Do I look like a monster underneath all my skin?

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    Ministero della Magia
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    Nelle volte in cui gli era capitato di leggere o sentire storie circa Iron Garden, la mente di Nate aveva dipinto un luogo sudicio, fatiscente e maleodorante, lontano da qualunque segno di civiltà o ordine pubblico. Ora che lo attraversava per la prima volta, un fazzoletto celeste premuto contro il naso per aiutarlo a sopportare l'odore della spazzatura disseminata in strada, Nate scopriva di non essersi allontanato di molto dalla verità, nelle proprie congetture. Era mattina, il sole brillava alto sui cieli di Londra, ma per qualche strana circostanza - che nella sua mente riusciva a ricondurre soltanto ad un incantesimo - il ghetto magico era permeato da un grigiore angosciante, quasi fosse avvolto dall'abbraccio di un Dissennatore. Mentre attraversava a passo lento una strada deserta, gli occhi verdi del giovane mago vagavano incuriositi tra i palazzi, soffermandosi su alcuni graffiti che ne coloravano i muri con un'arte che Nate non avrebbe saputo definire in altro modo se non triste. Tutto era triste di quel luogo.
    Nate non avrebbe voluto essere lì. Ci aveva provato in tutti i modi, a chiamarsene fuori, ma i tempi erano quelli che erano, e lui non aveva potuto evitare di essere trasferito di Ufficio. « Ci dispiace tanto, signor Douglas, ma abbiamo le mani legate » era stato il commento decisamente non dispiaciuto né accorato del funzionario Ministeriale con il qualche aveva provato a ragionare, qualche giorno prima. « Le cose, purtroppo, stanno così. La guerra contro i Ribelli è vinta, il Comitato per la Pace non ha più ragione di esistere, non c'è più nessuno con cui tentare di negoziare. Ergo, l'Ufficio per i Rapporti Internazionali viene ridimensionato. Questa è la ragione del tuo trasferimento. » « Ma io non sono specializzato in materia di Creature Magiche. Mi sembra un salto di posizione un po' eccessivo. » « Capisco la tua ritrosia in merito, ma l'Ufficio Regolazione e Controllo delle Creature Magiche al momento è quello dove manca più personale al momento. L'Iron Garden richiede un controllo costante, e poi tu sei laureato in Magisprudenza, dunque sei proprio ciò che fa al nostro caso. Ci servono dei funzionari che supervisionino le attività dei residenti del quartiere. » Sì, ma a me fa schifo fare il funzionario. Questo, però, Nate non poteva dirlo. Così aveva messo da parte i suoi sogni di gloria sull'Ordine di Merlino e la Confederazione Internazionale dei Maghi, ed eccolo con la coda tra le gambe che attraversava un sudicio viottolo di Iron Garden con una cartelletta in mano. Pazienza, si ripeteva con tono calmo mentre scorreva con gli occhi tra le sue noiosissime mansioni della giornata. Verrà un giorno.
    Gli era stata assegnata un'area specifica del distretto, che a quanto pare un gruppo di residenti si stava dando da fare per riqualificare. Supervisionare le attività di ristrutturazione e riqualificazione della serra e zone circostanti, così c'era scritto sui documenti ufficiali - che voleva dire tutto e niente. Per come la vedeva lui, avrebbe benissimo potuto farsi vedere dai residenti una volta ogni tanto, accertarsi che non stessero delinquendo, salutarli da lontano, e tornare per la sua strada, magari barricandosi dietro alla propria scrivania per il resto della settimana. Così avrebbe tanto voluto comportarsi - quel luogo lo metteva terribilmente a disagio - ma sapeva bene che non era quello il modo di emergere in un posto come il Ministero. Per quanto la situazione non gli piacesse, doveva trovare il modo di rimboccarsi le maniche; e se questo significava far risplendere quell'isolato di Iron Garden più delle sale da ballo dell'Arcadia, avrebbe trovato un modo di fare anche questo.
    La serra era il luogo aggregatore di quella specifica zona - il fulcro, per così dire: da lì avrebbe cominciato. L'aveva individuata facilmente: da fuori, una costruzione un po' desolata, coperta da rampicanti selvaggi e con le coperture in tessuto per lo più stracciate. Da come gli avevano riferito, i residenti avevano iniziato a sgomberarlo da appena qualche giorno. Prima di avvicinarsi, osservò la situazione da una certa distanza: a lavorare lì erano circa quattro persone, al momento intente a spostare oggetti all'interno della serra. Sul fianco di quest'ultima era stato creato uno squarcio, e l'edera ed il vecchio tessuto di copertura della serra erano stati scostati ai lati, così da ricavare un ingresso laterale, che rendeva probabilmente i lavori più agili. L'ingresso più grande, invece, era al momento ostruito da alcuni mobili, che dovevano essere stati spostati lì davanti, anche in questo caso, forse per convenienza. Con un colpo di bacchetta Nate riuscì a spostarli verso l'interno della serra, abbastanza da permettergli di accedervi dall'entrata principale. Quando fu dentro, quattro paia di occhi erano già puntati su di lui. « Buongiorno.
