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    La convocazione dell'Hellfire Club non lo aveva colto di sorpresa. Forse un po' ci aveva sperato che nulla sarebbe accaduto, che le sue azioni sarebbero passate inosservate o che la sua comunità avrebbe risposto agli editti del Ministero con un sorriso sulle labbra e un "sì sì, gli daremmo due sculacciate a quel mascalzone di Luhng". Poco più che illusioni con cui sapeva di intrattenersi in attesa dell'inevitabile, perché per quanto desiderasse crederci, non era comunque sufficientemente ingenuo da metterci la testa. Quel patti chiari amicizia lunga che regolamentava i rapporti tra la comunità magica e quella warlock da secoli parlava chiaro: ogni atto apertamente ostile sarebbe stato considerato una dichiarazione di guerra se non adeguatamente punito. I precedenti c'erano tutti. Nella storia era capitato diverse volte che qualche mago fuori di testa tentasse mosse strane nei confronti degli warlock, e lo stesso era avvenuto a parti inverse; tutte le volte la questione si era risolta in maniera semplice: le autorità competenti delle rispettive comunità avevano lavato i panni sporchi in casa, placando così l'animo della parte offesa e dando al contempo un esempio a chiunque fosse tentato di sfidare quelle norme. Si trattava di una pace sottile, sempre in bilico sul filo del rasoio, ma comunque di pace - di una forma di serenità che permetteva loro di vivere al sicuro senza preoccuparsi eccessivamente di cosa avvenisse al di fuori dei loro quartieri. Per chi come loro non poteva contare su una superiorità numerica, cose del genere potevano diventare questioni di vita o di morte. Non se ne parlava mai, ma lo sapevano tutti: gli warlock erano potenti, ma erano anche pochi, e se il mondo magico si fosse svegliato un giorno con l'intento di schiacciarli, probabilmente ci sarebbe riuscito. Eliphas poteva aver avuto le migliori intenzioni, ma questo non cambiava i fatti: aveva mosso un'offensiva diretta, di mano propria, mosso da nient'altro se non la sua stessa volontà. E adesso poteva solo accettarne le conseguenze.
    Era la prima volta che percorreva quella strada da solo. La lunga salita di Montpellier Hill, costeggiata da alberi con busti ritorti che pian piano si infittivano a formare un bosco, sembrava ancor più desolata e buia del solito. Sapeva che quel posto fosse per i babbani motivo di curiosità mista a paura, ma Eliphas vi aveva sempre visto una certa bellezza. In quel buio così fitto, in quel silenzio tagliato solo dal bisbigliare del vento tra le fronde degli alberi, il giovane warlock ci vedeva tutta la maestosità della natura grezza - di un luogo che non doveva piegarsi ai comfort e ai desideri dell'uomo, e che per questa sua caratteristica veniva bollato come maledetto. In un certo senso, forse ci rivedeva un po' di se stesso e della sua comunità. In quel momento, però, vi vedeva anche altro: la solitudine. Lo stesso sentimento che provò durante tutto l'incontro con i capi della comunità inglese. Non avevano menato troppo il can per l'aia, non era nel loro stile. La sentenza era stata semplice. « Sei un membro molto rispettato della nostra società, Eliphas. Questo non possiamo ignorarlo. E non possiamo ignorare le circostanze della situazione in cui ti trovavi. Ma i termini del tuo incarico ad Hogwarts erano chiari: sorvegliare silenziosamente e proteggere da attacchi di natura occulta. » Aveva annuito in silenzio, sapendo già come sarebbe andato a finire quel discorso. « Ciò che hai fatto è stato fuori luogo. Le autorità del Ministero ci hanno già contattati e domani il tuo nome verrà pubblicato sulle liste dei ricercati. Se dovessimo proteggerti, i maghi considererebbero la nostra scelta come un atto di guerra. E sai molto bene che non possiamo permettercelo. Lo sapevi sin dall'inizio. » Sì, lo aveva saputo sin dal primo giorno, sin dal momento in cui lo avevano scelto per quell'incarico, proprio in virtù della sua rispettabilità e del modo ineccepibile in cui aveva sempre condotto il proprio mestiere. « Non sei una mina vagante. Per questo, dopo una lunga discussione, abbiamo deciso di darti un vantaggio. Avrai tempo fino alla pubblicazione delle liste - che avverrà all'alba - per raccogliere le tue cose. Dopodiché, se venissi sorpreso all'interno di quartieri warlock, dovrai essere arrestato e mandato a processo. » Rimase per qualche istante in silenzio, lasciando che quelle parole così irreali si sedimentassero dentro di lui, in una consapevolezza terrificante. « È un esilio? » Ci fu un altro silenzio. « Se vuoi vederlo così. » Eliphas conosceva a menadito la storia warlock, e comunque non riusciva a ricordarsi un singolo precedente di esilio. Le punizioni di solito comportavano la carcerazione, o nei casi peggiori l'oblio (una sorta di bacio del dissennatore ma praticato da uno psichico). Mai nessuno era stato veramente allontanato dalla comunità. Era ciò di cui gli warlock vivevano, ciò che per loro era più importante e che più di qualunque altra cosa gli stava a cuore: la comunità. Non erano mai stati animali solitari, e la stessa struttura complementare dei loro poteri ne era la prova più evidente. « Va bene. » disse dopo un lungo silenzio, cercando di ingerire con dignità il groppo che sentiva in gola.
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    Forse avrebbe voluto dire di più. Avrebbe voluto ribadire che nonostante quella scelta, lui sarebbe sempre rimasto uno warlock - che la sua identità e la sua lealtà non sarebbero mutate nemmeno dopo quel forzato allontanamento. Forse avrebbe anche voluto arrabbiarsi, urlare in faccia ai suoi superiori quanto fosse ingiusto un simile destino e quanto cieco fosse illudersi del fatto che i maghi non avrebbero trovato proprio in loro il prossimo capro espiatorio. Ma non aveva fatto nulla di tutto ciò, preferendo portar via con sé almeno un po' di quella dignità che gli era stata in gran parte strappata tramite quella decisione. Perché questo era, nei termini della loro società: una vergogna. Essere allontanati, pur con tutti gli indoramenti di pillola, era qualcosa di talmente unico da poter essere solo guardato con un misto di pietà e biasimo. Per chi indesiderato lo era ovunque andasse, esserlo anche a casa propria era forse la forma più alta di punizione. Qualcuno avrebbe potuto dire "sì, ma almeno sei libero", ma lo era davvero? Che razza di libertà era, quella che ti impediva di tornare a casa tua, che ti strappava dalla tua comunità e ti spogliava formalmente della tua identità? Come poteva sentirsi libero se l'unico posto in cui poteva esserlo davvero era anche l'unico in cui non avrebbe più potuto mettere piede? E se pure avesse voluto ribellarsi, non sarebbe comunque servito a nulla. L'unico ad essere rimasto dalla sua parte sembrava Orion, il suo famiglio, che prima di andarsene non aveva perso occasione di dare una leggera - ma decisa - beccata al responsabile del concilio. Adesso svolazzava sopra la sua testa, accompagnandolo per le stradine del quartiere londinese, per le quali vagava assorto in direzione di casa. Non ci aveva messo molto a fare i bagagli: gran parte delle sue cose erano rimaste ad Hogwarts, e per il resto era sempre stato piuttosto frugale. Gli dispiaceva solo lasciarsi dietro i libri. « Non voglio pensare che il prossimo inquilino potrebbe buttarli. » Il corvo aveva risposto con un verso stridulo, svolazzando verso la porta per appollaiarsi in cima all'appendiabiti. « Dici? » L'animale gracchiò. « Sì, forse hai ragione. Meglio che con uno sconosciuto. » Un'altra gracchiata. « Certo che glielo porto. Sarò pure in esilio ma non sono un cafone. » Così aveva impacchettato velocemente i tomi che teneva più a cuore, curandosi di portare con sé anche una bella bottiglia d'assenzio mentre si dirigeva verso casa di Aslan. Non era ancora troppo tardi, dunque supponeva fosse sveglio, ma se pure non lo fosse stato probabilmente avrebbe capito comunque. D'altronde poteva essere il loro ultimo incontro. Con quello spirito, un po' amaro e un po' rassegnato, il giovane Luhng si era presentato alla porta dello psichico, battendo le nocche sul legno un paio di volte e aspettando che gli aprisse. Quando finalmente il viso di Aslan fece capolino dall'uscio, il demonologo stirò le labbra in quello che doveva forse assomigliare ad un sorriso, quantomeno nelle sue intenzioni. Sollevò la bottiglia, mostrandogliela. « Hai il mio permesso di leggermi nella testa. Penso che se dovessi raccontare tutto finirei per piangere. » Lo disse con tono scherzoso, cercando di sdrammatizzare un po' la propria stessa situazione, ma non c'era nulla di falso in quelle parole, accompagnate dalla patina lucida che gli velava lo sguardo di solito così acceso e allegro. « E non è una bella scena, te lo posso assicurare. » Prese un lungo e profondo respiro, cercando di forzare un po' di più quel sorriso vuoto che aveva preso residenza sulle sue labbra al punto da indolenzirgli i muscoli. « Posso entrare. Non sarò ricercato fino alle sei di mattina, tranquillo. »

     
