stolen dreams took our childish days

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    16 Ottobre 2023, poco dopo le 14:00
    nei pressi di Brixton Market

    Seduta ad un tavolo di un grazioso caffè babbano vicino al Brixton Market, June circondò la tazza ricolma di caffè con le mani, nel tentativo di riscaldare le dita. Sebbene non fosse ancora ufficialmente autunno, il clima inglese era peggiorato rapidamente negli ultimi giorni: il cielo era grigio, spesso carico di nuvoloni ricolmi di pioggia, e il vento soffiava in maniera incessante. « Posso portarle altro, signorina? » Momentaneamente distratta, June impiegò qualche istante a rendersi conto che la cameriere – una donna di mezz’età dal marcato accento scozzese – si stava rivolgendo proprio a lei. Le rivolse un sorriso, scuotendo il capo. « No, grazie. Sto aspettando qualcuno, probabilmente ordinerò una fetta di torta più tardi. » Ve ne erano parecchie in mostra sul bancone, tutte più che invitanti, ma il suo stomaco era tormentato da una morsa così fastidiosa che il pensiero del cibo le dava la nausea. « Come desideri, cara. Fammi sapere se cambi idea. » La donna si allontanò e June portò la tazza ancora fumante alle labbra per bere un sorso di caffè. Il sapore intenso della caffeina le strappò un sospiro di sollievo. Aveva dormito poco e male in seguito a quanto accaduto al Ministero e la stanchezza fisica e mentale si faceva sentire, eco di ciò che aveva vissuto negli ultimi giorni. L'idea di vivere nel quartiere di Iron Garden, segregata dal resto della società magica, le sembrava un incubo e, d’un tratto, la tensione nell'aria era divenuta palpabile, una pesante coperta di incertezza che sembrava soffocarla lentamente. Aveva ancora diversi giorni per aderire volontariamente a quelle che – inutile negarlo – erano delle vere e proprie leggi segregazioniste e se, da un lato l'ingiustizia di essere imprigionata in un ghetto le faceva ribollire il sangue dalla rabbia, dall’altro resistere a quegli ordini significava sfidare un potere che sembrava sempre più inarrestabile. Che altra accadrà d’ora in poi? Nuovi morti che tornano alla vita? Un altro UpsideDown? Non era poi così improbabile. Sospirò, passandosi distrattamente una mano sul viso. Si sentiva confusa, spaventata e stanca. Soprattutto stanca. Stanca di ritrovarsi sempre a fronteggiare qualcosa di più grande di lei, stanca di dover scegliere tra l’arrendersi e il continuare a lottare, stanca di non sentirsi mai al sicuro, stanca di preoccuparsi ogni secondo per la sua famiglia, stanca di non poter avere un’esistenza normale. Deglutì, avvertendo un moto di rabbia serrarle lo stomaco, mentre il solo pensiero di essere separata da coloro che amava le faceva stringere involontariamente il bordo della tazza. Non è giusto. Quando riaprì gli occhi, fissò le iridi chiare sulla vetrata, osservando il flusso incessante della vita quotidiana attraverso la finestra. Al di fuori, spazzato dal vento autunnale, il mondo babbano continuava ad andare avanti come se nulla fosse, del tutto inconsapevole della tempesta che si stava scatenando nell'oscurità. Il rumore della porta che si apriva, accompagnato da una ventata d’aria umida, la riportò alla realtà. Voltandosi, June riconobbe la chioma arruffata di Èmile. « Èmi, di qua! » Si alzò, facendogli cenno con la mano per attirare la sua attenzione. Quando il cugino l’ebbe raggiunta lo strinse in un abbraccio, incurante del fatto che il cappotto di lui fosse completamente bagnato. Inspirò il profumo familiare del suo shampoo, un odore di comfort, di familiare, di casa: la tensione nei suoi muscoli si