gotta recognize the weapon in my mind

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    17 Ottobre 2023, poco prima di mezzanotte
    campagna inglese nei pressi di Bath, Somerset


    Chiunque avesse distolto lo sguardo dagli imponenti cancelli del Roseto per alzarlo verso il cielo, avrebbe incontrato una distesa di stelle brillanti, alcune più vicine ed altre più lontane, visibili come tanti cristalli su un pregiato velluto blu notte. La luna, affacciata sullo sfondo come un faro, proiettava una luce argentea sui cancelli della dimora, e il leggero vento notturno portava con sé il profumo delle rose in fiore. Era una notte silenziosa e chiara, una delle poche prima che l’autunno ormai inoltrato decidesse di trasformarsi in inverno e congelare l’intera campagna. Juniper, nascosta nell'oscurità vicino all'entrata dell’antica dimora dei Rosier, poteva sentire il battito accelerato del suo cuore rimbombarle nelle orecchie, lo scorrere più rapido del sangue nelle tempie e una vaga sensazione di ansia ed attesa, dettata da un’incessante peccare d’impazienza. In contrasto con il suo animo, tutto intorno a lei, la notte era stranamente quieta, quasi sinistra, soprattutto a confronto con il caos che si era scatenato a Londra dopo quanto accaduto al Ministero. L’attacco ad Hogwarts, la caduta di Invernss, un morto tornato alla vita... tutto sembrava lontano da quel luogo, come se il mondo intero avesse dimenticato l'esistenza del Roseto; era una strana sensazione, fragile e illusoria, ma a tratti confortante. Un rumore in lontanza la colse alla sprovvista – il verso di un gufo, accompagnato da un rapido battito d’ali - e June sobbalzò appena, spaventata; aveva i nervi a fior di pelle, tanto che la cute sensibile dietro la nuca era percorsa da piccoli brividi. Affondò le mani pallide nelle tasche del cappotto di lana, soffocando uno sospiro spazientito contro la stoffa morbida del bavero. È quasi mezzanotte. Ormai dovrebbe essere qui. Non era mai stata una persona paziente, ma quell’attesa, unita all’incessante ma lentissimo scorrere del tempo, la stava spingendo ai limiti della sopportazione; ogni secondo le sembrava un'eternità, e l'impazienza la rendeva ancora più inquieta. Non era sicura se Aslan si sarebbe presentato, e ciò la innervosiva ulteriormente; si trovava in bilico, vacillante tra il timore che Aslan non sarebbe mai arrivato e la possibilità che, se avesse deciso di presentarsi, avesse commesso un errore nel chiedere il suo aiuto. A peggiorare le cose, la sua mente non riusciva a darsi pace, intrappolata in un vortice di pensieri e possibilità. Il ricordo di quanto accaduto solo pochi giorni prima era ancora fresco, bruciante; più le notizie e le voci trapelavano, più il conflitto ad Hogwarts, la caduta di Inverness, la morte di Harry Potter e la rinascita di Eric Donovan apparivano tutto fuorché casuali: un effetto domino che aveva ribaltato nuovamente le sorti del Mondo Magico, questa volta riservandole un posto tra coloro che – inutile negarlo – si trovavano in una netta posizione di svantaggio. Certo, si trattava di una scelta consapevole; una decisione su cui June aveva riflettuto a lungo, da quando il suo nome era comparso nella lista dei ricercati. Forse questo mondo si merita davvero di bruciare. Le parole che Mun aveva pronunciato in quello stesso luogo, diversi anni prima, rimbombarono prepotentemente nella sua mente. All’epoca non vi aveva dato troppo peso ma, nel presente, risuonavano quasi come una premonizione. D’un tratto, i rumori di sottofondo che avevano accompagnato la sua attesa si spensero bruscamente. June non riusciva ad udire alcun suono, al di là del fruscio delle foglie degli alberi accarezzate dal vento. Rimase in attesa, trattenedo il respiro. Il silenzio intorno a lei sembrava essersi addensato, quasi palpabile, avvolgendola in una morsa invisibile. I secondi si trascinavano in eternità, e Juniper poteva sentire il suo battito cardiaco rimbombare nelle orecchie, il sangue che le scorreva nelle tempie con una frenesia crescente. Tendendo ogni fibra del suo essere nell'ascolto, cercò disperatamente di udire anche il più lieve suono di passi o il rumore di qualcosa che si muoveva nella distanza. Dopo qualche istante in cui il rumore del suo respiro le parve quasi assordante, udì qualcosa, un suono leggero che sarebbe facilmente passato inosservato: un flebile rumore di passi, sul selciato che conduceva all’entrata principale. Esitò per qualche istante, una piccola precauzione per sincerarsi che il suo ospite non si fosse presentato accompagnato. Una volta sinceratasi che fosse solo, avanzò di qualche passo in direzione dei cancelli, nell’oscurità. « Grazie per essere venuto. » La sua voce risuonò sincera, calma ma misurata. « Non ero certa che lo avresti fatto, o che il messaggio fosse abbastanza chiaro. » Dopotutto, non avresti alcun motivo per aiutarmi. Era diffidente nei confronti di Aslan. Si era rivolta a lui unicamente perchè una loro conoscenza comune, Galathéa, aveva indicato Aslan come uno warlock dotato di poteri psichici degni di nota e, in una situazione in cui non aveva altra scelta che cercare aiuto da un perfetto estraneo, si sentiva estremamente vulnerabile. « Lo apprezzo davvero. E a prescindere, immagino di doverti una spiegazione. » Il suo tono di voce si ammorbidì leggermente nel pronunciare quelle parole, segno che un piccolo sorriso aveva fatto capolino sulle labbra morbide. Si avvicinò, fino a quando la luce della luna la illuminò completamente e rivolse al warlock un cenno del capo, osservandolo attraverso l’intreccio di rovi che si arrampicava sul ferro battuto del cancello. Nascondersi ulteriormente non aveva senso; se Aslan era riuscito a trovare Il Roseto, doveva anche aver intuito l’identità di chi si era data tanta pena per contattarlo. « Abbiamo una conoscenza comune. Ho trascorso diversi mesi nel Mare del Nord insieme a Galathéa Durand, ti ha menzionato in più di qualche occasione. Da quello che ho capito qualcuno con le tue abilità potrebbe essere in grado di sbloccare le mie. » Lo fissò per qualche istante, le iridi cristalline che brillavano nell’oscurità. Sembrava quasi soppesarlo, domandandosi non troppo sottilmente se potesse fidarsi o meno. Nonostante gli warlock si fossero inseriti ad Hogwarts in maniera piuttosto stabile sotto il controllo di Inverness, June non aveva mai realmente avuto contatti ravvicinati con loro, salvo in pochissime occasioni. Per lo più, l’unica persona che ne conosceva usi e costumi di cui June sentiva di potersi fidare era proprio Galathéa. Non erano abbastanza legate da essere propriamente amiche, ma nei mesi in cui avevano lavorato fianco a fianco, Juniper si era fatta un’idea piuttosto concreta su di lei. Lo stesso non poteva dire di Aslan ma, se non altro, il fatto che
    fosse una conoscenza di Théa era un motivo in più per concedergli il beneficio del dubbio. « Mi spiace per tutti questi sotterfugi, ma non ho potuto fare altrimenti. Al momento non sono esattamente una personalità gradita al Ministero della Magia. » Quel pensiero le strappò un sorrisetto intriso di ironia; fino a poco tempo prima la sua foto aveva tappezzato gornali e riviste per ben altri motivi. Come si suol dire, dalle stelle alle stalle. « Il che, purtroppo, significa che chiunque venga scoperto ad aiutarmi potrebbe essere considerato altrettanto colpevole. Tu incluso, suppongo. » Gli si avvicinò, lasciando che il cancello fosse l’unico ostacolo tra loro. Nel corso dei secoli, più di un potente spezzaincantesimi avevano tentato di forzarlo ma, inutile dirlo, nessuno era mai riuscito nell’impresa. La sua famiglia aveva mantenuto una connessione con questo luogo per generazioni, tanto che a June sarebbe bastata una singola goccia di sangue per spalancare o sbarrare l’accesso all’intera dimora e a tutto ciò che conteneva. « Sono consapevole che ciò che ti sto chiedendo non è privo di rischi. Il solo fatto che tu sia qui è potenzialmente pericoloso. Se sei disposto ad accettare, sono intenzionata a pagare quanto devo per il tuo aiuto e la tua discrezione. » Puoi prenderti ciò che desideri, all’interno del Roseto. Denaro, oro, gioielli, artefatti magici. Non hanno comunque alcun valore, per me. Gli lasciò il tempo di riflettere, nel caso in cui lo avesse desiderato. « Abbiamo un accordo? » Domandò infine, in attesa di un suo cenno di assenso o rifiuto.