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    Le voci viaggiavano veloci, in una comunità come quella warlock. Aslan supponeva che potesse essere una collaterale diretta dell'essere una collettività che, per quanto sparsa per il mondo, per secoli non aveva potuto far altro che contare su se stessa. La natura della loro magia ed il loro modo di vivere li aveva resi i paria della società magica per molto tempo; i maghi e le streghe dall'altra parte li avevano sempre guardati con sospetto, seppur attratti dalle loro arti. Gli warlock però non soffrivano di quello status. Non sembravano desiderare di integrarsi ad una società che non li voleva. Erano un insieme omogeneo ed orgoglioso. Persone che nella diversità vedevano una forza e nel particolare scorgevano il bello. L'unicità di ognuno veniva incoraggiata più che repressa, al contrario di ciò che sembrava succedere altrove, dove la mentalità d'insieme sembrava promuovere l'opposto. Però, come già detto, restava una comunità piuttosto piccola, con tutti i difetti del caso. Per questo, Aslan non fu più di tanto stupito di scoprire che all'indomani figurato di quanto accaduto ad Hogwarts, il nome di Eliphas fosse sulla bocca di tutti. Per essere onesti non era neppure la prima volta che Eliphas dava motivo di parlar di sé. Uno warlock come lui, d'altronde - capace e talentuoso - non era fatto per stare all'ombra di nessuno. Il Lee, che con lui aveva condiviso diverse fette di percorso, questo lo sapeva molto bene. Eliphas Luhng era una delle stelle più brillanti del loro piccolo cielo. Ma Eliphas era sempre stato anche eccentrico e progressista per gli standard di quella comunità così chiusa in sé stessa; Eliphas cercava il nuovo, e con il nuovo il diverso, ed in un qualche modo pareva gravitare verso di esso. Non era stata una sorpresa per nessuno che avessero appuntato proprio lui come punto di contatto con Inverness, che l'avessero incaricato di fare da ponte tra gli warlock ed i lycan. E qui, come era inevitabile accadesse, la gente aveva trovato da parlare: così come aveva trovato dei sostenitori, c'era anche gente, nella comunità, che quel suo slancio non lo approvava. Che, non potendosi opporre apertamente (non ottenendo risultati tangibili, almeno), ne discuteva nell'ombra e sottovoce. Nemmeno Aslan poteva dire di condividere tutti gli slanci dell'amico, a dire il vero, ma non era nelle sue corde fare la comare di paese in merito. E così, nell'attesa di capire cosa sarebbe successo a seguito di quanto accaduto ad Hogwarts da fonti ufficiali, Aslan aveva fatto l'unica cosa potesse - si era buttato nel lavoro. E di lavoro ce n'era tanto, soprattutto considerati i nuovi arrivi al quartiere warlock. Un luogo che per quanto sarebbe dovuto essere pullulante di vita sembrava improvvisamente più smorto, come chiuso nel cordoglio di una tragedia a lui impropria, nonostante i suoi abitanti corressero avanti e indietro come piccole formichine indaffarate. C'era improvvisamente più silenzio, estrinsecazione diretta del rispetto per il dolore altrui. C'era quello stesso senso di sconfitta che aveva letto nei volti dei nuovi arrivati; un qualcosa che, in linea con i nuovi provvedimenti ministeriali, era cresciuto in potenza anziché affievolirsi. E, per quanto Aslan fosse fermo nelle sue intenzioni di evitare le voci di corridoio, inevitabilmente, una mattina - mentre faceva le acrobazie mentali per capire se una runa potesse rafforzare l'effetto di penetrazione dei ricordi di un soggetto x e cercava di ricordare se per caso avesse letto in merito in un vecchio testo o se fosse una di quelle memorie fantasma dovute al suo fomento, il nome di Eliphas giunse comunque alle sue orecchie.
    « Cosa pensi succederà a questo punto? » La voce di Bress Wagner, il giovane warlock quel giorno suo compagno di studi lo raggiunse proprio mentre scorreva con lo sguardo i titoli dei volumi presenti nella libreria del suo studio. « A Luhng, intendo. Il Ministero non vorrà certamente passar sopra a quello che ha fatto, no? » Quello che ha fatto. Attaccare e non starsene al suo posto. Questo, probabilmente, ciò che sottintendeva il ragazzo. Aveva poco più di diciott'anni, lo warlock irlandese, ma aveva reso molto chiare le sue idee e la sua posizione in merito alle scelte di Eliphas. Non era d'accordo e, di conseguenza, non aveva mai alzato dito. Il moro poteva comprendere la sua riluttanza. Ed anche per questo - oltre al fatto che, comunque, non si usava escludere i propri simili - non si era fatto così tanti scrupoli nell'invitarlo in casa propria quel giorno. Per quanto giovane era capace, ed Aslan dalla sua era sempre aperto ad uno scambio di opinioni. Tuttavia non rispose, cosa che Bress interpretò come un invito a continuare. « Ha messo a repentaglio tutti noi per cosa? Guarda che Ingrid c'era - ad Hogwarts intendo - ed era una battaglia persa in partenza, lo ha detto anche lei. Non so cosa gli sia saltato in mente! E meno male che l'hanno scelto per merito... » Una breve pausa, dove Aslan riuscì quasi ad immaginarselo annaspare nella foga. « In quel caso cosa pensi succederà? Ovvio che nessuno lo consegnerà a loro - siamo pur sempre persone civili, noi - ma certamente lo incarcereranno, no? C'è quel posto in Cina - com'è che si chiamava? Vabbè, hai capito, no? -, oppure potrebbero condannarlo all'oblio. Non penso succederà, comunque... » Il moro, imperterrito, aveva preso un libro dallo scaffale, per scorrerne le pagine - ancora di schiena rispetto al suo ospite - e deciso che non gli fosse di alcuna utilità, lo rimise delicatamente al proprio posto. « Comunque, parlando in generale, tu pensi saresti in grado di fare una cosa del genere? Immagino prosciughi. Letteralmente. E non solo chi sta dall'altra parte. »
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    Lo lasciò parlare. Lo lasciò parlare ma si mosse a passi lenti verso la porta chiusa dello studio, ancora di spalle al compagno dalla chioma rossiccia. Soltanto una volta appurato che avesse finito con la scarica di domande portò, con altrettanta lentezza - tanto che il suo movimento poteva sembrare casuale e disteso ad un osservatore esterno - le dita alla maniglia della porta. Una porta che spalancò prima di poggiare le spalle al muro in un movimento fluido e silenzioso. « Vattene. » Disse solo questo, nel suo solito tono basso e rilassato. « Vattene e dimenticati la strada per casa mia, Bress. » E laddove il suo tono era effige di rilassatezza, lo sguardo del moro era tutt'altra storia. Era pesante, carico, perfetto specchio dei suoi pensieri. Questo non te lo permetto. Non in casa mia. Non ti permetto di chiedermi tra le righe se sarei disposto a spogliare uno dei miei migliori amici del suo proprio essere e di ogni dignità solo per fare due carezzine all'ego ipertrofico che ti ritrovi. Non ti permetto di speculare sull'infelicità altrui, su quella che è una disgrazia per tutta la comunità. Non in questa casa. Non con me. « Aslan forse ci siamo fraintesi, io non intendevo - » Il moro incrociò lentamente le braccia al petto. « Non m'interessa. Ti ho detto di andartene. » Ne sostenne lo sguardo per tutto il tempo, fintanto che il più giovane non comprese che non avesse alcuna intenzione di ritrattare. E lo tenne ancora fisso su di lui mentre si avvicinava alla porta, seguendone la figura. Voleva ne sentisse tutto il peso. Voleva si vergognasse. Vergognati, se sai dove sta di casa la vergogna e com'è fatta. Vergognati.
