lost in the world

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    Chissà come dovrei sentirmi, a questo punto. Forse arrabbiata? Spaventata? Delusa? La verità però era una soltanto: la giovane Davis non sentiva niente. Gli avvenimenti della giornata precedente erano stati così tanti, così rapidi e talmente intensi che sembrava l'avessero prosciugata della capacità di provare effettivamente qualsivoglia sentimento. Sapeva, razionalmente, che prima o poi la botta sarebbe arrivata, e che con ogni probabilità sarebbe stata violenta. Che l'avrebbe stordita. Ma in quel momento, il giorno seguente alla presa di Hogwarts da parte dei Ministeriali e del crollo di Inverness, la giovane grifondoro, all'effettivo, non sentiva niente. Come se non avesse perso ognuna delle cose per le quali aveva lavorato duramente per tutti quegli anni di permanenza in territorio inglese, come se non avesse da poco scoperto che iil Prescelto fosse crollato in battaglia per mano di quello che quasi sicuramente era stato un collega, come se non avesse incontrato uno Will distrutto che non trovava la sua Natalie da nessuna parte. Sembrava che la sua sfera emotiva fosse stata rinchiusa in un qualche bozzolo, al sicuro, dove ogni colpo giungeva attutito. Aveva fatto ogni cosa dovesse: risposto alle domande che gli warlock le avevano posto, messo un frugale pasto sotto i denti, ed infine raggiunto la stanza che le era stata assegnata. Aveva contattato gli amici più cari uno ad uno. Certe volte aveva ricevuto risposta e tirato un sospiro di sollievo; altre invece no. Si era data appuntamento con Raiden. Aveva dormito come un sasso infine, forse stremata dalla fatica fisica che quegli eventi avevano comportato. E la mattina seguente si era alzata con il medesimo stato d'animo, seppure dolorante - la fuga rocambolesca della sera precedente si stava facendo sentire. Ad ospitarla per la notte erano stati due warlock sulla sessantina, presumibilmente una coppia. Stava scendendo di sotto, dove i due le avevano precedentemente detto si trovasse la cucina.
    « Non mi convince, sai. » La voce di Inanna, la padrona di casa, raggiunse le sue orecchie in quello che era poco più di un sussurro concitato. « Mi sembra troppo tranquilla. Non so quanto sia un buon segno. Anche ieri sera, a cena, non ha detto mezza parola su quel che è successo.» Un sospiro pesante. Una pausa accompagnata dal fruscio della carta. « Magari è soltanto il suo modo di elaborare la cosa. Ognuno ha i suoi tempi. Non mi sembra il caso di fargliene una colpa. » Un altro sospiro pesante della donna. « Ma potrebbe anche essere sotto shock, Wen. Forse dovremmo - » Ad Ava parve scorretto, a quel punto, continuare ad ascoltare una conversazione che, le sembrava palese, era incentrata su di lei. In quella casa, dopotutto, non c'erano altri ospiti.