     
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    « Grazie per essere venuto. Non ero certa che lo avresti fatto, o che il messaggio fosse abbastanza chiaro.» Queste, le parole di benvenuto che ricevette da una voce femminile che non conosceva minimamente. Inarcò appena il sopracciglio sinistro, Aslan, restando tuttavia altrimenti composto, esattamente dov'era. A diversi passi dai cancelli chiusi che sbarravano l'entrata alla dimora dei Rosier - un edificio piuttosto imponente ma che, complice forse il suo occhio cinico e le circostanze poco chiare in cui vi era stato invitato, non gli appariva altrimenti che morto. Sembra non abbia un'anima, questo posto. Non potè fare a meno di chiedersi se quello fosse un effetto voluto dai suoi proprietari. Una cosa, quella, che non l'avrebbe certamente stupito, vista la loro fama. Per quanto lo psichico potesse non essere il più grande conoscitore della storia della società magica, c'erano famiglie di cui aveva letto e sentito e di cui, conseguentemente, si era anche fatto un'opinione. Per secoli la famiglia in questione aveva fatto parte delle "sacre ventotto", la lista di famiglie magiche ossessionate dalla purezza del sangue - una gran stronzata, quella, se qualcuno gli avesse chiesto la sua opinione in merito. Nulla di nuovo, comunque - quest'ossessione a battersi il cinque da soli per questioni che non sono nemmeno un vero merito, immagino sia un'abitudine dura a morire. In fondo, seppure in vesti differenti, era lo stesso problema che si stava ripresentando anche in quel momento storico; un problema che forse non era mai stato risolto. « Lo apprezzo davvero. E a prescindere, immagino di doverti una spiegazione. » Finalmente, la giovane aveva deciso di rivelarsi ed uscire allo scoperto. Aslan non sapeva dire se si sentisse effettivamente stupito di scoprire l'identità di chi aveva dato il via a quella specie di convocazione sottobanco, alla quale lui aveva risposto non per bontà di cuore o altre ragioni altruistiche, quanto per capire chi, esattamente, potesse aver fatto il suo nome ad una strega. Una del calibro della Rosier, per giunta. Per la verità, una volta risolto il dilemma la cui soluzione gli aveva poi fornito le coordinate per raggiungere la dimora dei Rosier, aveva un po' storto il naso. Non gli piaceva mettersi in situazioni di rischio che includessero persone che non conosceva per nulla. Ma la lettera aveva anche menzionato un'amica. E Aslan, che i propri amici li poteva contare sulle dita di una mano, non se l'era sentita di rifiutare a priori. Si era detto che sarebbe solo andato a vedere di cosa si trattasse. E le sue intenzioni erano esattamente quelle, per cui accolse le parole della giovane strega con un lieve cenno del capo, come invitandola a continuare. « Abbiamo una conoscenza comune. Ho trascorso diversi mesi nel Mare del Nord insieme a Galathéa Durand, ti ha menzionato in più di qualche occasione. Da quello che ho capito qualcuno con le tue abilità potrebbe essere in grado di sbloccare le mie. Mi spiace per tutti questi sotterfugi, ma non ho potuto fare altrimenti. Al momento non sono esattamente una personalità gradita al Ministero della Magia. Il che, purtroppo, significa che chiunque venga scoperto ad aiutarmi potrebbe essere considerato altrettanto colpevole. Tu incluso, suppongo. » Galathéa Durand mi ha menzionato in più di qualche occasione? Quella scoperta fu un po' una sorpresa. Una che, se doveva dirla tutta, lo fece anche un po' sorridere. Era diverso tempo che non incontrava la Durand e, in tutta onestà, non avevano interagito da troppo tempo perché lo psichico potesse immaginare che dietro quella storia ci fosse proprio lei. Tolto questo dettaglio curioso, comunque, si trovò ad assottigliare leggermente lo sguardo, ora puntato negli occhi chiari della Rosier. « Conosco Galathéa, è vero. » Annuì appena, muovendo ancora un altro passo in direzione dei cancelli. « E se quel che ti ha detto è che sono uno psichico, è vero anche quello. » Fu una scelta deliberata quella di non aggiungere altro. Non sentiva il bisogno di rassicurarla sul fatto che il suo essere venuto lì fosse un qualche tipo di garanzia, né intendeva commentare sul resto. La questione gli appariva ancora troppo fumosa per averne una vera e propria opinione e, per quanto non fosse la prima volta che il meccanismo del telefono senza fili gli portasse un lavoro, non era ancora sicuro di niente. « Sono consapevole che ciò che ti sto chiedendo non è privo di rischi. Il solo fatto che tu sia qui è potenzialmente pericoloso. Se sei disposto ad accettare, sono intenzionata a pagare quanto devo per il tuo aiuto e la tua discrezione. Abbiamo un accordo? » Un accordo? Furono quelle specifiche parole a portare Aslan a inclinare il capo leggermente di lato, quasi sorpreso della domanda che la controparte gli aveva rivolto. « Immagino sia il mio turno di parlare. » Proferì finalmente dopo qualche secondo di silenzio. Gli occhi da gatto si spostarono dal viso della Rosier alla barriera ferrata che l'altra aveva intenzionalmente frapposto tra loro, poi nuovamente su di lei. « Se ho capito bene, il motivo per cui mi hai scritto è per chiedermi aiuto. Sulla base del fatto che una tua collega, che anche io conosco, ti ha indicato proprio me come candidato papabile. » Riassunse sommariamente, umettandosi poi leggermente le labbra in una pausa che impiegò per osservare la figura minuta della ragazza illuminata dalla luce lunare. Sorvolò nuovamente sul resto - riteneva superfluo ribadire che la struttura stessa di quella sua richiesta avesse reso piuttosto chiaro il fatto che la Rosier non potesse esporsi, né commento sulla maniera in cui l'aveva fatto. Quello non lo giudicava; capiva da sé che per coloro i quali avevano scelto di schierarsi con Inverness, in una maniera o nell'altra, i tempi non fossero rosei. C'è il mio migliore amico in esilio per tutta questa storia, immagino sarebbe indelicato e di cattivo gusto infierire sulla tua posizione di fronte alla legge. E per la verità non era questo a indisporlo; lo stesso Aslan aveva offerto il proprio aiuto alla causa della Città Santa. E non era così lontano nel tempo neppure il momento in cui si era apertamente schierato con Eliphas, non soltanto sgradito al Ministero della Magia, ma - considerati i provvedimenti che i loro vertici avevano preso - anche lasciato a sé stesso dalla sua stessa famiglia. Veniva da sé, dunque, che lo status della giocatrice di Quidditch fosse un problema molto marginale ai suoi occhi. A fargli storcere il naso però era stato un altro dettaglio, in quella conversazione. « Non posso fare a meno di domandarmi se sia stata la tua collega a suggerirti di prendere determinate precauzioni » Un altro passo che gli permise di sfiorare con l'indice il ferro battuto del cancello « o se sia - mmmh - una qualche usanza di cui non sono al corrente, quella di fare affari attraverso una barriera. » Parlava in tono mite, Aslan, in apparenza privo di qualsivoglia accusa. Era anche vero però che quella scelta in particolare non l'avesse sconfinferato e che sulle intenzioni dietro di essa, Lee avesse ampiamente mangiato la foglia. Abbiamo accolto la gente di Inverness in casa nostra, a nostro rischio e pericolo, e se sono qui è perché qualcuno che quella causa l'ha abbracciata ti ha parlato di me. Ma tu hai comunque bisogno di sapere che io sia disposto a farmi carico del tuo problema per farmi la gentilezza di parlarmi faccia a faccia e non attraverso una grata, come fossi una specie di criminale. Interessante. Perché più che una precauzione, quello gli sembra uno statement e basta; quel cancello avrebbe potuto ben poco di fronte ai poteri di uno psichico e, francamente, non poter nemmeno guardare in faccia a dovere la propria interlocutrice era ridicolo. « Juniper, non è così? » Le chiese, in un rapido cambio di rotta nella loro conversazione. « Hai parlato di ricompensa, dell'essere consapevole che ciò che mi chiedi non sia privo di rischi, ma di fatto mi stai proponendo di firmare un accordo a scatola chiusa - e non soltanto per la scelta poco felice di farlo con un cancello di mezzo, a sottolineare che non ti fidi di me. » Si strinse nelle spalle, per aggiungere: « Quello posso anche considerarlo lecito. » D'altronde, per quanto ridicola trovasse quella situazione, nemmeno lui poteva dire di provare fiducia nei confronti di lei. Restava però che non fosse quello il motivo per cui aveva iniziato il discorso. « La mia discrezione è inclusa nel pacchetto in ogni caso - quella è intrinseca. » Nemmeno a lui, d'altronde, avrebbe fatto comodo che si venisse a sapere. In realtà, forse, gli avrebbe fatto ben più comodo che quella collaborazione non vedesse la luce e basta. « Non posso però promettere il mio aiuto nel momento in cui conosco il problema in maniera approssimativa. Perdonami la schiettezza - ma né la tua lettera, né tu mi avete permesso di farmi un vero quadro della sua reale entità. » Una breve pausa in cui la misurò con lo sguardo. Non era teso, Aslan, e non avrebbe avuto alcuna ragione di esserlo. In fondo era lui ad avere il coltello dalla parte del manico, anche soltanto in virtù del fatto di non essere nella posizione di bisogno che invece ricopiva la Rosier. « Perciò l'unica cosa che posso offrirti è un consulto. E solo poi potrò dirti se sono in grado di aiutarti o meno, e se intendo farlo. » Che non è detto, considerati i rischi del caso. « A te la scelta. »


    Edited by haegeum - 19/10/2023, 05:02
     
