavano erano cadute sotto le armi, o peggio ancora avrebbero affrontato una prigionia che non si meritavano. Lei, era certa di aver combattuto con onore, di aver fatto tutto ciò che aveva fatto per uno scopo nobile. Era così; era stanca di veder cadere sotto il peso dell'ignoranza così tante persone. Voleva dare loro strumenti per affrontare ciò che sarebbe venuto. Ora è qui - in carne ed ossa - la disfatta.. ma non sappiamo comunque come affrontarla. Forse il punto che alle persone bisogna dare la scelta di fallire. Anche a Tris era stata data e aveva fallito. Sotto i primi raggi dell'alba, sospirò, sollevando verso l'alto la bottiglia di Incendiario il cui contenuto era stato quasi completamente consumato durante la sera prima. Da quella poltrona consunta, in cui forse giovani warlock passavano un tempo serate in compagnia, sbuffo, scuotendo la testa. Non poteva nascondersi per sempre là sopra, ma al contempo, non le era chiaro come avrebbe fatto a scendere da lì. Forse potrei semplicemente scendere dal cornicione. Sì. Un volo veloce e indolore. Lo pensava davvero? No. Non era da lei. Nemmeno se avesse voluto, il suo codice le avrebbe permesso di abbandonare la battaglia in maniera così vile. Eppure, ha ancora senso combattere? Combattere per cosa? Il senso di impotenza che provava portava i suoi sensi a entrare in uno stato di completa paralisi, come se quello schiaffo fosse la goccia che fa traboccare il vaso. Tris, di umiliazioni ne aveva subite a non finire, ma mai avrebbe pensato che le sue azioni avrebbero portato alla completa distruzione della sua civiltà. Secoli di storia, di storie di uomini valorosi che avevano combattuto per il Credo. Tutto ridotto in frantumi. Sin da quando era appena un'adolescente, uomini maligni avevano tentato di impossessarsi di quell'eredità. Immagino che se non puoi avere qualcosa, l'unica soluzione è schiacciarla. Tris non era comprabile, non si sarebbe mai piegata alla volontà di nessuno, e per questo era diventata scomoda, al punto da forzarle la mano. Aveva scelto di fare ciò che ha fatto, ma non poteva non ammettere che non era mai stato ciò che desiderava per se stessa per il suo popolo. E ora? Era triste, sconsolata, svuotata di ogni umana sensazione che potesse anche solo portarla a sfogare la propria rabbia. No. Nemmeno rabbia c'era in quel suo animo. Solo una sensazione di vuoto, una voragine senza fine all'interno della quale si sentiva smarrita. Cosa ne sarebbe stato ora dei suoi figli? Della sua famiglia? Dei suoi fratelli? Di tutte quelle persone che in Inverness avevano investito tutto. Non lo sapeva. Non aveva la più pallida idea di come avrebbe affrontato il peso delle sue azioni. Di colpo si alzò in piedi. Un passo alla volta verso il cornicione.
    Un passo. Uno solo. E tutto potrebbe finire. No. Non finirebbe. Sarebbe solo un'agonia. Da qui sopra non puoi nemmeno morire. Scosse la testa e allungò un passo nel vuoto. Misurò la distanza con la terra solo per poi chiudere gli occhi, lasciando che il leggero torpore di quei primi raggi freddi scaldassero il suo viso. Poi un rumore; la botola che portava sul tetto si aprì e dall'interno della palazzina emerse una folta chioma di capelli corvini. Beatrice si voltò di colpo scendendo giù dal cornicione appoggiando la bottiglia a terra. Conosceva il giovane warlock poco e niente, alla stessa maniera in cui conosceva la maggior parte delle persone: non le conosceva. Non aveva tempo. Triste; Inverness le aveva tolto persino la possibilità di istaurare veri rapporti, la possibilità di sedersi al bancone di un bar e parlare con un completo sconosciuto anche solo per ascoltare una storia randomica. The lonliest at the top. « Non sto per buttarmi. » Asserì con una voce apatica, lasciandosi cadere su una delle poltroncine consunte; la tappezzeria umidiccia odorava di vecchio, di muffa. « Stavo solo valutando la gravità della commozione cerebrale che si può infliggere da questa altezza. » Stirò un sorriso sarcastico che si spense all'istante, mentre osservava il sole sulla linea dell'orizzonte. « Non sufficientemente grave da dimenticare la giornata di ieri.. » Pensosa, raggiunse il pacchetto di sigarette accendendosene una, per poi passare il pacchetto al moro. « Ti hanno mandato per assicurarti che fossi viva? Oppure qualcuno sta già sperando che abbia deciso di fare un favore a tutti non so.. sparendo? » Eventualmente in maniera definitiva. Per sempre. Una cosa veloce e indolore. Allo stato attuale le persone non sarebbero neanche tristi se crepassi. Probabile che qualcuno sarebbe persino felice. « Ritenta e sarai più fortunato. Sono pur sempre stata battezzata e il suicidio è peccato capitole. Non ci tengo a finire nella Loggia Nera. Come minimo faccio più di un favore a chi mi vuole tanto bene. » Sospirò pesantemente. No. Nemmeno il sarcasmo funzionava. Non funzionava niente. Semplicemente non ci riusciva. Non riusciva a funzionare. « Se hai bisogno di qualcosa non posso esserti utile in alcun modo, mi dispiace. » Chiuso per ferie. Oppure per sempre. Non ho voglia di fare proprio niente e soprattutto non posso fare proprio niente.



     
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    Tante erano le cose alle quali il nostro warlock aveva pensato di poter assistere nel corso della propria vita, ma non il crollo di una civiltà. Non la fine di un'era. Non la caduta di Inverness e, con quest'ultima, a conti fatti, la disfatta di un popolo. Sulle prime aveva avuto le sue reticenze sui lycan, su quell'alleanza. Come sempre. Aveva sempre una serie pressoché infinita di reticenze, quando percepiva che qualcosa o qualcuno, un organismo esterno, volesse entrare in diretto contatto con loro. Ci sarà pure un motivo se siamo stati linee parallele che non si incontravano mai fino ad adesso. Ci sarà pure un motivo se ognuno è per conto proprio - noi di qua, tutti gli altri di là. E il motivo c'era - ce n'era anzi una serie ben forbita. Probabilmente non se n'era ancora nemmeno liberato, di quelle sue reticenze. In fondo. per quanto in quel periodo li avesse osservati, non poteva ancora dire di essersene fatto un'idea vera: non sapeva ancora decidere, non aveva ancora deciso, se gli piacessero o meno. Quella della Città Santa era, dal poco che aveva avuto il tempo di carpirne nei brevi contatti diretti, una società fortemente militarizzata. I lycan erano soldati; sempre sull'attenti, sempre in attesa di una battaglia eterna. Un contrappeso al buio che cercava di mangiarsi il mondo. Ma questi erano tutti concetti che avrebbe facilmente potuto trovare riassunti in un libro di testo, idee che avrebbe potuto riferirgli uno sconosciuto qualsiasi che per Inverness avesse avuto la fortuna di passarci per un motivo qualunque. La verità era che, nei suoi fugaci contatti con quel mondo, Aslan aveva avuto modo di vedere anche altro: il senso di appartenenza a quel luogo, e con esso tutto ciò che questo comportava - lo spirito comunitario, il senso del dovere e, in un modo tutto loro, anche una lotta all'inclusione. Certo, non poteva dire di essersi visto accogliere a braccia aperte da ogni singolo individuo, tantomeno sarebbe stato veritiero affermare di non aver ricevuto occhiate strane o domande fuori luogo, ma non poteva dire di essersi mai sentito realmente indesiderato. Ciò che pensava del conflitto interno, quello con lo Stato Inglese. era un altro paio di maniche.
    Alla presa di Hogwarts aveva storto il naso, senza nemmeno farsi troppi problemi - porterà ritorsioni. Contrattaccheranno. Non si faranno sottrarre la loro scuola. Il massimo ringraziamento possibile. qui, è un calcio nei denti. Che poi era anche un po' la maniera in cui la società magica sembrava reagire un po' a tutto - a suon di calci nei denti e memoria corta - ma quello era un discorso quantomai superfluo. Lo sapeva lui e lo sapeva chiunque non si fosse ficcato la testa su per il culo così tanto da perdere il senno. Sui maghi ne aveva, di cose da dire. Una meno lusinghiera dell'altra, per la verità. C'era il discorso di come additassero gli warlock come diversi, sbagliati, per gravitare irrimediabilmente verso ciò che questi facevano. E farlo male. Con conseguenze disastrose, avrebbe osato dire. C'era il discorso che non fossero solo gli warlock, il problema, ma un po' tutto ciò che si discostasse minimamente dal loro concetto di normalità. C'erano tanti, tantissimi fattori per cui Aslan Lee guardava alla società magica con condiscendenza e per cui non volesse averci a che fare più di tanto. E forse erano state proprio queste cose a portarlo a dare alla causa di Inverness una possibilità; l'idea, seppur remota, che quell'alleanza improbabile potesse renderlo diverso da quelle persone. Lo faceva per sé, anche nella consapevolezza che quella scelta gli si potesse ritorcere contro in qualsiasi momento.
    E così, di Inverness, dei suoi abitanti e dei suoi alleati, aveva potuto vedere un lato ulteriore - quello sconfitto. No, annichilito. L'aveva visto nei volti di chi per cercare altre anime superstiti e di chi invece per quelle strade si era trascinato; l'aveva sentito e non aveva saputo che pensare perché, per quanto potesse aver considerato e dato voce alla possibilità di un contrattacco, fare i conti con le conseguenze di quest'ultimo, banalmente, non era lo stesso. Quando i superstiti si erano riversati a casa loro, Aslan non aveva detto niente. Si era risparmiato tutte le battute acide da copione, nel rispetto di quel dolore che non poteva comprendere fino in fondo. Lui non sapeva come ci si potesse sentire, a perdere la propria casa; il suo cuore stava dappertutto. Tutto il mondo era casa sua. Ma chi il cuore l'aveva in un posto solo aveva bisogno di silenzio. Rispetto. Non vedersi tacciaare di sconsideratezza da qualcuno che aveva ancora la fortuna di trovarsi su di un piedistallo.