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    « Buongiorno. » Disse semplicemente, uscendo allo scoperto ed entrando cautamente in cucina. « Credo di aver accidentalmente origliato la vostra conversazione, mi dispiace molto. » Una pausa, tempo durante il quale passò in rassegna i volti gentili dei due. « A tal proposito - sto bene. Non serve che vi preoccupiate. Posso dare una mano? Con la colazione o, non so, qualsiasi altra cosa in realtà.» Ci fu una breve pausa in cui i tre si guardavano. Non c'era del vero disagio nell'aria. Inanna prese un respiro e le passò una tazza di caffè fumante. « Non c'è bisogno, Ava. Mi dispiace, se - » L'americana scosse prontamente la testa. Non voleva mortificare ulteriormente la warlock - già ammettere di aver beccato qualcuno a parlare di sé non era un ottimo inizio per una conversazione distesa - ma allo stesso tempo non voleva essere fonte di preoccupazione per loro. « Non è un problema. Ma sto bene. Sono - ero nella Guarnigione. Ho fatto il Corso Auror. Veniamo preparati per questo genere di cose, non serve preoccuparsi. » Distese le labbra in un sorriso. La donna, dal canto suo, le lanciò un'occhiata indecifrabile. « Capisco, cara. Ma se dovessi avere bisogno, posso indicarti dove trovare nostro figlio. È uno psichico. Molto bravo. Se hai bisogno di parlarne o, beh, altro. » Ava annuì, sapendo di farlo più per quieto vivere che altro. « Certo, signora Lee. Lo terrò a mente. »
    Dopo quell'inizio di giornata un po' particolare ed aver spizzicato qualcosa a colazione, sebbene di fame non ne avesse poi molta, si era fatta ora di andare. Come aveva precedentemente detto all'amico, Ava non aveva molti punti di riferimento in quel quartiere. Non ne aveva anzi praticamente nessuno, ma sapeva almeno dove trovare la piazza, luogo dove aveva di conseguenza dato appuntamento allo Yagami. Si era appollaiata su una panchina in silenzio, osservando la gente andare e venire. Quel quartiere brulicava di vita, tanto che per un istante le dispiacque non averlo mai visitato. Da quel poco che ho visto sono anche tutti così gentili, non capisco come mai non ne abbia sentito parlare finora. Ma forse un motivo c'era, e stava nel fatto che, per quanto ospitali, gli warlock non volessero essere trovati. Persino quella volta dovevano aver accettato quello stuolo di visitatori con un certo riserbo, probabilmente vincolati anche dai patti fatti con Inverness. Inverness che non c'era più, si rese conto. Perché non era solo Hogwarts ad essere stata presa; c'era anche la Città Santa, di cui, si diceva, fossero rimaste soltanto le rovine. Tutto quello per cui abbiamo lavorato, se lo sono presi in meno di una giornata. E a quel pensiero, Ava non poté provare altro che una profonda amarezza. Che non si sentiva nemmeno pienamente in diritto di provare, se doveva dirla tutta. Lei non era una lycan, non aveva perso casa propria, nemmeno aveva perso membri della propria famiglia. Però, da qualche parte dentro di sé, si sentiva altrettanto sconfitta. Come se tutto quell'impegno che ci aveva messo si fosse dimostrato un vuoto a perdere. Come se abbandonare la scuola, il campus, fossero stati un modo per scapparsene con la coda tra le gambe. Forse lo erano. Come si ricomincia dopo una cosa del genere? Emise un sospiro pesante, poi sembrò vedere una figura familiare in lontananza. Fece per tirarsi in piedi ma poi, quando lui imboccò la sua direzione, si rese conto che l'avesse già vista. « Ciao, Raiden. Sono contenta di vederti tutto intero. » Stirò un sorriso, forse appena più spento del solito, ma comunque sincero. Erano tutti interi entrambi, il che era forse già più di quanto altri non potessero vantare. « Come stai? » Sbuffò una risata vuota. « La mia famiglia ospitante vuole già mandarmi dallo psicologo - no, scusa, dallo psichico - perché sono troppo tranquilla, a loro dire . ». Pausa. « Ovviamente ho già detto loro che va bene così e che al Corso ti traumatizzavano tutti i giorni. » Scosse appena la testa. Parlare del Corso Auror l'aveva inevitabilmente portata a pensare a Will e Natalie. « Tu che mi dici? » Chiese comunque, forse un po' anche per smorzare quei pensieri.