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    Nella penombra non era semplice scrutare le espressioni che si susseguirono sul viso del giovane warlock e, osservandolo per qualche istante, June ebbe la sensazione che non si trattasse di qualcuno semplice da leggere in generale. La lasciò finire di parlare, per lo più senza interromperla, e dalla sua reazione – o mancanza di tali – la Rosier non avrebbe saputo dire con certezza se fosse stupito, indifferente o divertito dall’assurdità di quella situazione. Non che potesse biasimarlo; lei stessa provava sentimenti ambivalenti al riguardo. Ma in questo momento non posso certo permettermi di fare la schizzinosa. Qualunque tipo di aiuto sarebbe stato gradito – ed adeguatamente ricompensato. « Immagino sia il mio turno di parlare. » La Rosier si limitò ad osservarlo, lo sguardo chiaro fisso sul viso di lui, come se fosse alla ricerca di qualche indizio che potesse aiutarla a intuire ciò che l’altro stesse pensando. Dopotutto, lui si era trattenuto dall’interromperla e concedergli la stessa delicatezza era il minimo che potesse fare. « Se ho capito bene, il motivo per cui mi hai scritto è per chiedermi aiuto. Sulla base del fatto che una tua collega, che anche io conosco, ti ha indicato proprio me come candidato papabile. » June annuì leggermente, trattenendosi dall’aggiungere altro. A grandi linee possiamo dire così. In realtà, la situazione era chiaramente più complicata e includeva numerose variabili che l’avevano spinta a prendere quella decisione impulsiva – a tratti persino avventata -, ma sprecare tempo in simili preamboli era piuttosto superfluo, al momento. « Non posso fare a meno di domandarmi se sia stata la tua collega a suggerirti di prendere determinate precauzioni o se sia - mmmh - una qualche usanza di cui non sono al corrente, quella di fare affari attraverso una barriera. » Fu il turno della strega di avvicinarsi al cancello, talmente vicino che l’altro avrebbe potuto tranquillamente protendere la mano fino a toccarla. Quando aveva scelto di nascondersi dietro le protezioni del Roseto lo aveva fatto per pura precauzione eppure, a giudicare dalla reazione del warlock, qualcosa in quel contesto sembrava averlo infastidito particolarmente. « Immagino che l’essere cauta sia diventata una seconda natura per me, ultimamente. » Accennò da un leggero sorriso. Non era mai stata una persona particolarmente cauta o morigerata ma, in quel frangente, aveva peccato abbastanza da risultare offensiva. « Ma ti prego di non dare la responsabilità delle mie azioni a Galathéa. La decisione di contattarti e le modalità in cui ho deciso di farlo sono state una mia decisione. » Gli occhi di Juniper per un istante sfiorarono il ferro battuto del cancello prima di tornare su Aslan. « Non era mia intenzione risultare maleducata o offensiva – mi dispiace se ti ho dato questa impressione. Si tratta solo di una misura precauzionale personale. » In fine dei conti, io non ti conosco, esattamente come tu non conosci me. Mi fido abbastanza di Galathéa da darti il beneficio del dubbio, ma rivelarti la mia posizione senza prendere precauzioni, anche solo nel caso in cui il mio messaggio fosse stato intercettato e compreso dagli Auror, sarebbe stato stupido. « Mi rendo conto che sia poco lusinghiero, ma in questo caso preferisco chiedere scusa piuttosto che il permesso. » Era consapevole che tale scelta fosse poco ospitale, ma la situazione in cui versavano era abbastanza insolita da farle mettere in secondo piano quei miseri dettagli. Non avresti fatto diversamente, al mio posto. « […] Non posso però promettere il mio aiuto nel momento in cui conosco il problema in maniera approssimativa. Perdonami la schiettezza - ma né la tua lettera, né tu mi avete permesso di farmi un vero quadro della sua reale entità. » Era vero. La necessità di mantenere un minimo di segretezza le avevano impedito di spiegare nei dettagli il tipo di aiuto di cui necessitava ed era comprensibile che, senza un quadro completo della situazione, Aslan non potesse sbilanciarsi. Lo lasciò finire di parlare ed, infine, annuì. « Capisco che sia una richiesta complessa e non sarebbe d’aiuto a nessuno se ti chiedessi di impegnarti a scatola chiusa. Se il consulto è tutto ciò che puoi offrire, allora è ciò che accetterò. » Non posso comunque fare altrimenti. Data la sua particolare situazione, pochissime persone erano stato in grado di aiutarla durante le sue ricerche sulle ondine e, in particolare, sulle abilità che erano in grado di tramandare alla loro progenie ibrida. E, ancora meno, erano coloro in grado di aiutarla nel cercare di risvegliare tali poteri.
    Senza indugiare oltre, June sollevò una mano in direzione della maniglia, avvertendo una strana sensazione di formicolio sotto il palmo – un preludio, del bruciore familiare che avrebbe provato di lì a poco. La luce lunare illuminava appena il bocciolo di rosa intagliato nella maniglia, rivelando i suoi petali ancora chiusi e le spine affilate che lo circondavano come una corona di protezione. Mentre il palmo della sua mano si appoggiava sulla superficie fredda, le spine cominciarono ad affondare nella sua carne, penetrando attraverso la pelle delicata con un dolore pungente. Un brivido le percorse la spina dorsale mentre il sangue iniziava a mescolarsi con la magia intrinseca al meccanismo, strappandole un gemito infastidito; suo malgrado, era impossibile negare che vi fosse una profonda connessione tra il suo sangue e la magia antica che proteggeva la dimora: era come se l’abitazione stessa riconoscesse la sua volontà, piegandosi al suo volere senza resistenza alcuna. Un gemito metallico risuonò nell'aria silenziosa della notte, e i cancelli iniziarono a spalancarsi lentamente. Gli ingranaggi si muovevano con precisione, producendo un suono acuto e lugubre, reso ancora più inquietante nella tranquillità che avvolgeva la campagna. Costretta ad indietreggiare, June sfregò istintivamente il palmo bruciante contro la stoffa del cappotto. Era una ferita superficiale, ma i graffi di qualche giorno prima non erano ancora guariti e il bruciore insistente – così come la facilità con cui le ferite riprendevano a sanguinare – la infastidiva. Una volta che Aslan ebbe messo piede all’interno della tenuta, i cancelli si richiusero obbedientemente dietro di lui con un tonfo sordo, lasciando solo il silenzio notturno. June accennò ad un sorriso, voltandosi appena in direzione dell’antica dimora dei Rosier. « Vorrei poterti dire che all’interno è più accogliente di come sembra, ma purtroppo non è così. » O almeno non per me. Gli fece cenno di seguirla, avanzando sul sentiero che conduceva all’entrata principale. Persino da lì, nell’oscurità, era possibile distinguere gli intricati cespugli di rose che occupavano buona parte del giardino. « Ti consiglio di fare attenzione agli scalini, diventano sempre scivolosi quando piove. » Lo precedette fino alla porta principale e, appena ne sfiorò il legno pregiato, quella si aprì docilmente. « Non ho intenzione di restare a lungo ed è trascorso diverso tempo dall’ultima volta che qualcuno ha soggiornato qui. Le condizioni non sono delle più ospitali. » Lo avvisò, mentre si affacciavano sul salone principale. June ignorò completamente le pregiate scale di marmo che conducevano al piano superiore e, senza bisogno di luce, imboccò un corridoio laterale. In fondo al passaggio, due porte si affacciavano sulla destra, entrambe spalancate ed illuminate fiocamente dallo scoppiettare del fuoco nel caminetto. Fece cenno ad Aslan di accomodarsi nella prima – un salottino dall’arredo più semplice, un tempo teatro delle molteplici estati che vi aveva trascorso con i cugini quando i rispettivi genitori erano impegnati in conversazioni da adulti – e sparì per pochi istanti nella seconda. Fu di ritorno quasi immediatamente, accompagnata da due tazze, una teiera e diversi tipi di thé che depositò sul tavolino da caffè con un colpo di bacchetta. « Scegli pure il tipo di thé che preferisci. A me piacciono tutti. » Lo invitò, sfilandosi il cappotto e gettandolo su una poltrona libera. Dalle condizioni della stanza – uno zaino lasciato in un angolo, alcuni libri ed appunti sul tavolo, due coperte di lana ripiegate sul divano ed i cuscini vagamente sgualciti – era evidente che June avesse trascorso lì la maggior parte del suo tempo. A livello puramente logico, sistemarsi al piano superiore non aveva senso – il salottino era attaccato alla cucina e, dunque, in caso di necessità, direttamente collegato ad un’uscita posteriore dall’abitazione – e ritrovarsi da sola, in quella casa sin troppo grande e disabitata da fin troppo tempo la rendeva nervosa. « Non ho molto da offrire, ma c’è del plum cake e qualche biscotto. » Indicò i rispettivi contenitori e, dopo aver gettato un paio di ciocchi di legno nel caminetto, si accomodò sulla poltrona di fronte ad Aslan. Non era certa di quanto avesse intuito riguardo all’intera situazione, ma si sentiva piuttosto nervosa all’idea di raccontargli uno dei più grandi segreti della sua famiglia. Si schiarì la voce, tirando le maniche del maglione a coprirle le mani per soffocare l’istinto di sfregare la pelle ferita contro i jeans. Prese un respiro profondo, prima di cominciare. « Non so quanto tu sappia riguardo alla reputazione della mia famiglia nel Mondo Magico, soprattutto in Inghilterra, ma anche se sono passati anni, le idee e le scelte di mio nonno sono ancora vive nella mente di molte persone. » Esitò, incrociando le braccia in grembo. « In un certo senso penso sia normale accomunarci ancora agli ideali sulla purezza del sangue, ma non è la verità. Anche se pochissime persone ne sono a conoscenza, mia madre è un’ondina e ciò fa di me e dei miei fratelli degli ibridi. » Qualunque cosa ciò voglia dire. « Abbiamo sempre mantenuto un certo riserbo al riguardo per evitare di attirare l’attenzione della stampa, soprattutto dopo il mio debutto nel Quidditch. Ma, al contempo, mia madre ha sempre avuto paura che il mio essere diversa potesse mettermi nei guai. Quando ero piccola… c’erano cose che non riuscivo a controllare. Non era solo la classica magia involontaria ma altro. Più energia, più forza… come se dentro di me ci fosse più magia di quella che ero in grado di contenere, pronta a scoppiare all’improvviso. » Aveva diversi ricordi, per lo più frammentati, di momenti in cui aveva sentito qualcosa risvegliarsi dentro di lei, per lo più in risposta ad una grande alterazione emotiva. « Mia madre si è sempre rifiutata di insegnarmi a conoscere i suoi poteri – ciò che ho ereditato. Ad essere sincera non so nemmeno cosa potrei fare. » Scosse appena il capo, soffocando un sospiro. « Ho fatto delle ricerche al riguardo, è stato il motivo principale per cui mi sono offerta volontaria come emissaria di Inverness nel Mare del Nord. In generale, ho un’idea di cosa potrei aver ereditato ma le uniche certezze concrete valgono davvero poco: restare immersa nell’acqua per lunghi periodi non mi crea alcun fastidio, posso trattenere il respiro molto più a lungo della media e, da quanto ho scoperto piuttosto recentemente, la mia voce sembra poter influenzare chi mi circonda. Ma non so esattamente come o quali conseguenze possa avere. » Fece una pausa, inumidendosi le labbra. « Per quanto mi sia documentata a livello teorico, non sono in grado di comprendere o sbloccare i miei poteri da sola. » Ed essere in bilico mi fa sentire costantemente incompleta, come se avessi rinunciato a una parte di me stessa prima ancora di conoscerla. « Dal momento che sono già una persona sgradita al Ministero, ho pensato che valesse la pena andare fino in fondo. » Se vogliono considerarmi pericolosa, voglio almeno dargliene motivo. Afferrò la teiera e versò una tazza bollente ad entrambi, prima di circondare la prorpia con le dita pallide. Riusciva a percepirne il calore attraverso la ceramica e sapeva che, con il giusto allenamento, avrebbe potuto animarla in ghirigori e forme prive di senso con solamente la propria volontà. Battè le palpebre, distogliendole dalla bevanda dorata per riportarle sul viso di Aslan. « Hai qualche domanda? » Domandò, portando lentamente la tazza alle labbra.