    Il resto della giornata se lo passò di malumore, senza concludere niente. Aveva tentato di proseguire con lo studio, ma ogni suo tentativo si era rivelato fallimentare. Alla sera si era concesso il piccolo piacere di sedersi al piano, ma persino le poche note che fu in grado di produrre non gli diedero alcuna soddisfazione. E fu il suono di discreti colpi alla porta ad interrompere quel suo frustrato esercizio. Per un attimo fu tentato di ignorare la cosa - se oltre la soglia ci fosse stato Bress, la cosa sarebbe certamente degenerata in un litigio, lo sapevano entrambi. E non era il momento di dare spettacolo, non col quartiere pullulante di nuovi visi e paia di occhi. Poi però determinò che nascondersi dietro le porte a vetri fosse inutile; se il moccioso vuole così tanto prenderle, chi sono io per non realizzare il suo sogno? Io il mio l'ho fatto. Più chiaro di così sullo starmi alla larga non potevo essere. E così si trascinò alla porta e la spalancò per trovare sull'uscio qualcuno di molto diverso da chi aveva preventivato. « Hai il mio permesso di leggermi nella testa. Penso che se dovessi raccontare tutto finirei per piangere. E non è una bella scena, te lo posso assicurare. » Lo sguardo dell'amico era smorto. Lo vedeva pallido. Persino il suo sorriso sembrava essersi accartocciato su se stesso. « Eliphas... » Non sapeva nemmeno cosa dirgli prima. Se dargli dell'irresponsabile testa di cazzo, se chiedergli come gli fosse venuto in mente, se ricordargli che lui gliel'aveva detto di non fare cazzate. Non sapeva nemmeno se volesse dirgli qualcosa. Forse voleva soltanto abbracciarlo e ribadire di non voler sapere niente. Non dirmelo. Non dirmi niente. Le tue notizie non sono buone; non voglio scoprirlo, quanto. E non contentò di ciò, Eliphas decise di dargli il colpo di grazia. « Posso entrare. Non sarò ricercato fino alle sei di mattina, tranquillo. » Per un attimo gli si smorzò il respiro e credette di sentire il sangue defluirgli dal viso. Che cazzo hai fatto, Eli? Che cazzo hai fatto? Avrebbe voluto urlarglielo, tutto questo, ed invece si limitò ad un arido ed anticlimatico. « Entra. Sarebbe di cattivo gusto leggerti sulla porta. » Porta dalla quale si discostò e richiuse alle spalle dell'altro, una volta che questi ebbe fatto il suo ingresso. Non disse niente per tutto il tragitto fino al piccolo salotto dai colori caldi, la tastiera del piano ancora aperta ma che non avrebbe raggiunto quella sera. Su una delle poltroncine stava Blacky che osservava Orion con una certa curiosità. Poi lo sguardo della gatta parve illuminarsi nel vedere arrivare Eliphas. Le piaceva particolarmente, complici anche tutte le volte che il giovane Luhng l'aveva viziata. Saltò giù dal proprio posto per avvicinarglisi e strofinarsi dolcemente contro le sue gambe. Aslan intanto gli aveva sfilato la bottiglia di mano ed era andato a prendere due bicchieri. Avrebbe potuto farlo con la magia, ma proprio come con Bress decise di non farlo. Era una necessità, quella di fare quel gesto alla maniera dei babbani. Lo era stata entrambe le volte. Nel caso dello warlock irlandese era stato un modo per rimarcare un punto - non vali niente, nemmeno la mia magia - e in quello di Eliphas invece era un modo per prendere tempo. Tempo che non avevano, ma che Aslan voleva inventarsi. Forse gli serviva per mandare giù il groppo in gola, forse per ignorare gli occhi lucidi.
    Tornò dopo qualche minuto e in silenzio riempì i rispettivi bicchieri. Si sedette solo dopo aver fatto cenno all'amico di fare altrettanto. Poi sospirò. « Che ti hanno detto? » Gli chiese puntando lo sguardo nel suo. « Come posso aiutarti? » Cosa posso fare?, era sempre quella, la domanda, con Aslan. L'unica risposta che voleva. Ti prego, dimmi che c'è qualcosa che posso fare. Se vuoi davvero che sia io a leggerti, lo faccio. Qualunque cosa. Ma te ne prego, dimmi che c'è ancora qualcosa che posso fare.






    Edited by haegeum - 4/10/2023, 14:37
     
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    « Entra. Sarebbe di cattivo gusto leggerti sulla porta. » Sollevò leggermente gli angoli delle labbra, scoccandogli un'occhiata di muto ringraziamento prima di farsi largo oltre l'uscio. Come da prassi, Blacky non si fece attendere, saltando giù dalla poltrona con un versetto vibrante e raggiungendolo in men che non si dica per attorcigliargli la coda intorno alle gambe e chiedere le sue attenzioni. « Heyy.. » proferì piano, chinandosi per carezzare il musino e il dorso della gatta, sempre così affettuosa nei suoi confronti. Eliphas sembrava un vero e proprio magnete per gli animali: grandi o grossi che fossero, amichevoli o schivi, lo individuavano immediatamente come qualcuno con cui potersi distendere. Un amore, quello, che il demonologo ricambiava apertamente, curandosi sempre di qualunque bestiola incontrasse sul proprio cammino. « Questa volta non ho snackini, mi dispiace Blacky. » Il tono di Eliphas era basso, decisamente più smorto del solito, ma si premurò comunque di fare a Blacky tutte le coccole del caso, sperando di farsi perdonare per la mancanza di vizi a cui l'aveva abituata. Non c'era dunque nulla di strano nel modo in cui la gatta lo seguì passo passo, raggomitolandosi nella sedia accanto a quella dove il giovane Luhng prese posto e facendo battere di tanto in tanto la coda contro la sua gamba. Gli sarebbe mancata, come ogni anima in quel quartiere. Gli sarebbe mancato anche Aslan e quel suo sguardo indecifrabile che nascondeva più di quanto intendesse dare a vedere. Probabilmente un po' tutti si erano chiesti prima o poi cosa passasse nella testa di Lee, persino i suoi colleghi psichici. A guardarlo così sembrava vivesse in un altro modo, completamente disinteressato rispetto alle questioni e alle persone che lo circondavano. Non era nemmeno un gran chiacchierone, il che rendeva solo più difficile comprenderlo. Eppure, quel poco che sceglieva di dire, era sempre scelto con una precisione quasi millimetrica, sempre riflettuto, e mai sciocco o insensibile. Ad Aslan interessava. Forse, a ben vedere, di chi aveva intorno gliene fregava più che a chiunque altro. E per questa sua qualità, Eliphas lo aveva sempre ritenuto un amico: potevano avere approcci diversi, linee di pensiero differenti, ma i valori che stavano loro a cuore erano gli stessi. « Che ti hanno detto? Come posso aiutarti? » Prossima domanda? Sospirò, rigirandosi per qualche istante il bicchiere tra le dita prima di portarselo alle labbra e buttarne giù il contenuto in un solo sorso. Fanculo, nessuno ha detto che me ne devo andare sobrio. « Non puoi aiutarmi. » disse quindi, stringendosi piano nelle spalle nel rivolgergli un tenue sorriso rassegnato. A quel punto, nessuno poteva aiutarlo, nemmeno il Concilio Superiore. Se pure avessero deciso di graziarlo, delle ritorsioni ci sarebbero state lo stesso, e probabilmente peggiori di quelle in cui sarebbero incorsi altrimenti. Il mio allontanamento serve solo a contenere i danni. Tutto qui. Nulla di personale. Lo capiva, a livello logico, eppure gli faceva male. Come poteva essere altrimenti? Come poteva non sentirsi almeno in parte un rifiuto, quando la comunità a cui aveva dato tutto lo stava mettendo alla porta. Con lo sguardo fisso sul bicchiere vuoto, sentì improvvisamente quei sentimenti montargli nel petto: tutta quella rabbia e quella frustrazione che forse si era tenuto dentro troppo a lungo. Eliphas era bravo ad incassare, nessuno ingoiava rospi meglio di lui. E lo faceva pure col sorriso sulle labbra, la maggior parte delle volte. D'altronde, lui ci aveva sempre creduto nella loro comunità, nel metterla prima di qualunque interesse personale. Al punto da sigillare le porte del santuario per salvare tutti tranne la mia ragazza, quando la Loggia Nera ci stava per mangiare. Le nocche diventarono bianche per la forza con cui strinse le dita attorno al bicchiere al riemergere di quel ricordo. Sì, lui aveva sempre dato tutto - tutto ciò che gli veniva chiesto, anche a costo del proprio stesso cuore.