allentò, e si sentì avvolta da una lieve sensazione di sollievo. « Come stai? » Si allontanò di un passo, scrutandolo con aria leggermente preoccupata. Sapeva che in passato Èmile aveva deciso di distanzarsi dalla presa di posizione di Inverness e, in quel momento, quella consapevolezza la tranquillizzava un po’ circa la sua incolumità. Malgrado ciò che lei e Mun avessero deciso di fare, il Ministero non aveva grossi motivi – o prove – per interessarsi ad Èmile. « I tuoi genitori stanno bene? Maddy? » Gli domandò, con apprensione, mentre entrambi si
    accomodavano al tavolo. Spinse il menù nella sua direzione e, dopo qualche istante, incrociò le braccia sul tavolo. « Non posso restare a lungo ma sono contenta di vederti. Ci sono molte cose di cui ti vorrei parlare ma non credo che sia saggio, per entrambi. » Accennò ad un sorriso, leggermente malinconica. Si fidava di Èmi, ma condividere con lui più del dovuto avrebbe potuto mettere entrambi in pericolo. « Ma prima di tutto devo chiederti un favore. Vista la situazione, non credo che potrò rientrare al cottage per un bel po’. » Se vogliamo essere ottimisti. « Mi chiedevo se ti piacerebbe vivere lì, per ora. Ho bisogno di qualcuno che possa prendersi cura degli animali e so che diversi edifici dello studentato sono crollati. » Lo fissò per qualche istante. « Sempre se ti va, ovviamente. » Aggiunse, giocherellando nervosamente con la manica del maglione. Non le piaceva l’idea di lasciare Onyx, Nacho e Sky, ma sapeva che Èmi li adorava e che si sarebbero preso cura di loro nel migliore dei modi.
     
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    Émile avanzava a passo rapido sotto la pioggia, riparandosi quando poteva sotto ai piccoli balconi dei palazzi. Aveva, ovviamente, dimenticato l'ombrello. Le strade della Londra babbana, frenetiche come sempre, sembravano ignorare del tutto il caos che da quarantott'ore a quella parte era scoppiato nel mondo magico. Fermo ad un incrocio, in attesa del verde per attraversare, il ragazzo trovò il tempo per tirare fuori dall'interno del cappotto un orologio da tasca color verde brillante, che consultò con apprensione. Non fece caso all'ora che riportava: si limitò a guardare il colore delle lancette, e a tirare un piccolo sospiro di sollievo nel vederle di un comunissimo mogano spento. Dal giorno dell'attacco a Hogwarts non aveva perso di vista Gertaldo, il suo Clabbert: era convinto che la pustola rosso cremisi che l'animale portava sulla fronte, quella mattina, gli avesse salvato la vita. Gli era perfino capitato di svegliarsi nella notte di soprassalto, colto da incubi poco piacevoli, e di riuscire a tranquillizzarsi solo dopo aver individuato il trespolo di Gert, ed essersi accertato tramite lui di non essere in pericolo. La presenza dell'animale gli dava sicurezza, ed era diventata per lui indispensabile, tanto da convincerlo, quella mattina, a trasfigurare la creatura in un orologio da tasca, le cui lancette avrebbero sostituito la funzione della grossa pustola dell'animale - tingendosi di rosso qualora un nuovo pericolo fosse nelle vicinanze. Emi non amava trasfigurare i suoi animali in oggetti, ma in quel caso l'aveva trovato indispensabile - di certo non poteva aggirarsi per i quartieri babbani di Londra con una lucertola-scimmia appollaiata sulla sua spalla come se nulla fosse. Una volta scattato il verde, si affrettò a riporre l'orologio nella tasca interna del cappotto e a procedere a passo spedito verso il luogo indicatogli da June. Era una sala da caffè piccola e anonima, perfetta per incontrarsi senza avere addosso troppi occhi indiscreti.