    Era ad aiutare col conteggio dei superstiti, quando gli si era avvicinata una ragazzina. Più che avvicinata, si era fermata a fissarlo da una distanza tale da lasciargli intuire che volesse parlargli, ma che per un qualunque motivo non avesse trovato il coraggio di farlo.
    « Puoi pensarci tu, qui? » Aveva detto alla compagna, smollandole la propria, di lista. « Io torno subito. » Dette quelle poche parole, si era allontanato senza troppi complimenti per raggiungere la ragazzina. Poteva avere undici o dodici anni e un caschetto castano. Sebbene tremasse tutta per lo shock, nel vederlo avvicinarsi si voltò dall'altro lato, come per fingere - a scoppio ritardato - di non averlo fissato con estrema insistenza per almeno qualche minuto. « Che vuoi? » Gli chiese, mordace. « Guarda che se ti avvicini ancora - urlo. E se mi fai qualcosa anche. » Bene, ma non benissimo. «Ah. Va bene. Quindi la parte dove sembrava volessi un mio autografo abbiamo deciso di ignorarla per passare direttamente alle maniere forti. Ok. Facciamo che te lo chiedo da qui - » « Non volevo nessun autografo! Chi ti conosce! Io volevo solo trovare i miei genitori - sei pure bru- » Fu Aslan a non darle il tempo di finire la frase, a quel punto. Si limitò a scuotere la testa, reprimendo un mezzo sorriso: « Dammi un nome. Tuo o dei tuoi genitori è indifferente. » Pausa. « Niente urla però. Intesi? »
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    Alla fine i genitori di Olivia Mayburn non li avevano trovati. Non subito. Comunque si erano dati un periodo di tolleranza ed erano stati altri warlock ad indirizzare la ragazzina verso compagni di scuola - frequentava Hogwarts, aveva scoperto, primo anno - e avrebbero capito solo in seguito come muoversi in merito. La notte l'aveva passata da loro. Una notte dove il moro non aveva chiuso occhio, messo davanti alla prospettiva che i genitori di quella ragazzina potessero realmente essere morti. O essere finiti ad Azkaban. O ancor peggio - che fosse finita nel loro quartiere nell'evacuazione di massa e che questo potesse portare loro problemi. Ci manca solo l'accusa di sequestro di persona.Era con questo pensiero che si era alzato prima dell'alba e si era diretto verso l'alloggio predisposto alla Morgenstern. Non certo perché tra quelli che aveva visto rientrare c'era anche lei; non certo perché immaginava potesse aver passato una notte in bianco visto l'accaduto. Non certo per questo. E non fu certo per quello che aveva infilato lo stesso una fialetta di distillato soporifero nella sua tracolla.
    « Non sto per buttarmi. » Ah. Trovato vuota la stanza di sotto, in realtà, gli era venuto piuttosto istintivo salire sul tetto. Da quanto sapeva nessuno l'aveva vista uscire. Però, se proprio doveva dirla tutta, di certo non si era aspettato di trovarsi di fronte una scena del genere nel momento in cui fosse riuscito a capire dove si trovava. « Stavo solo valutando la gravità della commozione cerebrale che si può infliggere da questa altezza. Non sufficientemente grave da dimenticare la giornata di ieri.. » Quindi di pensarci ci hai comunque pensato. « Dipende quanto ti impegni nel buttarti di testa, presumo. Sarebbe comunque una bella botta.» Commentò invece, placido, avvicinandosi a passi felpati alla giovane alpha. Che atro si può dire in questi casi? Tanto se volessi buttarti lo faresti comunque, immagino. Trovò comunque piuttosto ironiche quelle parole - per quanto fosse possibile esserlo, ironici, in quella situazione - considerata la sua linea di lavoro. Non conosceva sufficientemente la Morgenstern da sapere per certo quanto fittizio fosse quell'intento. Non poteva dirlo, se la sua psiche fosse stata effettivamente spezzata dal crollo di quella che era a tutti gli effetti casa sua. Di nuovo - un concetto che Aslan non poteva capire. Poteva però capirne un altro; quello di sconfitta. Lo stesso che aveva letto nello sguardo di ognuno di quei rifugiati, un'idea il cui odore aveva inevitabilmente preso a permeare anche l'aria del loro quartiere. Non è una nostra sconfitta, ma puzziamo di sconfitta un po' anche noi. Perché si erano messi a disposizione, perché in fondo li avevano aiutati; una fetta di quella torta troppo amara era un po' anche loro. Con la differenza che potevano darle solo un morso ed evitare di continuare a mangiarla. « Ti hanno mandato per assicurarti che fossi viva? Oppure qualcuno sta già sperando che abbia deciso di fare un favore a tutti non so.. sparendo? Ritenta e sarai più fortunato. Sono pur sempre stata battezzata e il suicidio è peccato capitole. Non ci tengo a finire nella Loggia Nera. Come minimo faccio più di un favore a chi mi vuole tanto bene. Se hai bisogno di qualcosa non posso esserti utile in alcun modo, mi dispiace. » Il giovane Lee l'aveva seguita con lo sguardo per tutto il tempo, in silenzio. Al massimo, nelle pause di Beatrice tra una frase e l'altra, aveva emesso un mh-mh, peer indicare che ancora la stesse ascoltando. E lo stava facendo, a modo suo. Quando lei gli offrì la sigaretta si allungò quanto bastava per prenderla e se la rigirò tra le dita, pensoso, lasciando che quel silenzio si insinuasse tra loro. I silenzi non vanno riempiti subito. Non sempre. Il silenzio certe volte fa bene; abbastanza da darci certezza di essere stati ascoltati. « Ho deciso io di venire qui a dire il vero, per quanto risulti un po' anticlimatico, considerato il nostro scambio iniziale. Ma io lo sono di mio, anticlimatico, quindi nulla di nuovo su questo fronte.» Si strinse nelle spalle, il tono basso e tranquillo, quasi non avesse realmente trovato l'Alpha di Inverness sul cornicione di un tetto. Ma lui non aveva familiarità con quel concetto e nemmeno l'aveva con Beatrice Morgenstern; ai suoi occhi era poco più di un'idea. Sapeva che avesse guidato la sommossa, aveva sentito di cosa aveva fatto nel tempo, ma non la conosceva. E proprio perché non la conosceva poteva farle dono di due grandi cose. La prima era non provare pena per lei. La seconda: vederla come una persona e non un mito. Perché se anche era un mito, di certo non era il suo. « Tu hai bisogno di qualcosa, piuttosto? » Un cambio di rotta. Perché gli sembrava evidente, e naturale, che non fosse la Morgenstern a dover dare in quel momento. Il motivo iniziale della sua visita poteva aspettare. Fece un tiro della sua sigaretta, reclinando la testa all'indietro per osservare il fumo salire verso il cielo. « Se non vuoi parlare, lo capisco. » Non ti conosco, non mi conosci. « Se invece volessi... » Non ti conosco, non mi conosci. Può essere un lato positivo. « Sappi solo che va bene in ogni caso. Qui sei libera. » Questo è uno spazio liminale, che un po' esiste e un po' no. « E comunque, per inciso, se avessi visto la mia Roma bruciare forse anche io avrei sbirciato di sotto. Per vedere quanto potesse essere grave la commozione cerebrale. » Rome wasn't built in a day, but it burned in one. Quel famoso detto. « La mia fortuna è non averne una. »

     
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    « Dipende quanto ti impegni nel buttarti di testa, presumo. Sarebbe comunque una bella botta.» Si, lo era, se vuoi solo soffrire inutilmente. In ogni caso non abbastanza da rendere la completa disfatta della sua vita più sopportabile. A quel punto non c'era caduta, ferita, o lesione che potesse misurarsi con quanto accaduto a Inverness; non di tipo fisico, né tanto meno di tipo psicologico. Beatrice pensava di essere pronta a tutto. Un tradimento, una coltellata alle spalle, una vera e propria congiura; ma mai avrebbe pensato che la Città Santa sarebbe crollata. Nel suo immaginario, la culla del Credo era inespugnabile. Forse lo era stata, per molto tempo; prima della sconsacrazione, prima che uscisse allo scoperto. Credevo che prendere una posizione servisse a fare la propria parte. Pensavo che così avremmo salvato più vite, che saremmo stati in grado di dare una possibilità a più persone. Non m'interessava la gloria, né la guida. Non volevo che venissero tessute pagine di storia su di me o sulla mia gente. Volevo solo ciò che è giusto. Lottare contro un vulnus che ci ha tenuti ostaggi per mesi, e che nel corso degli anni si è evoluto. Il vero nemico, lo chiamano. Contro il vero nemico, pensavo, Inverness sarebbe stata in grado di fare la propria parte. E invece, le pagine di storia, Beatrice le aveva intessute, nel peggiore modo possibile. Le hanno forzato la mano finché non è stata costretta ad andare verso il punto del non ritorno. Ed ora eccola, sola, incapace di affrontare persino i propri figli, il fidanzato, la famiglia, gli amici, figuriamoci i proprio confratelli. « Ho deciso io di venire qui a dire il vero, per quanto risulti un po' anticlimatico, considerato il nostro scambio iniziale. Ma io lo sono di mio, anticlimatico, quindi nulla di nuovo su questo fronte. » Tris stirò un leggero sorriso, forse il primo sincero. Posò lo sguardo sul orizzonte e annuì, senza dire nulla. Non aveva poi molto da dire, ma quanto meno, con quello warlock, aveva una cosa in comune: forse un po' anticlimatica lo sono pure io. Ormai la gente si immagina questo animale mitologico, una ragazzina spietata assetata di potere. E invece, Tris aveva i suoi dubbi, cercava ancora se stessa; un tempo aveva dei sogni, delle passioni. Era uno spirito libero, una giovane che amava la compagnia degli amici e aveva il desiderio e la curiosità di scoprire il mondo. Proprio quel mondo che per anni le era stato negato, che aveva solo sognato e immaginato da una piccola stanzetta in cima al monastero di Tatev. Di lei la gente non parlava. Lei, la gente non l'aveva mai conosciuta, o non la riconosceva più. « È quasi rincuorante - l'anticlimatico. » Un commento pensieroso, sulla scia del quale crollò nuovamente in un silenzio pesante, portandosi alle labbra l'ennesima sigaretta. Non sapeva quante ne aveva consumate quella notte. Non lo faceva più quasi mai. Eppure, nelle ultime ore aveva deciso di consumare completamente i propri polmoni, quasi sperasse che la nicotina sarebbe stata in grado di rimangiarle l'intestino dall'interno. « Tu hai