    Edited by no pressure‚ - 8/10/2023, 23:47
     
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    Dormire era stata un'impresa; nonostante fosse esausto, il suo cervello non sembrava volergli permettere di riposare sufficientemente a lungo da riprendere le energie necessarie. Un sonno turbolento, quello di Raiden, che durante la notte si era svegliato a più riprese e aveva sperimentato uno stato di costante dormiveglia punteggiato da incubi che riproponevano sempre i medesimi scenari con qualche piccolo cambiamento ogni volta. Alla fine, quando aveva iniziato a intravedere i primi raggi di sole filtrare dalle tapparelle, si era semplicemente arreso, alzandosi dal letto per cominciare quella che in circostanze normali sarebbe stata la sua abituale routine. C'era una certa sicurezza nella quotidianità, in quei gesti ormai imparati a memoria che il corpo eseguiva in automatico senza nemmeno doversi pensare; e forse era proprio questo ciò di cui Raiden aveva bisogno al momento: non pensare. Con Mia avevano deciso di andarsene, di tornare in Giappone e dire addio una volta per tutte a quella vita di costanti guerre. Un piano rassicurante, ma che Raiden sotto sotto sapeva bene contenere più variabili di quanto volesse ammettere. E quindi non voleva pensarci, non voleva fermarsi a ragionare abbastanza a lungo da vedere tutte le cose che avrebbero potuto fargli da ostacolo, impedendogli di vivere la vita che aveva sempre sognato e di essere il tipo di uomo che desiderava vedere allo specchio. Era più semplice illudersi che ci fosse una via d'uscita facile, che bastasse dare un dispiacere ai propri compagni e simili per accedere a una realtà in cui la sua famiglia poteva vivere felice e lontana dalle persecuzioni. Immaginare un altrove possibile, uno che per giunta coincideva con le proprie radici, era di certo qualcosa di molto più accattivante rispetto al guardare in faccia la realtà grottesca dei fatti: che per quelli come lui, un altrove non ci sarebbe mai stato. Rifugiarsi nella routine, raccontando a se stesso che le cose sarebbero andate secondo i propri piani, era forse il primo step in quella che dentro di sé sapeva essere la modalità di sopravvivenza; l'abituale allenamento mattutino, la doccia fredda, tutta la trafila di abitudini che componevano il risveglio di Haru.. tutte quelle cose gli davano sicurezza, forse un'illusione di controllo, una via di fuga dai dubbi che preferiva chiudere in un cassetto e non affrontare. Ma quanto poteva essere facile quando bastava mettere un piede fuori di casa per rendersi conto che intorno a lui non c'era assolutamente nulla di normale o quotidiano? Stretto nella felpa che gli era stata prestata da un estraneo, col cappuccio calato sulla testa quasi a volersi proteggere dagli sguardi altrui, il giovane Yagami aveva solcato a passo veloce le stradine di un luogo che non gli apparteneva, tra sconosciuti che la loro quotidianità l'avevano momentaneamente sospesa e facce familiari che mascheravano con più o meno successo lo stesso senso di perdizione che lui tentava di evitare. Nonostante il sole fosse già alto e tante persone si affollassero per strada, il quartiere warlock era molto più silenzioso di quanto ricordasse; nessuno fiatava, nessuno alzava lo sguardo dai propri piedi, non c'erano risate e anche gli esercizi commerciali sembravano molto più vuoti - eccezion fatta per quelli di prima necessità. Fuori dalla bottega di erbe e pozioni c'era una fila lunga che poteva essere paragonata solo a quella delle anime del purgatorio: alcuni erano feriti, altri avevano lo sguardo scuro di chi probabilmente aveva qualcuno ancor più gravemente leso che lo stava aspettando a casa. Raiden tirò dritto, evitando di incrociare quegli sguardi o fermarsi a vedere se qualche conoscente fosse lì. Svoltato l'angolo della piazza individuò quasi immediatamente Ava, seduta in disparte su una delle panchine. Si sfilò indietro il cappuccio, stendendo le labbra in una linea che doveva ricordare un sorriso, cercando così di farsi notare più facilmente da lei mentre la raggiungeva. « Ehi.. » Riuscì a dire solo questo, in un filo di voce appena udibile che gli graffiava contro la gola, uscendo più arrochito del solito. « Ciao, Raiden. Sono contenta di vederti tutto