    « Emi, di qua! » Una volta dentro, fu la cugina a richiamare la sua attenzione. La raggiunse, sul fondo della stanza, e la strinse in un abbraccio serrato. Di fatto non si vedevano da poco più di un giorno, ma quelle ore d'incertezza e fughe di notizie erano trascorse come secoli. « Come stai? » « Bene, bene » si affrettò a rispondere, mentre si sedeva di fronte a lei al tavolo. « I tuoi genitori stanno bene? Maddy? » Annuì, di rimando, incrociando le braccia sul tavolo. « Sì sì, stanno tutti bene. Maddy è ancora a Parigi e tutti concordiamo che sia più sicuro che lei rimanga lì, al momento. Mamma si è un po' arrabbiata perché vuole che io la raggiunga, ma ho intenzione di ritornare a Hogwarts. » Tentennò, spostando gli occhi color nocciola in quelli chiari di lei. Aveva quasi paura a chiedere quali fossero le sue intenzioni. Da quando la notizia di Iron Garden aveva iniziato a girare, Emi non aveva potuto fare a meno di pensare a June, e ai loro cugini invischiati con la causa dei Ribelli. June in particolare, però, oltre all'associazione con i Ribelli, aveva quasi un'aggravante: era una creatura. « E tu? » si limitò a chiedere allora, dando un'occhiata quasi di sfuggita al menù, molto più interessato a quanto lei aveva da dirgli. Che intenzioni hai, June? « Non posso restare a lungo ma sono contenta di vederti. Ci sono molte cose di cui ti vorrei parlare ma non credo che sia saggio, per entrambi. » Annuì, comprensivo. Sapeva che sua cugina aveva sempre un nuovo asso nella manica, e sapeva bene anche che il proprio rifiuto di appoggiare la causa dei Ribelli non lo avesse reso, nel tempo, la persona più affidabile del mondo per lei. C'erano cose che non era il caso di condividere, e per lui andava bene così - si era sempre fidato del giudizio di June molto più del proprio. « Ma prima di tutto devo chiederti un favore. Vista la situazione, non credo che potrò rientrare al cottage per un bel po’. » Te ne vai. Per quanto Émile si aspettasse quel risultato, fu ugualmente doloroso sentirlo dalle sue labbra. Si era ormai abituato alla presenza di June a Hogsmeade, ed era piacevole avere un pezzo di famiglia
    al proprio fianco. « Capisco. » « Mi chiedevo se ti piacerebbe vivere lì, per ora. Ho bisogno di qualcuno che possa prendersi cura degli animali e so che diversi edifici dello studentato sono crollati. Sempre se ti va, ovviamente. » Émile inspirò profondamente. Razionalmente sapeva che le cose sarebbero andate così: conosceva sua cugina fin troppo bene per credere che si sarebbe piegata all'ordine di vivere in un ghetto, separata dal resto della comunità magica. Al contempo, emotivamente quella nozione gli faceva male. Sapeva di non poter chiedere a June dove sarebbe andata. Non era sicuro. In quel momento, gli occhi fissi in quelli celesti della cugina, fu colto dall'agghiacciante consapevolezza che non sapeva quando l'avrebbe rivista. « Non preoccuparti per il cottage, ci penso io a Onyx, Sky e Nacho. Gert e Marv saranno contenti di avere un po' di compagnia » sdrammatizzò con una risata, mentre tirava su col naso, nella speranza che June non scorgesse i suoi occhi già lucidi. « June, come... Come faccio a sapere che starai bene? » Una domanda tanto semplice e innocente quanto essenziale. Se l'obiettivo della ragazza era quello di darsi alla macchia, come probabilmente avrebbero fatto molti altri Ribelli, che garanzie avrebbe avuto la sua famiglia? Doveva semplicemente sperare che le cose andassero per il meglio? « Ho sentito che vogliono mettere delle taglie sulle teste delle persone che scelgono di scappare. Sei sicura che sia la scelta più saggia? Non credi sia meglio andare ad Iron Garden per un po' e vedere che succede? Magari le cose cambiano, magari... » Sospirò, non sapendo dove andare a parare con quel discorso. Farneticava, e ne era consapevole. Scosse piano il capo, lo sguardo basso, mentre torturava con le dita l'angolo del menù di fronte a sé. « Promettimi che ti farai sentire. In un modo o nell'altro. » Era tutto ciò che chiedeva.