     
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    « Immagino che l’essere cauta sia diventata una seconda natura per me, ultimamente. Ma ti prego di non dare la responsabilità delle mie azioni a Galathéa. La decisione di contattarti e le modalità in cui ho deciso di farlo sono state una mia decisione. » Lo stregone, che ancora non aveva distolto lo sguardo da quello ceruleo dell'interlocutrice, si trovò a lasciare che il proprio si ammorbidisse appena. Se non altro - constatò mentalmente - non intende scaricare le proprie responsabilità su di una persona che nemmeno è presente per difendersi. La realtà dei fatti era che Aslan non avesse mai pensato che Théa avesse potuto suggerire a Juniper Rosier di frapporre quella barriera tra di loro. Certo, ai fatti lui e la Durand non erano migliori amici, ma i panni sporchi circa ogni dissapore che potesse aver avuto luogo tra i due, erano sempre stati lavati in casa. In più sarebbe stato un enorme controsenso quello di fare il suo nome in quanto specialista solo per poi raccomandare la giocatrice di Quidditch di stare attenta. E se non ci voleva certamente un genio a fare quel ragionamento, per quanto poteva saperne la giovane strega - e per quel che in quel preciso istante ne sapeva lo stesso Aslan - quello poteva essere il loro primo ed ultimo incontro. Non sarebbe stata tenuta, perciò, a difendere la reputazione di Théa. Ma l'aveva fatto ugualmente. « Non era mia intenzione risultare maleducata o offensiva – mi dispiace se ti ho dato questa impressione. Si tratta solo di una misura precauzionale personale. Mi rendo conto che sia poco lusinghiero, ma in questo caso preferisco chiedere scusa piuttosto che il permesso.» Il moro annuì distendendo le labbra in un lieve sorriso di circostanza. Preferì non dilungarsi sul perché avesse trovato quella mossa un controsenso, o come mai avesse fatto notare la cosa in primo luogo. In fondo non intendeva far diventare quella storia una questione di Stato e, in più, trovava superfluo sottolineare la contraddizione, ai suoi occhi palese, di rivolgersi ad uno psichico, il cui lavoro era letteralmente quello di entrare nella testa altrui, per poi iniziare a contrattare con una barriera di mezzo. Puoi giustificarlo come ti pare - ma resta comunque stupido. Almeno, però, sembrava in grado di accettare una critica senza lamentarsene troppo. Il che era un bene perché, nel qual caso la mora si fosse dimostrata troppo piccata nel rispondergli, difficilmente l'altro sarebbe rimasto ad ascoltare. « Capisco che sia una richiesta complessa e non sarebbe d’aiuto a nessuno se ti chiedessi di impegnarti a scatola chiusa. Se il consulto è tutto ciò che puoi offrire, allora è ciò che accetterò. » Lo psichico si allontanò appena, quanto bastava per permettere alla giovane strega di aprirgli il passaggio. « Perfetto, allora abbiamo un punto di partenza. » Una risposta che emise in tono basso e disteso, le labbra che si curvavano in un tenue sorriso. « Non mi aspetto di essere ricompensato per la mia opinione - parleremo di un pagamento nel momento in cui avrò preso una decisione e conseguentemente capito se, ed eventualmente in che misura, sono in grado di aiutarti. » Un concetto che le illustrò con tranquillità e naturalezza. Non aveva idea, in fondo, di quanto pratica di warlock potesse essere Juniper, ma era ben conscio del fatto che, molto spesso, i loro usi e costumi fossero mistificati dai più della società magica. Non era raro che agli warlock venissero attribuiti tratti negativi al limite del caricaturale, tanto che lui stesso ne aveva spesso riso con amici e colleghi, chiedendosi come, esattamente, si fosse arrivati a creare determinate chimere. Ma se un conto era riderne da lontano, un altro era cercare di stabilire limiti chiari con una persona in carne ed ossa. Il giovane dai capelli corvini, comunque, era un grande amante del principio patti chiari, amicizia lunga, nel bene come nel male. E se prima non si era fatto alcuna remora nel farle notare cosa gli avesse fatto storcere il naso, non intendeva nemmeno lasciar spazio a fraintendimenti di sorta su quello che era la sua etica lavorativa. La lasciò dunque armeggiare con la serratura, se così poteva essere definita, chiedendosi quale fosse la necessità prima di una misura di sicurezza di quella portata. Certo, in un momento storico come quello, alla giovane poteva tornare quantomai utile che nessuno potesse farle visita senza il suo esplicito permesso, ma una parte del cervello di lui non poté far a meno di trovare alquanto pomposo quel meccanismo. Non che si aspettasse nulla di troppo diverso, comunque. « Vorrei poterti dire che all’interno è più accogliente di come sembra, ma purtroppo non è così. » Lo psichico, che aveva appena varcato i cancelli - che si erano richiusi prontamente e rumorosamente alle sue spalle - lanciò un'occhiata alla Rosier: « Oh, no. Non me l'aspettavo proprio. » Disse, in tono talmente piatto che sarebbe potuto risultare quasi infastidito dal tentativo di lei di portare avanti una conversazione, se l'osservatore non avesse fatto caso al luccichio divertito nello sguardo e all'angolo della bocca sollevati dello psichico. « Ti consiglio di fare attenzione agli scalini, diventano sempre scivolosi quando piove. » Aslan si limitò a seguirla su per le scale, in silenzio, per poi proseguire verso l'interno. Il salone principale, imponente anche al buio, risultava freddo anche al buio, confermando così l'impressione che il giovane warlock aveva avuto agli esterni. Per quanto imponente, questo posto non mi piace. È freddo ed inospitale. Gli usi della sua gente per quel che riguardava le abitazioni erano differenti, d'altra parte; a casa di Aslan che non era mai stato un grande amante del marmo, regnavano sovrani il legno ed i colori caldi. Per quanto nettamente più piccola della dimora in cui era stato invitato quella notte, risultava nettamente più accogliente. Vissuta. La seguì comunque fino al prossimo ambiente, dove supponeva si sarebbero infine accomodati e, silenzioso, prese posto su una delle poltroncine color pastello, nell'attesa che anche la giovane - evidentemente impegnata nell'assolvere ai doveri di buona padrona di casa - prendesse posto a sua volta. Si era tolto il cappotto, poggiandolo con cura sulla spalliera. Lo zaino contenente alcuni strumenti di prima necessità era stato poggiato per terra, di lato, in modo da non risultare ingombrante. « Scegli pure il tipo di thé che preferisci. A me piacciono tutti. Non ho molto da offrire, ma c’è del plum cake e qualche biscotto. » Lo psichico, che aveva passato qualche tempo ad esaminare la selezione che la ragazza gli aveva proposto, sollevò lo sguardo su di lei, che finalmente si era seduta. « Bianco, al gelsomino. Ti ringrazio. » La informò quindi. Poi, inclinata la testa di lato aggiunse: « Dovresti però disinfettare quella ferita. Se anche ci fosse bisogno di ripetere l'operazione di prima perché io esca, dubito possa farti bene rischiare un'infezione. » Parole dette con pacatezza, le sue. Se abbiamo tempo per prendere il thè, non vedo per quale ragione tu non possa prenderti un attimo per disfarti di un graffio, anche solo per evitare il fastidio. La giovane Rosier però doveva aver deciso che fosse più importante arrivare al nocciolo della questione, per cui attaccò subito a spiegare: « Non so quanto tu sappia riguardo alla reputazione della mia famiglia nel Mondo Magico, soprattutto in Inghilterra, ma anche se sono passati anni, le idee e le scelte di mio nonno sono ancora vive nella mente di molte persone. In un certo senso penso sia normale accomunarci ancora agli ideali sulla purezza del sangue, ma non è la verità. Anche se pochissime persone ne sono a conoscenza, mia madre è un’ondina e ciò fa di me e dei miei fratelli degli ibridi. » Quella rivelazione non l'aveva sconvolto. Per la verità - forse per via della sua linea di lavoro - quella di sconvolgerlo era un'impresa alquanto ardua. In più, la missiva ricevuta dalla Rosier conteneva diversi riferimenti all'acqua, se ben ricordava, per cui quelle sue parole furono solo funzionali a fargli meglio comprendere il tipo di situazione in cui si trovasse. Annuì brevemente, invitandola così a proseguire il proprio resoconto. « Abbiamo sempre mantenuto un certo riserbo al riguardo per evitare di attirare l’attenzione della stampa, soprattutto dopo il mio debutto nel Quidditch. Ma, al contempo, mia madre ha sempre avuto paura che il mio essere diversa potesse mettermi nei guai. Quando ero piccola… c’erano cose che non riuscivo a controllare. Non era solo la classica magia involontaria ma altro. Più energia, più forza… come se dentro di me ci fosse più magia di quella che ero in grado di contenere, pronta a scoppiare all’improvviso. Mia madre si è sempre rifiutata di insegnarmi a conoscere i suoi poteri – ciò che ho ereditato. Ad essere