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    Un cuore che non gli era mai stato restituito indietro intero, lasciandolo bloccato nei propri stessi sentimenti e incapace di andare avanti o anche solo permettersi di essere felice. « Non è neanche giusto che venga qui a farti trauma dump come se fossi il mio psicologo. » A volte c'era questa possibilità. Per loro natura gli psichici tendevano ad essere ottimi ascoltatori, sempre concentrati sul prossimo e un po' meno su loro stessi. Ma Eliphas non voleva approfittarsene. « L'unica cosa che puoi fare è essere mio amico, versarmi da bere e fingere di non provare pietà per me. » Perché almeno per come la vedeva lui, quella condizione poteva solo raccogliere pietà da occhi esterni. Sospirò, aspettando che Aslan gli versasse altro assenzio per prenderne un secondo generoso sorso. « La versione breve è che per il Ministero sono un ricercato, e per la comunità warlock sono un esiliato. Mi hanno dato tempo fino all'alba per togliere il disturbo, dopodiché.. bo, immagino che dovrò nascondermi in una fogna, visto che tre quarti del mondo magico mi vuole dietro le sbarre e l'altro quarto fa Ponzio Pilato. » Sospirò, scuotendo il capo prima di sbuffare una risata amara dalle narici e finire quanto rimaneva nel bicchiere. « Sia chiaro: so di essermici cacciato con le mie stesse mani in questa situazione. Avevi ragione. Mi avevi avvisato. » E io come un cretino ho superato il limite. Ho fatto un singolo errore. Uno solo. Per tutta la mia vita non ho mai sgarrato, non ho nemmeno mai pagato l'affitto con un giorno di ritardo. E l'unica volta - l'unica e singola volta che esco dalle linee imposte, mi becco una punizione che nella nostra comunità non ha precedenti. « Ma la cosa più buffa è che quando me l'hanno detto non ho provato rimorso. Non ho pensato "ah cazzo, dovevo starmene nel mio e lasciare che se la sbrigassero i maghi". » Scosse il capo con veemenza, come a rafforzare quel concetto prima di sporgersi leggermente sul tavolo, fissando lo sguardo in quello dell'amico come se stesse per confessargli il segreto più grande di tutti. « No.. ho pensato che cinque anni fa, a Cuba, non avrei dovuto sigillare quelle cazzo di porte. Avrei dovuto aspettarla. » A chi si riferisse, Aslan lo sapeva. Ai tempi aveva incontrato Aleyda, e dopo quella perdita, la giovane era rimasta nella vita di Eliphas come una sorta di convitato di pietra - assente nella materia, ma più che mai presente nei suoi ricordi e nelle sue emozioni. Tirò su col naso, cacciando via quella patina acquosa che compariva a velargli lo sguardo ogni qualvolta la ragazza tornasse nei discorsi. Batté dunque la mano sul tavolo, ritraendosi piano fino a poggiare la schiena contro la sedia. « E questo è quanto. Me ne sarei andato in esilio a testa alta. » E invece ci devo andare per tenere buona una società di gente che si fa guidare da un giocatore di quidditch morto. Si strinse nelle spalle, serrando le labbra in una linea amara. « Ma quel che è fatto è fatto, suppongo. E tu dalla tua mi avevi avvertito. Quindi nulla.. sono venuto qui per salutarti, lasciarti i miei libri, e far leva sulla pietà per strapparti la promessa di venirmi a trovare ogni tanto per berci un bicchiere senza farlo sapere ai piani alti. » Tanto immagino che non gli importi, finché rimangono puliti agli occhi dei maghi.

     
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    Cosa si aspettasse in risposta alla sua domanda, Aslan non lo sapeva. Sperava comunque che qualcosa, qualunque cosa, che potesse fare per l'amico ci fosse ancora. Dopotutto sono soltanto Inferi. Era una situazione d'emergenza e di pericolo anche per la tua incolumità. Si saranno pur inventati qualcosa per salvare capre e cavoli. C'erano ragioni molto specifiche dietro quel pensiero. Anzitutto, Eliphas non l'aveva mai fatta fuori dal vaso. In anni di vita all'interno della comunità, era forse la persona dalla metaforica fedina penale più pulita, e questo lo sapeva anche chi per quell'incarico l'aveva scelto tra tutti i possibili candidati; secondo poi, per quanto se ne volesse dire, il moro sperava che la sua comunità non avesse semplicemente piegato la testa di fronte a quella magica. Sarebbe stato uno schiaffo in pieno viso perdere proprio Eliphas Luhng per colpa loro. Gli sembrava una bestemmia pensare che proprio lui dovesse pagare; lui che alla comunità aveva già dato tutto. Ha sacrificato la donna che amava perché non poteva fare altrimenti, perché la situazione lo richiedeva. Quale altro scotto volete fargli pagare? Che altro volete che vi dia? Perciò quel « Non puoi aiutarmi. » dell'amico gli tolse tutta l'aria dai polmoni. No, sarebbe stato sbagliato parlare di togliere - l'aria era ancora lì, solo che lo psichico pareva non avervi più accesso. Era impallidito sul serio stavolta, le dita ancora strette attorno al bicchiere d'assenzio rimasto intonso nell'attesa. Ne buttò giù il contenuto meccanicamente, senza quasi sentirne il sapore, sperando che per paradossale che fosse quel pensiero, l'alcol potesse restituirgli un po' di lucidità. Tornò immediatamente a fissare lo sguardo in quello dell'amico subito dopo, in attesa di un contesto. La domanda che gli aveva posto aleggiava ancora tra loro, pesante sulle spalle di un Aslan che, nonostante tutto, non voleva piegarsi al suo peso. « Non è neanche giusto che venga qui a farti trauma dump come se fossi il mio psicologo. L'unica cosa che puoi fare è essere mio amico, versarmi da bere e fingere di non provare pietà per me. » Il sopracciglio inarcato per l'assurdità di quell'affermazione - Non è giusto fare trauma dump? Non provare pietà per te? Sei serio, Eli? assolse ugualmente alla richiesta del giovane, riempiendogli un secondo bicchiere di quel liquido verde brillante, per poi fare lo stesso col proprio. Attendeva ancora le sue risposte però, sempre più teso alla loro prospettiva. Forse avrebbe dovuto davvero cogliere l'invito nel momento in cui il Luhng gliel'aveva esteso; forse avrebbe davvero dovuto leggergli la mente per avere quantomeno un contesto, un'idea dell'entità di quel casino. Che fosse ricercato dal Ministero della Magia gli era chiaro, ma quel fattore era abbastanza prevedibile - il problema stava nella reazione che i vertici della comunità warlock avevano avuto alla cosa. Era lì che stava l'incognita. E ad Aslan le incognite non erano mai piaciute. Era un pianificatore, lui, una persona che studiava attentamente tutte le carte della sua mano prima di una contromossa. Forse una deformazione professionale, quella di pretendere che tutti i dati venissero disposti ordinatamente sul tavolo prima di decidere cosa farne. Faceva parte della linea di lavoro degli psichici sfornare risposte, ed in genere di quelle risposte disponevano, per cui brancolare nel buio era una situazione per lui non soltanto nuova, ma anche estremamente