     
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    Non appena Èmile sciolse l’abbraccio, June lasciò istintivamente vagare lo sguardo chiaro su di lui per qualche secondo, quasi fosse alla ricerca di qualcosa – un qualunque indizio – che potesse destare preoccupazione per la salute del giovane Carrow. « Sì sì, stanno tutti bene. Maddy è ancora a Parigi e tutti concordiamo che sia più sicuro che lei rimanga lì, al momento. Mamma si è un po' arrabbiata perché vuole che io la raggiunga, ma ho intenzione di ritornare a Hogwarts. » Solo allora, accomodandosi nuovamente sulla sedia, June annuì appena e la sua espressione parve allentarsi, farsi appena più rilassata nell’apprendere che il resto dei suoi parenti erano al sicuro – almeno per il momento. Stava per aggiungere altro quando, dopo pochi istanti di silenzio, Èmile la precedette. « E tu? » June strinse appena le labbra, abbracciandosi le braccia con le mani pallide e fredde. Si era aspettata quella domanda, eppure non aveva preparato una vera e propria risposta. Se solo avesse potuto, avrebbe voluto parlare a lungo con Èmi, e di molte cose ma, alla luce dei fatti, farlo non sarebbe stato saggio per nessuno dei due. Non sapeva fin dove il Ministero si sarebbe spinto per trovare coloro che non si erano consegnati volontariamente ad Iron Garden, né quali metodi avrebbero utilizzato – lecitamente o meno – e mantenere Èmi all’oscuro significava anche proteggerlo. « Sto bene. » Mormorò dopo poco, giocherellando con il manico della tazza. « Sono riuscita a mettermi in contatto con i miei genitori, ma non sono sicura che sia stata una buona idea. Sono piuttosto preoccupati, a tal punto che mio padre vuole venire in Inghilterra per riportarmi a casa. Non sarebbe saggio, soprattutto in questo momento. » Sollevò lo sguardo su di lui, incontrando le sue iridi nocciola e mordendosi il labbro inferiore senza aggiungere altro; era certa che avrebbe intuito ciò a cui si riferiva. Lasciare mia madre da sola non sarebbe saggio, e portarla in Inghilterra equivale ad una vera e propria missione suicida. Nonostante fosse consapevole che fosse la scelta migliore per tutti – o, per lo meno, la più sicura al momento – non era semplice trovare le parole per salutarsi; per quanto la riguardava, non sapeva con precisione dove sarebbe andata o come avrebbe fatto per sopravvivere ma, al contempo, abbandonare Hogsmeade e Londra significava anche tagliare di netto qualunque rapporto con familiari e amici. Così come loro non avrebbero avuto sue notizie, lei stessa avrebbe solamente potuto augurarsi che stessero bene – che fosse abbastanza furbi da mantenersi ai limiti di quanto stava accadendo, al sicuro. « Non preoccuparti per il cottage, ci penso io a Onyx, Sky e Nacho. Gert e Marv saranno contenti di avere un po' di compagnia » June annuì, accennando ad un sorriso. « Sono sicura che si troveranno benissimo con te. Gli sei sempre piaciuto. » Suo malgrado, il suo tono di voce risuonò più triste di quanto avesse voluto. Si inumidì le labbra, cercando di recuperare un minimo di autocontrollo; se era difficile per lei, doveva esserlo ancora di più per Èmi. Il minimo che poteva fare era mostrarsi determinata, certa della propria scelta. Come se davvero avessi deciso liberamente e non mi fosse stata tolta ogni altra opzione. « June, come... Come faccio a sapere che starai bene? » Mantenne lo sguardo fisso sul contenuto della tazza per qualche istante, osservando alcune bollicine della schiuma scoppiettare. « Non credo che potrai saperlo. Non con certezza, almeno. » Spostò gli occhi su di lui, per studiare la sua espressione. Era certa che Èmile avesse compreso la gravità della situazione e, di conseguenza, anche il fatto che tagliare i contatti fosse fondamentale per mantenere entrambi al sicuro. Ma come si può accettare di non sapere nulla della propria famiglia? Di comportarsi come se alcune persone non fossero mai esistite? Era quello il punto debole su cui probabilmente il Ministero contava, l’istinto naturale e profondamente radicato di preoccuparsi per i propri affetti, la necessità soffocante di sapere che si trovassero al sicuro e, probabilmente, l’ingenuità di tentare – in un modo o nell’altro – di mantenere i contatti tramite qualche artifizio. « Il punto è proprio questo. Se non saprai nulla di me, probabilmente starò bene. Non posso prometterti che sarò al