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    Perdonate l'interruzione »
    si schiarì la gola, concedendosi qualche secondo per guardarsi intorno. Vide vasi in terracotta accatastati, strutture in legno, utensili vari per la botanica. « Sono Nathan Douglas, piacere di conoscervi. Il Ministero della Magia mi ha nominato come supervisore di questa zona di Iron Garden. Verrò a farvi visita periodicamente, per assicurarmi che tutte le attività della riqualificazione siano svolte secondo le regole. » Come si aspettava, non ricevette alcuna risposta. Solo sguardi assorti, alcuni di loro perfino sprezzanti. Non li biasimava. Per quanto non amasse le sue nuove mansioni, non poteva negare che c'era di peggio. « Posso parlare con il responsabile? » Gli fu indicata una quinta persona, ferma dietro ad uno scaffale, della cui presenza, in mezzo ai quei mille oggetti, Nate non si era nemmeno accorto. Nell'avvicinarsi alla ragazza, Nate non ebbe fatica nel distinguere quei lineamenti. Fu figlio del disagio il sorriso a labbra strette che apparve sul suo volto, non appena riconobbe Galathéa Durand. La stessa figura eterea ed elegante che aveva allietato con la sua musica una cena d'alta società, ora stava davanti a lui sudata, sporca di terra e coperta da abiti decisamente meno appariscenti. Non meno affascinante, certo, eppure ebbe un certo effetto vederla lì, in quel contesto. Era la prima persona che vedeva lì dentro che aveva conosciuto anche fuori. A Percy non aveva avuto ancora il coraggio di far visita. « Ciao » disse, secco, consapevole che qualunque altro convenevole sarebbe stato fuori luogo. D'altronde, la loro conoscenza non si era rivelata nemmeno particolarmente piacevole, dunque non sentiva l'esigenza di indugiare oltre. « Mi servirebbe una lista di tutti i lavori che state facendo qui dentro, per verificarne la fattibilità con il Ministero. » Lanciò poi un'occhiata ai propri fogli, e in particolare ad una foto dell'interno della serra precedente all'arrivo delle Creature. La studiò per un istante, incuriosito, poi guardò in basso, verso le proprie scarpe scure. Poi di nuovo la foto. « Sbaglio o avete cambiato le mattonelle? »


    Edited by stupor mundi. - 27/11/2023, 09:48
     
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    13 novembre

    La questione era la seguente: Galathéa sapeva che prima o poi sarebbe arrivato un funzionario del Ministero a supervisionare che tutte le coltivazioni della serra rispettassero gli standard richiesti dallo Stato Inglese – non era sicura che fosse una pratica a cui erano regolarmente sottoposti anche agricoltori e coltivatori non residenti ad Iron Garden, ma tant'era: quelle erano state le condizioni con cui era scesa a patti pur di potersi garantire un mestiere che servisse davvero a qualcosa o a qualcuno e che non fosse completamente al di fuori delle sue abilità. Come gli incarichi venissero assegnati ai cittadini del nuovo-vecchio distretto ancora non le era del tutto chiaro: sapeva che a maggiore ore di lavoro e maggiore complessità corrispondessero alloggi più dignitosi, un'equazione che le sembrava assolutamente priva di senso, e sapeva che bene o male ti lasciavano fare quello che gli chiedevi, purché si trattasse di un lavoro sufficientemente umile e faticoso. Il gusto sadico che il governo inglese aveva mostrato nel metterli tutti quanti ai lavori forzati, sostanzialmente, segregati, a testa bassa e pure riconoscenti, l'aveva lasciata a lungo immersa in uno stato di disdegno e rabbia silente, che fortunatamente per lei e chi le stava attorno poteva sfogare con i lavori di restauro che nel frattempo stava portando avanti. A conti fatti, Galathéa aveva vissuto come una nomade per tutta la vita. Il massimo tempo trascorso in un unico posto non aveva mai superato i quattro anni. Questo significava che sapeva adattarsi molto bene agli ambienti nuovi, che non aveva difficoltà ad addormentarsi in letti scomodi, che non provava alcun tipo di attaccamento al concetto di casa, e che adesso si sentiva a tutti gli effetti in prigione. Durante le giornate trascorse a piastrellare il pavimento dell'ex polverificio, a trasportare piante e interrarle in grossi vasi in terracotta che avrebbero sistemato nel futuro vivaio, a inviare ordini ai fornitori per richiedere altro terriccio, altro cemento, altre mattonelle, altro tutto – non senza essere prima passati dai controlli ministeriali, e con attenzione infinitesimale a scaglionare le richieste in modo che non sembrassero troppo frequenti o irragionevolmente abbondanti – Galathéa aveva tenuto la bocca chiusa, sia sul tema in sé per sé che in senso più generico. Di quei tempi non parlava molto, con nessuno. Si esprimeva a cenni e monosillabi, lavorava duramente e instancabilmente, non lasciava che quella frustrazione e quelle domande potessero trovare voce – perché sapeva che era così che si perde, e si finisce in balia dello sconforto e della disperazione. Non era esattamente un atteggiamento che potesse definirsi ottimistico, né negazione: era distrazione. I suoi collaboratori avevano presto imparato che quello all'interno della serra non fosse uno spazio adatto ad eccessi emotivi, lamentele, piagnistei o terapia di gruppo: si veniva per lavorare, si svolgevano i propri incarichi del giorno e si tornava a casa a riposare, per poi ripetere tutto da capo il giorno dopo. In quanto capo di quello che per ora era soltanto un progetto, Théa sentiva la responsabilità di assicurarsi che tutto filasse liscio, e che lo spirito collettivo non venisse colpito dalla depressione – per quanto giustificata – di uno di loro. Quella stessa durezza la riservava a se stessa, ma le domande che si ponevano lei e tanti altri come lei non la lasciavano in pace alla sera, quando avrebbe dovuto riposare e mettersi a dormire. Non capiva, e non capire era la sensazione che detestava di più in assoluto: perché si trovava in quella situazione? Perché le congreghe warlock non intervenivano? Non era certo una pratica frequente, nel mondo warlock, che i capo congrega si mobilitassero per questioni individuali e parcelizzate, ma l'Hellfire Club si era scomodato a sufficienza per esiliare Eliphas, a quanto le era giunta voce, e quindi a schierarsi a tutti gli effetti contro qualunque intervento non neutrale da parte di uno warlock verso un mago. Ma
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    quando i ruoli erano ribaltati – quando la loro gente veniva ghettizzata e obbligata ai lavori forzati, tutto ciò che si udiva dalle loro bocche era indisturbato silenzio? Qualunque fossero le motivazioni, qualunque principio di diplomatico mantenimento dello status quo potesse smuoverli, Galathéa non poteva che sentirsi profondamente abbandonata da un popolo a cui, in fondo, non aveva mai sentito di appartenere. Quei personalismi, quell'ipocrisia, quel mettere costantemente il bene della collettività di fronte a quello della persona, qualunque fosse il costo, la facevano sentire come una figlia dimenticata, una fedele devota che chiede aiuto a qualcuno che non verrà ad aiutarla. Si domandava anche che cosa si aspettasse, d'altronde. Aveva spesso dovuto cavarsela da sola, e l'avrebbe fatto anche quella volta. Era un mondo ingiusto, e questo non era mai stato un segreto, ma nondimeno riuscì a sentirsi parecchio amareggiata dall'intera faccenda. Sapeva che era più grande di lei, che le forze in movimento trascendevano dalla scomodità della sua condizione, ma era una questione di principio: immischiarsi era cosa buona e giusta quando si era trattato di scendere in campo, mettere a rischio la propria vita per il richiamo di una guerra che erano naturalmente chiamati a lottare, ma non lo era più adesso? E cosa sarebbe successo qualora Théa avesse osato mancare di rispetto ad una sola delle folli regole che dovevano rispettare nel ghetto? La congrega avrebbe esiliato anche lei, senz'altro, e così avrebbero continuato, assecondando ogni volere del Ministero per l'equilibrio cosmico e altri inutili vaneggiamenti. Nei momenti più duri, Galathéa aveva disprezzato anche Eliphas, che per quella gente si era sempre prodigato fino allo sfinimento, redarguendola per la propria natura scostante e ipercritica; lui che aveva messo sempre la comunità di fronte a se stesso, qualunque fosse il prezzo. Questo è il tuo popolo. Questo è quello che conti per loro. Tutti sono utili e nessuno è indispensabile. Perché non era fuggita? Sarebbe potuta partire, sapendo che non avrebbe mai più fatto ritorno in terra inglese – in fondo quello non era il suo Paese. La risposta la conosceva, e l'idea la opprimeva, le gravava sullo sterno, la soffocava, e per questo la negava. E per questo non ne parlava, e quegli impeti d'ira venivano presto rabboniti da un silente sussurro che le bisbigliava: hai scelto tu di rimanere. You've made your bed - now lie in it.