fastidiosa. Come indossare scarpe di due numeri più piccole. « La versione breve è che per il Ministero sono un ricercato, e per la comunità warlock sono un esiliato. Mi hanno dato tempo fino all'alba per togliere il disturbo, dopodiché.. bo, immagino che dovrò nascondermi in una fogna, visto che tre quarti del mondo magico mi vuole dietro le sbarre e l'altro quarto fa Ponzio Pilato. » Si stava portando il bicchiere alle labbra al fine di bere per ingannare l'attesa e a quelle parole rimase così per una frazione di secondo. « Esiliato? » Gli fece eco, in un misto di incredulità e qualcos'altro di non meglio definito, un qualcosa che cominciava a montare, sicuro, nero ed inevitabile dentro il giovane psichico. Tu. Esiliato. Tu, Eliphas Luhng - esiliato. Un pensiero che non riusciva realmente a razionalizzare; un provvedimento talmente crudele, nella sua semplicità, da lasciarlo inizialmente senza parole. E la cosa peggiore, se possibile, era che fosse crudele su più livelli. Non soltanto questa punizione sarebbe stata umiliante per qualsiasi warlock; loro che la cultura della comunità l'avevano nel sangue, che a quest'ultima erano votati sin dalla nascita e che per essa lavoravano instancabilmente sino al proprio ultimo respiro. Lo era ancor di più se si pensava che tale punizione, che altro non era che un affronto sotto mentite spoglie, fosse stata elargita a nientemeno che il demonologo che gli sedeva di fronte. Ad un Eliphas che aveva vissuto tutta la sua vita in virtù di quella stessa comunità, che spesso dava prima ancora che gli venisse chiesto, che fino ad allora non aveva commesso un solo sgarro. Un Eliphas che nella sua giovane vita aveva accumulato esperienze sufficienti per tre. E se queste cose non fossero state sufficienti, agli occhi di Lee tutta quella storia aveva ancora un altro livello. Uno che, se possibile, feriva anche lui nel profondo: siamo la sua famiglia e lo stiamo abbandonando. Siamo la sua famiglia e lo stiamo lasciando a se stesso come un cane a bordo autostrada. Per cosa? Chinare la testa davanti a quella gente, che comunque non ci lascerà mai in pace? Soprattutto adesso, che sente di avercelo più lungo di tutti. Per lo psichico era chiaro come il sole a mezzogiorno: Eliphas o no, non li avrebbero lasciati campare. E poi, se anche il problema fosse quel che ha fatto - ormai l'ha fatto. Ci daranno addosso lo stesso. Mandarlo via non sarà stato abbastanza perché tanto è un pretesto come un altro. Ma no, nascondiamo pure la testa sotto la sabbia.
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    « Hanno deciso di esiliarti per quattro inferi di merda mentre sei nel mirino del Ministero. » Ripeté. E all'improvviso gli fu chiaro cosa fosse quella sensazione di fondo alla quale sulle prime non era stato in grado di trovare un nome. Quella cosa che avanzava, lentamente, al suo interno. Avrebbe pensato che fosse indignazione, se fosse stato più superficiale ed avesse voluto voltarsi anche lui dall'altra parte. Ma era qualcosa di più profondo, qualcosa di viscerale: era rabbia. Si sentiva come se tutti quei valori in cui aveva creduto per anni fossero stati usati per pulirsi i piedi. Si sentiva come se quella tanto decantata idea di grande famiglia che gli warlock avevano promosso, quella con cui egli stesso era cresciuto e che aveva strenuamente difeso anche rendendosi impopolare, si fosse rivelata essere soltanto un'illusione finemente prefabbricata. Una sorta di guinzaglio per tenerli tutti buoni. E la cosa più ridicola non era tanto che non credesse nel concetto di causa-effetto (era stato il primo ad avvertire l'amico di non fare stronzate, in fondo) quanto che credesse che gli effetti, e con essi le punizioni, dovessero essere almeno direttamente proporzionali all'offesa. Circostanziali e davvero pensati. E mandare Eliphas in esilio non era soltanto una punizione ingiusta. Non era soltanto l'affronto precedentemente menzionato. E non era nemmeno solo un chinare la testa. Era anche un'idiozia fatta e finita, perché non soltanto andava a privare l'uomo della comunità alla quale aveva donato anche il cuore; andava a privare quella stessa comunità del cuore di quell'uomo. Ed Eliphas aveva forse il cuore più puro che potesse immaginare. Perché anche di fronte a quella punizione così ingiusta Eliphas era rimasto semplicemente...se stesso. « Sia chiaro: so di essermici cacciato con le mie stesse mani in questa situazione. Avevi ragione. Mi avevi avvisato. » Quelle parole furono insieme una conferma di quel suo pensiero e la spinta finale di cui necessitava. Sollevò lo sguardo, pesante ed insieme affilato, su quello che era un amico fidato per decenni. Un fratello. « Me ne sbatto il cazzo della ragione. » Una risposta data con così tanta fermezza da far paura. La rabbia non era un'emozione caratteristica per uno psichico. In fondo, la loro linea di lavoro richiedeva lucidità e un autocontrollo al di sopra della media. Perché in fondo, come potevano pensare di avere a che fare con le menti altrui, se non erano in grado di controllare la propria? Ed era giusto che fosse così. Ed era per questo che Aslan, che uno studente modello lo era sempre stato - e che a modo suo lo era ancora - provava una rabbia quantomai lucida. Più che annebbiargli la mente, sembrava rischiarare ogni cosa sul suo cammino. Toglieva il superfluo. Vedeva solo l'obiettivo. « Ma la cosa più buffa è che quando me l'hanno detto non ho provato rimorso. Non ho pensato "ah cazzo, dovevo starmene nel mio e lasciare che se la sbrigassero i maghi". No.. ho pensato che cinque anni fa, a Cuba, non avrei dovuto sigillare quelle cazzo di porte. Avrei dovuto aspettarla. » Che merde che siete. Che enormi, schifose merde. Aslan certe cose non le aveva mai neanche pensate. Non dei vertici della sua comunità. Una comunità a cui egli stesso si era votato, di cui si era sempre sentito parte integrante. Eppure, a quelle parole di Eliphas non soltanto versò altro assenzio ad entrambi, ma annuì, comprensivo. « A sapere quello che so ora, Eli - ti avrei detto di farlo. » Un evento senza precedenti, quello. Certo, gli aveva più volte detto quanto gli dispiacesse per la sua perdita - una che lo psichico non riusciva nemmeno a quantificare - ma mai, mai prima di quella notte aveva apertamente detto una cosa del genere. Perché non soltanto stava validando il dolore del demonologo, no: stava mettendo in discussione uno dei pilastri della comunità warlock ed il principio di bene superiore - quello della collettività, appunto -, e lo stava facendo apertamente. Se Eliphas lo conosceva bene quanto supponeva, poteva immaginare che il moro stesse covando qualcosa. Qualcosa di profondo. Un qualcosa da cui sarebbe stato impossibile distoglierlo. Perché Aslan era così - aveva i suoi tempi, ma era tra i più determinati, i più testardi, tra le loro file. « E questo è quanto. Me ne