Just a drop in the ocean, what a horrible notion

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    Iron Garden, Londra
    1 novembre

    Almeno le avevano permesso di tenersi il famiglio. Aegir era una piccola tartaruga acquatica per la quale Théa era stata abbondantemente ridicolizzata, quando era più piccola; lei aveva finto di non badarci troppo, ma certamente era mortificante che il proprio animale spirituale fosse una creatura piuttosto lenta, sicuramente molto poco intimidatoria, quando tutti i suoi coetanei cominciavano a vantare legami elettivi con creature come linci, corvi e felini predatori. Una tartaruga, tutto qui? Ma quel tipo di cose non potevi sceglierla. Il warlock capo della propria congrega di origine glielo aveva spiegato più e più volte, quando l'aveva letta scontenta, portandosi dietro a lezione la propria piccola vaschetta sotto al braccio e l'espressione evidentemente imbronciata, attenta a schivare lo sguardo di chiunque potesse prendersene beffa. «C'è sempre un motivo per cui creiamo un legame con una specifica creatura, Théa. Non ha a che fare con quanto sia potente, ma con quanto possa trasmetterti». A lei erano sembrate stronzate consolatorie vaghe e sconclusionate: nessuno vuole un famiglio che trasmetta buone vibrazioni; voleva una creatura con cui potersi scambiare di posto, guardare il mondo dall'alto, come faceva Eliphas, o che potesse strisciare di soppiatto senza destare alcun sospetto, sfruttandone le doti corporee più vantaggiose, come un serpente. Una tartaruga era semplicemente inutile. Adesso, sistemata nella sua solita vaschetta – la stessa da anni e anni – sul tavolo della cucina del “nuovo” appartamento di Théa, Aegir se ne stava immobile, l'unico movimento generato dalla zampetta anteriore che batteva, lenta, sulla piccola pietra disposta al centro del laghetto artificiale. La ragazza sospirò. Se doveva essere completamente sincera, continuava a faticare a capire che cosa il capo della congrega si aspettasse che avrebbe dovuto trarre, da quella piccola creatura. Non provava più vergogna –
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    era un sentimento di radice sociale, una matrice di preoccupazioni da cui Galathéa era interessata molto poco, e a modo suo nel tempo si era affezionata alla sua tartaruga, finalmente le aveva dato un nome, e quando se n'era separata, trasferendosi altrove e lasciandola in custodia ad un amico, se n'era poi sempre pentita. Se gliel'avessero chiesto, Aegir sapeva infonderle una calma molto speciale, una di cui però Théa non sentiva di avere bisogno, considerandosi una persona dal carattere piuttosto rabbonito, nel corso del tempo. C'era stato sicuramente un momento, o forse più di uno, in cui non si sarebbe definita così: dapprima una bambina piagnucolona, poi un'adolescente irriverente e arrogante, distaccata, nuclearmente fredda, forse arrabbiata. Ma adesso sentiva di aver superato quella fase della sua vita, di aver fatto i conti con qualunque cosa l'avesse tanto tormentata in passato; più di tutto, credeva di aver acquisito un nuovo e più sano modo di far fronte alle avversità, che era accettare di non poterle controllare – poteva soltanto gestire le sue reazioni alle cose. Forse era questo, che le aveva insegnato Aegir: a reagire con grazia. Eppure qualcosa bolliva sotto la superficie. Sospirò, distratta da questi pensieri, lo sguardo perso oltre la linea dell'orizzonte, fuori dalla finestra. Lanciò uno sguardo all'orologio da polso, sottile e argentato, e sospirò nuovamente. Si alzò in piedi, spostò la sedia, e la accostò alle ante di quella che doveva essere una minuscola credenza a muro, bloccando le manopole con lo schienale, il sedile inclinato. Poi si appoggiò al bancone della cucina, una mano a tenere chiusi gli sportelli del mobile sopra al