bisogno di qualcosa, piuttosto? » Dire che rimase spiazzata era poco. Non era tanto il fatto che un completo sconosciuto le avesse chiesto se aveva bisogno di qualcosa - quella poteva essere interpretata quasi come una latente forma di pietà. Piuttosto, rimase sorpresa perché in verità non ricordava quando era stata l'ultima volta che qualcuno aveva chiesto a Tris se avesse bisogno di qualcosa. Fu una realizzazione dolorosa, rendersi conto di essersi addentrata talmente tanto nelle proprie responsabilità, devota fino alla morte alla sua causa, da non realizzare neanche quanto si fosse privata di cose semplici, forse addirittura scontate. Non ricordava quando era stata l'ultima volta che aveva pensato a se stessa come a un individuo, quando si era percepita al di fuori del suo dovere. Privata della sua dolce metà, costretta a essere guida di un gruppo tanto compatto quanto paradossalmente disomogeneo, chiamata a tenere insieme tante istanze differenti, tante necessità differenti, Beatrice non sapeva più se avesse bisogno di qualcosa. La domanda sembrò mandarla completamente in confusione, al punto da portarla ad aspirare nuovamente dalla sigaretta abbassando lo sguardo sulle punte sporche dei propri stivali. « Se non vuoi parlare, lo capisco. Se invece volessi... Sappi solo che va bene in ogni caso. Qui sei libera. E comunque, per inciso, se avessi visto la mia Roma bruciare forse anche io avrei sbirciato di sotto. Per vedere quanto potesse essere grave la commozione cerebrale. La mia fortuna è non averne una. » Per un istante, rimase in silenzio, poi squadrò attentamente il giovane, quasi tentasse di trovare qualcosa che non andasse in lui. Lo faceva spesso; guardava le persone come se volesse risucchiare loro l'animo finché non vi avrebbe trovato il marcio. « Sei per caso una specie di psicologo degli warlock? » C'è un motivo se non ci vado dallo psicologo. Io non voglio affrontare i miei mostri. Mi rimangerebbero. Più di quanto non lo facciano già. Poi tornò sull'orizzonte, apparentemente pronta a declinare l'offerta. E invece, che lo volesse o meno, Tris continuava a pensare alle parole del moro.
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    Poi sospirò. « Più che Roma, Inverness è.. - era - una sorta di Atlantide. Esisteva davvero? Era una leggenda? Chissà.. » In questo, da quello che poteva intuire, lycan e warlock avevano un'organizzazione molto simile. Semplice nella sua complessità. Per secoli i maghi si erano chiesti se quegli individui abili a maneggiare ogni tipologia di ferro avessero effettivamente un'organizzazione, e se il loro distacco dalla cosa pubblica avesse a che fare con la possibilità di essere di fronte a individui che rispondevano in effetti a qualcun altro al di fuori degli stati magici. Il Credo era sempre stato ibrido, anche prima dell'avvento del branco; appartenenti alla categoria dei maghi, eppure ben attenti a restarne lontani dalla loro educazione, dalle loro consuetudini e dalle loro leggi. Avevano un'altra missione, un'altro credo, un'altra etica. Era paradossale pensare che ora, coloro a scagliarsi indistintamente contro le creature erano proprio coloro che avevano condannato in tempi meno recenti gli unici esseri con veri strumenti per contrastarne il pericolo senza obliterare ogni membro delle comunità di ogni razza. « I maghi l'hanno dipinta come una sorta di organizzazione pericolosa perché ne hanno sempre avuto paura. » E forse un motivo c'era. Un motivo per rimanere in disparte, per non mischiarci troppo nei loro affari. C'era eccome. E ora lo scopriamo nella maniera più cruda possibile. « Ma prima che diventasse la terra di chiunque, casa mia era bella. » Forse la cosa più vicina a un'utopia. Le gerarchie erano naturalmente rispettate e non certo imposte. Ogni uomo, donna e bambino conosceva il suo posto, e nessuno lo sentiva come un peso. Forse perché a Inverness non esistevano lotte di supremazia. Lavoravamo tutti per un solo obiettivo. Tenere il Credo in vita il più a lungo possibile. « Eravamo una famiglia. C'era rispetto e compassione.. per quanto violenti e crudi fossero i tempi fuori dalle nostra mura, lì dentro splendeva sempre il sole. Il grano non mancava mai - le strade erano piene di bambini, giovani scapestrati e vecchietti arzilli. Ci piaceva bere e mangiare, fare feste, ridere, ballare.. » Pausa. « Quello che i nostri antenati hanno costruito, era maledettamente irripetibile. Non avevamo bisogno di nulla e proprio per questo non lottavamo mai per qualcosa.. » Lottavamo per qualcuno. Perché in assenza di necessità materiali da accumulare, un obiettivo dovrai pur averlo nella vita. Stirò un leggero sorriso mentre ricordava con estremo calore e dolcezza i momenti più spensierati passati sulle strade della sua città, delle roccaforti in giro per il mondo; i momenti spensierati insieme ai suoi fratelli e alle sue sorelle. Seppur sembrasse una personalità dura e fredda, a tutte quelle persone, Beatrice avrebbe dato la vita. « Tanto era cruente e amara la vita là fuori, quanto lo era dolce nelle fortezze del Credo. Ci tornavi per dimenticartene.. per respirare. Ci tornavi per vivere. » Come quando torni a casa dopo una lunga giornata di lavoro. Non importa quanto lunga - se di qualche giorno, qualche settimana o mese. Alla fine a casa ci torni per toglierti le scarpe, metterti qualcosa di comodo, stapparti una birra e stare con le persone che ami. E la sensazione, ogni qual volta tornasse a Inverness, era proprio quella. « Ho sbagliato a pensare che chi non ci è cresciuto avrebbe capito e apprezzato quella bellezza.. » Che l'avrebbe protetta anche a costo della propria vita. Alla fine non era andata così. E aveva tutte le ragioni per pensare che sarebbe solo andato peggio. « Non puoi forzare nessuno nella tua famiglia, anche quando potresti salvarli.. » Tris credeva davvero che aprendo le porte di Inverness avrebbe salvato tante vite. Forse lo aveva fatto per davvero, ma se così fosse, ormai nessuno se lo ricordava, né nessuno avrebbe ammesso di dovere a quelle mura ormai ridotte in polvere molto più di un semplice tetto sopra la testa. Ecco, io non volevo che Inverness fosse solo un centro di accoglienza; un posto in cui la gente si ferma per qualche giorno per poi ripartire per chissà dove. Volevo che chi ci arrivava decideva di andarsene perché qualcosa l'aspettava altrove, ma nel trascorrerci del tempo, l'avrebbe comunque resa un po' anche casa propria. « Anche voi vi sentite così? Come se aveste aperto le porte a qualcuno che queste mura non le capirà mai? » Avevano paura gli warlock? Erano preoccupati? Probabilmente sì. D'altronde, Inverness e chi ne guidava le fila, aveva ormai la fama della più pericolosa mina vagante mai lasciata in libertà. In fondo, questa gente ha fatto bene a rimanere sulle sue. Forse certe cose non devono mai mischiarsi. Le civiltà nascoste, segrete, lontane, sono tali per una ragione. « Non vi biasimerei se fosse così. » Sospirò passandosi una mano tra i capelli. « Immagino di aver deluso anche voi. Avete scommesso su di me in primis, ed io ho irrimediabilmente fallito. »



     
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    Nel condividere quello spazio con Beatrice Morgenstern, la sigaretta che si stava consumando tra le dita, quello spazio che egli stesso aveva dichiarato essere liminale, il giovane warlock si domandò per quanto tempo sarebbe ancora rimasto tale. Chissà se alla luce di tutto esiste ancora un luogo che sia davvero libero. E chissà cos'è davvero, questa tanto agognata libertà, questa cosa che non vogliamo per nessuna ragione farci sottrarre. Sì, cos'era? Qual era la sua forma più alta e pura? Forse la facoltà di poter fare come volevano, o di andare dove più gli piaceva? Era quella, la tanto decantata libertà? Ma qual è il suo effettivo valore, se possiamo esercitarla soltanto in mezzo a coloro che ci sono simili, che la pensano come noi? Si chiedeva, talvolta, se quella chiusura e quella neutralità cui si erano costretti non fosse stata una mossa dettata dal desiderio di sopravvivenza, Aslan. Si chiedeva, di conseguenza, se non fosse dunque un'elaborata forma di prigionia. Non aveva ancora trovato le sue risposte in merito. Non le aveva trovate ed era per questo motivo che, seppur con discrezione, a piccoli passi si era avvicinato alla causa dei lycan. Lo scetticismo iniziale aveva ceduto il proprio posto alla curiosità, e questa l'aveva a sua volta spinto nella direzione di Inverness. Non ne aveva mai cantato le lodi - non era il tipo - ma, al tempo stesso, non aveva mai sentito il bisogno di fare passi indietro rispetto alla decisione di aiutarli per come poteva. Poter scegliere cosa fare in merito, se aiutare qualcuno o chiudergli la porta in faccia - quella è la mia forma di libertà. Era un accostamento singolare, quello tra gli warlock e i lycan. Operavano servendosi di forze opposte, e non era difficile immaginare quale delle due, almeno in linea teorica, dovesse risultare più popolare. Eppure, sebbene in modi differenti, entrambi si erano trovati marginalizzati, spesso etichettati come un qualcosa che non erano. Prese un tiro dalla propria sigaretta - l'ultimo prima che si consumasse. Non ho idea di cosa siate veramente, ma io ho visto brava gente quando sono passato da Inverness. Gente ospitale. Che si dava da fare. Quindi, per quanto non potesse capire a pieno il dolore dell'alpha per una serie di variabili, figurarsi che lo strazio di quella perdita fosse schiacciante non gli veniva poi così difficile. Aslan aveva le sue opinioni in merito. Pensava, e con molta convinzione, che quella gente - e con loro la giovane Morgenstern - non stesse davvero piangendo la Città Santa come tale. Una città si può sempre rimettere in piedi. Ma se con gli edifici crolla anche l'idea, allora diventa più difficile. E non sarebbe poi così strano se la gente impazzisse dal dolore di aver perso in un colpo quella che era la propria casa e con essa i propri affetti, i propri ricordi; non sarebbe così strano avere l'impressione che con Inverness ne sia crollata anche l'idea. Ma chissà se è davvero così.