sarei andato in esilio a testa alta. Ma quel che è fatto è fatto, suppongo. E tu dalla tua mi avevi avvertito. Quindi nulla.. sono venuto qui per salutarti, lasciarti i miei libri, e far leva sulla pietà per strapparti la promessa di venirmi a trovare ogni tanto per berci un bicchiere senza farlo sapere ai piani alti. » Mandò giù il suo bicchiere, fissando lo sguardo in quello dell'amico. Lasciò passare qualche secondo prima di prendere nuovamente la parola, conscio del fatto che la palla fosse nuovamente al centro. « Eliphas, sei un fratello per me. » Un'asserzione quella, poco caratteristica per Aslan. Una però che, se presa da sola, poteva sembrare piuttosto ambigua perché pareva preannunciare un ma. Che però non arrivò. « Quando verrò a trovarti, sarà perché sei mio fratello. » Era sincero, Aslan. « Se non lo farò sapere ai piani alti - e non lo farò sapere ai piani alti - non sarà certamente per vergogna di te o della tua posizione. Sarà perché è più sicuro per tutti noi. Per il momento. » E quelle ultime parole erano quantomai intenzionali. Più di ogni altra cosa che Aslan avesse mai detto. Solo la morte è irrimediabile, Eliphas. Aslan aveva deciso. E quella decisione gli sembrava la più giusta. Sai cosa c'è, Eliphas? Dovesse essere l'ultima cosa che faccio - porterò quei deficienti a pregarti di tornare. E allora sarai tu a decidere se vuoi o meno. Capirei se non volessi, dopo che ti hanno sputato in faccia in questo modo. Lo capirei, ma devono pregarti in ginocchio, cospargersi il capo di cenere ed ammettere i loro peccati nei tuoi confronti uno per uno. Dovesse essere l'ultima cosa che faccio - sarai tu a decidere se vuoi ancora stare con noi. Dovessi andare a mettere le bombe sotto il culo del Messia con le mie stesse mani. « Ho un amico babbano che ha una roulotte che non usa. Si chiama Alois. Sta da qualche parte nell'Est Europa, l'ultima volta che ho controllato era nei sobborghi di Praga. Voleva venderla. » Pausa. « Pensi possa andare bene come sistemazione temporanea? Posso vedere di farla portare più vicino. » Inclinò la testa di lato, prima di librare la sua stoccata finale, quella che segnava la sua posizione in merito in maniera inequivocabile. « Ci terremo in contatto. Assiduo. Troveremo un modo. » Altrettanto inequivocabile fu l'occhiata finale dello psichico. Non faceva mai promesse che non fossero ponderate. « Sono con te. » Non contro di te, e nemmeno a fare l'ignavo in un angolo. E se questo vuol dire espormi, va bene. Un sottotesto che, ne era certo, l'amico avrebbe colto senza problemi.


    Edited by haegeum - 8/10/2023, 16:04
     
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    Nella vita di Eliphas c'era sempre stata una sola stella polare, una singola certezza che credeva impossibile da scardinare: la comunità in cui era nato. Non importava cosa succedesse intorno a sé, quanto scuro potesse farsi il suo mondo e quanto dolore potesse infliggergli - sapeva di poter contare sulla sua gente col bello e col cattivo tempo. E forse in quel momento non riusciva ancora ad elaborare del tutto quello che era a tutti gli effetti un lutto; non riusciva a comprendere in maniera profonda l'entità della perdita che aveva appena subito. Perdere un caro era brutto, ma era qualcosa di diverso, in un certo senso naturale anche quando di naturale c'era ben poco in quella perdita. Perdere un punto di riferimento, perdere la fiducia - quella era tutt'altra cosa. Non hai un corpo da seppellire, non hai una lapide a cui portare i fiori; hai solo cocci da raccogliere e ferite che non riusciranno mai a rimarginarsi completamente. Eliphas le sentiva bruciare, percepiva la carne ancora viva in seguito a quell'ustione che mai avrebbe creduto di ricevere; ma l'impatto era stato così improvviso e scioccante che ancora non riusciva ad elaborarlo con lucidità, a quantificare l'entità di quel danno o a vederne gli effetti meno immediati. Vedeva solo il presente, ciò che era appena accaduto - e lo viveva come qualcosa di surreale, come un sogno particolarmente vivido che tuttavia è pur sempre solamente un sogno. Doveva ripeterselo, doveva consapevolmente rammentarlo a se stesso, che quella invece era la cruda realtà. « Eliphas, sei un fratello per me. » Ma non puoi fare nulla. Ti piacerebbe aiutarmi, ma ahimè hai le mani legate. Lo capisco. Annuì, preparandosi già in anticipo a quelle parole. D'altronde cos'altro poteva dirgli? Cosa poteva fare? Di certo non si aspettava che qualcun altro gettasse la propria vita alle ortiche per lui e per il suo stupido errore. « Quando verrò a trovarti, sarà perché sei mio fratello. Se non lo farò sapere ai piani alti - e non lo farò sapere ai piani alti - non sarà certamente per vergogna di te o della tua posizione. Sarà perché è più sicuro per tutti noi. Per il momento. » Stirò un piccolo sorriso. Aslan non era tipo da dire qualcosa tanto per dirlo, e sebbene non potesse essere del tutto certo del fatto che avrebbe rispettato quella promessa, le sue parole lo facevano ben sperare. D'altronde ormai lo conosceva abbastanza bene da sapere che non si sarebbe sbilanciato su qualcosa di cui non era convinto. Tuttavia, dopo quanto successo e in seguito a quella fiducia incrinata a cui non riusciva ancora a dare un nome e una dimensione, una parte di lui si sentiva comunque reticente nel mettere troppe speranze in qualunque cosa. Non si trattava di una mancanza di fiducia nei confronti di Aslan nello specifico - anzi, in quel momento era forse una delle pochissime persone verso cui riusciva a mantenere ancora quell'ottimismo necessario a contarci sopra -, ma piuttosto di un generale umore. Si sentiva sconfitto, come se gli fosse stato inferto quel proverbiale colpo di grazia che riesce finalmente a cancellare l'ultimo briciolo di infantile ingenuità e catapultarti nell'adulta disillusione. Eliphas, per quanto a volte sembrasse dimostrare molti più anni di quanti ne aveva effettivamente, aveva sempre tenuto a conservare dentro di sé un po' di quella fanciullezza che il tempo tendeva per sua natura a strappare; ma dopo gli ultimi avvenimenti si sentiva come derubato di quella parte di sé che aveva custodito tanto gelosamente e con tanta cura. Ho sempre pensato che fosse necessario lottare, per non lasciare che la vita ci renda amari, che ci raggrinzisca nel cuore prima ancora che sul volto. Ma adesso mi chiedo quanto a lungo sia possibile lottare per qualcosa del genere. Era più semplice arrendersi alla disillusione, alla sfiducia; un ghigno amaro era più facile da produrre rispetto ad un sorriso genuino, e non avere aspettative era il modo migliore per proteggersi dalla delusione. « Ho un amico babbano che ha una roulotte che non usa. Si chiama Alois. Sta da qualche parte nell'Est Europa, l'ultima volta che ho controllato era nei sobborghi di Praga. Voleva venderla. » « Aslan.. » iniziò, cercando di interromperlo, ma l'amico tirò dritto imperterrito. « Pensi possa andare bene come sistemazione temporanea? Posso vedere di farla portare più vicino. Ci terremo in contatto. Assiduo. Troveremo un modo. Sono con te. » Un sospiro sfuggì dalle sue labbra mentre gli occhi scuri si puntavano abbattuti in quelli del suo interlocutore. « Non devi