sicuro – in qualunque luogo deciderò di andare, dubito che ci sarà un posto davvero sicuro per le creature. » Nel mondo magico o babbano che sia. Scosse piano il capo, mordicchiandosi nervosamente il labbro inferiore. Le sarebbe piaciuto poter dare una risposta diversa, assicurare ad Èmi che sarebbe andato tutto bene e che le cose si sarebbero sistemate – che era solo questione di tempo; ma quello che aveva davanti, ormai, non era più un bambino. Èmile era un giovane adulto, abbastanza maturo da comprendere la verità e abbastanza coraggioso da affrontarla. Gli rivolse un piccolo sorriso, leggermente nostalgica; sembravano essere trascorsi secoli da quando era ancora uno studente minorenne che continuava a cacciarsi nei guai, tra nasi rotti e risse alle feste. Sospirò silenziosamente. « Ci ho pensato… per un po’. » Ammise, dopo qualche istante di silenzio. Non ne era fiera, ma aveva valutato l’opzione di consegnarsi – anche solo per restare vicina ad alcuni amici e parte della sua famiglia. « Ma so che chiunque metta piede ad Iron Garden difficilmente riuscirà ad allontanarsi. » Almeno finché queste sono le cose. Allungò una mano ad afferrare quella del cugino, chinandosi leggermente verso di lui. « Èmi, probabilmente questo è solo l’inizio. Non posso saperlo per certo, ma la storia magica e babbana è piena di avvenimenti simili – discriminazioni, ritorsioni nei confronti di coloro che vengono considerati scomodi. E anche se spero il contrario, esiste la concreta possibilità che la situazione sia destinata a peggiorare ulteriormente. » Mantenne lo sguardo chiaro fisso in quello di lui, alla ricerca di un cenno d’intesa. Se le cose fossero precipitate, voleva che fosse preparato, che non si lasciasse cogliere alla sprovvista. Ritirò la mano, lanciando un’occhiata alla porta del locale con aria vagamente nervosa. Per il momento non stava violando alcun tipo di restrizione, ma sentiva una sensazione di profonda inquietudine all’idea che qualcuno potesse scorgerli insieme – non tanto per sé stessa, quanto per Èmile. « Hai le mani gelide. Dovresti ordinare qualcosa di caldo. » Commentò, accennando al menù che il ragazzo stava stropicciando. Un thé gli avrebbe fatto bene – o, meglio ancora, un infuso alle erbe. « Promettimi che ti farai sentire. In un modo o nell'altro. » June strinse appena le labbra, la fronte pallida solcata da una leggera ruga che ne sottolineava la preoccupazione. « Vorrei dirti di sì, Èmi. Davvero. » Chinò appena il capo, mentre i capelli scuri le scivolavano oltre la spalla. Il pensiero di lasciare tutto ciò che aveva rappresentato la sua casa negli ultimi cinque anni – tutto ciò a cui era affezionata, tutto quello per cui aveva combattuto – le provocava una rabbia viscerale, soffocata solo da una travolgente sensazione di smarrimento. « Ma mantenere i contatti con te – o con chiunque altro – significherebbe mettere in pericolo entrambi. Non sono certo la preoccupazione principale del Ministero, ma in questo caso preferisco agire con eccessiva prudenza e dare per scontato che, presto o tardi, inizieranno a tenere sotto controllo le persone vicine a ribelli e personalità indesiderate. » Il che significa la mia famiglia in Francia, i tuoi genitori, Maddie e persino Délphine. « Dubito gli ci vorrebbe molto per controllare la tua corrispondenza o il camino, soprattutto quando sapranno che vivi al cottage. » Per il momento, agli occhi del Ministero
    Èmile non aveva alcun tipo di tangenza con i ribelli – ad eccezione della loro parentela, certo. « Non hanno motivo di sospettare di te o di considerarti un alleato di Inverness. Sarebbe saggio continuare a farglielo credere. » Non dargli modo di preoccuparsi di te, Èmi. Osserva cosa accade, adeguati al loro stesso gioco. Sii più furbo di loro. « Non so cosa accadrà, ma dubito che questa sia la fine. » I lycan potranno accettare di aver perso Hogwarts, ma non Inverness. « Se le cose dovessero mettersi davvero male – » Esitò un istante, inumidendosi le labbra. « per me o per te, troverò il modo di contattarti. » Non so come, ma troverò il modo. « Lo so che non è quello che volevi sentirti dire, ma è ciò che posso prometterti. » Il che, praticamente, equivale a nulla. Portò la tazza di caffè alle labbra, bevendone un sorso che le parve più amaro del previsto. Deglutì a fatica, senza riuscire ad allentare il groppo che le serrava la gola.