sincera non so nemmeno cosa potrei fare.» Aslan, che aveva istintivamente spostato lo sguardo sulla teiera, si trovò a far saettare gli occhi scuri in quelli di Juniper. Diversa? Diversa da chi? Inutile dire che si fosse impensierito. Il suo sguardo si era incupito visibilmente e, sebbene si fosse ricomposto piuttosto in fretta, era evidente che la piega che il racconto della mora aveva preso gli avesse fatto un certo effetto. Aslan aveva sempre trovato poco lungimirante quel rifiuto che la società magica aveva di ciò che non reputava conforme alle proprie norme - una tendenza palese per lui che faceva da sempre parte di una comunità che esisteva ai suoi margini. In quel preciso frangente, tuttavia, a colpirlo non era stato tanto questo, quanto il fatto che, a fare una scelta così poco oculata, fosse stato proprio qualcuno di appartenente alla categoria dei diversi, degli emarginati. Non riusciva proprio a spiegarselo. In un certo qual senso, allo psichico una strada del genere appariva, senza mezzi termini, innaturale. « Ho fatto delle ricerche al riguardo, è stato il motivo principale per cui mi sono offerta volontaria come emissaria di Inverness nel Mare del Nord. In generale, ho un’idea di cosa potrei aver ereditato ma le uniche certezze concrete valgono davvero poco: restare immersa nell’acqua per lunghi periodi non mi crea alcun fastidio, posso trattenere il respiro molto più a lungo della media e, da quanto ho scoperto piuttosto recentemente, la mia voce sembra poter influenzare chi mi circonda. Ma non so esattamente come o quali conseguenze possa avere. Per quanto mi sia documentata a livello teorico, non sono in grado di comprendere o sbloccare i miei poteri da sola. Dal momento che sono già una persona sgradita al Ministero, ho pensato che valesse la pena andare fino in fondo.» La osservò versare il liquido ambrato nelle tazze, in silenzio, soppesando quanto aveva appena ascoltato e cercando di collocare tutte le proprie perplessità, Aslan. Aveva portato una mano a sorreggere la guancia, evidentemente impensierito dal racconto della mora. « Hai qualche domanda? » Fu il quesito della giovane a riportarlo bruscamente coi piedi per terra.
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    Non toccò ancora la propria tazza, Aslan, preferendo di gran lunga prendersi qualche altro secondo per riflettere mentre riportava, lentamente, lo sguardo negli occhi cerulei della Rosier. « Ho delle cose da dire prima ancora che delle domande. Ma sì, ho anche delle domande. » Pausa. « Prima di tutto voglio che ti sia chiaro che in un momento storico differente, avrei probabilmente rifiutato la tua richiesta a prescindere. Presumo tu sappia che la maniera più congeniale per lavorare con questo genere di cose sia con qualcuno che quel tipo di potenzialità le conosca per esperienza. » Quasi sovrappensiero, andò a strofinare con delicatezza il proprio labbro inferiore col polpastrello del medio. « Ti sarebbe stata molto più d'aiuto la stessa Théa.» Gli occhi da gatto erano fissi in quelli chiarissimi di lei ora e, per quanto nello sguardo dello psichico non ci fosse ombra di malizia o giudizio, era evidente che stesse prendendo la situazione molto sul serio. « È essenziale che tu capisca che lavorare con uno psichico su di una problematica come la tua sia per definizione quasi innaturale. Non impossibile, ma sicuramente più rischioso ed invasivo. In poche parole: la tua famiglia avrà pur tentato di proteggerti, ma ti ha fatto un danno non indifferente. » In particolar modo se sei in qualche misura convinta che quella parte di te sia sbagliata. E supponeva, Aslan, che di fiducia nel mondo dei maghi non ne aveva alcuna, quella fosse buona parte del problema. In fondo per quale altro motivo avrebbe dovuto trovare così inaccessibile un qualcosa che altro non era che parte del suo essere? « Quanti anni hai adesso? » Parve misurarla con lo sguardo. Venti? Poco di più? « Ecco, è come se per tutta la tua vita ti avessero detto di non usare il tuo braccio sinistro. Di non guardarlo nemmeno perché - che so - portava sfortuna. Tu un braccio perfettamente funzionante ce l'hai, ma non l'hai nemmeno mai guardato fino a tre metaforici giorni fa. Ora vuoi imparare ad usarlo e scoprire se abbia le stesse potenzialità di quello destro. Ed in linea teorica ce le dovrebbe avere, ma è rimasto inutilizzato per tutto quel tempo, quindi non possiamo averne la certezza. » Si strinse nelle spalle con grave semplicità. Aslan non era mai stato tipo da indorare la pillola. Lo riteneva controproducente e disonesto, specialmente nel momento in cui aveva davanti una persona che gli stava chiedendo aiuto. « Ho bisogno di capire, ai fatti, se tu abbia mai sgarrato o se invece tu abbia seguito le istruzioni dei tuoi alla lettera fino all'età adulta. Cosa senti quando provi ad accedere a quella parte della tua persona. Se senti qualcosa, o se magari no. Come reagisci in condizioni normali e sotto pressione - quanto della natura ondina venga fuori in uno o nell'altro caso. Quanto posso tirare fuori in maniera organica, senza dover forzare la mano. » Elencava quelle variabili una ad una, con fermezza ed una precisione chirurgica. Aveva distolto lo sguardo, lo stregone, puntandolo davanti a sé, oltre la sua interlocutrice. Era fatto così, Aslan: metodico, attento, preciso al punto di risultare talvolta pedante. Ma lo si poteva davvero biasimare per questo? Non c'era meccanismo più delicato ed imprevedibile della mente umana - proprio per questo nulla poteva essere lasciato al caso. E ai suoi occhi, un caso come quello della Rosier, era ancora più particolare, ostico persino, di qualunque altro. Si trattava di capire se fosse possibile ristabilire un equilibrio all'interno di un altro equilibrio. « Devo aver esaurito ogni altra opzione prima di passare alle maniere forti semplicemente perché lavorare con la mente delle persone non è uno scherzo. Specialmente nel mio campo. » La magia nera è pur sempre quello. Ha un suo prezzo. È tassante per entrambe le parti coinvolte. « Ne viene che questa questione non deve e non può essere risolta in una seduta. E nemmeno in un paio. Semplicemente perché in tal caso non soltanto sarei un imbarazzo per me stesso e tutti i miei colleghi, ma perché saresti tu a rischiare grosso. Rischi già, anzi - ma è bene ridurre i possibili danni ai minimi termini. » Solo a quel punto, molto lentamente, riportò la propria attenzione sulla mora. Con un gesto misurato si allungò a prendere la tazza e fece qualche sorso di thé. In silenzio, per permetterle di metabolizzare quanto appena esplicitato. Dopo qualche tempo poggiò la tazza sul piattino con delicatezza, prendendo nuovamente la parola. « Alla luce di quanto ti ho detto sono io a doverti chiedere se hai delle domande, cosa ne pensi e, più in generale, se credi che la tua sia stata una buona idea, ed intendi proseguire. »


    Edited by haegeum - 6/12/2023, 01:33
     
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    « Oh, no. Non me l'aspettavo proprio. » Nell’udire quelle parole, gli occhi cristallini della Rosier corsero rapidamente al viso del warlock, studiandone l’espressione. Hai per caso appena fatto una battuta? L’angolo delle labbra si piegò in un primo, leggero, sorriso mentre gli faceva strada all’interno, invitandolo ad accomodarsi nel piccolo salotto adiacente la cucina. Si liberò del cappotto a sua volta e si accomodò nella poltroncina dall’altro lato del tavolo, segretamente impaziente di bere qualcosa di caldo. Negli ultimi giorni, il tempo era peggiorato visibilmente e June aveva iniziato a detestare il tetro ambiente del Roseto, resole ancora più insopportabile dall’umidità e dal grigiore del cielo invernale. « Bianco, al gelsomino. Ti ringrazio. » Annuì rapidamente e, con l’aiuto di un cucchiaio dosatore, versò la miscela scelta da Aslan all’interno della teiera in ceramica e la richiuse con il coperchio. Stava per aggiungere altro, quando le parole di lui la precedettero, cogliendola alla sprovvista. « Dovresti però disinfettare quella ferita. Se anche ci fosse bisogno di ripetere l'operazione di prima perché io esca, dubito possa farti bene rischiare un'infezione. » June abbassò distrattamente lo sguardo sul palmo della mano, lì dove la ferita aveva smesso di sanguinare, ma i fori lasciati dalle spine erano ancora ben visibili; ormai si era talmente abituata da non farvi nemmeno caso. « Hai ragione, ma sono abituata a farmi male talmente spesso da non farci davvero caso. » Si bloccò per un istante, accorgendosi come quelle parole potessero suonare fraintendibili. Si inumidì le labbra, provando uno strano senso di nostalgia. « O almeno lo ero – nel Quidditch è piuttosto comune riportare slogature e lividi, spesso e volentieri anche ossa rotte. » Si spiegò, mentre con un rapido gesto della bacchetta richiamava a sé una boccetta di cloroformio e dei