    «Allora – ci siamo tutti? Miles? Dài, che non abbiamo tutta la mattina.» Un cespuglio di capelli rossicci emerse dal fondo dell'ex polverificio, il viso e le mani sporche di terriccio. Raggiunse il gruppetto con una corsetta, mentre Théa prendeva un sorso di tè bollente dal thermos e si alitava sulle mani coperte dai guanti che servivano a ben poco nel clima umido e freddo della serra. «Dunque – l'ispettore ministeriale sarà qui per mezzogiorno. Non dovrebbe piantarci particolare grane, dovrebbe trattarsi di una visita veloce. Vorrà controllare come abbiamo impiegato gli ultimi rifornimenti che ci hanno mandato – Joe, hai preparato il modu– ottimo.» Afferrò il documento scorgendolo rapidamente, prima di riporlo sul tavolo dietro di loro, ricolmo di attrezzi e piante estirpate. «Ragazzi, mi preme dirvelo giusto per eccesso di zelo: noi stiamo coltivando solo ed esclusivamente i quantitativi di piantagioni indicati sulle autorizzazioni ministeriali, che sarebbero...» «Un chilogrammo e sette per metro quadro.» Cantilenò Joe, chinando il capo. «Okay. Per il resto lasciate fare a me, facciamo in modo che 'sta visita sia veloce e indolore per tutti. Chiaramente, non c'è neanche bisogno che io ve lo dica, ragazzi – occhio al baule, per carità.»

    «Ciao». La mattinata era andata avanti piuttosto liscia: il corpo centrale dell'ex fabbrica sarebbe stato deputato alla vendita di piante e verdure, mentre sul retro c'era la serra vera e propria e il vivaio per le piante; al momento Théa e Mia lavoravano al primo, dedicandosi alla pavimentazione, alle pareti, e all'istallazione di scaffali e mensole da esposizione. Quando era arrivato l'ispettore, Théa stava passando l'ultimo strato del fissante per la vernice di uno scaffale, dipinto di turchese. Aveva spostato lo sguardo sulla fonte di quel saluto informale, e l'espressione perplessa non era sparita una volta riconosciuto l'ispettore. «Oh, sei tu Il ragazzo della serata dell'asta, lo ricordava, anche se erano passati mesi. Lavorava al Ministero? Del resto, l'aveva conosciuto in terre diplomatiche... Eppure non le era venuto in mente, mesi prima, che potesse essere un funzionale del governo. Inesorabilmente mago, quello di sicuro. Inclinò leggermente il capo, rimanendo immobile per qualche secondo, prima di riporre il pennello sul coperchio del barattolo in latta. «Questa sì che è una sorpresa» continuò, quasi divertita dall'espressione assolutamente priva di entusiasmo sul viso di Nate Douglas. L'ultima volta che l'aveva visto aveva l'aria ben più spensierata, decisamente più rilassata – a tratti persino divertita. Ora se ne stava di fronte a lei con una cartelletta e abiti da ufficio e Théa trovò la scena buffa, per qualche motivo. «Ognuno tira a campare come può, noto.» Bisbigliò, soffiando dal naso una risatina che non potè trattenere. Com'era finito a rivestire un incarico del genere? Quale filo aveva dovuto tirare affinché quel cambio di governo avvantaggiasse anche lui? Perché si trattava di sopravvivenza, per forza. Nessuno si sceglie un lavoro del genere – ed era Théa, una che nella vita faceva i lavori forzati, a pensarlo. Lui pareva molto poco divertito dalla situazione. «Mi servirebbe una lista di tutti i lavori che state facendo qui dentro, per verificarne la fattibilità con il Ministero.» Galathéa premette le labbra tra di loro per forzarsi a tornare seria, consapevole solo in parte di che cosa esattamente trovasse tanto ilare della situazione presente. Trovava tutto così assurdo. «Scusa» fece quindi, scuotendo la testa e passandosi una mano sulla fronte. Ripensò alle goffe avances che le aveva mosso, e si disse che se avesse saputo allora le circostanze in cui si sarebbero ritrovati, forse si sarebbe pure concessa un po' in più. Un occhio di riguardo faceva sempre comodo. L'ispettore del Ministero ci aveva provato con me. Aspetta che lo racconti a Mia. Sollevò le sopracciglia, tornando al presente, attenta a non indisporlo dandogli l'impressione di starsi prendendo gioco di lui. «Comunque – una lista dei lavori...» Assottigliò lo sguardo, rivolgendosi alla cartella con tutti i documenti compilati e già approvati in precedenza. Individuati quelli che riportavano le informazioni che Nate richiedeva, glieli porse, un angolo della bocca ancora sollevato. «Sono già stati approvati dal Ministero, altrimenti non avremmo potuto proprio cominciarli. Però va be', immagino sia così la burocrazia» fece, piegando la bocca verso il basso. «Stiamo andando più veloce possibile, ma il Ministero è piuttosto rallentato nell'inviarci l'approvazione per gli ordini che mandiamo. Speravo di poterne parlare direttamente con l'ispettore – che quindi sei tu.» «Sbaglio o avete cambiato le mattonelle?» Non distolse lo sguardo da lui, scrutandone le espressioni facciali. Niente? Fa ridere solo me? «Già – abbiamo trovato tracce di amianto. È tutto scritto. Non mi pare che mi avessi detto che lavoravi per il Ministero Inglese.» Fece abbastanza diretta, assottigliando lo sguardo. «È una cosa recente?» Richiuse quindi il barattolo di lucido, facendo un cenno con la testa a Nate per invitarlo a seguirla. «Posso offrirti del tè?» Provò, cercando di dare a quell'incontro un minimo di formalità, che lui sembrava determinato a ristabilire. Forse era solo sua impressione. «È complicato fare i lavori d'inverno in un posto come Iron Garden – non andrà che a peggiorare. Ci scaldiamo come possiamo, e le giornate che si accorciano rendono le ore di lavoro sempre più brevi.» Fece, estraendo la tazza pulita che solitamente usava Miles da uno scatolone sotto al tavolo. «Non ci lamentiamo, però, eh, che il Ministero ci ha già concesso tanto facendoci aprire.» Il sarcasmo era sufficientemente sottile da passare inosservato. Versò la bevanda fumante nella tazza azzurra. «Zucchero?»