     
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    « Sono riuscita a mettermi in contatto con i miei genitori, ma non sono sicura che sia stata una buona idea. Sono piuttosto preoccupati, a tal punto che mio padre vuole venire in Inghilterra per riportarmi a casa. Non sarebbe saggio, soprattutto in questo momento. » O forse sarebbe l'idea migliore di tutte, pensò Emi, ma non lo disse. Sentiva già di sapere come sarebbe finita, e i presupposti di quella conversazione non gli piacevano per nulla. June stava per andarsene, forse per sempre, facendo perdere le proprie tracce al Ministero, ma anche a lui. « Non credo che potrai saperlo. Non con certezza, almeno. » Aggrottò la fronte. « Cioè non posso sapere dove starai? Se starai bene? » La sua voce si fece più acuta di un'ottava, e dovette ricordare a se stesso di abbassare la voce, perché gli altri presenti nella sala da tè non lo sentissero. « Il punto è proprio questo. Se non saprai nulla di me, probabilmente starò bene. Non posso prometterti che sarò al sicuro – in qualunque luogo deciderò di andare, dubito che ci sarà un posto davvero sicuro per le creature. » Le mani affondate tra i ricci biondi, Émile si reggeva la testa, forse nel timore che esplodesse di fronte a quelle nuove informazioni. Gli sembrava tutto così assurdo. Come potevano essere sereni e poi, da un giorno all'altro, dover temere che il Ministero li cacciasse come degli animali? Come si poteva vivere in quel modo? « June... Ma tu sei davvero sicura che questa sia la scelta più saggia? A me sembra molto, molto pericoloso. » Insomma, un'alternativa alla latitanza deve esserci. « Magari... Se ti consegni... Potremmo lavorarci sopra... Lo sai che papà ha tante conoscenze... Possiamo trovare un modo... » tentò, debolmente, ma le sue soluzioni improvvisate erano nulla in confronto alla determinazione di sua cugina. « Ci ho pensato… per un po’. » Corrugò la fronte. Sono passati appena due giorni, secondo me non ci hai pensato a sufficienza. « Ma so che chiunque metta piede ad Iron Garden difficilmente riuscirà ad allontanarsi. » Sospirò, abbassando lo sguardo per un attimo, gli occhi nocciola distratti dalla mano di June che si allungava per prendere la sua. Non ha senso, si ripeteva, incredulo di fronte agli eventi che si stavano dispiegando di fronte a lui. « Èmi, probabilmente questo è solo l’inizio. Non posso saperlo per certo, ma la storia magica e babbana è piena di avvenimenti simili – discriminazioni, ritorsioni nei confronti di coloro che vengono considerati scomodi. E anche se spero il contrario, esiste la concreta possibilità che la situazione sia destinata a peggiorare ulteriormente. » « Ma non è giusto » protestò, come un bambino capriccioso che ha appena scoperto come va il mondo, e vorrebbe farlo girare al contrario solo con la forza del pensiero. Non era giusto che fossero lì, a stringersi le mani in quello che poteva essere l'ultimo saluto, non era giusto che June dovesse lasciare tutto quello che aveva per far perdere le proprie tracce, non era giusto che Mun fosse nascosta da mesi, non era giusto che un ragazzino di diciannove anni dovesse sopportare quel tipo di dolore. « Hai le mani gelide. Dovresti ordinare qualcosa di caldo. » « Non voglio niente » protestò, ritraendo le mani dalla sua stretta, i denti serrati, di nuovo quel bambino capriccioso e arrabbiato, che non sapeva accettare ciò che aveva davanti. Si rifiutava