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    aiutarmi. Non voglio metterti nei guai. Se viene fuori in qualche modo che mi hai dato una mano potrebbero riservarti lo stesso trattamento e non credo che la mia coscienza possa reggere altri sensi di colpa. »
    Ne aveva bisogno, di quell'aiuto? Sì, decisamente. Ma allo stesso tempo non voleva che l'amicizia che li legava costituisse un obbligo per Aslan, esponendolo a un rischio che avrebbe potuto creare risentimento. « So cosa pensi. Che anche io farei la stessa cosa per te a parti inverse.. e hai ragione. » Perché Eliphas non era mai stato un ignavo, né tantomeno il tipo di persona che se ne lavava le mani delle difficoltà altrui: il piccolo sipario di quanto successo ad Hogwarts ne era la prova più evidente. Ma l'altruismo non funziona a targhe alterne, e quel senso di protezione che lo aveva spinto a invocare gli inferi lo spingeva anche a tentare di dissuadere Aslan dal fare qualcosa che avrebbe potuto esporlo al pericolo. « Ma non voglio che tu ci finisca di mezzo.. specialmente coi nostri. » Tamburellò le dita sul tavolo, mordicchiandosi l'interno del labbro inferiore mentre rimuginava su quanto successo. « Questa cosa è un precedente. Non abbiamo mai dato più di un contentino ai maghi. E per quanto io possa essere un pesce incredibilmente piccolo in questa partita, credo che un provvedimento del genere lanci un messaggio molto preciso: che siamo pronti ad abbassare la testa, che possono dividerci e che quindi siamo deboli. » Perché quella non era la stessa storia delle altre volte: Eliphas non era uno warlock degenere, un pazzo che seminava chaos e guardava solo al proprio tornaconto. Aveva agito sì in maniera discutibile, ma lo aveva fatto nel contesto di un attacco e per guadagnare la fuga anche a tanti ragazzini che non meritavano di essere lì in quel momento. Ero consapevole del fatto che ci sarebbero state delle conseguenze, ed ero pronto ad accettarle. Ma chiunque creda che questo provvedimento riguarderà solo me è più illuso di quanto io non lo sia mai stato. « Se hanno fatto questo a me, possono farlo anche a te. » A questo punto immagino che sarebbero disposti quasi a tutto pur di evitare ritorsioni. E non so quanto le cose possano migliorare ora che gli abbiamo dimostrato questa vulnerabilità. « E mi conosci - io non ho mai creduto nel mal comune mezzo gaudio. »

     
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    « Non devi aiutarmi. Non voglio metterti nei guai. Se viene fuori in qualche modo che mi hai dato una mano potrebbero riservarti lo stesso trattamento e non credo che la mia coscienza possa reggere altri sensi di colpa. » Lo psichico non poté far altro che sostenere lo sguardo dell'amico in silenzio, mordendosi l'interno guancia per impedirsi di interromperlo prima che questi avesse finito di esplicitare il proprio punto di vista. Avrebbe voluto dire tante cose al demonologo, e l'avrebbe senza alcun dubbio fatto, ma non prima di avergli lasciato terminare il discorso. D'altronde, affermare che entrambi fossero scossi dal provvedimento riservato al Luhng sarebbe stato un eufemismo. Per Aslan però non si trattava soltanto di un'indignazione dettata dal fatto che quell'esilio fosse stato riservato ad un caro amico; la sua indignazione era una questione ben più ampia dell'essersi sentito punto sul vivo per motivazioni affettive. « So cosa pensi. Che anche io farei la stessa cosa per te a parti inverse.. e hai ragione. » Lo so che ho ragione, ma non è questo il mio punto. Gli venne naturale sospirare pesantemente a quelle parole e portarsi le dita alle tempie per massaggiarle nel tentativo di prendere tempo per formulare una risposta. Di nuovo, nel pieno del suo stile, non si trattò di nulla di particolarmente elaborato. « Non c'entra cosa faresti o meno per me a parti inverse, Eliphas. » Aveva parlato piano, ma con la sua caratteristica fermezza. « Ma non voglio che tu ci finisca di mezzo.. specialmente coi nostri. » Queste parole in particolare furono per Aslan quanto di più vicino ad uno schiaffo Eliphas potesse dargli. Non tanto per il tono che aveva utilizzato, né perché stava sostanzialmente tentando di convincerlo a non prendere le sue parti e stare nel proprio — quello, paradossalmente, soprattutto conoscendo l'indole altruista del Luhng era più che comprensibile per uno che lo conosceva da una vita — era altro a far venire la pelle d'oca al moro. È proprio questo il punto. Siamo arrivati a doverci tutelare dai nostri. Ad aver paura di finire nei guai e non essere tutelati nemmeno da chi ci ha insegnato il concetto di famiglia, di tutela, in primo luogo. Per quanto la parte direttamente lesa fosse ovviamente il demonologo, che di quella misura ai suoi danni avrebbe vissuto le conseguenze in prima persona, Lee non poteva dire che la cosa non avesse sconquassato con violenza le fondamenta di ciò in cui fermamente credeva — la sicurezza che quella comunità aveva sempre rappresentato. Lo spirito di unità. Il guardarsi implicitamente le spalle a vicenda. Se hanno fatto questa cosa a te, non si farebbero alcuno scrupolo a farla a chiunque altro dei nostri. E questo ci dimostra che già le fondamenta di ciò che ci hanno insegnato sono marce. Dopotutto, gli stessi vertici che adesso l'avevano preso per la collottola e buttato via, avevano anche un tempo autorizzato la presenza di Eliphas ad Hogwarts. In silenzio, forse per permettere all'altro di terminare il proprio discorso, lo psichico si trovò a riempire i loro bicchieri di assenzio ancora una volta. « Questa cosa è un precedente. Non abbiamo mai dato più di un contentino ai maghi. E per quanto io possa essere un pesce incredibilmente piccolo in questa partita, credo che un provvedimento del genere lanci un messaggio molto preciso: che siamo pronti ad abbassare la testa, che possono dividerci e che quindi siamo deboli. » Prese un sorso, Aslan, annuendo appena. Era quasi ironico che Eliphas stesse esponendo a voce alta quelli che per l'altro erano stati pensieri inespressi, sì, ma partoriti solo qualche minuto addietro. « Se hanno fatto questo a me, possono farlo anche a te. E mi conosci - io non ho mai creduto nel mal comune mezzo gaudio.» Fu soltanto una volta appurato che l'altro avesse terminato il proprio discorso che prese la parola. Per la verità nemmeno subito; si prese tutto il tempo per far roteare quanto restava nel proprio bicchiere e osservare il liquido verdastro, ancora in perfetto silenzio, prima di sollevare gli occhi da gatto sul proprio interlocutore.