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    « Sei per caso una specie di psicologo degli warlock? » Più della domanda in sé, furono le sue implicazioni a farlo sorridere mentre passava distrattamente le dita tra le ciocche scure. Portò finalmente lo sguardo, dove riluceva un barlume divertito, su Beatrice. « Affatto. » Si strinse nelle spalle, spegnendo la cicca ormai consumata. « Però ho una buona memoria, e la tua gente non ha mai mancato di mostrarsi disponibile con me. » Mi sembra solo doveroso estenderti lo stesso trattamento nel momento in cui sei tu ad essere ospite in casa mia. A quel pensiero tuttavia scelse di non dare voce. Non c'era necessità di rimarcare lo status di quelle persone, ricordare ancora una volta che la loro permanenza fosse temporanea. Persino un moto di gentilezza poteva marcire, se si sentiva la necessità di chiamarlo per nome ed ostentarne la natura, ed Aslan non era certamente lì per farsi ringraziare per un atto che, in fondo, era solo umano. Era naturale, la solidarietà, soprattutto tra due comunità come le loro. Perennemente ai margini, costantemente additate per qualcosa che non erano. « Più che Roma, Inverness è.. - era - una sorta di Atlantide. Esisteva davvero? Era una leggenda? Chissà.. » Non se l'era aspettato, che riprendesse la parola. Aveva immaginato, forse, che quella risposta della giovane Morgenstern non fosse stata altro che un modo come un altro per fargli capire che avesse passato il segno e che, tra le due, con uno sconosciuto preferisse la ben più comoda strada del silenzio. Non avrebbe avuto da ridire sulla cosa: era lecito voler fare pace con una cosa di quella portata per conto proprio. La ragazza però aveva scelto di continuare il discorso - o forse di intraprenderne uno nuovo - e lo sguardo dello warlock andò a posarsi su di lei per seguirne il ritmo. « I maghi l'hanno dipinta come una sorta di organizzazione pericolosa perché ne hanno sempre avuto paura. » Le labbra di Aslan, che intanto si era allungato a prendere la seconda sigaretta in un pacchetto che aveva decretato essere ormai condiviso, si stirarono in un sorriso senza sentimento. « Che novità. » Un commento sarcastico, a mezza bocca, inevitabile per qualcuno che sui maghi non aveva niente di lusinghiero da dire. « Ma prima che diventasse la terra di chiunque, casa mia era bella. Eravamo una famiglia. C'era rispetto e compassione.. per quanto violenti e crudi fossero i tempi fuori dalle nostra mura, lì dentro splendeva sempre il sole. Il grano non mancava mai - le strade erano piene di bambini, giovani scapestrati e vecchietti arzilli. Ci piaceva bere e mangiare, fare feste, ridere, ballare.. » Gli venne naturale sorridere di fronte al calore di quelle parole. Ma non fu soltanto quella, la ragione di quel suo gesto. Potrebbero dirmi che stai parlando di un quartiere warlock qualunque, ed io ci crederei. E ci avrebbe creduto davvero. La loro comunità, la sua comunità, per quanto piccola, era esattamente quello. Era casa ovunque andasse. Era la certezza di incontrare la stessa identica atmosfera ovunque nel mondo, in uno qualsiasi dei loro quartieri, perché sarebbe stato sufficiente mettervi piede per trovare una faccia amica. Una grande famiglia. Una famiglia. Ed era così. Per quanto Aslan avesse chiaramente le sue preferenze in fatto di warlock da frequentare, teneva a suo modo ad ognuno di loro. Supponeva che gli sarebbe dispiaciuto sapere ognuno di loro nei guai, a dispetto di come il loro rapporto potesse essersi evoluto nel tempo. Forse siamo meno diversi di quanto pensiamo. Forse, in realtà, nel nostro animo che poi è anche il nostro punto più intimo - siamo davvero identici. La stessa cosa con un nome diverso, « Quello che i nostri antenati hanno costruito, era maledettamente irripetibile. Non avevamo bisogno di nulla e proprio per questo non lottavamo mai per qualcosa.. Tanto era cruente e amara la vita là fuori, quanto lo era dolce nelle fortezze del Credo. Ci tornavi per dimenticartene.. per respirare. Ci tornavi per vivere. Non puoi forzare nessuno nella tua famiglia, anche quando potresti salvarli.. » Esalò una nuvoletta di fumo bianco, Aslan, poi sospirò pesantemente. « Per quanto non si possa forzare nessuno nella propria famiglia però, gli si può chiedere di rispettarla, quella famiglia, anche laddove non vogliano farne parte. Soprattutto nel momento in cui la tua famiglia li ha accolti in casa propria senza battere ciglio nel momento del bisogno. Non è una pretesa esagerata, per quanto molti vogliano dipingerla come tale. » Che Inverness avesse aperto le proprie porte a chiunque al solo scopo di salvaguardare ciò che del mondo restava, nel momento del più grande bisogno, quando questo sembrava essere sul punto di implodere su se stesso, non era un mistero per nessuno. I lycan avevano accolto tutti, indipendentemente dal lignaggio o dalle posizioni politiche. Anche quando avrebbero potuto semplicemente lavarsene le mani. Chiedono, ottengono e poi dimenticano. La gratitudine dei maghi dura cinque minuti di orologio. E forse era anche per questo che Aslan non ne voleva sapere, di mischiarsi con quella società così marcia. Perché immaginava che li avrebbero spolpati fino all'osso per poi farli capri espiatori di chissà quale peccato capitale. « Anche voi vi sentite così? Come se aveste aperto le porte a qualcuno che queste mura non le capirà mai? Non vi biasimerei se fosse così. Immagino di aver deluso anche voi. Avete scommesso su di me in primis, ed io ho irrimediabilmente fallito. » Il giovane warlock emise un verso pensoso. « Non lo so...» Cominciò, inclinando appena la testa di lato. « avete per caso intenzione di dimenticarvene? Sentite il desiderio di radere al suolo questo posto? » Domande retoriche, quelle, la cui natura era sottolineata ancora una volta da una sorriso sbilenco. La tua gente non mi sembra fatta di quel genere di pasta. Forse non conosco tutto di voi - ma finora siete sempre stati corretti, e questo non ho problemi a riconoscerlo. « Penso che questa scelta, aprirvi la porta, avrà certamente le sue conseguenze. Tutto ne ha. Preferirei che non ci fossero? Non ho intenzione di prenderti in giro, per cui dirò di sì. Però non penso sia colpa tua o dei tuoi simili; non sareste certamente voi ad elargire quelle conseguenze. E per quanto sarebbe forse più comodo pensare ne siate la causa diretta, sarebbe concettualmente sbagliato. » Pausa. « Non voglio renderti capro espiatorio di qualcosa che ha causato qualcun altro. » Lo stesso qualcuno che avrebbe avuto serie difficoltà a scegliere chi tra gli warlock ed i lycan gli fosse realmente più scomodo a parità di atti. Ai maghi, in fondo, non piacevano né gli uni né gli altri; la differenza stava nel fatto che i secondi, nel tempo, si fossero fatti valere più apertamente. « Senza contare che probabilmente è anche ciò che vorrebbero - metterci gli uni contro gli altri. » Una pausa. « Con Inverness volevano rendere polvere la sua idea. » Un momento di silenzio. Cercò lo sguardo della Morgenstern col proprio. « E sai, ascoltandoti parlare, non ho l'impressione che ci siano riusciti. » Una città può crollare, ma finché non ne crolla davvero anche lo spirito, finché non crolla anche l'amore che per essa si prova, si può anche ricostruire. Non in un giorno e nemmeno in un mese. Ma a me sembra che Inverness, su questo tetto, sia viva eccome. Anche solo perché esiste ancora qualcuno che la ama. « Per quel che vale, per quel che ho visto - la tua gente è bella, Beatrice. » Non mi sono pentito di avervi aperto la porta.