lavandino, una gamba alzata a bloccare il letto a scomparsa, di fronte. Cinque, quattro, tre, due... Un improvviso tremolio, nonostante definirlo tale fosse un eufemismo, il solito che si susseguiva ogni 10 minuti, quando da vicino l'appartamento che le avevano assegnato partiva il treno suburbano che collegava la periferia londinese al resto della città. «Dovremo procurarci un lucchetto o un fermo di qualche sorta, Aegir, che dici?» Bisbigliò, attendendo il transito della locomotiva, insopportabilmente rumorosa, rimpiangendo ancora una volta casa sua – quella in cui non aveva ancora finito di disfare le valigie e svuotare gli scatoloni. Il suo sesto senso gliel'aveva suggerito, che non fosse ancora arrivato il tempo di mettere radici. Non importava quanto desiderasse farlo. Si passò una mano sul viso, la pelle seccata e ingrigita dall'inquinamento dell'aria. «Lo sai che forse un po' ti invidio, lì dentro?» Continuò, riprendendo infine a ritirare il bucato steso, appeso a fili elettrici a vista che attraversavano l'intero monolocale, sovrastando il tavolo. Salì su una sedia, quindi, rimuovendola dal proprio compito di fermo per le ante della credenza. «Per te non è cambiato molto, in fondo. Certo, dev'essere una noia mortale lì dentro... Sempre tutto uguale». Tenne una molletta da bucato tra i denti, per liberarsi le mani e piegare il lenzuolo a una piazza, steso la sera prima. «Però almeno hai tutto ciò che ti serve, eh? Com'è che hanno scritto, sulla Gazzetta?» Ci pensava ancora, a quell'articolo ridicolo che avevano pubblicato quella mattina. «“Alle creature sarebbe potuta andare peggio di così, e invece hanno tutto ciò di cui necessitano per i loro bisogni speciali a portata di mano.” Scandaloso, cazzo.» Aegir batté la zampetta un po' più forte. «Sì, esatto, hanno avuto la faccia tosta di parlare anche di me, dio santo» scosse la testa, liberandosi della molletta tenuta tra i denti e lanciandola verso il cestino che le conteneva, sul tavolo. «“Una celebrità tra le creature”? Com'era?» Aegir alzò la testolina, e la inclinò appena. «Si sono fatti persino scappare l'opportunità di fare un gioco di parole tipo dalle stelle alle stalle, sai, col fatto che siamo animali, per loro... Cioè, persino cattivo giornalismo, capito». La piccola tartaruga sembrò annuire, lenta. «Va bene, mi calmo». Della sua carriera musicale Théa si era sempre preoccupata molto poco, le luci della ribalta un vezzo che non le interessava per niente, ma le davano un buon motivo per rimanere in Scozia, e un tenore di vita che non le dispiaceva, a dover essere sincera. Ma le attenzioni, le domande, le inquisizioni, e, dio santo, la stampa...
    Quando qualcuno bussò alla porta di casa sua, Théa era ancora in piedi sulla sedia. Paralizzata, aggrottò la fronte, unico movimento sicuro, e affilò l'udito il più possibile, la propria affinità con le creature acquatiche a tornarle utile piuttosto sul catturare vibrazioni e basse frequenze. Le avevano fissato un interrogatorio al mattino dopo, perché, se erano degli Auror, si presentavano a casa sua? Ma poi perché doveva comportarsi da ladra in casa propria? Si schiarì la voce, quindi saltò giù dalla sedia, avvicinandosi alla porta. «Chi è» suonò più come un avvertimento che non una domanda. Lo stupore che provò, all'udire la voce che le rispose, per poco non le causò ancor più spavento di quanto non avrebbe fatto una guardia armata. Veloci, le dita volarono verso il chiavistello della porta, e poi ai due lucchetti al di sotto, aperti con un Alohomora non verbale. «Aslan? Aslan Lee?» Aprì la porta, sinceramente sorpresa, la preoccupazione che cominciava a salire. «È successo qualcosa ad Eliphas?» Fu la naturale deduzione, gli occhi smeraldo che scandagliavano il viso dello stregone alla ricerca di indizi o risposte. «Perché sei qui?»