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    Aveva un'espressione tranquilla in viso, stranamente distesa. Forse sarebbe stato più logico aspettarsi che il discorso di Eliphas ed il suo così esplicito rifiuto potessero agitarlo, ma non sembrava essere così. « Apprezzo molto che tu voglia guardarmi le spalle anche in un contesto come quello attuale. » Cominciò dunque, stendendo le labbra in un piccolo sorriso che andava a sottolineare il suo sentimento. « Però penso che tu mi conosca abbastanza bene da sapere che sono poche le cose che malsopporto tanto quanto l'ipocrisia. » Si strinse nelle spalle, come se quel che stava per dire fosse quanto di più ovvio esistesse al mondo. Lo era, ovvio, almeno per uno come Aslan, ed era proprio per questo che riusciva ad esporre il proprio concetto con quella facilità. Proprio perché la rabbia che provava nei confronti dei loro vertici era giustificata, sembrava averla accettata. Abbracciata, persino. Era dell'idea, Aslan, che anche i sentimenti negativi potessero essere canalizzati per fare qualcosa di buono. E se non buono, allora almeno giusto. « Quello che vedo io, se guardo la situazione nella sua interezza è quanto segue: ti hanno permesso di convivere con queste persone. Sotto copertura o meno che fosse, ci hai condiviso gli spazi. Hai fatto le nostre veci con Inverness sia prima della presa di Hogwarts che in seguito alla stessa. » Fece una breve pausa che impiegò per vuotare il proprio bicchiere. « Per quanto nessuno potesse prevedere modalità e tempistiche di quanto è avvenuto, a mio avviso non era nemmeno questo grande arcano che il Ministero avrebbe provato a riprendersi un qualcosa che gli è stato portato via con la forza, in special modo la culla della formazione dei giovani della loro società. Se anche non fosse avvenuto nella forma corrente, ma fosse avvenuto e basta, di fronte ad un attacco, quanto è logico aspettarsi che qualunque essere umano non provi quantomeno a difendersi? Specialmente se, emissario warlock o meno, ha convissuto con queste persone? » Non lo è, logico. Ipocrita lo è eccome, invece. E gli occhi scuri dello psichico parevano comunicare proprio questo. A posteriori si rendeva conto che era proprio per le ragioni appena esposte che inizialmente aveva guardato Inverness e l'alleanza con la Città Santa con diffidenza; perché per lui era impossibile, fantascientifico, pensare di esporsi a metà. Quindi ti stanno punendo per cosa? Per la loro mancanza di lungimiranza o per poter camminare accanto al carro del vincitore? In fondo sono troppo vigliacchi per saltarci sopra, a quanto pare. O semplicemente non gli interessa. « Cosa si immaginavano? Che i Minerva venissero a richiedere la scuola per piacere e mandassero un mazzolino di ortensie per accompagnare? » Fece schioccare la lingua contro il palato, scuotendo lievemente il capo in un gesto amaro. « Hai detto bene: potrebbero riservarmi lo stesso trattamento se viene fuori che ti ho aiutato. E come dovrebbe venire fuori? Sono uno psichico. » Quell'affermazione non era una maniera per sottolineare la sua competenza o l'impossibilità che qualcuno lo interrogasse; voleva più che altro attirare l'attenzione sul fatto, di per sé scandaloso, che avrebbero dovuto obbligarlo ad ammetterlo con la forza. Contravvenendo così, di nuovo, al principio di tutela del simile che avevano professato per anni. « Nemmeno io credo al mal comune mezzo gaudio, Eliphas. » Lo guardò con una certa intensità, inclinando appena la testa di lato prima di proseguire: « Ma non credo nemmeno allo sputare sui principi con cui mi hanno cresciuto o a farmi mettere al guinzaglio da chi non rispetto più. » Aveva continuato in tono grave. Si sporse leggermente in direzione del demonologo, lo sguardo ancora fisso nel suo: credo nel fare la cosa giusta, anche quando è rischiosa o difficile, sembrava volergli comunicare. « In virtù di questo sono io che ti chiedo di aiutarmi. Aiutami a rispettare ciò che sono e permettimi di fare la cosa che credo essere giusta. Non farti lasciare da solo perché non me lo perdonerei. »


    Edited by haegeum - 29/10/2023, 16:07
     
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    « Apprezzo molto che tu voglia guardarmi le spalle anche in un contesto come quello attuale. Però penso che tu mi conosca abbastanza bene da sapere che sono poche le cose che malsopporto tanto quanto l'ipocrisia. » Sapeva bene che Aslan fosse un osso duro quando si trattava delle sue convinzioni e dei valori secondo i quali viveva. Il tentativo di frenarlo era probabilmente stato vano, ma Eliphas aveva comunque voluto farlo, aprendogli la via di fuga per non entrare in qualcosa che un giorno avrebbe potuto rimpiangere. Sospirò, abbassando il capo, consapevole del fatto che qualunque cosa avrebbe detto l'amico sarebbe andata contro il suo consiglio. « Quello che vedo io, se guardo la situazione nella sua interezza è quanto segue: ti hanno permesso di convivere con queste persone. Sotto copertura o meno che fosse, ci hai condiviso gli spazi. Hai fatto le nostre veci con Inverness sia prima della presa di Hogwarts che in seguito alla stessa. Per quanto nessuno potesse prevedere modalità e tempistiche di quanto è avvenuto, a mio avviso non era nemmeno questo grande arcano che il Ministero avrebbe provato a riprendersi un qualcosa che gli è stato portato via con la forza, in special modo la culla della formazione dei giovani della loro società. Se anche non fosse avvenuto nella forma corrente, ma fosse avvenuto e basta, di fronte ad un attacco, quanto è logico aspettarsi che qualunque essere umano non provi quantomeno a difendersi? Specialmente se, emissario warlock o meno, ha convissuto con queste persone? Cosa si immaginavano? Che i Minerva venissero a richiedere la scuola per piacere e mandassero un mazzolino di ortensie per accompagnare? » Questo, sotto sotto, lo pensava anche Eliphas. D'altronde gli warlock avevano pur sempre stretto una sorta di alleanza con i lycan. Cosa si aspettavano che facesse? Che se ne stesse con le mani in mano mentre una scuola piena zeppa di adolescenti veniva presa d'assalto? Non mi pare che questo stesso termine di giudizio sia stato applicato con gli warlock che hanno aiutato nella liberazione del Giappone. Sarebbe forse stato più semplice illudersi - dirsi che non capiva per quale ragione fossero stati usati due pesi e due misure. Ma la verità era che Eliphas sapeva sin troppo bene il motivo per cui era avvenuto. Convenienza. Pura e semplice convenienza. In Giappone, gli warlock non solo sapevano di poter vincere, ma sapevano anche di non poter rimanere neutrali. Per sopravvivere a quella crisi dovevano necessariamente allearsi con qualcuno, e avevano scelto la parte che erano più certi non li avrebbe traditi all'indomani della vittoria. Con la questione inglese, invece, si erano mossi molto più subdolamente, e alla fine avevano scelto di sacrificare Eliphas per la pace della comunità. In questo modo non avrebbero tradito direttamente i lycan ma non avrebbero nemmeno stuzzicato il Ministero. Immagino sia questo il problema di una comunità in cui siamo tutti uguali: nessuno è troppo importante e tutti sono sacrificabili. Ormai poteva dire di averlo imparato a proprie spese. « Hai detto bene: potrebbero riservarmi lo stesso trattamento se viene fuori che ti ho aiutato. E come dovrebbe venire fuori? Sono uno psichico. » Quell'affermazione sembrò farlo sorridere - forse il primo sorriso genuino della serata. « Nemmeno io credo al mal comune mezzo gaudio, Eliphas. Ma non credo nemmeno allo sputare sui principi con cui mi hanno cresciuto o a farmi mettere al guinzaglio da chi non rispetto più. In virtù di questo sono io che ti chiedo di aiutarmi. Aiutami a rispettare ciò che sono e permettimi di fare la cosa che credo essere giusta. Non farti lasciare da solo perché non me lo perdonerei. » Lo guardò in silenzio per alcuni istanti, con due diverse possibili risposte sulla punta delle labbra. La cosa più giusta da fare sarebbe stato rifiutare, andando contro la volontà dell'amico e mantenendo il punto per proteggerlo da eventuali conseguenze. Ma Aslan era pur sempre un adulto - uno particolarmente cocciuto, per giunta - e non stava a nessuno decidere cosa fosse giusto o meno per lui. Schiuse dunque le labbra per lasciare che un sospiro pesante uscisse dai suoi polmoni. « Voglio che tu sia consapevole del fatto che, come amico, non sono d'accordo con questa tua scelta. » Fece una pausa. « Ma proprio perché sono tuo amico, la rispetto. » D'altronde cosa poteva fare? Cercare di convincerlo a buttare alle ortiche i suoi valori? Beh, vorrei avere quanto meno il potere di convincerti a non buttarci la tua vita. Ma immagino che tu percepiresti come tale il contrario. So che io lo farei, al tuo posto. Annuì, dunque, in un'accettazione che aveva anche della rassegnazione. « Va bene, dammi il contatto del tuo amico e avvisalo del mio arrivo. Però Aslan.. questo devo chiedertelo: resta fuori dai guai, ok? » Lo sguardo del demonologo si puntò in quello dell'interlocutore, fissandolo con ogni briciolo di serietà in corpo. « Non correre rischi stupidi. Non fare il rivoluzionario. Concedimi almeno questa piccola serenità. » Perché ho già troppi sensi di colpa con cui fare i conti, senza che se ne aggiunga anche un altro. Stirò le labbra in un sorriso - una linea amara. « Forse questo mondo non è mai stato per i nobili di cuore, ma adesso lo è ancor meno. » Sono la prova vivente di che fine fa, chi ha creduto il contrario.

     
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