    Edited by haegeum - 7/10/2023, 15:13
     
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    « Per quanto non si possa forzare nessuno nella propria famiglia però, gli si può chiedere di rispettarla, quella famiglia, anche laddove non vogliano farne parte. Soprattutto nel momento in cui la tua famiglia li ha accolti in casa propria senza battere ciglio nel momento del bisogno. Non è una pretesa esagerata, per quanto molti vogliano dipingerla come tale. » Già. Poteva sembrare scontato. Un ragionamento così lineare. Ma se così fosse stato, forse non ci sarebbero più state guerre, forse nessuno sarebbe più stato emarginato. Il mondo si basava sulla paura, sulla lotta tra diversi, sull'innescare una guerra tra poveri. E se anche poveri non ce ne sono, bisogna renderli tali, perché altrimenti nessuno sta in cima. La ruota già. Gira di continuo. « La fai facile, tu.. ma non lo è mai. Purtroppo, non è mai così facile. » E di quanto fosse complesso il gioco del potere, Beatrice lo aveva sperimentato sulla propria pelle, strisciando tra compromessi, atti di forza, necessità di un controllo che non le apparteneva, e una forma di disciplina che avrebbe voluto non esistesse. Tra la mia gente le regole sono così semplici. Sono semplici perché nessuno le percepisce come tali. Sappiamo di aver bisogno di un ordine per vivere sereni, e a quell'ordine ci atteniamo. Tutti ne siamo coinvolti. Nessuno escluso. Non ci sono eccezioni. Non ci sono ricchi e poveri. Un'utopia. La cosa più vicina a un'utopia. Lo erano anche gli warlock? Si sentivano delusi dal fallimento di Inverness? Avevano paura che la loro presenza lì avrebbe scompigliato il loro quiete vivere? Forse era così. Dovevano essere risultati molto avidi con le rivendicazioni sulle Highlands. Ma dal punto di vista di Tris, se non si considerava Hogwarts, avevano semplicemente reso ufficiale qualcosa che era già così da secoli. Quei territori, per anni spogli, erano stato il loro territorio di caccia, l'estensione naturale della loro città. Ne conoscevano ogni angolo come se fosse il palmo della propria mano. Sapevano muovercisi, difendersi dai pericoli e dalle intemperie. Il Credo sapeva fare i conti con il clima della Scozia, sfruttarne le stagioni per ottenere degli ottimi raccolti; rispettava e utilizzava le fonti del territorio restituendone dieci volte tanto in conservazione e protezione di quelle terre. Meravigliose, selvagge, irriverenti. Erano casa loro. Forse lo saranno di nuovo. È uno dei pochi luoghi sulla faccia della terra dove ci sentiamo accolti. Nell'intemperia. Nell'incontaminato. « Non lo so... avete per caso intenzione di dimenticarvene? Sentite il desiderio di radere al suolo questo posto? » Gettò uno sguardo con la coda dell'occhio al moro prima di stirare un leggero sorriso stringendosi nelle spalle. « Non si sa mai. A quanto pare, sono un po'.. emotiva.. impulsiva - meglio. » È all'emotività che erano state imputate tante delle sue azioni, come se fosse una donna accecata dal dolore, dalla solitudine, forse addirittura in crisi in seguito al parto. Tris era per molti semplicemente una ragazzina rabbiosa, forse troppo ambiziosa per la sua età. In un modo o nell'altro sono sempre stata un po' troppo, ma non in un modo positivo. Non sono mai stata sufficientemente umile, abbastanza assennata. Qualunque cosa io faccia è troppo o troppo poco. Le pressioni che aveva subito avevano portato le sue azioni all'estremo e ad estreme conseguenze. E alla fine aveva perso. « Penso che questa scelta, aprirvi la porta, avrà certamente le sue conseguenze. Tutto ne ha. Preferirei che non ci fossero? Non ho intenzione di prenderti in giro, per cui dirò di sì. Però non penso sia colpa tua o dei tuoi simili; non sareste certamente voi ad elargire quelle conseguenze. E per quanto sarebbe forse più comodo pensare ne siate la causa diretta, sarebbe concettualmente sbagliato. Non voglio renderti capro espiatorio di qualcosa che ha causato qualcun altro. » Era, effettivamente, raro poter sentire ancora parlare in quel modo. Non perché di persone che la pensassero diversamente dall'opinione pubblica non ce ne fossero, quanto piuttosto perché Tris non ne sentiva parlare da parecchio. Non aveva più tempo di parlare. Non ricordava l'ultima volta che aveva avuto una conversazione sincera, semplice, senza che il peso della sua leadership c'entrasse. Solo una ragazza. Lo sono ancora? Solo una ragazza? Di certo le sarebbe piaciuto esserlo. Un tempo disegnava, amava giocare a Quidditch. Era una grande bevitrice di limoncello e amava andare a tirare pugni a qualche sacca anche e semplicemente per scaricare. Un tempo, aveva semplicemente tempo. E non lo aveva sfrutto. « Senza contare che probabilmente è anche ciò che vorrebbero - metterci gli uni contro gli altri. Con Inverness volevano rendere polvere la sua idea. E sai, ascoltandoti parlare, non ho l'impressione che ci siano riusciti. » Di colpo, gli occhi scuri della giovane Morgenstern si issarono in quelli del giovane. Una pattina lucida, che tentò di mettere a freno. Lo pensava davvero? C'era ancora qualcosa in lei che poteva ancora ricordare cosa Inverness fosse stata? Cosa poteva ancora diventare. Siamo già morti? Perché sto pensando a casa mia come a una cosa persa? Forse era troppo presto per poter dare una risposta a quei dubbi. A ciò che effettivamente aveva bisogno di molto più tempo per sedimenterasi.
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    « Sembri molto sicuro di quello che dici.. » Un'osservazione che fece in un sussurro, quasi avesse paura di non ricevere una conferma di quelle parole. Anche Beatrice era una sicura, eppure in quel momento sembrava avere esattamente la sua età, con tutte le incertezze, le paturnie e la mancanza di inerzia. Un equilibrio precario che aveva paura potesse rendere di lei una persona possibilmente ancor più sgradevole, ancor più malvista. « Per quel che vale, per quel che ho visto - la tua gente è bella, Beatrice. » Scostò lo sguardo dal viso di lui e tornò sull'orizzonte per cercare di evitare quelle lacrime. Una però scivolò comunque sulla sua guancia, scacciata tempestivamente dal palmo della mora. Si allungò per prendere una seconda sigaretta, per poi allungare le gambe su quel tavolino malconcio di fronte a loro. Una posizione scomposta, così poco in linea con una matriarca. Non le importava. Quella posizione le apparteneva molto più di tutto ciò che aveva dovuto fare in tutto quel periodo. Annuì tra se e se ma non se la sentì di continuare quel discorso. Non è il caso di piangere davanti a uno sconosciuto. « Io non so nemmeno il tuo nome.. » Asserì di scatto dopo una pausa piuttosto lunga durante la quale il suo cervello sembrò arrovellarsi attorno a migliaia di dubbi e domande. « Per quel che vale, preferisco Tris. » E dicendo ciò, allungò la mano in direzione dello warlock stirando un piccolo sorriso, prima di tirare su col naso scrollandosi di dosso tutto quel malessere. « Parlando d'altro.. hai sentito che cos'è successo a Londra? » Pausa. Gli gettò uno sguardo eloquente prima sospirare, cercando di non metterci più carico emotivo del dovuto, seppur si trattasse del suo ex ragazzo. « Che idea ti sei fatto? » Un parere esterno, per lo più di una persona che non conosceva il trascorso tra lei ed Eric Donovan poteva solo che aiutarla a non lasciarsi trascinare dalla paranoia. « Hai mai visto un morto che cammina? Dacché mondo è mondo, ciò che è morto, resta morto. Può mai essere una persona, quel tale? Il giocatore di Quidditch che tutti conoscevamo? » Scosse appena la testa sfregandosi le mani. « Credo poco alle coincidenze, e mi sembra altamente improbabile che nello stesso giorno in cui accade ogni disgrazia possibile, giunge da chissà dove, un uomo che in molti hanno visto morto, promettendo la salvezza. E tutti ci credono. » Che cosa hai fatto Eric? Che cosa ti hanno fatto? « La prima cosa a cui ho pensato è una polisucco. Poi ho pensato a un sin eater, un'illusione. Ma perché? » Perché impegnarsi per tutta questa teatralità? Perché il Ministero scarica il barile su un presunto Prescelto? Non ha alcun senso. Hanno già vinto..