dischetti di cotone. Ormai le sembravano essere passati secoli dall’ultima volta che aveva preso parte a una partita. La percezione di abbandonare il terreno, il vento che le schiaffeggiava il viso, il rumore quasi ovattato della folla e – più di tutto – la sensazione di libertà che provava in sella ad un manico di scopa; nel gioco si era sempre sentita invincibile, inafferrabile – agli antipodi di ciò a cui ora era stata ridotta, niente meno che una reietta. Con la mano posata in grembo, versò un po’ di soluzione disinfettante su uno dei dischetti di cotone, prima di richiudere la bottiglia ed appoggiarla su un tavolino laterale, ben lontano da tazze e teiera. Tamponò delicatamente la ferita mentre parlava, lo sguardo chiaro che faceva la spola tra il proprio palmo ed il viso di Aslan per assicurarsi che la stesse seguendo; strinse appena le labbra nel momento in cui il liquido entrò a contatto con la ferita aperta, procurandole una fastidiosa sensazione di bruciore, ma non si interruppe. Concluso il proprio turno, si apprestò a versare una generosa quantità di thé bollente ad entrambi, lasciando un’occhiata curiosa, per quanto discreta, nei confronti dello psichico. Non l’aveva mai interrotta mentre parlava ma, a giudicare dalla sua espressione assorta, sembrava piuttosto pensieroso. Nel breve istante in cui i loro occhi si incrociarono, June percepì una sorta di interrogativo negli occhi di Aslan, un misto di perplessità e preoccupazione, tanto che il giovane warlock appariva aver momentaneamente perso il suo aplomb. « Ho delle cose da dire prima ancora che delle domande. Ma sì, ho anche delle domande. » June annuì leggermente con il capo, facendogli cenno di continuare, mentre circondava la tazza con le mani. Non si era aspettata altrimenti, a dire la verità: da un lato, era certa che necessitasse sapere molto di più nel caso in cui avesse deciso di aiutarla e, dall’altro, aveva ormai la netta impressione che Aslan Lee non amasse sorvolare su alcuna questione. « [...] Presumo tu sappia che la maniera più congeniale per lavorare con questo genere di cose sia con qualcuno che quel tipo di potenzialità le conosca per esperienza. Ti sarebbe stata molto più d'aiuto la stessa Théa. » Un sospiro leggero, quasi impercettibile, abbandonò le labbra di June. Durante il tempo trascorso nel mare del Nord, aveva lavorato a stretto contatto con Galathéa, abbastanza da condividere con lei la propria condizione. Una volta giunta in Inghilterra, la ragazza aveva accettato di aiutarla, per quanto potesse, ma – complici gli avvenimenti che nessuna delle due avrebbe mai potuto prevedere – non erano riuscite a fare granché. Lo lasciò parlare in silenzio, intenta a seguire il suo discorso, con lo sguardo fisso su un punto imprecisato tra di loro. Assorta, portò la tazza di thé alle labbra per berne un primo sorso, percependo nelle parole di Aslan il peso della sua preoccupazione. Ma più che preoccupata o spaventata dalla sincerità tagliente di Aslan, June era impaziente - non avventata, ma insofferente all’idea di nemmeno tentare. Si inumidì le labbra, inclinando appena il capo di lato, intenta a riflettere sulle istruzioni ricevute fin da piccola, sulle restrizioni che la sua famiglia le aveva imposto. In quel momento, l’idea di quel potenziale inutilizzato – quasi soffocato - alimentava, nel profondo, un senso di rabbia e oppressione. D’un tratto, ebbe l’impressione di star osservando la sua esistenza passata in uno specchio, le scelte fatte e quelle che non aveva nemmeno avuto la possibilità di compiere. Non aveva mai avuto dubbi che i suoi genitori avessero sempre desiderato il meglio per lei e per i suoi fratelli e che ogni loro scelta, persino la più incomprensibile, fosse stata a suo beneficio. Eppure, una parte di lei non poteva fare a meno di sentirsi smarrita, forse persino tradita. Tutto questo – l’essere più normale possibile, comportarmi unicamente come una strega – avrebbe dovuto tenermi al sicuro. E invece è accaduto l’esatto contrario. Deglutì, soffocando un primo barlume di senso di colpa. Sapeva che era ingiusto accusare i suoi genitori di quanto le stava accadendo; nessuno di loro avrebbe mai potuto prevedere la posizione estremista del governo inglese nei confronti delle creature eppure, al contempo, il loro desiderio di proteggerla l'aveva relegata in un'ignoranza che ora risultava doppiamente dannosa. « Alla luce di quanto ti ho detto sono io a doverti chiedere se hai delle domande, cosa ne pensi e, più in generale, se credi che la tua sia stata una buona idea, ed intendi proseguire. » June prese l’ennesimo sorso di thé, appoggiandosi allo schienale della sedia. « Non credo di aver comunque un’opzione migliore, al momento. » Replicò, con un leggero sospiro. D’un tratto parve stanca, logorata da quel continuo nascondersi, dall’estenuante ricerca di opzioni secondarie e vie di fuga. « Non fraintendermi, comprendo le tue preoccupazioni e ti sono grata per essere stato sincero riguardo i rischi che potrei correre. Sono consapevole che non si tratta di una situazione semplice, né che vi sia alcun tipo di certezza al riguardo. Ma allo stesso tempo non mi trovo nella posizione privilegiata di poter vagliare altri metodi. » Gli rivolse un leggero sorriso, stringendosi appena nelle spalle. L'idea di lasciar entrare uno sconosciuto nella sua mente non la entusiasmava, ma era consapevole che l'aiuto di uno psichico era l'ultima opzione che le rimaneva. « La mia idea principale era lavorarci con Théa, come tu stesso hai suggerito. Tuttavia, siamo riuscite a fare ben poco al riguardo, prima che il Ministero decidesse di legarci le mani. » Metaforicamente e non. « Personalmente non condivido la sua scelta di aderire ad Iron Garden, ma non sono nemmeno nella posizione di giudicarla – o di metterla in pericolo, chiedendole di compromettersi ulteriormente per aiutarmi. » Scosse piano il capo, tra sé e sé. Una parte di lei faticava a comprendere cosa passasse per la testa della Durand e perché avesse accettato mestamente di essere trattata tanto ingiustamente. Sollevò lo sguardo su di lui, certa della propria posizione. Aslan era stato sincero con lei e il minimo che poteva fare era riservargli la medesima cortesia. « Credo sia giusto che tu sappia che non sono una persona particolarmente paziente o riflessiva; in genere tendo ad agire d’istinto, piuttosto che a pensare alle conseguenze. Ma per quanto riguarda i miei poteri, ci ho riflettuto a lungo. Al momento, questa è una delle poche cose su cui posso prendere una decisione, e non ho intenzione di rimandare ulteriormente o di rimanere con le mani in mano. » Appoggiò la tazza sul tavolino, leggermente pensierosa riguardo a ciò che lui aveva menzionato, poco prima. « Mentirei se ti dicessi che ho sempre fatto tutto ciò che mi è stato detto. Da piccola mi era piuttosto semplice risvegliare il legame con quella parte di me stessa, anche se ero spesso costretta a limitarla. Mi piaceva giocare con l’acqua, sfiorare la superficie e vederla assumere le forme che desideravo. Ho un vago ricordo di cosa si prova, una sorta di connessione che da tutto il corpo si concentra sulla punta delle dita, ma non ho la minima idea di come arrivarci. Di quale sia l’interruttore o di dove debba cercarlo. » Battè le palpebre, cercando di scacciare la frustrazione. « So di essere emotiva – e so che questa parte di me ha sempre amplificato le mie reazioni, nel bene e nel male. Anche quello che provo, sensazioni od emozioni, a volte ho l’impressione che siano più intense del normale, per così dire. » Sollevò le sopracciglia, incerta se quelle parole riuscissero a spiegare pienamente ciò che pensava. « Da quel che ricordo, ho sempre avuto bisogno di fare qualcosa, di incanalare la mia energia. Ho iniziato a giocare a Quidditch per questo, per avere un modo costruttivo di sfogarmi. » Sfiorò il bordo della tazza con le dita, pensierosa. « A mente fredda, credo che il modo migliore per ottenere una reazione –
    qualunque tipo di reazione – sia farmi perdere il controllo, togliermi la possibilità di sfogare la rabbia in modi alternativi. »
    Aveva sempre avuto la sensazione che vi fosse un confine labile e invisibile, una linea che delimitava l’ignoto, oltre la quale non aveva avuto il coraggio di spingersi; persino quando furiosa, vi si era sempre tenuta alla larga, optando per indirizzare quell’energia distruttiva in qualcosa di sicuro e conosciuto. « So che non è molto, ma al momento è tutto ciò che credo potrebbe esserti utile sapere. Se c’è qualcosa di specifico che vuoi sapere, ti prego di non fsrti problemi a chiedere. » Si strinse nelle spalle, avvicinando la tazza alle labbra. Sollevò lo sguardo chiaro su di lui, l’ombra di un sorriso nascosta dalla tazza. « Sempre che tu abbia intenzione di accettare, ovviamente. » In tal caso, immagino dovremmo discutere anche di un’equa ricompensa.