    Edited by liquid smooth - 1/12/2023, 19:00
     
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    « Questa sì che è una sorpresa. Ognuno tira a campare come può, noto. » Gli parvero quanto mai fuori luogo le risatine sommesse della ragazza, che si impegnò ad ignorare. Trovarla lì l'aveva sorpreso, e sentiva di provare una sorta di empatia nei suoi confronti, ma già nei primi secondi di conversazione aveva scelto di mettere da parte qualunque sensazione di quel tipo, assieme al ricordo della spiacevole conoscenza a Flindrinkin. Ritenne sarebbe stato uno spreco di tempo indugiare su quella singolare coincidenza, specie quando entrambi avevano del lavoro da portare a termine. Lei, d'altronde, non pareva dello stesso avviso. « Noti con grande perspicacia » fece eco alle sue parole, secco, in un tono che non lasciava grande spazio di manovra per la conversazione. La Durand tuttavia non sembrò cogliere la serietà che quelle circostanze imponevano, e continuò a palesare senza troppa vergogna la propria ilarità, quasi le paresse divertente essere controllata dal Ministero fino alle unghie, privata della propria libertà anche nella decisione di coltivare delle banali piante. « Scusa. » Nate assottigliò lo sguardo, scrutandola in un misto di confusione e insofferenza. Quell'atteggiamento gli pareva paradossale. Prese dalle sue mani il fascicolo di documenti legati ai lavori della serra, e inizio a sfogliarli rapidamente, mentre l'ascoltava parlare. « Sono già stati approvati dal Ministero, altrimenti non avremmo potuto proprio cominciarli. Però va be', immagino sia così la burocrazia. » Nate annuì distrattamente, mentre esaminava alcuni fogli in particolare, recanti l'elenco delle piante richieste dalla ragazza al Ministero. Era certo di non aver mai visto quel modulo prima. Andiamo benissimo. « Stiamo andando più veloce possibile, ma il Ministero è piuttosto rallentato nell'inviarci l'approvazione per gli ordini che mandiamo. Speravo di poterne parlare direttamente con l'ispettore – che quindi sei tu. » « Mh-mhm » fu l'unico cenno d'assenso che diede, prima di avvicinarsi ad un tavolino poco distante e poggiarvi sopra tutti i documenti, per maggiore comodità nella consultazione. Gli sfogliò per qualche minuto, assorto, sotto lo sguardo della Durand. C'erano diverse cose che non gli tornavano, rispetto ai documenti che gli erano stati forniti: gli ordini delle piante, quelli delle mattonelle e di altri materiali erano completamente inesistenti dai suoi archivi. D'altronde non poteva dubitare della veridicità di quelli di Galathéa, tutti apparentemente in possesso di timbro ufficiale del Ministero della Magia.
    « Già – abbiamo trovato tracce di amianto. È tutto scritto. » fu la risposta della ragazza, quando interpellata sul cambio di mattonelle. Annuì, mentre cercava con impegno tra i fogli, fino a recuperare quello in questione. Sospirò, già evidentemente irritato dalla situazione. Come era possibile che l'Ufficio Regolazione delle Creature non gli avesse fornito la totalità dei documenti utili all'ispezione? Come avrebbe potuto svolgere egregiamente il proprio lavoro senza i giusti mezzi? « Non mi pare che mi avessi detto che lavoravi per il Ministero Inglese. » Quelle parole lo distolsero dalla lettura, tanto da portarlo a volgere il capo nella sua direzione. « Pensavi fossi a Flindrinkin in villeggiatura? » commentò, un mezzo sorriso sardonico a incurvargli le labbra. « Ho bisogno di una copia di tutti questi documenti. » Una riflessione fatta ad alta voce, pressoché inutile per lei, poiché fu Nate stesso, con un colpo di bacchetta, a duplicare il fascicolo. Da quest'ultimo emerse un nuovo gruppo di fogli, che fluttuarono ordinatamente sotto i loro occhi, prima di ammucchiarsi in una pila perfettamente allineata sul tavolino. Li avrebbe recuperati appena prima di andare. « È una cosa recente? » Sistemò anche la propria carpetta sulla nuova pila di fogli, intento a guardarsi intorno con curiosità. « Lavoro al Ministero da un anno e mezzo, circa » rispose, conciso e lapidario. Non c'era motivo di essere scortese, ma al contempo trovava essenziale relegare qualsiasi tipo di conversazione ad un piano professionale, rendersi accessibile il minimo indispensabile, da quel punto di vista. Era un funzionario del Ministero atto ad un'ispezione, ed era suo dovere mantenere il giusto distacco.
    « Posso offrirti del tè? » Le rivolse un breve cenno d'assenso, mentre con le dita richiudeva i bottoni del proprio cappotto. Da quando era entrato nell'ambiente umido della serra, più volte era stato colto da brividi di freddo; una bevanda calda gli avrebbe fatto bene. La Durand parve leggergli nella mente in quell'istante. « È complicato fare i lavori d'inverno in un posto come Iron Garden – non andrà che a peggiorare. Ci scaldiamo come possiamo, e le giornate che si accorciano rendono le ore di lavoro sempre più brevi. » Sospirò. « Concordo che non sono delle condizioni ideali. » Non riusciva ad immaginarsi a trascorrere più di una mezz'ora scarsa in quella prigione di ghiaccio, coi buchi sul tetto e gli spifferi alle finestre, nel pieno dell'inverno inglese. Si chiese se avrebbe potuto procurare loro qualche sistema di riscaldamento portatile per la serra, o qualcosa del genere, che fosse approvato dal Ministero. « Non ci lamentiamo, però, eh, che il Ministero ci ha già concesso tanto facendoci aprire. Zucchero? » Non riusciva a capire se Galathéa fosse ironica o meno. Scrutava il volto della ragazza, pensieroso, tanto da perdersi la sua ultima richiesta. Il suo cervello elaborò quelle parole solo dopo qualche istante, e solo allora Nate si affrettò a rispondere: « Oh, no grazie. Lo prendo amaro. » Prese la tazza dalle mani di lei e si concesse un lungo sorso della bevanda calda. Lasciò che cadesse il silenzio per qualche momento, tempo nel quale si permise di sorseggiare con calma il tè e scrutare con curiosità lo spazio intorno a sé. Gli era stato raccomandato di essere puntiglioso, ma non amava l'idea di mettersi a controllare in ogni angolo e dentro ad ogni cassetto già dal primo giorno. « Voglio essere chiaro » disse più tardi, spezzando quel
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    silenzio. « Il nostro obiettivo - mio e del Ministero - è quello di farvi stare bene. Al momento le condizioni non sono ottimali, lo riconosco, ma c'è un ampio margine di miglioramento, e il vostro impegno nel riqualificare questa zona del quartiere è notevole. » Annuì, mostrandosi convinto. Credeva davvero in quelle parole? In parte, ma era pur sempre quella la storia che doveva raccontare. Il Progetto Minerva puntava a far apparire Iron Garden come un luogo di riscatto, piuttosto che di segregazione. Un posto dedito alla ricerca della libertà, piuttosto che alla prigionia. Ai funzionari come Nate il compito di impacchettare in carta da regalo quel luogo lercio e dissestato, fino a pretendere la riconoscenza degli abitanti stessi. « Più vi impegnerete qui per la vostra comunità, più il vostro sforzo sarà riconosciuto dal Ministero e otterrete quello che desiderate. » A Nathan l'idea di vendere fandonie in quel modo non piaceva particolarmente, ma se l'unico modo per essere promosso da quella orribile posizione era accelerare i tempi e l'efficienza di quei lavori, allora era necessario che i residenti, per primi, credessero in quel concetto. « Io mi occuperò della parte burocratica - cercherò di rendere più veloci i passaggi con gli uffici del Ministero per le vostre richieste. Da