di farlo. La guardò, speranzoso. Dimmi almeno che saprò di te. « Vorrei dirti di sì, Èmi. Davvero. » E con quelle parole il suo cuore ebbe l'ennesimo tuffo. Si sentì come cadere nel vuoto, mentre June continuava a parlare, senza quasi che lui capisse. « Ma mantenere i contatti con te – o con chiunque altro – significherebbe mettere in pericolo entrambi. Non sono certo la preoccupazione principale del Ministero, ma in questo caso preferisco agire con eccessiva prudenza e dare per scontato che, presto o tardi, inizieranno a tenere sotto controllo le persone vicine a ribelli e personalità indesiderate. Dubito gli ci vorrebbe molto per controllare la tua corrispondenza o il camino, soprattutto quando sapranno che vivi al cottage. » Sospirò, una gamba che si muoveva nervosamente sotto il tavolo, mentre con le mani prendeva a spezzettare una bustina di zucchero di canna che aveva di fronte. Lasciò che tutti i piccoli cristalli si riversassero sul tavolo in modo disordinato, mentre lui sfogava tutta la propria frustrazione su quel piccolo pezzo di carta, arrotolandolo e poi riducendolo in brandelli. « Dovresti consegnarti » disse di nuovo, a voce bassa, scuotendo piano il capo. « Non ti faranno niente, è la cosa migliore » ribadì, cieco di fronte alla prospettiva di perderla per sempre. Era comunque meglio scegliere il male minore. June sembrò cogliere il delirio delle sue parole, e si premurò di andare avanti, forse conscia che presto avrebbe cambiato idea. « Non hanno motivo di sospettare di te o di considerarti un alleato di Inverness. Sarebbe saggio continuare a farglielo credere. Non so cosa accadrà, ma dubito che questa sia la fine. Se le cose dovessero mettersi davvero male per me o per te, troverò il modo di contattarti. » A quel punto, per Émile fu impossibile trattenere le lacrime. Stava davvero succedendo? Lui e June trovavano davvero, in un bar di Londra, faccia a faccia, a dirsi addio? Sbatté le palpebre un paio di volte, e dagli occhi lucidi si liberarono due lacrime solitarie, che gli solcarono le guance arrossate dal freddo autunnale. « Lo so che non è quello che volevi sentirti dire, ma è ciò che posso prometterti. » Scosse di nuovo il capo, le braccia incrociate sul piccolo tavolino, mentre guardava in basso. Voleva evitare gli occhi chiari della cugina, perché la determinazione che vi leggeva dentro gli suggeriva che quella era la sua scelta definitiva, che non ci sarebbe stato modo di contrattare. « Tu e Amunet siete due stupide! » sbottò allora, il tono di voce leggermente più alto, le lacrime che ora sgorgavano copiose dai suoi occhi nocciola. « Avreste dovuto saperlo che sarebbe andata a finire così! Che vi sareste messe in pericolo voi, e avreste messo in pericolo tutti quanti noi. » Chiuse gli occhi per un istante, concedendosi il tempo di prendere un respiro profondo, per calmarsi. Perché non lo vedevano? Perché erano così ostinate? « Che cosa me ne devo fare ora, io, di quello che mi stai dicendo? Di questa situazione? » Allargò le braccia, guardandola sinceramente confuso, come se attendesse una risposta. « Suppongo che dovrò passare le mie giornate a sfogliare la Gazzetta del Profeta nell'attesa di leggere la notizia che tu e Mun siete morte. Oppure, nella migliore delle ipotesi, ad Azkaban. » La guardò, non senza una punta di rimprovero. È questo che mi aspetta, non è vero June?
     
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