     
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    Alle prime luci di quella mattina, Aslan non poteva far altro che chiedersi per quanto tempo ancora il quartiere warlock - il suo quartiere - sarebbe rimasto quel che era. Una piccola oasi all'interno di una città che - e questo gli sembrava cristallino - era appena entrata in una nuova era. Un'era che ai suoi occhi aveva qualcosa di sinistro. Sbagliato. La cosa peggiore? Non è la prima volta che tira quest'aria. Ha mai smesso davvero di tirare? La risposta a quel quesito era tanto semplice quanto complessa - un po' come lo era anche la natura umana. C'è una ciclicità, nella maniera in cui il marcio torna a galla. Non appena ti sembra di averlo fermato, di averlo mandato via, ecco - quello è anche l'esatto momento in cui devi cominciare il conto alla rovescia per il suo ritorno. Gran parte dell'educazione degli warlock verteva attorno al concetto di equilibrio. In virtù di esso venivano educati ad agire in un certo modo, a considerare ogni possibile conseguenza prima di prendere una determinata decisione, a ponderarne ogni possibile estrinsecazione. E da warlock, riconosceva che quel conflitto eterno, quell'apparente girare in tondo, fosse soltanto la manifestazione di ciò che era il mondo in ogni senso possibile. Ma non era soltanto uno warlock. Aslan era anche un essere umano, una persona che, di tanto in tanto, si chiedeva se fosse giusto arrabattarsi per tutta una vita senza avere un attimo di respiro. La sua comunità poteva considerarsi fortunata perché, per sua natura, fino ad allora, da determinate beghe si era sempre astenuta. Forse era anche per questo che, sulle prime, aveva storto il naso di fronte all'idea di una collaborazione coi lycan. Non voleva che la sua preziosa bolla venisse meno. Non voleva che i suoi componenti venissero messi in pericolo per un conflitto che, se anche fosse stato risolto in via temporanea nella maniera sperata, si sarebbe comunque ripresentato di nuovo. Magari non subito, ma prima o poi. Però poi ci aveva ragionato. Si era seduto a tavolino con quei suoi dubbi e li aveva decostruiti uno alla volta. Si era chiesto se, per quanto chiusi in se stessi, gli warlock fossero stati realmente estranei a quel gioco di forze. E, nemmeno volendolo con tutto se stesso, era stato in grado di darsi una risposta affermativa. A conti fatti avevano comunque subito ogni conseguenza dello squilibrio che aveva portato la Loggia Nera a mangiarsi ogni cosa; a conti fatti avevano comunque subito delle perdite. E si era detto che la cosa giusta da fare era anche la più scomoda. Sulle prime non si fidava dei lycan alla stessa maniera in cui non ci si fida di una cosa che non si conosce - li aveva osservati da lontano. Loro avevano fatto lo stesso. Quella dello psichico, in fondo, non era la specializzazione più popolare, né quella che immediatamente ispirava fiducia al prossimo. Nessuno voleva accettare che un estraneo avesse gli strumenti per mettergli la testa sottosopra. Questo stigma aveva sempre fatto sorridere Aslan. Avere gli strumenti per farlo, non significa necessariamente che andiamo a ficcare il naso nella mente del primo undicenne che ci capita. Il più delle volte, anzi, gli psichici avevano laa tendenza a rifiutare di fare mosse così invasive. Che la mente umana fosse cosa complessa e delicata, non lo sapeva nessuno meglio di loro. Il problema principale è che immaginano che gli warlock abbiano l'etica e la morale del mago medio - aveva realizzato un giorno. E la cosa l'aveva in egual misura divertito e terrificato. Perché in effetti, uno warlock con l'etica di un mago qualunque lo sarebbe, terrificante. Era stato grazie a quella realizzazione improvvisa, se si era aperto un po' di più. Senza contare che i racconti di Eliphas - che di Hogwarts sembrava molto entusiasta - o dei suoi genitori, avevano smosso la sua curiosità. Inanna, sua madre, aveva cominciato a tessere le lodi di quella comunità e non aveva più finito. Era un'elementale di Terra, ma si occupava anche dei Portali. Era stata ad Hogwarts, infatti, durante l'evacuazione di quest'ultima. Suo padre, Wen, seguendo la stessa linea del figlio, era più cauto. Soprattutto - essendo lui un elementale che si occupava di fuoco - aveva dato di matto all'Ardemonio in Tenuta. Ne aveva parlato per giorni. Aslan, in linea di massima, era intervenuto poco, ma era convinto anche che fosse meglio; uno psichico lo chiami o per chiedergli se ha i contatti che ti servono, o perché ci sono problemi grossi. Comunque aveva fatto il suo. E non poteva dire di pentirsene. Però, ugualmente, si chiedeva quando e di quanto il loro equilibrio sarebbe effettivamente stato sconvolto in seguito a quella scelta, nonostante fosse fermamente convinto che la neutralità eterna fosse in ogni caso un concetto utopistico. « Sembri molto sicuro di quello che dici.. » A quelle parole parve non reagire quasi, eccezion fatta per lo sguardo, che si era fatto più intenso. Sono sicuro di quello che dico. Lo sono perché nel grande schema delle cose, certi conflitti sono eterni. Ma non è solo quello. Emise uno mh-mh poco invasivo, che sicuramente non avrebbe comunicato alla Morgenstern anche il secondo substrato dei suoi pensieri. La tua è gente tenace, e tu sei tenace. Delle cose veramente morte non si parla; per le cose veramente morte non si soffre così. Non serviva essere uno psichico per vedere che la Città Santa fosse ancora bella che viva sebbene non fosse più in piedi. Perché in piedi lo siete voi. E se c'era una cosa dei lycan che aveva capito era che, nonostante le loro naturali differenze personali, non fossero solo soldati; erano una famiglia, proprio come gli warlock. E come gli warlock, si sarebbero tenuti in piedi anche laddove ne fossero rimasti solo quattro in croce. Una città è niente. Però era lecito a lasciare a tutti il tempo di soffrire, di assorbire quel colpo; non voleva dare alla sua interlocutrice l'impressione di pretendere che gli credesse per forza. E non voleva neppure essere invadente. Perciò non disse nulla, spostando a sua volta lo sguardo sull'orizzonte. « Io non so nemmeno il tuo nome.. » E questo era vero. Non gliel'aveva detto per due motivi: prima di tutto, la situazione assurda in cui quello scambio era iniziato, non aveva lasciato spazio alle presentazioni. Poi, forse per mantenere quell'atmosfera che era andata a crearsi tra loro, nel qual caso avesse voluto parlare. Certe volte è più semplice, se non sai chi hai davanti. Alcuni, anzi, lo preferiscono. Diventi un contenitore e basta, un qualcosa che possono serenamente dimenticare una volta finito lo sfogo. E ad Aslan non dispiaceva l'anonimato. Ma anche se gli fosse dispiaciuto, era stato lui ad entrare in quella situazione a gamba tesa, per cui non si sentiva in diritto di avanzare lamentele. « Per quel che vale, preferisco Tris. » Era tornato a guardarla a quel punto, e non ci mise molto a stringere la mano che la mora gli aveva allungato, distendendo le labbra in un mezzo sorriso.
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    « Aslan. » Fece una breve pausa, per aggiungere. « Lee. È più facile che tu abbia sentito parlare dei miei genitori che di me, comunque: mia madre si occupa di Portali. Mio padre era ad Hogwarts dopo l'incidente dell'Ardemonio. » Per quanto il suo fosse un cognome abbastanza comune, di Lee all'interno della comunità warlock, elementali, e che avevano scelto di collaborare con Inverness c'erano soltanto loro. « Qui ci conosciamo tutti, uno perde un po' l'abitudine di presentarsi. » Aveva notato il luccichio bagnato nello sguardo della giovane ma, esattamente come lei, aveva scelto di passarci sopra. Non era giusto invadere certi spazi, così come non lo era mettere la gente in imbarazzo. « Parlando d'altro.. hai sentito che cos'è successo a Londra? » A quella domanda di Tris divenne visibilmente più serio ed aggrotto le sopracciglia. « Sono certo che anche i sordi abbiano sentito. » Rispose. Ai suoi occhi, quell'avvenimento non era precursore di nulla di buono, né poteva essere considerato un caso. « Hai mai visto un morto che cammina? Dacché mondo è mondo, ciò che è morto, resta morto. Può mai essere una persona, quel tale? Il giocatore di Quidditch che tutti conoscevamo?» Emise un lungo verso di assenso, Aslan, prima di rispondere. Gli occhi scuri si fissarono altrove mentre rifletteva in merito. « Gli unici morti che camminano di cui io abbia sentito parlare, sebbene non sia la mia area di competenza, sono gli Inferi. E da quel che ho sentito dal telefono senza fili, quel tale era un po' troppo arzillo, se capisci che intendo. Questo senza nemmeno mettere in conto i supposti miracoli. » Si strinse nelle spalle, umettandosi poi le labbra. Qualunque cosa sia quel tipo, non è nulla di buono. « Credo poco alle coincidenze, e mi sembra altamente improbabile che nello stesso giorno in cui accade ogni disgrazia possibile, giunge da chissà dove, un uomo che in molti hanno visto morto, promettendo la salvezza. E tutti ci credono. La prima cosa a cui ho pensato è una polisucco. Poi ho pensato a un sin eater, un'illusione. Ma perché? » Lo warlock tamburellò con l'indice contro il mento. Poi sospirò pesantemente. « Il perché è forse la parte più facile. Probabilmente, qualunque sia la cosa che bolle in pentola, hanno bisogno di risultare popolari. Possiamo speculare se sia il consenso quello che cercano o ciò che il consenso comporta - l'accesso a grandi numeri di persone che facciano quello che vuoi. » Lanciò un'occhiata carica di significato a Tris, lasciando che cogliesse il sottotesto. Che espresse comunque. « Non sarebbe nemmeno la prima volta. » La prima volta che si sono cercati grandi numeri è stata quando la Loggia Nera ha cercato di mangiarsi tutto. Chissà che non stiano tentando qualcosa di grosso, i Minerva. Chissà che non stiano facendo il gioco della Loggia. « Se c'è un Messia vero e proprio - uno carismatico e popolare, come potrebbe esserlo un ex giocatore di quidditch - che bisogno c'è di avere Inverness? Se fossi il mago medio che vuole avere qualcosa in cui credere e basta, io ci vedrei un segno. Se Inverness non è mai crollata, e crolla solo ora che arriva questo Messia, io cosa penso? O che Inverness non serve più, o che è crollata perché stava facendo qualcosa che non fosse gradito ai piani alti. E mi batterei pure il cinque per aver partorito questa genialata da quattro soldi. » Sbuffò una risata sarcastica e priva di sentimento e prese un profondo respiro. « La polisucco è improbabile. Ma, dato che è la mia area di competenza, ti dico che lo è anche un'illusione. Le illusioni sono complesse da mantenere. Dovrebbe avere un team di psichici attaccati al culo h24 - e questo, concorderai, desterebbe qualche sospetto. » Si strinse nelle spalle, prima di rilanciare la palla al centro. « Tu? Cosa ne pensi? » Pausa. « Cosa potrebbero volere? Perché gli servite fuori gioco? »