parte vostra, mi piacerebbe avere appena possibile un calendario dettagliato dei lavori futuri e della divisione dei compiti. Per poter avanzare secondo i tempi giusti è importante che ci sia coordinamento. » E questa zona di Iron Garden deve essere splendente e impeccabile prima di tutte le altre. « Verrò a farvi visita tre volte a settimana. Il lunedì mattina, per concordare insieme le attività da svolgere; il venerdì pomeriggio, per valutare i progressi ottenuti durante la settimana; e infine la terza visita sarà a sorpresa, in un giorno e ad un orario qualsiasi in mezzo alle altre due visite. » Non voleva apparire sadico, perché quella situazione a lui piaceva meno che a tutti loro, ma probabilmente era inevitabile. « Capisco che siete nel mezzo di un rinnovo, ma sarebbe apprezzato un po' più di ordine, in futuro » continuò, accennando con il capo ad un mucchio di scatoloni accatastati in un angolo, e a dei sacchi di spazzatura in bella vista accanto alla porta. Anche l'occhio vuole la sua parte. « Mi servirebbe anche una postazione per lavorare. Niente di esagerato, è sufficiente una scrivania dove poter dare un'occhiata ai vari documenti. » Anziché farmi lavorare all'impiedi in un tavolino traballante come un elfo domestico. « Questo stabile è abbastanza grande, sono sicuro che si può trovare un angolo da dedicare alla burocrazia. Se al momento non avete a disposizione scrivanie, farò richiesta io al Ministero. » Bevve il restante contenuto dalla propria tazza, per poi posarla, una volta vuota, sopra ad uno scaffale lì vicino. « Per il resto, mi prenderò qualche giorno per esaminare tutta la documentazione. Purtroppo non mi è stata fornita per tempo dall'ufficio di competenza, ma nel frattempo qui potete continuare con i vostri lavori. » Annuì, accennando allo spazio che li circondava, e posando infine gli occhi chiari su di lei. « Hai qualche domanda? »

     
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    «Pensavi fossi a Flindrinkin in villeggiatura?» Théa soffocò l'ennesimo sorriso, limitandosi a sollevare il capo e inarcare le sopracciglia. Non proprio in villeggiatura, ma quasi. C'è bisogno che te lo dica io che il tuo comportamento è stato un tot al di fuori della definizione di professionale? Del resto, bastava confrontare la sede del loro precedente incontro alla presente e osservare l'atteggiamento del ragazzo per comprendere il lecito dubbio emerso in Théa che la partecipazione di Nate all'asta di beneficenza fosse un impegno mondano, sicuramente formale, ma non esattamente lavorativo. Non che le dispiacesse il cambio di tono, affatto: era solo sinceramente divertita dal tentativo ostinato di far finta di niente. Ricordava come l’aveva guardata, come si era complimentato per le sue abilità al piano – rivelando un’attenzione alla tecnica che Théa aveva avuto la fortuna e il talento di non necessitare, evidentemente a differenza di lui; e ricordava suo malgrado i commenti superficiali e scandalosamente privi di cognizione di causa sulla sua comunità, ancora più gravi se provenienti da un funzionario ministeriale. A prescindere dai tentativi più o meno riusciti di instaurare una conversazione più intima o privata che aveva mosso nei suoi confronti, che non erano di per sé motivo di ilarità, era l’assoluta serietà e importanza della loro relazione professionale presente, i ruoli istituzionali e antitetici che ricoprivano adesso, a non darle alternativa al disagio che non fosse l’umorismo. Una scappatoia che Nate invece non sembrava desideroso di imboccare. Il primo incontro era stato spiacevole e il secondo, se possibile, ancor di più: adesso erano letteralmente e politicamente agli antipodi – l’uno che aveva il potere di manomettere completamente le sorti dell’altra. Se questo avrebbe potuto significare intimidazione o soggezione, ancor peggio servilismo, per alcuni, di certo questo non era il caso di Théa, che la sua idea sull’individuo che le stava di fronte se l’era già fatta mesi prima, qualunque fosse il livello di potere o influenza di cui fosse capace. Si sarebbe trattato di fare il minimo indispensabile affinché non creasse problemi a lei e agli altri, al limite saperne gestire quella che a Galathéa era parsa come semplice ignoranza a proprio vantaggio, ma il ragazzo non le incuteva il timore che forse sarebbe stato più saggio provare. Non riusciva a prenderlo sul serio, per quanto si sforzasse. Sarebbe stata cauta, quello senz'altro. «Lavoro al Ministero da un anno e mezzo, circa» e Théa annuì, assottigliando appena lo sguardo. «Quindi da prima di questo nuovo governo» fece di conseguenza, un gesto del dito indice che ruotando indicava l'ambiente circostante. Si chiedeva chi avesse di fronte, oltre ad una persona di vedute abbastanza ristrette: era effettivamente un bigotto, parteggiava per il rinnovato ordine ministeriale – o peggio ancora, per il Messia? Lo scrutò per qualche istante, soppesando quell'idea: no, aveva l'aria di una persona che si limiti a non fare molto altro che seguire pedissequamente gli ordini impartiti dall'alto. «Voglio essere chiaro.» Di nuovo, lo guardò con un'espressione comicamente sorpresa, un eloquente: don't let me stop you. «Il nostro obiettivo – mio e del Ministero – è quello di farvi stare bene.» Galathéa trasse un respiro profondo, celando parte del viso dietro la propria tazza, dal quale sorseggiava la bevanda calda per accompagnare l'ospite. Fu quasi fisicamente doloroso dover stare ad ascoltare quei vaneggiamenti un po' fanatici. Se non altro, aveva ricevuto una parziale risposta al suo interrogativo. «Al momento le condizioni non sono ottimali, lo riconosco, ma c'è un ampio margine di miglioramento» Un ampio margine di miglioramento? Siamo ghettizzati e ai lavori forzati. Questo è un cretino. Cercò di mantenere la calma come potè, mordicchiandosi l'interno delle guance ma mantenendo un'espressione serena. «Il vostro impegno nel riqualificare questa zona del quartiere è notevole.» Galathéa scosse la testa leggermente, sbattendo le palpebre un paio di volte. Come se quel lavoro fosse volontariato mosso da un estremo spirito di appartenenza e beneficenza verso l'altro – come se non fosse l'unica scelta che aveva avuto per cercare di condurre una vita decente; era talmente insultante venirle a fare un discorso del genere che la ragazza non trovò neanche l'energia per reagire con rabbia. Sconforto, disprezzo, un po' di pena – questo provò. Era quella la propaganda che stava portando avanti Londra, la conosceva, l'aveva sentita ripetere in continuazione alla radio, sempre sintonizzata su una delle uniche stazioni magiche a disposizione nel ghetto. Recitava parola per parola il copione. Si fece l'idea di star parlando con una persona senza idee proprie, senza pensiero critico, un ameba, quasi. Poteva guardarsi attorno e appurare egli stesso le condizioni in cui vivevano, gli avrebbe proposto persino di fare a cambio, perché aveva la sensazione che soltanto allora lui e quelli come lui avrebbero compreso, forse; e per quanto fosse abituata a vagliare ogni impeto emotivo, sottoporlo al controllo serrato della logica, niente di ciò che stava accadendo e che Nate le stava decantando poteva essere definito logico. Ancora una volta si domandò cosa avrebbe fatto Eliphas, se fosse stato in lei. Non riuscì a darsi una risposta. «Più vi impegnate qui per la vostra comunità, più il
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    vostro sforzo sarà riconosciuto dal Ministero e otterrete quello che desiderate.»