     
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    « Non credo di aver comunque un’opzione migliore, al momento. Non fraintendermi, comprendo le tue preoccupazioni e ti sono grata per essere stato sincero riguardo i rischi che potrei correre. Sono consapevole che non si tratta di una situazione semplice, né che vi sia alcun tipo di certezza al riguardo. Ma allo stesso tempo non mi trovo nella posizione privilegiata di poter vagliare altri metodi. » Sulla questione delle opzioni, effettivamente, Aslan non sentiva di volerle dare torto. La situazione del mondo magico, in fin dei conti, si era ribaltata nel giro di pochissimi giorni. La mossa del Ministero era stata subdola - perfettamente in linea, in realtà, con l'immagine che lo psichico aveva di quest'ultimo - ed aveva ribaltato le sorti di moltissime persone. Aslan se l'era aspettato. Aveva sempre creduto, nel proprio intimo, che il Governo britannico avrebbe quantomeno tentato di riprendersi ciò che sentiva gli appartenesse di diritto, ed aveva anche pensato che i Minerva avrebbero contrattaccato quando se lo fossero aspettati di meno, ma la magnitudo di quel disastro non era mai riuscito a prevederla. Di certo non aveva visto lungo su come la sua congrega si sarebbe mossa in merito. Di sicuro non mi aspettavo che facessero scontare ad Eliphas la propria stessa mancanza di lungimiranza. Era lì, in fondo, che la reticenza di Aslan nei confronti di quella scelta aveva trovato la propria origine; nella ferma consapevolezza che non si potesse appoggiare alcuna causa senza che qualcosa cambiasse in modo molto radicale. Nella piena coscienza del fatto che il proprio supporto non si poteva dare a metà, né poteva essere tolto basandosi sul bello e sul cattivo tempo. Forse il mio errore è stato giudicare la mia gente utilizzando me stesso come metro di misura. Ho erroneamente creduto, essendo io un prodotto dei miei principi, che anche loro potessero esserlo. Che in quei principi ci credessero tanto quanto ci credo io. A quel pensiero parve adombrarsi, lo sguardo pensoso fisso sulla Rosier. E tu di quali principi sei il prodotto? Sarebbe stato facile ricollegare la giovane strega ai principi associati da anni alla sua famiglia - all'eredità che aveva, volente o nolente, ricevuto. Una questione che lei per prima aveva menzionato appena qualche minuto addietro. Sarebbe tuttavia stato anche estremamente semplicistico, senza contare che l'avrebbe spinto per direttissima ad utilizzare lo stesso metro di valutazione che i maghi avevano spesso usato con la sua gente. Sarebbe stato ingiusto e superficiale, anche. Se avesse scelto di guardare ai peccati commessi dai suoi antenati, allora tanto valeva che si alzasse per avviare una conversazione con uno tra i quadri presenti nella tetra dimora in cui era stato invitato - avrebbe finito per parlare con un pezzo di storia che, seppur vero, difficilmente avrebbe rispecchiato quella della sua interlocutrice nella sua interezza. Tolta la storia, la cosa immutabile ma ormai morta, gli restava un'unica cosa su cui basarsi: i fatti. Quello era il beneficio del dubbio che poteva concedere a Juniper Rosier. « La mia idea principale era lavorarci con Théa, come tu stesso hai suggerito. Tuttavia, siamo riuscite a fare ben poco al riguardo, prima che il Ministero decidesse di legarci le mani. Personalmente non condivido la sua scelta di aderire ad Iron Garden, ma non sono nemmeno nella posizione di giudicarla – o di metterla in pericolo, chiedendole di compromettersi ulteriormente per aiutarmi. » Sulla questione di Galathéa, lo stregone non disse nulla. Non si sentiva nella posizione di esprimersi in merito - lui e la Durand non si frequentavano a sufficienza perché lui potesse davvero conoscere le motivazioni che l'avevano condotta a quella scelta specifica. Per non dire che, se anche le avesse conosciute, su queste ultime non avrebbe certamente aperto bocca con qualcuno che per lui era una sconosciuta. Sarebbe stata l'elementale a doversi spiegare, qualora avesse mai sentito la necessità di farlo. Normalmente, i pensieri di Aslan si sarebbero fermati esattamente lì. Eppure, fresco dell'esilio di Eliphas, non poté fare a meno di domandarsi se la scelta di stabilirsi ad Iron Garden fosse stata tutta di Théa. Un pensiero che un tempo l'avrebbe portato ad inorridire, perché significava tacciare il proprio posto sicuro, i propri simili, della capacità di fare a chiunque di loro uno sgarbo del genere. Ne hanno fatto uno anche peggiore, però. Non vedo perché dovrebbero farsi scrupoli. Sì, non vedeva il perché. Non vedeva il perché e questo poteva voler dire una cosa soltanto - che infine erano riusciti a farlo vacillare. Non con le chiacchiere. E nemmeno con le azioni. Potendo fare qualcosa nel momento del bisogno, hanno deciso di non fare niente. Ed era la cosa peggiore che potessero scegliere di fare. Se Eliphas è stato spendibile, probabilmente spendibile lo è anche Galathéa. Chissà.
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    « Capisco. » Commentò dunque che ancora l'osservava con molta attenzione. Per quanto il viso fosse disteso in un'espressione neutrale, Aslan stava riflettendo. Se avesse rifiutato di aiutarla, la strega non avrebbe probabilmente tanti altri sbocchi per poter risolvere quella situazione. Il Ministero aveva agito in maniera tale che non soltanto lei risultava persona non grata, ma aveva anche provveduto a relegare le creature in uno spazio apposito. Un vero e proprio ghetto. Aveva la strada praticamente sbarrata. La possibilità di passare il suo caso ad uno dei suoi colleghi era semplicemente fuori questione - non soltanto lei stessa si sarebbe probabilmente scoraggiata abbastanza da non tentare qualcun altro, per quanto nemmeno a lui venivano in mente persone che potessero voler accettare un lavoro del genere. Per non dire, ancora, che né il momento storico né le circostanze della mora permettessero una fuga di informazioni. Lui, quantomeno, non se la sarebbe sentita di mettere in una posizione tanto precaria. D'altra parte, però, c'era anche il fatto che sarebbe stato lui il primo a trovarsi in una posizione non ideale, questo lo sapeva bene. Mi chiedo, però, se tirandomi indietro ora sarei realmente al sicuro. Se siamo realmente tutti spendibili, allora non è meglio abbracciare questa condizione? Non è meglio esserlo nella consapevolezza di star facendo qualcosa di giusto, anziché vivendo nel terrore di poterlo diventare senza motivo? « Credo sia giusto che tu sappia che non sono una persona particolarmente paziente o riflessiva; in genere tendo ad agire d’istinto, piuttosto che a pensare alle conseguenze. Ma per quanto riguarda i miei poteri, ci ho riflettuto a lungo. Al momento, questa è una delle poche cose su cui posso prendere una decisione, e non ho intenzione di rimandare ulteriormente o di rimanere con le mani in mano. » Inarcò appena le sopracciglia e, per la prima volta quella sera, sulle labbra gli si dipinse un sorriso vagamente divertito. Non disse ancora nulla, per il momento, lasciando che lei continuasse il suo discorso. [...] « So che non è molto, ma al momento è tutto ciò che credo potrebbe esserti utile sapere. Se c’è qualcosa di specifico che vuoi sapere, ti prego di non farti problemi a chiedere. Sempre che tu abbia intenzione di accettare, ovviamente. » Aveva ascoltato il resoconto della francese con attenzione, le dita intrecciate sotto al mento e gli occhi scuri fissi su di lei. Se aveva distolto lo sguardo, era stato una volta soltanto, quando aveva fatto qualche sorso del tè ormai tiepido. « Sono propenso a darti una mano. » Affermò serio, fissando ancora una volta lo sguardo negli occhi chiarissimi di lei. « Quella di Inverness è brava gente. Per non rimarcare l'ovvio e non dire che nessuno merita di essere messo all'angolo o sentirsi da meno per un qualcosa su cui nemmeno ha avuto voce in capitolo. » Aveva cominciato così il suo discorso, ma era evidente, specialmente dallo sguardo, che non avesse ancora terminato di elencare le proprie condizioni in merito a quella collaborazione. « Tutte le informazioni che mi hai dato sono molto utili. » Le più utili, in realtà, credo tu me le abbia date senza renderti conto di quanto fossero essenziali. « Hai detto di essere una sportiva. » Quella virata nella conversazione sembrava casuale, ma era evidente che fosse tutto meno che quello. Aslan Lee era tutto meno che il tipo di persona da perdersi in chiacchiere inutili. « Se vuoi lavorare con me devi dimenticare quella convinzione secondo la quale ignori la tua soglia di sopportazione. L'idea di spingere oltre il limite non deve esistere. Minimizzare il livello di disagio che percepisci non deve essere contemplato come concetto. » La postura dello psichico