intero. » Stirò un tenue sorriso. Sì, quanto meno poteva dire quello: di essere tutto intero. Decisamente più fortunato di altri. « Come stai? » Sospirò, affondando le mani nella tasca centrale della felpa mentre si stringeva nelle spalle. « Sono stato meglio. Ma sono vivo, e la mia famiglia è tutta intera, quindi non posso veramente lamentarmi. Tu come stai? » « La mia famiglia ospitante vuole già mandarmi dallo psicologo - no, scusa, dallo psichico - perché sono troppo tranquilla, a loro dire. » Soffocò una piccola risata, inarcando le sopracciglia. Mi sa che gli warlock ci sono abituati un po' meno di noi, alle disgrazie. « Ovviamente ho già detto loro che va bene così e che al Corso ti traumatizzavano tutti i giorni. Tu che mi dici? » Cosa poteva dirle? Che aveva già deciso di gettare la spugna e andarsene? Magari riempiendola di scuse riguardo quanto la sua prima lealtà dovesse essere rivolta alla famiglia e alla salvaguardia di Haru e Mia? Se ne vergognava. Per quanto lo ritenesse necessario, per quanto fosse stanco di lottare e di essere qualcuno che non aveva mai voluto essere, era pur sempre un soldato - e con quel tipo di istruzione veniva un codice d'onore difficile da ignorare, specialmente quando le cose non andavano bene e non c'era nessuna gloria di cui investirsi. È così che verrei ricordato no? Come quello che c'è solo quando le cose vanno a nostro favore, e poi scappa dalla nave che affonda. Non c'era nulla di più disonorevole di quello, per qualcuno che lavorava nel suo stesso settore. Ma cosa poteva fare? Mettere in pericolo suo figlio pur di salvaguardare quello stesso onore che lo aveva portato fino a quel punto? Io ho perso mio padre per qualcosa di molto più casuale e imprevedibile. So come sia vivere senza un genitore. So quanto sia brutto andare a scuola un giorno qualunque ed essere accolto a casa dalla notizia che la persona a cui vuoi più bene non c'è più. So anche cosa significa vivere in quella stessa casa con qualcuno che quel lutto non riesce ad elaborarlo. E se non posso garantire che tutto ciò non accadrà mai a mio figlio, posso comunque fare del mio meglio per evitare che sia un rischio concreto su base quotidiana. Sospirò, mettendosi lentamente a sedere mentre le dita si intrecciavano nervosamente dentro la tasca della
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    felpa. « Sento di aver fallito. » Forse quelle parole erano ingiuste verso se stesso in primis, o forse erano solo decontestualizzate - ma il fallimento, Raiden lo sentiva. Lo sentiva sempre, visto che tendeva per sua natura a darsi uno standard impossibile da raggiungere; ma quel giorno lo sentiva un po' di più. « Ero il Capitano del Corpo di Ricerca, e non ho visto arrivare questa roba prima che fosse troppo tardi. Ma era una mia responsabilità. » Fece una pausa, deglutendo contro il groppo in gola. « Capire cosa stesse accadendo ai fuochi fatui, prevenire almeno in parte questa distruzione.. era il mio compito, e Inverness è bruciata sotto la mia guardia. » Forse in realtà tutto ciò che so fare è spargere sangue. In quello sono bravissimo. Quando si tratta di falciare teste nessuno mi batte. Ma a salvaguardare ciò che ho.. su quello faccio schifo, evidentemente. Sospirò, abbassando lo sguardo sulla scarpa che faceva roteare un piccolo sassolino sotto la suola. « Ma ormai queste considerazioni non servono a niente. Sono solo autocommiserazione e vittimismo che dovrebbero far incazzare chi, a differenza mia, ci ha rimesso molto più dell'orgoglio. » Me ne rendo conto. Mi meriterei gli schiaffi di chi adesso deve seppellire un caro. « Quindi cosa dico? Se devo dire qualcosa è che la gente rimasta non dovrebbe contare su di me. Mi ritiro. Sono abbastanza obiettivo da poter ammettere che non ho fatto un buon lavoro e non merito ulteriore fiducia. » Rimase in silenzio per qualche istante, alzando poi lo sguardo per incrociare colpevole quello di Ava. « Per quel che vale - mi dispiace. »



     
