Hogwarts le mancava. Non era passato così tanto tempo da quando aveva lasciato il castello eppure già sentiva la sua mancanza. Sentiva di essere stata privata di tutto ciò che la rendeva felice e spensierata. Hogwarts rappresentava per la giovane grifondoro una casa, un porto sicuro dove far ritorno ogni qualvolta ne avesse bisogno, un luogo nel quale poteva finalmente dirsi di essere sé stessa. Lì non doveva preoccuparsi di indossare la maschera della figlia perfetta perché sapeva che le persone con le quali aveva a che fare ogni giorno, non avrebbero avuto nulla da ridire se avesse commesso un qualsiasi tipo di errore.
«Mmmh.» Mugugnò rivolta con la faccia contro il cuscino mentre allungava il braccio verso il cellulare per interrompere quel suono infernale. Era stanca perché aveva passato tutta la notte a leggere notizie riguardanti gli eventi che si erano verificati qualche ora addietro, nella speranza di scovare qualche parola di speranza o conforto. Era raro che Sèline si scoraggiasse o non riuscisse a trovare qualcosa di positivo con il quale cambiare il modo di vedere le cose ma quella volta non ci riuscì. Ma come si puó rimanere positiva quando hai visto morire il
prescelto? Come si può pensare che quello che è successo non sia la fine di un'era buia? No, non poteva. Sèline era sicura che quello non era altro che l'inizio di un altro periodo buio, un'altra pagina di un libro che non sembrava avere un finale.
«Ho capito: mi alzo, mi alzo.» Sbuffò all'ennesimo avviso di quella sveglia che non sembrava essersi arresa davanti agli svariati 'rimanda' della Osbourne. Trascinò il suo corpo al bagno dove si sarebbe data una rinfrescata prima di prepararsi per un incontro che non aveva premeditato. Era strano che Èmile si fosse fatto vivo proprio in un momento del genere, dopo mesi di silenzio. Dopo gli eventi del ballo, Sèline aveva cercato di reprimere i sentimenti -più o meno profondi- che aveva provato per il ragazzo negli ultimi mesi e aveva cercato di andare avanti. Era stato facile ignorare tutta la situazione ma quello con il quale non aveva fatto i conti, era la possibilità remota di rivedere il ragazzo e soprattutto il come avrebbe reagito. Prima di dire sì e accettare il suo invito, aveva pensato ad almeno un centinaio di scuse da rifilargli. Poi, la sua coscienza aveva avuto la meglio e si era decisa a rivederlo. Era seduta nella metropolitana e tamburellava con le dita sul ginocchio: era agitata.
E se tira fuori l'argomento del ballo?.
E se scopro che in realtà provo ancora qualcosa per lui e che non ho superato la cosa? Non voglio vedere la sua faccia mentre mi dice che è innamorato di un'altra e mi da il ben servito. Dubbi plausibili che però avrebbero trovato una risposta soltanto prendendo parte all'incontro. In realtà sapeva già come stavano le cose solo che non le aveva mai affrontate con il diretto interessato. Accese lo schermo del cellulare ed entrò nell'app di messaggistica, digitando rapida: sono quasi arrivata. Dopo svariate ricerche sul locale adatto nel quale incontrarsi, avevano optato per la Londra babbana. Diagon Alley era più sicura di Hogwarts, certo, ma tra i babbani era assai improbabile che accadesse qualcosa. Così il ragazzo, le aveva proposto di vedersi da Whittard's, una sala da tè nel pieno centro di Londra, precisamente dentro Covent Garden. Il motel in cui aveva deciso di alloggiare in quei giorni, non era molto distante dalla zona per cui non ci mise molto a raggiungere il locale in questione. Non appena mise piede nella sala da tè, voltò il capo alla ricerca di Èmile che vide intento a leggere un giornale. Ricambiò il saluto e si avvicinò al tavolo, solo dopo essere sicura di essere entrato nel suo campo visivo.
«Hei!» Gli sorrise educatamente prima di essere coinvolta in un abbraccio, al quale rispose senza troppi complimenti. Quel contatto non l'aveva indisposta né l'aveva fatta sentire a disagio, nonostante ci fossero svariate ragioni per esserlo, bensì era contenta che qualcuno avesse cercato di rincuorarla. Il giorno precedente si era preoccupata di rassicurare gli altri, di far sentire gli altri al sicuro ma nessuno si era preoccupata di farlo con lei. Prese posto e diede una rapida occhiata al titolo che apriva la Gazzetta del Profeta, sospirò.
«Potrebbe andare meglio ma dopo ieri, direi che sto alla grande.» Con quella risposta le sembrò di star sentendo parlare suo padre.
«Tu, invece, come stai?» Domandargli la stessa cosa di rimando, le sembrò il minimo: quello era il primo contatto che avevano dall'ultima volta che si erano visti.
«Mi sa che passo.» Disse davanti alla sua offerta, scrollando le spalle.
«Non ho chiuso occhio questa notte per leggere il giornale.» Aveva deciso che si sarebbe tenuta a debita distanza da tutti i mezzi di comunicazione, aveva persino cancellato witzagram dal suo cellulare convinta che tra i vari post futili, ci sarebbe stato anche qualcuno dedicato all'accaduto. Aveva bisogno di serenità anche perché aveva paura di leggere qualcosa su suo padre: il signor Osbourne era un Auror e negli ultimi tempi si era comportato in maniera strana ma Sèline non aveva sospettato nulla. Solo dopo la presa di Hogwarts da parte dei ministeriali, la grifondoro aveva collegato quel malessere a quanto appena accaduto.
«Ho qualche livido che mi fa un male cane ma pian piano mi riprenderò.» Quei lividi se li era procurati durante la lotta contro i Ministeriali e grazie a Van che aveva deciso di bloccarla mentre la grifondoro aveva scelto di combattere.
«Non è un litigio vero e proprio...sono solo arrabbiata e delusa. Prese a raccontare la sua versione dei fatti.
«Dopo la mor-» Quella parola non riusciva nemmeno a pronunciarla.
«...la morte di Harry Potter, avevo scelto di restare ad Hogwarts e combattere. Credevo che Van mi avrebbe seguita o quantomeno, non credevo mi avrebbe ostacolata.» Sapeva che Van aveva reagito cosi perché era preoccupata per la sua vita, molto più di quanto non lo fosse Sèline stessa, ma doveva lasciarla al suo destino.
«Ho sempre ammirato il signor Potter e non volevo che la sua morte restasse impunita. Non lo so...è come se mi fossi sentita in debito con lui. Capisci che intendo?» Probabilmente l'avrebbe presa per matta ma non le importava: lei difendeva sempre ciò in cui credeva.
«Comunque non voglio più parlare di questa storia.» I vari eventi l'angosciavano, le portavano una non indifferente pesantezza al petto e voleva, almeno per un giorno, fare finta che tutto ciò non fosse mai accaduto.
«Cosa prendi?» Domandò cercando di cambiare argomenti.
«Non ti facevo tipo da sala da tè, miss Carrow.» Lo prese in giro, sapendo che non si sarebbe mai offeso per una battuta stupida come quella.