appariva ancora rilassata, ma lo sguardo era intenso. Se possibile, più serio di prima. Le condizioni che le stava dettando erano definitive ed insindacabili. « Mi riservo il diritto di tirarmi indietro qualora mi rendessi conto che non sei in grado di essere onesta in merito. E me ne renderò conto. » Sbatté lentamente le palpebre, fermandosi quanto bastava perché l'altra potesse familiarizzare con quanto esplicitato. « Non sei paziente, hai detto. Imparerai ad esserlo. » Si strinse nelle spalle con una certa leggerezza, quasi le stesse esponendo un'ovvietà. « Questa non è una di quelle situazioni dove ottieni subito risultati tangibili. Sarà frustrante, probabilmente, almeno all'inizio. » Distese un sorriso sghembo. « Ci saranno delle volte in cui sarò la persona che odierai di più al mondo perché ti sembrerà di non star ottenendo i risultati che vuoi. O avrai tutta l'impressione che avresti potuto spingere ancora mentre io ti dirò di no. » Pausa. « Su questo, l'ultima parola sarà sempre la mia. Non sarà l'unica, ma sarà l'ultima. Per quanto sia troppo presto per parlare di fiducia, su questo deve essere cieca. Altrimenti tanto vale che mi alzi e me ne vada. » Si prese un attimo per allungarsi a recuperare la tazza e fare un altro sorso dell'infuso che la mora gli aveva offerto. « Hai fatto una scelta difficile, contattandomi.» Lo capisco. E ne rispetto il coraggio. Lo sguardo del moro sembrava essersi ammorbidito appena. Poggiata la tazza ormai vuota sul tavolino, si lasciò andare ad un leggero sospiro. « Non hai nessun motivo per fidarti di me, né alcuna garanzia sul tipo di persona che sono. » Un'altra pausa, quasi stesse scegliendo le proprie parole con cura. « Però non hai bussato alla porta sbagliata. » Ed io una garanzia voglio dartela. O mettere il primo mattoncino per quella fiducia. « Sgradito al Ministero lo è anche uno dei miei amici più cari, prima ancora di Galathéa. » E checché possa averne detto, al mio posto, Eliphas non si sarebbe tirato indietro. A quel punto si sporse leggermente nella sua direzione. « In virtù di questo, se pensi di essere in grado di rispettare le mie condizioni, farò quello che è in mio potere per aiutarti. »


    Edited by haegeum - 15/12/2023, 04:35
     
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    Mentre parlava, Juniper poteva percepire lo sguardo attento di Aslan su di lei. Non era invadente, piuttosto osservante, come se cercasse di cogliere ulteriori dettagli attraverso i suoi gesti e le sue espressioni. Una volta terminato di parlare, si mosse appena sulla poltroncina, un movimento istintivo e naturale, che la portò a sollevare lo sguardo chiaro su Aslan – in un improvviso scambio di ruoli: era lei, ora, la vera osservatrice, in bilico tra curiosità e incertezza, tanto che i denti affondarono leggermente nel labbro inferiore. « Sono propenso a darti una mano. » Solo allora, June si lasciò andare ad un profondo, silenzioso sospiro; non si era nemmeno accorta di aver trattenuto il respiro ma, d’un tratto, il suo intero corpo venne invaso da una rassicurante – quanto illusoria – sensazione di sollievo. Si inumidì le labbra, stringendo la tazza tra entrambe le mani per dissimulare la propria reazione. Era consapevole che ciò che avrebbe dovuto affrontare sarebbe stato tutt’altro che semplice, e non voleva che Aslan fraintendesse – eppure, quell’accordo aveva un familiare sentore di vittoria, un sapore che June non assaporava da sin troppo tempo. « Quella di Inverness è brava gente. Per non rimarcare l'ovvio e non dire che nessuno merita di essere messo all'angolo o sentirsi da meno per un qualcosa su cui nemmeno ha avuto voce in capitolo. » La strega annuì distrattamente, lo sguardo chiaro fisso su un punto imprecisato tra il torace ed il naso del suo interlocutore. Quando si era rivolta ad Aslan lo aveva fatto unicamente su suggerimento di Galathéa, costretta a fidarsi di lui principalmente dal bisogno e dalla difficile condizione in cui versava; in qualche modo, si era trattato di una scelta forzata dalle circostanze. Sin dal principio, le sue aspettative erano state pressoché nulle ma ora, di fronte alla sua disponibilità ad aiutarla, non poté fare a meno di interrogarsi sulla ragione di tale scelta. Le varie ipotesi si agitavano nella sua mente come foglie portate dal vento; dopotutto, se scoperto, Aslan aveva tutto da perdere e ben poco da guadagnare. Forse era guidato da un profondo senso di lealtà nei confronti di Galathéa, forse si era trattato di un atto dettato personale dissenso nei confronti del Ministero della Magia, forse era stato guidato dal senso del dovere o, ancora, la commiserazione aveva giocato un ruolo fondamentale. Qualunque fosse il motivo, scegliere di aiutrarla significa automaticamente schierarsi contro il Ministero. « Hai detto di essere una sportiva. » Quell’inaspettato cambio di argomento la riportò alla realtà e, dopo qualche secondo di ritardo, Juniper annuì. « Se vuoi lavorare con me devi dimenticare quella convinzione secondo la quale ignori la tua soglia di sopportazione. L'idea di spingere oltre il limite non deve esistere. Minimizzare il livello di disagio che percepisci non deve essere contemplato come concetto. » Mentre il warlock parlava, elencando una ad una le proprie condizioni, June si mordicchil nervosamente l’interno della guancia. Era consapevole che lo psichico stesse delineando un percorso diverso da tutto ciò a cui era abituata, un territorio completamente nuovo ed inesplorato, nel quale non avrebbe potuto orientarsi da sola. A dispetto di ciò, era consapevole che, inevitabilmente, la sua impazienza si sarebbe scontrata con le prospettive di un processo lungo e frustrante anche se, razionalmente, comprendeva che i risultati non sarebbero arrivati rapidamente come forse sperava. Il problema stava solo nella pratica: avrebbe potuto promettere, persino giurare, che avrebbe seguito le direttive di Aslan alla lettera ma, in tutta onestà, Juniper si conosceva abbastanza bene da sapere che quel tipo di rigore le andava stretto. Deglutì, alla ricerca delle parole giuste da utilizzare. « Apprezzo la tua onestà, perciò credo che sia giusto essere altrettanto sincera. » Iniziò, sollevando lo sguardo chiaro su di lui. « So di aver bisogno di aiuto e che, tra noi due, l’esperta non sono certo io. Ma mi conosco abbastanza bene da sapere che potrebbero esserci momenti in cui la mia razionalità non sarà delle migliori. Ciò non significa che abbia intenzione di non prendere seriamente le tue condizioni o di ignorare eventuali avvertimenti. » Sospirò appena, scuotendo leggermente il capo. Non voleva che l’altro fraintendesse ma, se dovevano lavorare assieme, era convinta fosse necessario essere il più sincera possibile. Tanto vale scoprire le ultime carte, fino alla fine. « Significa che farò sinceramente del mio meglio per rispettarle e non fare nulla di avventato – ma, altrettanto sinceramente, non posso prometterti che non vi saranno occasioni in cui saremo in disaccordo. » Non pretendeva certo di sapere come gestire ciò che l’aspettava, ma difficilmente avrebbe accettato un divieto senza una spiegazione ragionevole. Sta a te decidere se è abbastanza oppure no. « Puoi prenderti la notte per pensarci, se preferisci. Se lo ritieni un accordo ragionevole, immagino dovremo discutere anche di un prezzo. » A dispetto delle ragioni personali, non avrebbe mai accettato un aiuto disinteressato. Non quando vi era in gioco la libertà stessa di Aslan, nel caso in cui il Ministero li avesse scoperti. « Se vi è qualcosa di specifico che può essere di tuo interesse in questa casa, ti prego di farmelo sapere. I cimeli di famiglia non hanno molto valore sentimentale, per me. » Per quanto la sua conoscenza delle usanze warlock fosse limitata, sapeva che erano legati alla branca oscura della magia e che, probabilmente, Aslan fosse in grado di riconoscere gli oggetti intrisi di magia oscura che i Rosier collezionavano da secoli. Spostò lo sguardo sulla finestra chiusa, dove il vento si scagliava con forza sui battenti di legno scuro. Era evidente che di lì a poco avrebbe iniziato a piovere. « Ti ho scomodato ad un orario sconveniente ed il tempo non è dei migliori. Se preferisci rimanere per la notte, le camere al piano di sopra sono piuttosto confortevoli – o per lo meno, i letti sono comodi. » Accennò ad un sorriso, alzandosi in piedi affinché l’altro potesse seguirla. Attese il suo cenno di assenso ed afferrò una candela da uno dei tavoli. Offrirgli una sistemazione per la notte era il minimo che poteva fare, in quella situazione – e, dopotutto, sapere di non essere sola all’interno del Roseto rendeva la prospettiva di una notte tempestosa assai meno spettrale.
     
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