    «Sì, certo, senza dubbio». Sfoderò il sorriso più falso di cui era capace, incrociando le braccia al petto. Vai tranquillo, prima o poi ci crederai anche tu. «Io mi occuperò della parte burocratica – cercherò di rendere più veloci i passaggi con gli uffici del Ministero per le vostre richieste. Da parte vostra, mi piacerebbe avere appena possibile un calendario dettagliato dei lavori futuri e della divisione dei compiti. Per poter avanzare secondo i tempi giusti è importante che ci sia coordinamento.» Le stava spiegando come fare il proprio lavoro? Impartendo una lezione sul valore del lavoro di squadra? «È importantissimo! Ti faremo avere tutto quanto senza dubbio» continuò, annuendo con veemenza. «Verrò a farvi visita tre volte a settimana. Il lunedì mattina, per concordare insieme le attività da svolgere; il venerdì pomeriggio, per valutare i progressi ottenuti durante la settimana; e infine la terza visita sarà a sorpresa, in un giorno e ad un orario qualsiasi in mezzo alle altre due visite.» «Ottimo, li considererò come degli appuntamenti a sorpresa, allora» Scherzò, tenendo a freno il sarcasmo affinché suonasse più come una frase civettuola che una beffa. Rispondere alla stupidità con altrettanta stupidità era l'unica cosa che avesse senso. Non era particolarmente saggio, prendersi apertamente gioco dell'ispettore, ma non esisteva alternativa. E non era di certo una faccenda personale: tutti loro, con le loro cartellette cretine, le loro divise stirate, un branco di invasati completamente disconnessi dalla realtà, che avrebbero consegnato la loro madre pur di avere in cambio un briciolo di riconoscimento o di potere dal Ministero, non meritavano di essere presi sul serio; lui era solo l'emblema di tutto ciò, uno neanche particolarmente rilevante o brillante. Qualcosa contro cui Théa si era opposta per tutta la sua vita, rivendicando il pensiero libero come unica distinzione tra umani e bestie. Non c'era traccia di rispettabilità, in chi le rivolgeva la parola in quel momento. «Capisco che siete nel mezzo di un rinnovo, ma sarebbe apprezzato un po' più di ordine, in futuro.» Galathéa inclinò il capo di lato. «Non so se sei mai stato in un cantiere... Mi prendo la libertà di pensare di no.» Batté le palpebre con aria innocente un paio di volte, una ciocca di capelli rabbonita facendola scivolare dietro l'orecchio. «Non c'è modo di tenere in ordine, mi dispiace. Non è una priorità. Sai, per quel discorso che i nostri sforzi sono tutti verso la nostra comunità prima di ogni altra cosa.» «Mi servirebbe anche una postazione per lavorare. Niente di esagerato, è sufficiente una scrivania dove poter dare un'occhiata ai vari documenti.» Una scrivania? Mancava l'acqua corrente e un mezzo di riscaldamento adeguato e lui faceva richiesta di una scrivania? Non potè non sgranare gli occhi a quell'assurda richiesta, passandosi una mano fredda sul viso, un risolino che emise senza neanche rendersene conto. Provò l'impulso di mettergli le mani addosso per un pericoloso istante, estraneo e inaspettato vista la sua indole. Ascoltò il resto delle folli richieste solo in parte. «Hai qualche domanda?» Ne avrei una serie, in realtà. Théa si prese qualche secondo, guardandosi attorno, la propria pazienza messa evidentemente a dura prova. «No, no, niente da domandare. Un angolo per la burocrazia c'è di sicuro, nel capanno degli attrezzi, in fondo a sinistra. Ti ci troverai molto bene, sono sicura. Fa un po' freddo, ti avviso. Non so se sei abituato a certe temperature. E c'è anche la questione del disordine, che mi pare di capire che non ami... Il capanno è decisamente un caos. E chiaramente avremmo bisogno di entrare spesso, sai, per recuperare attrezzi, vasi... Ti distoglieremmo dal tuo lavoro. Forse non è l'ideale... Mh, temo che non ci siano posti che fanno al caso tuo, qui.» Un'espressione fintamente dispiaciuta segnò il volto di Théa, che prese a battersi il dito contro il mento, come pensierosa. «Ma poi tutti questi controlli per una semplice serra? Sul serio? E mandano te a morirti di freddo in mezzo alle creature del ghetto, pericolose come sono?» Schioccò la lingua, scuotendo la testa. «Non te lo meriti di certo... Dopo un anno e mezzo al Ministero, poi! Quest'amministrazione non ha capito dove andrebbero impiegate le proprie giovani promesse... Perderesti solo tempo, qui, ti assicuro.» Fece infine, annuendo con le labbra serrate. «Non c'è proprio modo di farti spostare su un altro incarico? Fossi in te mi informerei al riguardo.»
     
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    Mentre Nathan parlava, esponendo le sue perplessità e richieste, non aveva potuto fare a meno di notare un graduale ma poco sottile cambiamento nelle reazioni della Durand. Da accondiscendente e bendisposta (anche se, probabilmente, controvoglia) aveva cominciato ad ospitare sul suo viso sorrisi beffardi, a palesare senza vergogna quelle risatine che fino a qualche minuto prima si sforzava di controllare, e a rivolgergli occhiate quasi di scherno. Nate decise di non dar peso a queste provocazioni: aveva già colto dal loro primo incontro la presunzione della sua interlocutrice, e la sua evidente convinzione di superiorità rispetto a lui. Sebbene questo fosse una rarità nelle relazioni sociali di Nate (era difficile avere a che fare con persone che avessero l'ardire di trattarlo con quella stessa ingiustificata supponenza), sapeva come non farsi scalfire dalla cosa - semplicemente perché lo reputava un atteggiamento scriteriato. Lo infastidì, nondimeno, se non altro per quella sua noncuranza nel rispettare un ruolo istituzionale.
    Ignorò il commento quanto mai fuori luogo di lei circa le ispezioni a sorpresa, ma gli fu difficile tacere alle osservazioni successive di Galathéa. « Non so se sei mai stato in un cantiere... Mi prendo la libertà di pensare di no. » « Non è importante. L'ordine resta essenziale per portare avanti le attività al meglio. » ribatté, ma sostanzialmente invano. « Non c'è modo di tenere in ordine, mi dispiace. Non è una priorità. Sai, per quel discorso che i nostri sforzi sono tutti verso la nostra comunità prima di ogni altra cosa. » Assottigliò lo sguardo. Era evidente, a quel punto, che la natura di quella conversazione era appena mutata radicalmente. Non era una sorpresa - al contrario, si aspettava un confronto anche immediato con gli abitanti del ghetto: d'altronde, come poteva biasimarli? Era consapevole di star rendendo ancora più spiacevole una situazione già di per sé terribile. Aveva tuttavia sperato di entrare in contrasto con una personalità un minimo più aperta e comprensiva di quella di Galathéa. La guardò ridacchiare beffarda e inarcare le sopracciglia con aria di superiorità, e si chiese se fosse la persona giusta a guidare un progetto del genere. Probabilmente lo era anche - era certo che avesse determinate qualità che l'avevano portata a quel punto, ma di certo non era la persona giusta a collaborare con uno come lui: e questa nozione era sufficiente.