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    A quel punto della storia era difficile per Ava determinare se fosse dotata di una psiche straordinariamente solida, e se dunque la sua impassibilità fosse una questione di indole, o se invece fosse che ormai avesse fatto l'abitudine a vedere la propria vita venire capovolta di continuo e quindi tentasse istintivamente di cadere in piedi. Forse era uno strano misto delle due cose. D'altra parte nemmeno Ava Davis sarebbe mai esistita, se gli stravolgimenti non fossero stati una costante nella sua vita. No, quello era forse un esempio troppo lampante. Ecco, se gli stravolgimenti non fossero stati per lei una costante, allora sarebbe ancora stata a New York, probabilmente in qualche college babbano, completamente all'oscuro rispetto all'esistenza del mondo magico. Sarebbe ancora stata Cordelia, non avrebbe nemmeno immaginato che il suo cognome potesse avere una qualsivoglia rilevanza per chicchessia, e l'avrebbe al massimo trovato ridicolo ed altisonante. Probabilmente, in quel mondo parallelo, si sarebbe anche preoccupata di stronzate come uscire con un ragazzo, o gli esiti dell'ennesimo esame, o chissà cos'altro. Avrebbe avuto una vita normale. Priorità normali. Invece, a poco più di vent'anni, doveva capire come reinventare la propria vita lontana dalla propria famiglia, fare implicitamente i conti con quella sconfitta di dimensioni colossali, ed una cernita mentale di tutti i danni riportati e le perdite subite in termini di affetti. Solo elencare queste cose avrebbe fatto rabbrividire chiunque. E forse, solo forse, Ava Davis era così tranquilla ed incrollabile perché non poteva permettersi di essere altro; non poteva osare assorbire per davvero quell'impatto senza rendersi conto della sua reale entità. Sempre forse, il suo cervello le stava semplicemente risparmiando la realizzazione che non soltanto quella tragedia lo fosse in sé, enorme, per mille e più motivi, ma che per lei fosse doppiamente devastante perché Inverness, la sua routine, la sua gente, erano per lei ormai un punto di riferimento in mancanza della sua famiglia, che ormai non solo si era trasferita lontano ma che lei, alla luce di tutto, non si sarebbe sentita nella posizione di disturbare con la propria presenza. Sono anche lontani, adesso, e non so neppure come potrei fare per raggiungerli. Ma non so nemmeno cosa dovrei fare per continuare ad esistere qui. Di lavorare per il Ministero non se ne parla. Emise un sospiro pesante, scuotendo appena la testa tra sé. Si costrinse quindi a riportare l'attenzione su Raiden a seguito dei convenevoli che si erano scambiati, osservandolo. Ava non era ferratissima nell'esprimere i propri stati d'animo, forse non era nemmeno la persona che solitamente si cercava per ricevere supporto emotivo, ma si era sinceramente affezionata al giapponese, e le era sembrato doveroso sincerarsi delle sue condizioni. Ava non sapeva bene quanto avrebbero parlato e se l'avrebbero fatto, ma in realtà, per com'era fatta, le andava bene anche passare semplicemente del tempo in compagnia di una persona cara nella consapevolezza che fosse ancora tutta intera.
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    « Sono stato meglio. Ma sono vivo, e la mia famiglia è tutta intera, quindi non posso veramente lamentarmi. Tu come stai? » Come sto? Mai le era risultato così difficoltoso rispondere ad una domanda tanto semplice. Distolse istintivamente lo sguardo, portandolo davanti a sé, e tirò un sospiro. « Seguendo il tuo stesso principio, penso meglio di tanti altri. » Si strinse appena nelle spalle, evitando di riconstatare l'ovvio - i suoi parenti erano tutti lontano, fuori dall'Inghilterra, al sicuro. « Mi sento un po' persa. » Ammise alla fine. D'altronde, se da un lato l'essere la sola coinvolta nella questione la rassicurava perché voleva significare che nessuno ne fosse coinvolto, la metteva anche davanti alla consapevolezza della propria solitudine nell'affrontarne le conseguenze. « Da un lato sono molto contenta che i miei siano lontani da questa situazione; dall'altro è come se avessi perso ogni punto di riferimento dal giorno alla notte. Ed è... strano. Ha senso? » Parve rifletterci per qualche istante, assorta, stringendosi di più nel giacchetto di pelle che indossava. Non lo so se ha senso o se mi sto solo lamentando. Quanto è egoista, poi, da parte mia farlo quando c'è letteralmente gente che ha perso tutto? Però cosa ci poteva fare se si sentiva decentrata in quella situazione? Niente. Non ci posso fare niente. Tenermelo finché non passa e finché non