    Edited by haegeum - 10/10/2023, 03:01
     
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    « Gli unici morti che camminano di cui io abbia sentito parlare, sebbene non sia la mia area di competenza, sono gli Inferi. E da quel che ho sentito dal telefono senza fili, quel tale era un po' troppo arzillo, se capisci che intendo. Questo senza nemmeno mettere in conto i supposti miracoli. » Beatrice sospirò. Non aveva avuto il coraggio neppure di domande troppo. La faccenda era più personale di quanto si pensasse. Eric Donovan era stato un pezzo importante della propria vita. E ora, trovarsi in quella situazione, di fronte a un triste quanto bislacca coincidenza - se di questo si trattava - la portava a mettere in discussione ogni cosa. Il suo operato, le cose in cui credeva, le persone di cui si fidava. Dubitava che, se quello fosse stato Eric, avrebbe davvero mosso un dito, se non contro Inverness, sicuramente contro i suoi amici. Nella Città Santa e nei territori delle Highlands, avevano trovato casa tante delle persone a cui teneva, tante delle persone che comunemente avevano amato e rispettato in passato. Eppure, posso davvero dire di conoscere sufficientemente ciò che vedo? È mai stato reale ciò che abbiamo conquistato? Ciò che pensavamo di avere? O siamo solo stati tentati da una bellissima illusione? A quel punto non sapeva più cosa credere. Non sapeva più a chi credere, di chi fidarsi. Sapeva che in ogni caso le cose, per lei, non sarebbero state piacevoli. E allora dove sarebbe andata? Cosa avrebbe fatto? Come avrebbe fatto a prendersi cura di tutte quelle persone che in un modo o nell'altro contava su di lei? Restava solo una domanda. Una che Tris porse ad Aslan, col chiaro intento di vedere il mondo, il suo mondo, la realtà, con occhi diversi dai propri. Cercava punti di vista diversi, letture che fossero meno parziali. « Il perché è forse la parte più facile. Probabilmente, qualunque sia la cosa che bolle in pentola, hanno bisogno di risultare popolari. Possiamo speculare se sia il consenso quello che cercano o ciò che il consenso comporta - l'accesso a grandi numeri di persone che facciano quello che vuoi. Non sarebbe nemmeno la prima volta. » Il consenso. Era una cosa a cui Tris pensava poco. Credeva fermamente che le azioni di chi governava dovessero e fossero sufficienti per decidere e ragionare su cosa fosse più conveniente per ciascun libero cittadino. Alla luce di quanto aveva letto nei giornali, di ciò che aveva visto e sperimentato nel corso del tempo, iniziava a pensare che effettivamente la diplomazia, la politica, fossero decisamente molto più di quello. Non bastava fare un buon lavoro, impegnarsi, fare del proprio meglio, per riuscire effettivamente a essere dei buoni leader. E per questo, Beatrice, una politicante non lo sarebbe mai stata. Ma cosa c'entra la Loggia con la politica? Seppur potesse essere una domanda scontata, per lei non lo era affatto. Seppur la res publica e la via mistica si fossero spesso incrociate negli ultimi anni, non immaginava una sola ragione per cui un essere uscito palesemente dalla bocca della Loggia dovesse avere l'interesse di mantenere saldo il controllo sulla popolazione tranne la politica. La Loggia non ha mai agito così fino ad ora. Ma bisogna dire anche, che la Loggia non aveva mai agito in maniera scontata. « Se c'è un Messia vero e proprio - uno carismatico e popolare, come potrebbe esserlo un ex giocatore di quidditch - che bisogno c'è di avere Inverness? Se fossi il mago medio che vuole avere qualcosa in cui credere e basta, io ci vedrei un segno. Se Inverness non è mai crollata, e crolla solo ora che arriva questo Messia, io cosa penso? O che Inverness non serve più, o che è crollata perché stava facendo qualcosa che non fosse gradito ai piani alti. E mi batterei pure il cinque per aver partorito questa genialata da quattro soldi. La polisucco è improbabile. Ma, dato che è la mia area di competenza, ti dico che lo è anche un'illusione. Le illusioni sono complesse da mantenere. Dovrebbe avere un team di psichici attaccati al culo h24 - e questo, concorderai, desterebbe qualche sospetto. » La mora annuì, non sapendo precisamente come destreggiarsi in quel groviglio di informazioni. Una lettura precisa, ancora non l'aveva, e forse in cuor suo non voleva nemmeno troppo pensarci. Forse era troppo presto. Forse non riusciva a focalizzare assolutamente nulla. « Tu? Cosa ne pensi? Cosa potrebbero volere? Perché gli servite fuori gioco? » Solo a quel punto si strinse nelle spalle, dando dimostrazione della sua completa incapacità di lettura della situazione. Un'incapacità mista al rifiuto di farlo.
    « Non ne ho la più pallida idea. » Asserì con un tono stanco. Reduce dalla lunga nottata, dal freddo, e dal torcicollo che accusava, osservava semplicemente la linea dell'orizzonte con una certa freddezza che tuttavia non le permetteva di guardare la questione a mente fredda. « Inverness è stata scomoda e nel mirino di molti per tantissimo tempo. Abbiamo subito ogni tipo di attacco possibile. Genocidi, sparizioni, attacchi.. » A quel punto aveva perso il conto di tutte le cose che erano successe. Iniziava a pensare che fosse solo sfiga. Che non fosse nemmeno Inverness il problema quanto il fatto che si trovavano nel posto sbagliato al momento sbagliato. « Se devo essere sincera, questa cosa del consenso - non lo so. Assoldare un morto con un curriculum come quello di Eric Donovan fa alquanto ridere. » E infatti rise, seppur si trattasse di una risata amara. « L'unica cosa in cui si è distinto nella sua esistenza è stato il passaggio di una fottuta pluffa. A scuola faceva schifo, come ribelle era poco più che l'ultima ruota del carro. Come cittadino era responsabile solo quando si trattava del suo lavoro. Veniva da un ambiente complicato - » Si strinse ancora una volta nelle spalle tornando a osservarlo con un'espressione sinceramente perplessa. « Eric Donovan è la persona più maledettamente ordinaria che esista. » Non spiccava in quanto a intelligenza, né tanto meno in quanto all'ambizione. Non aveva nulla di speciale. E a Beatrice, Eric, era piaciuto così tanto proprio perché era ordinario. Prometteva proprio quella vita semplice, normale, che aveva sempre ambito, ma che non le sarebbe mai stata destinata. « Fa ridere pensare che qualcuno possa definirlo Messia e che possa essere la causa di tutto. » Per Tris, quello era solo Eric. Solo Eric Donovan. « Immagino che non importa poi molto cosa vogliano - chi, perché, come.. Diventa terribilmente banale tentare di trovare una spiegazione a qualcosa che è già accaduto e a cui non puoi porre rimedio. Potrebbe sembrare che stai solo cercando modi per scendere a patti con quello che è successo. Io però non ho assolutamente intenzione di cercare ragioni a questa cosa. O intendo accettarla. » Non accetterò mai alcuna motivazione per cui giovani e anziani, bambini e neonati, sono rimasti senza una casa. « Però vedi - io ho conosciuto il mondo magico quando avevo tredici anni. Da allora ho visto costantemente una ruota che gira. Qualcuno ci sale sopra mentre qualcun altro ne viene schiacciato al di sotto. Moralmente.. fisicamente.. » Un po' in tutti i modi. « Volevo evitarla - la ruota. È quello che dicono i cacciatori. Restane fuori. Evita gli affari dei maghi. Ma alla fine ci sono salita. Il mio unico errore è stato non spezzarla quando ne avevo accesso. » Dovevo distruggerla. O restarne fuori. Perché Tris, che avesse a che fare con cose terrene o meno, sulla ruota non ci sapeva stare. Non avrebbe mai schiacciato le vite di persone innocenti - nemmeno di tutti quei maghi che ora probabilmente la stavano condannando a morte certa. « A questo punto non m'interessa più. Non del Ministero o della Loggia Nera - o di quella Bianca per quel che mi riguarda. » Le cose stanno proprio così. Getto la spugna. Non è più una mia responsabilità. « Se è di un Messia che hanno bisogno, che così sia. Se vogliono i miracoli, e gli sproloqui in piazza credo che sia solo giusto. Le feste, lo sfarzo, i soldi, la libertà.. » Sospirò. « Chi sono io per dire loro di no? Se gli serviamo fuori gioco - che così sia, Aslan. » Pausa. D'ora in avanti penserò solo ai cazzi miei. Come avrei dovuto fare sin dal principio. « Immagino che dovremmo occuparci solo di chi si occupa di noi a sua volta. Sarà cinico ed egoista, ma in fondo nella vita tutto è uno scambio. » E sono stata stupida io a non chiedere niente in cambio quando ho dato tutto. « E quindi immagino che partiremo da lì - appena capirò da quanti ergastoli emanati del Ministero della Magia dovrò riguardarmi. » Perché era certa che sarebbe stata considerata la prima criminale di guerra, e quindi, la sua vita sarebbe stata di certo poco facile. Ma ce la farò. Ce la faccio sempre.