    « No, no, niente da domandare. Un angolo per la burocrazia c'è di sicuro, nel capanno degli attrezzi, in fondo a sinistra. Ti ci troverai molto bene, sono sicura. Fa un po' freddo, ti avviso. Non so se sei abituato a certe temperature. E c'è anche la questione del disordine, che mi pare di capire che non ami... Il capanno è decisamente un caos. E chiaramente avremmo bisogno di entrare spesso, sai, per recuperare attrezzi, vasi... Ti distoglieremmo dal tuo lavoro. Forse non è l'ideale... Mh, temo che non ci siano posti che fanno al caso tuo, qui. » Inarcò un sopracciglio, senza nascondere la sorpresa nell'udire quelle parole. Più che porsi in contrasto rispetto a lui, Galathéa sembrava voler cancellare qualsiasi possibilità di intrattenere un rapporto civile. Le rivolse un sorriso calmo, a labbra strette. « Andrà benissimo il capanno degli attrezzi. Ti assicuro che il vostro lavoro non sarà per me una distrazione. Ho la grande capacità di farmi assorbire completamente dal mio lavoro. » Sostenne il suo sguardo, nella speranza che il messaggio fosse chiaro. Ho intenzione di lavorare seriamente, qui. Non mi farò intimidire da nessun tipo di ostruzionismo infantile. Su una cosa poteva concordare con lei: quel luogo non faceva al caso suo, ed era per questo che doveva impegnarsi al massimo, e far sì che anche loro facessero lo stesso, per rinnovare quella serra ed i dintorni, e se tutto fosse andato liscio dire addio al ghetto prima della primavera. Non avrebbe accettato che nessuno gli mettesse i bastoni tra le ruote. « Ma poi tutti questi controlli per una semplice serra? Sul serio? E mandano te a morirti di freddo in mezzo alle creature del ghetto, pericolose come sono? » Sospirò, lottando contro ogni istinto per non tirare la testa all'indietro in preda all'esasperazione. Un'altra cosa che la Durand sembrava voler fare era testare la sua pazienza. « Non te lo meriti di certo... Dopo un anno e mezzo al Ministero, poi! Quest'amministrazione non ha capito dove andrebbero impiegate le proprie giovani promesse... Perderesti solo tempo, qui, ti assicuro. Non c'è proprio modo di farti spostare su un altro incarico? Fossi in te mi informerei al riguardo. »
    Inclinò il capo verso destra, l'ombra di un sorriso divertito che faceva capolino sulle sue labbra. Hai finito?, sembrò volerle chiedere con lo sguardo, quando posò le iridi verdi in quelle più scure di lei. Era rimasto ad ascoltarla in silenzio, i fianchi appoggiati al tavolino e le braccia conserte. Trovò quasi buffo che, a conti fatti, fosse d'accordo con ogni cosa che la ragazza aveva appena detto: era ridicolo controllare così frequentemente i lavori di una serra, ed era ridicolo che lui fosse lì, relegato alle scartoffie e alle rogne ministeriali, dopo una laurea con lode in Magisprudenza al college di Hogsmeade. Paradossale, quasi. Ma il tono canzonatorio che aveva accompagnato le affermazioni della giovane ne mutava radicalmente il significato, e allora si ritornava al punto di partenza: una sprovveduta che, per qualche ragione, si era convinta di avere più carte in regola di Nate Douglas. Diverse cose balenarono nella mente del ragazzo, in quel momento: molte erano le cose che avrebbe voluto dire, e altrettante quelle che avrebbe dovuto tenere per sé. In quell'istante si ritrovò quasi a invidiare la persona che aveva davanti, se non altro per la libertà con cui si era espressa, pur nel suo vaneggiare. Nate non si sarebbe concesso la medesima spontaneità, nel rispetto della figura che rappresentava; questo pungeva senza dubbio più della derisione di Galathéa. Rimpicciolito nel suo ruolo di funzionario, si limitò a scuotere leggermente il capo, e a prendere un lungo respiro prima di parlare. « Io direi che io e lei ci troviamo qui per lo stesso motivo. » Nessuno dei due dovrebbe essere qui, eppure non abbiamo alternativa. C'erano tante cose che non poteva dire, ma altrettante erano quelle che poteva lasciar intendere. Non era certo che la persona che aveva davanti fosse sufficientemente scaltra da cogliere i suoi suggerimenti, ma questo è il difetto di quando non si gioca ad armi pari. « Farò modo di
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    tenere conto delle sue osservazioni, ad ogni modo. Anzi, se ha altre interessanti proposte del genere da far pervenire al Ministero, la prego di farmele avere e sarà mia personalissima cura consegnarle a chi di dovere. Il Ministero tiene moltissimo all'opinione dei residenti di Iron Garden. »
    Quelle ultime parole le pronunciò in tono atono, rivolgendo alla ragazza un'occhiata eloquente. È davvero così difficile capire che non contate più niente? Che non contiamo più niente? « Ad ogni modo... » Non avrebbe intrapreso un battibecco inutile con Galathéa Durand. Fu un'occhiata casuale in direzione di alcune piante alle spalle di lei, a ricordargli di avere portato con sé qualcosa che forse avrebbe fatto intendere alla ragazza dove stava sbagliando meglio di qualsiasi discussione. Frugò per qualche istante nella tasca dei pantaloni scuri, prima di estrarre due oggetti che lasciò cadere con una certa noncuranza sul tavolino. Le due pietre nere e ruvide scivolarono dal suo palmo e rotolarono per qualche centimetro sulla superficie liscia, sotto gli occhi della ragazza. Attese qualche secondo, il tempo che lei potesse riconoscere i due oggetti, prima di parlare. « Ho trovato tra i documenti la vostra richiesta per un Bezoar, quella che l'Ufficio Regolazione vi aveva negato qualche settimana fa. » Pronunciò quelle parole con apparente disinteresse, come se quella faccenda fosse del tutto scevra dalla loro conversazione precedente, come se si fosse ricordato dei due Bezoar per caso. « Credo che l'Ufficio l'avesse rifiutata per eccesso di zelo, probabilmente per paura che aveste intenzione di fare esperimenti con piante o pozioni velenose. » Spostò lo sguardo dalle due pietre al volto di Galathéa. « Personalmente ho ritenuto fosse importante approvare la vostra richiesta. Trovo essenziale che in una serra come questa, dove si coltivano piante, per quanto innocue, siate muniti di antidoti salvavita come i Bezoar. Gli incidenti possono capitare, ed è questione di sicurezza, prima di tutto. » Continuò a guardarla negli occhi, con eloquenza. Capisci, ora, perché non ti conviene poi tanto quest'atteggiamento? Sospirò, prima di passarsi una mano sulla fronte. « Ho bisogno della sua collaborazione attiva e seria, signorina Durand. » Farebbe bene a tutti. « Checché ne pensiate, io ho rispetto per lei e per i suoi colleghi, e per il lavoro che state svolgendo qui dentro. Pretendo che sia ricambiato. »


    Edited by stupor mundi. - 4/12/2023, 09:47
     