capisco quali siano le opzioni a mia disposizione da qui in poi. A quel punto, forse deciso che non importava, scosse il capo in maniera appena percettibile, portando nuovamente la propria attenzione sul giapponese. « Sento di aver fallito. Ero il Capitano del Corpo di Ricerca, e non ho visto arrivare questa roba prima che fosse troppo tardi. Ma era una mia responsabilità. Capire cosa stesse accadendo ai fuochi fatui, prevenire almeno in parte questa distruzione.. era il mio compito, e Inverness è bruciata sotto la mia guardia. » L'americana aggrottò la fronte a quelle parole, che aveva ascoltato molto attentamente. E, per quanto potesse comprendere - ed in una certa misura anche condividere - il ragionamento dello Yagami, le sembrava comunque eccessivo il suo assumersi ogni responsabilità di quanto accaduto. « Raiden, in tutta onestà penso sia una questione ben più complessa di così. » Gli rispose quindi, sincera. « Capisco quello che dici, come capisco che tu possa sentirti responsabile di quel che è successo, ma non è vero. Togliendo pure il fatto che abbiano attaccato tutto l'attaccabile simultaneamente e che fossero in superiorità numerica, non si può dare la responsabilità di una cosa del genere ad una sola persona, a prescindere dalla carica ricoperta. » Ragionando così saremmo anche legittimati a mettere in croce la Morgenstern, a questo punto. « Mi dispiace molto che tu ti senta così. Non dovresti. » Sapeva, Ava, che l'amico fosse una persona con un forte senso della responsabilità. Era però fermamente convinta che in quel momento, quella che normalmente era una qualità invidiabile, gli si stesse ritorcendo contro e che rischiasse di diventare distruttiva se il moro non le avesse messo le redini per tempo. « Ma ormai queste considerazioni non servono a niente. Sono solo autocommiserazione e vittimismo che dovrebbero far incazzare chi, a differenza mia, ci ha rimesso molto più dell'orgoglio. » Lo è? Secondo me, è anche umano che tu ti senta mortificato dalla situazione. Ci hai scommesso. E ci ha scommesso anche la tua famiglia. Penso sia lecito che ti senta toccato dalla sconfitta. La Davis si lasciò sfuggire un sospiro appena udibile, evitando tuttavia di interrompere il discorso di Raiden. Non era nelle sue corde insistere per entrare nel campo emotivo di qualcuno, forse perché lei in primo luogo tendeva a nascondere sotto il tappeto le proprie, di emozioni. « Quindi cosa dico? Se devo dire qualcosa è che la gente rimasta non dovrebbe contare su di me. Mi ritiro. Sono abbastanza obiettivo da poter ammettere che non ho fatto un buon lavoro e non merito ulteriore fiducia. Per quel che vale - mi dispiace. » Quell'affermazione del giapponese in particolare, fu un po' un fulmine a ciel sereno. Per Ava, fu l'equivalente di un ulteriore colpo da assorbire. Non si sentiva propriamente tradita dalla scelta del giovane, ma non poteva nemmeno dire che questa non la toccasse. Era strano. Come perdere un altro punto di riferimento. Ava però sapeva anche che Raiden avesse una famiglia con tanto di bambino piccolo a cui badare. Il suo mondo non poteva materialmente iniziare e finire con una causa, specialmente quando erano tutti arrivati a quel punto. Specialmente quando quella causa sembrava persa. Lei, d'altra parte, per la propria famiglia si era lasciata dietro tutta una vita, pur non volendolo fare. « Devi fare quello che pensi sia meglio per te. » Gli disse alla fine, dopo lunghi attimi di silenzio in cui semplicemente ne aveva sostenuto lo sguardo. « E per la tua famiglia. Il piccolo, soprattutto. » Rimase a riflettere per qualche secondo. « Cioè, alla fine non puoi nemmeno spingere per continuare, se non te la senti - non importa quanto possa dirti che nessuno pensa sia colpa tua. Egoisticamente un po' mi dispiace perché checché tu possa pensarne in questo momento - e so che non mi darai credito - sei bravo in quello che fai. Però sai com'è, se non ci credi tu per primo non ha senso cercare di convincerti del contrario. » Abbassò lo sguardo solo a quel punto, umettandosi le labbra prima di concludere. « Sì, devi fare ciò che pensi sia meglio. » Una breve pausa. « Cosa pensavi di fare, quindi? »


    Edited by no pressure‚ - 5/11/2023, 21:47
     
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