    Edited by liquid smooth - 11/12/2023, 14:25
     
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    Aslan non era mai stato un grande estimatore della società magica. Per estensione, aveva sempre osservato con una certa dose di sfiducia le politiche portate avanti dalle sue istituzioni, anche per via del fatto che, qualsivoglia esse fossero, gli sembravano comunque mirate alla ricerca di un costante capro espiatorio. La fortuna che aveva avuto per gran parte della sua vita era stata quella di poter guardare e basta, peraltro con un certo distacco, quella bolgia senza fine, beandosi della consapevolezza di far parte di un nucleo sociale che promuovesse principi molto differenti. Principi migliori, a suo avviso, che avevano permesso agli warlock di mantenere un'invidiabile unità nel corso dei secoli. Un concetto, quello, al quale aveva sempre tenuto molto, che considerava parte integrante del proprio pensiero e della propria etica. Un concetto che, all'indomani della presa di Inverness era stato scosso alle proprie fondamenta dall'esilio di Eliphas Luhng. Seppure fosse convinto del fatto che ogni azione dovesse avere una propria conseguenza, trovava comunque ingiusta ed ingiustificata la punizione riservata all'amico. Certo, formalmente i vertici warlock potevano anche avergli chiesto di non attaccare, ma in una situazione dove era il luogo in cui si trovava, ad essere sotto attacco, cosa esattamente si aspettavano che facesse? Che si girasse i pollici, lavandosi le mani di una questione che coinvolgeva persone con le quali aveva convissuto per mesi interi, se non anni? E se ci tenevano tanto a dichiararsi neutrali, forse non avrebbero dovuto garantire il proprio appoggio in primo luogo. Insomma, di tutta quella storia era chiara soltanto una cosa: Aslan se l'era legata al dito. E se prima di quel provvedimento era stato molto più incline a farsi semplicemente gli affari propri, rendendosi disponibile su richiesta o quando altrimenti coinvolto in maniera diretta, a quel punto aveva scelto di cambiare rotta. In maniera intelligente e calcolata però, di modo che quel cambiamento non attirasse l'attenzione di troppe persone. Aslan Lee, in fondo, era una persona estremamente cauta, ed era pienamente consapevole del fatto che rendere noto il proprio disappunto in quel momento storico, dove erano tutti impegnati a leccarsi metaforicamente le ferite e la questione era ancora troppo fresca e confusa, l'avrebbe soltanto esposto inutilmente. Non era quello il momento. Ed il tempismo, in generale, era quanto di più importante ci fosse in quel genere di questioni. Nelle settimane successive alla distruzione della roccaforte dei lycan, nella sua routine non c'era stato nessun cambiamento degno di nota: lavorava e studiava con il solito zelo e la stessa attenzione. Parlava sempre poco, e con pochissimi selezionati. Non aveva ancora seppellito l'ascia di guerra con Bress però - l'elementale che aveva sbattuto fuori casa propria poche ore prima di scoprire dell'esilio dell'amico demonologo - né intendeva farlo. Per quanto fosse poco incline al rancore, specialmente nei confronti di colleghi, c'erano segni che con lui non andavano oltrepassati, e su quello era tassativo. La mattina del primo novembre però, a poche ore dalla scoperta relativa al fatto che anche Galathéa Durand avesse lasciato il quartiere warlock, una cosa davvero poco caratteristica per lui, Aslan decise che fosse il caso di farla. Intendeva farle visita. Per amor di verità bisognava sottolineare che tra lui e la Durand non fosse mai successo niente che lo psichico reputasse irreparabile o anche grave, ma l'elementale gli aveva reso cristallino il messaggio di non voler avere a che fare con lui. E lui, dal canto suo, non era mai stato il tipo di persona da insistere troppo per vedersi accettato nello spazio personale di qualcuno. Galathéa era legata ad Eliphas, questo era vero, e forse il motore dietro quel suo avvicinarsi a lei nel periodo in cui entrambi si erano trovati in Francia era stato proprio quello - specialmente quando l'aveva vista rifiutare con tanta testardaggine gli altri - e magari aveva anche sperato di poterle essere utile nell'inserirsi in quel nuovo contesto. Ma gli era diventato presto evidente che non solo la sua presenza non fosse gradita o necessaria, ma che era anche percepita come un'invasione dalla giovane Durand. E così Aslan era tornato a fare quello che meglio gli riusciva — osservare da lontano. Non le avrebbe negato aiuto nel qual caso glielo avesse chiesto esplicitamente, questo era chiaro, ma non avrebbe più preso l'iniziativa nei suoi confronti. E quella sua decisione era rimasta immutata per anni, conseguendo naturalmente in una totale perdita dei contatti. Tanto che, non fosse stato per Juniper Rosier che gliel'aveva nominata, probabilmente non ci avrebbe nemmeno più pensato. Erano passati tanti anni, dopotutto, e per quanto non nutrisse astio nei suoi confronti, non era nemmeno il tipo da occupare le sue giornate già pienissime ricordando persone alle quali non era gradito. I recenti sviluppi però l'avevano portato a riconsiderare. Una famiglia non è una famiglia solo quando fa comodo, questo il pensiero alla base di quell'azione che l'aveva portato nel degradato quartiere che il Ministero della Magia aveva riservato a dissidenti e Creature. In virtù dello stesso si era fatto perquisire da un Auror all'ingresso senza scomporsi, e ne aveva sostenuto lo sguardo giudicante senza fare una piega. Si era fatto indicare l'abitazione della giovane e l'aveva raggiunta per bussare alla sua porta. «Chi è» Una risposta che gli era giunta ovattata, schermata dalla porta — com'è possibile che anche questa possa sembrare messa male non me lo spiego —, ma alla quale aveva prontamente risposto con un pacato:
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    « Aslan. » Ed era rimasto così, ad aspettare. Con una mano reggeva una busta. Presentarsi a mani vuote gli era sembrato inappropriato ma, conscio del fatto che il loro rapporto fosse collocato entro una sorta di limbo non meglio definito, aveva anche evitato di portare troppe cose. Non si sentiva nella posizione di riempirla di una quantità eccessiva di provviste, al di fuori delle piccolezze che aveva comprato fuori dal quartiere. Cose da mangiare, per la maggior parte, che le avrebbero permesso di non preoccuparsi dei propri pasti per qualche giorno. «Aslan? Aslan Lee?» Devi conoscere proprio un sacco di miei omonimi per avere dubbi su quale Aslan io possa essere, gli venne da pensare con una punta di ironia. Lasciando stare l'umorismo, comunque, riusciva ad immaginare la sorpresa della ragazza di fronte alla sua visita. Lui stesso aveva dovuto rifletterci per qualche ora prima di decidere che presentarsi alla sua porta fosse consono. «È successo qualcosa ad Eliphas?» Ne sostenne lo sguardo smeraldino nel passarsi la mano libera tra i capelli. Poi scosse la testa. « Niente di più rispetto a ciò che già sappiamo. » Le rispose cauto, lanciandole comunque un'occhiata piuttosto eloquente. Se da un lato le parole che aveva scelto lasciavano spazio ad eventuali altre domande di Théa, lo psichico non intendeva parlare del migliore amico sulla porta. Men che meno in un contesto come quello di Iron Garden, dove ogni sillaba uscita dalle loro bocche poteva essere fonte di problemi e ritorcersi contro di loro. Non escludeva che qualcuna delle guardie fosse rimasta nei paraggi. « Posso entrare? » Le chiese invece, fermo nella sua pacatezza. «Perché sei qui?» In tutta risposta lo warlock sollevò dimostrativo la piccola busta che aveva portato con sé, abbozzando un leggero sorriso. « Ti ho portato qualcosa da mangiare, forse nella speranza di farmi invitare a condividere il pasto. » Una pausa, dove insistette ancora una volta. « Ora mi lasci entrare? » Per la verità, Aslan nemmeno aveva fame. Per quel che lo riguardava, Galathéa non gli doveva assolutamente niente, e non aveva assolutamente alcuna intenzione di autoinvitarsi da nessuna parte. Ma alle guardie ho detto che fossimo grandi amici, ed è bene continuare a vendere quest'illusione, se ce n'è qualcuna all'ascolto. Non si sa mai. Attese perciò che la ragazza si scostasse dalla porta e la richiudesse alle sue spalle prima di dire qualunque altra cosa. « Mi spiace esserti piombato tra capo e collo, ma mi sembrava ancora più inappropriato agire altrimenti. » Chiarificò dunque, consapevole di non aver ancora dato nessuna effettiva risposta alle domande che l'altra gli aveva posto. La osservò silenziosamente, porgendole quindi il sacchetto. « Sono qui per - mmmh - farti sapere che, in caso di necessità, hai un contatto a Londra. » Seppellire una vecchia ascia di guerra, se preferisci. Anche se dal suo punto di vista tra lui e Théa non c'era mai stata alcuna guerra. « Non è granché, ma ci tenevo comunque.» Era sincero, Aslan. Era essenziale, specialmente in un momento storico come quello, mantenersi quanto più uniti possibile. E dalla sua era importante che vecchi rancori o incomprensioni di sorta non impedissero alla giovane Durand di cercarlo in caso di bisogno. Forse non sono la tua persona preferita, e ci può stare, non ho la pretesa di diventare il tuo migliore amico da un giorno all'altro. Ma siamo warlock entrambi. Il che vuol dire che se anche sono il cugino che ti sta sul cazzo, resto pur sempre tuo cugino. Per estensione la mia porta, per te, è sempre aperta, ed è importante che questo sia una certezza. Se era stato invadente, l'aveva fatto con la migliore delle intenzioni. E se Galathéa avesse rifiutato la sua offerta poteva almeno dire di averci realmente provato. Non sapeva, dalla sua, come la ragazza avrebbe preso la cosa. Da un lato, in passato si era dimostrata poco incline a volere contatti con lui, volontà che alla fine aveva rispettato, ma era anche passato molto tempo. Anni. « C'era anche qualche altra questione di cui volevo parlarti, ma sono tutte cose secondarie. La primaria te l'ho già esposta. » Si strinse nelle spalle con leggerezza. « Se posso esserti utile in qualche modo, non farti problemi a dirmelo. »


    Edited by haegeum - 19/10/2023, 10:55
     
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