     
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    « Non ne ho la più pallida idea. Inverness è stata scomoda e nel mirino di molti per tantissimo tempo. Abbiamo subito ogni tipo di attacco possibile. Genocidi, sparizioni, attacchi.. » Aslan annuì appena, a sottolineare che stesse seguendo il discorso di Tris. Che Inverness non fosse comoda alla società magica era piuttosto evidente. D'altra parte, inutile girarci attorno, se così non fosse stato, non solo i lycan non si sarebbero trovati nella situazione corrente, per quanto nemmeno avrebbero dovuto cercare l'aiuto degli warlock. Se le cose fossero state semplici e pacifiche, le loro realtà avrebbero continuato a coesistere parallelamente, senza alcuna necessità di entrare in contatto l'una con l'altra. Era assurdo però, almeno secondo lo psichico, pensare che si trattasse solo di una scomodità di carattere politico. Magari sono io quello malpensante, non sarebbe nemmeno la prima volta, ma se sono successe tutte queste cose che hai elencato, non riesco proprio a concepire che non sia perché siete scomodi in più di un senso. Si trovò a tormentarsi l'interno guancia coi denti mentre la Morgenstern continuava ad esporre il proprio punto di vista: « Se devo essere sincera, questa cosa del consenso - non lo so. Assoldare un morto con un curriculum come quello di Eric Donovan fa alquanto ridere. » A quelle parole della giovane, gli venne naturale inarcare le sopracciglia cercando gli occhi di lei coi propri. « L'unica cosa in cui si è distinto nella sua esistenza è stato il passaggio di una fottuta pluffa. A scuola faceva schifo, come ribelle era poco più che l'ultima ruota del carro. Come cittadino era responsabile solo quando si trattava del suo lavoro. Veniva da un ambiente complicato - » Emise un verso assorto. Era evidente che stesse davvero riflettendo sulle parole della lycan. « Eric Donovan è la persona più maledettamente ordinaria che esista. Fa ridere pensare che qualcuno possa definirlo Messia e che possa essere la causa di tutto. » Lo stregone si strinse appena nelle spalle, facendo dunque scoccare la lingua contro il palato. « Immagino che lo straordinario possa considerarsi più scomodo dell'ordinario quando si tratta di dover creare un mito. » Rispose semplicemente. Di Eric Donovan, Aslan non sapeva assolutamente nulla; si trattava di una persona distante dal suo mondo, dal modo di vivere dello warlock. Tutto ciò che sapeva di quello che era stato eletto Messia dalle folle, l'aveva preso dai giornali o, come nel corso di quella conversazione, da altre persone. Gli sembrava che Beatrice lo conoscesse, ma non gli parve opportuno chiederle quanto, come o per quale motivo. « A mio avviso ciò che interessa alle folle non è tanto quel che oggettivamente è, quanto ciò che possono immaginarsi sia. Il che è anche un po' quello che succede con tutto ciò che viene mistificato. » Si trattava del medesimo principio che era stato applicato anche alla società warlock; un contesto di cui i maghi avevano un concetto molto sommario, ma di cui si erano costruiti un'immagine collettiva basata su quei due o tre elementi che avevano considerato essere chiave. Noi usiamo la magia nera - quindi dobbiamo per forza essere cattivi, amorali e pericolosi; il Messia torna dal mondo dei morti e fa miracoli - dovrà necessariamente essere bravo. Straordinario, persino. « Francamente non ho idea di chi possa esserci dietro, ma ho lo stesso l'impressione che sia poco più di un mezzo. » Brancolava nel buio su quale fosse l'obiettivo finale di chiunque avesse dato il via a quella storia, in fondo gli mancavano troppi elementi perché il tutto gli risultasse meno fumoso, ma su questo non aveva praticamente alcun dubbio. « Immagino che non importa poi molto cosa vogliano - chi, perché, come.. Diventa terribilmente banale tentare di trovare una spiegazione a qualcosa che è già accaduto e a cui non puoi porre rimedio. Potrebbe sembrare che stai solo cercando modi per scendere a patti con quello che è successo. Io però non ho assolutamente intenzione di cercare ragioni a questa cosa. O intendo accettarla. » Su questo Aslan non poteva dirsi del tutto d'accordo. Non si può pensare di contrastare un qualcosa che non si conosce, si trovò a pensare tra sé. A meno che non ti interessi più combattere... Cosa che, all'indomani di una perdita dell'entità di quella subita dai lycan non si sentiva di escludere. Per combattere bisognava quantomeno avere i mezzi di farlo, e cosa aveva il Branco, a quel punto? La loro roccaforte era stata rasa al suolo; le loro forze decimate. Non gli risultava poi così alieno che farsi domande sui massimi sistemi relativi a quella situazione non rientrasse nei bisogni primari di nessuno della parte lesa. Il vero bisogno qui è quello di non farsi fagocitare dalla tragedia, non permettere che li schiacci definitivamente. Se doveva essere onesto però faticava ad immaginare come, di preciso, avrebbero potuto farlo, nella situazione in cui si trovavano. Sarebbe stato ingenuo ai limiti della stupidità credere che il Ministero non si stesse già mobilitando per prendere altri provvedimenti ai loro danni. « Però vedi - io ho conosciuto il mondo magico quando avevo tredici anni. Da allora ho visto costantemente una ruota che gira. Qualcuno ci sale sopra mentre qualcun altro ne viene schiacciato al di sotto. Moralmente.. fisicamente.. Volevo evitarla - la ruota. È quello che dicono i cacciatori. Restane fuori. Evita gli affari dei maghi. Ma alla fine ci sono salita. Il mio unico errore è stato non spezzarla quando ne avevo accesso. » L'idea di tenersi fuori dagli affari dei maghi, si rese conto mentre faceva un cenno d'assenso alle parole di Tris, era un altro punto in comune tra i lycan e gli warlock, nonché il motivo per cui per così tanto tempo questi ultimi si erano tenuti nel proprio. Aslan per primo nutriva una sfiducia senza pari nei confronti della società magica, ed in tutta onestà un po' di tutto quello che andava ad intaccare il loro equilibrio. Inizialmente, lo stesso ragionamento l'aveva applicato alla stessa Città Santa. Dubitava però che fosse la stessa cosa, che la Mano di Dio potesse in qualche maniera essere messa sullo stesso piano di quelle persone. La diffidenza nei confronti dei lycan era andata pian piano scemando; sui maghi e sulle streghe, lo psichico non avrebbe cambiato idea così facilmente. « A questo punto non m'interessa più. Non del Ministero o della Loggia Nera - o di quella Bianca per quel che mi riguarda. Se è di un Messia che hanno bisogno, che così sia. Se vogliono i miracoli, e gli sproloqui in piazza credo che sia solo giusto. Le feste, lo sfarzo, i soldi, la libertà.. Chi sono io per dire loro di no? Se gli serviamo fuori gioco - che così sia, Aslan. Immagino che dovremmo occuparci solo di chi si occupa di noi a sua volta. Sarà cinico ed egoista, ma in fondo nella vita tutto è uno scambio. E quindi immagino che partiremo da lì - appena capirò da quanti ergastoli emanati del Ministero della Magia dovrò riguardarmi. »
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    Il moro non interruppe subito il silenzio che era venuto a crearsi una volta che la sua interlocutrice ebbe terminato il proprio discorso. Non solo aveva sempre ritenuto sano prendersi del tempo per ponderare le proprie risposte, ma in più era immune al senso di disagio che i più potevano provare di fronte ad esso. Quando finalmente riportò attenzione e sguardo sulla Morgenstern e riprese a parlare, lo fece con naturalezza ed in tono disteso. « Immagino che non si possa salvare chi punta i piedi e ti sputa in faccia se lo fai. » Le disse, concordando implicitamente sul fatto che, forse, i maghi andavano lasciati ad assaporare in prima persona le conseguenze della propria ingratitudine. « Ed in tutta onestà ritengo solo giusto che ti preoccupi di te stessa della tua gente, a questo punto della storia. » Non puoi salvare nessuno, se tu per prima sei in ginocchio. Non puoi pensare di fare niente prima di esserti rialzata. « Bisogna che capiscano che a sputare al vento, ad una certa lo sputo ritorna al mittente. » Fece spallucce, fissando lo sguardo sull'orizzonte. « Devo ammettere che non sono sereno, però. Prima ti ho detto che avrei preferito non ci fossero conseguenze a quanto è accaduto, ma la verità è che non so nemmeno quali conseguenze aspettarmi di preciso. E la cosa non mi piace. » Per uno come Aslan, così incline a pianificare in maniera meticolosa, quello di non riuscire a capire come muoversi in una certa situazione era un impedimento enorme. « Da un lato possiamo dirci al sicuro, ma è davvero così? E non intendo a livello fisico, nel quartiere, ma più in generale. E se così non fosse, da quanto non lo siamo più? Lo siamo mai realmente stati negli ultimi anni o abbiamo fatto finta di non vedere? » Si rendeva conto che il suo fosse un discorso piuttosto astratto, che forse la Morgenstern potesse non volergli stare dietro, ma gli sembrava fin quasi una cattiveria non rispondere all'onestà di lei con la stessa moneta. E la verità era che in quel momento gli risultava difficile immaginare un contesto in cui delle ripercussioni non si abbattessero anche sugli warlock. « Nemmeno noi siamo mai stati particolarmente popolari, come ben immagini, e sarei un idiota a pensare che non si inventeranno qualcosa per indebolirci in qualche maniera. Questo mi preoccupa. E non mi va bene. » Tirò un sospiro pesante, riportando dunque lo sguardo sulla giovane. Sembrava quasi chiederle tacitamente se lei potesse avere un'idea di cosa i maghi avrebbero potuto inventarsi; d'altra parte, su quel fronte in particolare, aveva certamente più esperienza. Non posso proteggermi da un qualcosa che non conosco. Si massaggiò le tempie ad occhi chiusi per qualche istante prima di riprendere la parola: « Immagino cercheranno di sbattere ad Azkaban tutti coloro che classificheranno come minaccia. » Riprese quindi, tornando a guardarla. « Forse sono indelicato e non è propriamente affar mio, ma pensi sarà una situazione gestibile per voi? » Una domanda che le pose con una punta di preoccupazione perché in fondo, per quella gente provava stima. E un minimo, a modo suo, ci si era affezionato.
     
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