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    «Io direi che io e lei ci troviamo qui per lo stesso motivo.» Quindi ora ci diamo del lei, n0tò non senza una punta di compiaciuto divertimento; un gesto che rivelava la necessità dell'interlocutore di tracciare una maggiore distanza tra di loro, un registro linguistico più formale, non necessariamente gerarchico, ma ne comprese la finalità neanche troppo sottile. Ebbe la sensazione che ricorrere a quelle convenzioni di forma fosse il modo migliore che il mondo magico in generale conosceva per difendersi quando si sentiva in difficoltà. Le tornò in mente, per qualche motivo, l'esilio di Eliphas, la convocazione, quella che aveva immaginato dover essere la pacata e solenne comunicazione della congrega, la speranza che nessuno avrebbe fatto scenate – certamente Eliphas non ne aveva fatte – che tutto finisse a posto in modo ordinato e pulito. Lo vedeva anche lei, da qualche parte, che stare lì a bisticciare con l'ispettore ministeriale fosse soltanto una proiezione, un'eco di qualcos'altro, ma per quanto razionalizzasse non riusciva a sottrarvisi. «Io sono sinceramente convinta che io e lei ci troviamo qui per motivi completamente, drammaticamente diversi», asserì lentamente, il tono canzonatorio e i sorrisi di scherno spariti per fare posto ad un'espressione più contegnosa, l'attenzione della ragazza finalmente catturata sufficientemente da permetterle di rispondere con una serietà fino a quel momento non meritata. Forse Nate non era talmente stupido da non accorgersi delle sue beffe, e forse non aveva davvero pensato di poterlo manipolare così facilmente – forse voleva solo divertirsi un po', irritarlo quanto lui aveva fatto con lei, senz'altro parlando senza neanche rendersi conto delle oscenità che lasciava uscire dalle sue labbra. E cosa cercava di fare, adesso, suggerendo una comunione di condizioni, una solidarietà nelle circostanze presenti? E legata a cosa, poi? Al fatto che si fosse ritrovato a lavorare nel ghetto per conto del Ministero, nonostante evidentemente l'idea non lo entusiasmasse, invece di rivestire qualunque altro insulso ruolo avesse agognato durante gli anni di formazione? Era questa l'ingiustizia da lui subita, che lo legittimava ad accostarsi a lei, a tutti loro? Se il motivo, il fattore influenzante le loro attuali condizioni poteva essere lo stesso, tutto il resto li poneva ai capi opposti del sistema. Il motivo per cui tu ti trovi qui è che non hai abbastanza spina dorsale per alzare la testa o usarla per pensare lucidamente. O peggio: magari hai scelto consapevolmente, hai deciso che questo è giusto, è il mondo che vuoi. «Farò modo di tenere conto delle sue osservazioni, ad ogni modo. Anzi, se ha altre interessanti proposte del genere da far pervenire al Ministero, la prego di farmele avere e sarà mia personalissima cura consegnarle a chi di dovere. Il Ministero tiene moltissimo all'opinione dei residenti di Iron Garden.» E paradossalmente furono quelle parole a riempirla di un sadico piacere, profondo e squisitamente doloroso, e così sarebbe stato di lì in avanti ogni qualvolta il Ministero o chi ne faceva le veci si fosse mostrato autenticamente nelle proprie spregevoli e sincere intenzioni. Esatto. Non è tanto meglio ammetterlo, invece di presentarti davanti a noi con un copione, recitare la tua parte da buonista e finto samaritano? Non è tanto meglio così, mostrarvi in tutta la vostra gloriosa e sprezzante natura? «Ad ogni modo... Ho trovato tra i documenti la vostra richiesta per un Bezoar, quella che l'Ufficio Regolazione vi aveva negato qualche settimana fa.» Galathéa assecondò il momento presente, curiosa di capire dove il ragazzo sarebbe andato a parare, gli occhi che seguivano i suoi momenti e i sensi tesi, in ascolto. In fondo aveva pensato che l'ispettore fosse stupido, non che fosse una persona infida; mancava di senso dell'umorismo, si prendeva troppo sul serio, ma per il resto il suo unico problema, agli occhi di Galathéa, era non avere una mente propria, favorire e servire uno Stato oppressore e discriminatorio, e questo era solo sintomo di stupidità, di ignoranza. Percepì come un desiderio sinistro di scoprire che la persona che aveva di fronte, invece, potesse distinguersi quantomeno per una qualche sottile perversione. Assottigliò lo sguardo, quindi, raccogliendo una delle due pietre di Bezoar lasciate cadere sul tavolo. Una richiesta in via cautelare, uno strumento che doveva servire più come metodo difensivo per la gente di Iron Garden che non un bene che speravano o contavano di utilizzare. Di veleni, in quella serra, non se ne coltivavano: sarebbe stato stupido esporsi e correre qualunque tipo di rischio, in un posto come il ghetto, dove cominciare a farsi la lotta dall'interno poteva essere uno scenario molto più probabile di quanto si immaginasse. Le lealtà di ognuno erano riposte in se stessi o in individui rimasti fuori, liberi, e gli interrogatori dai ritmi serrati e pressanti potevano mettere chiunque nella posizione di
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    crollare – e dove crolla uno crollano tutti. No, l'antidoto serviva piuttosto a tutelare la paranoia diffusa che da Londra potessero tentare di avvelenarli, com'era già successo a Inverness, con ritrovamenti di Aconito nelle falde acquifere. «Credo che l'Ufficio l'avesse rifiutata per eccesso di zelo, probabilmente per paura che aveste intenzione di fare esperimenti con piante o pozioni velenose.» A Théa quel rifiuto, seppure l'avesse sommariamente immaginato, aveva dato le risposte che già conoscevano tutti, lì: nessuno li avrebbe tutelati. Se avessero voluto, avrebbero potuti farli fuori tutti – e sicuramente, anche qualora gliel'avessero concessa, non sarebbe stata una pietra di Bezoar a salvarli dalle decisioni del Messia. «Personalmente ho ritenuto fosse importante approvare la vostra richiesta. Trovo essenziale che in una serra come questa, dove si coltivano piante, per quanto innocue, siate muniti di antidoti salvavita come i Bezoar. Gli incidenti possono capitare, ed è questione di sicurezza, prima di tutto.» Galathéa spostò lo sguardo dalle pietre all'interlocutore, scrutandone gli occhi chiari e freddi, cercando di decifrarne le intenzioni. È un ricatto, dunque. Ecco di cosa siete capaci. Era talmente chiaro che avesse il coltello rivolto dalla parte del manico, che potesse impugnarlo in qualunque momento, e trafiggere lei così come tutti i suoi simili – eppure aveva sentito il bisogno di rimarcarlo, laddove il suo personale orgoglio era stato scalfito da qualche battuta beffarda, l'unica arma, seppur debole e sostanzialmente vana, che Théa sentiva di possedere. Divertimento finito. Questo attesta la tua piccolezza. Nient'altro. Un prepotente che richieda di essere preso sul serio con le minacce. Sostanzialmente un debole. Si domandò che cosa sarebbe stato di lui se non avesse avuto dalla propria il Ministero, se l'avesse abbandonato ogni traccia di potere con il quale fare leva sugli altri affinché ubbidissero, se insomma si fosse trovato al posto di Galathéa. Quale sarebbe stata la sua arma? «Ho bisogno della sua collaborazione attiva e seria, signorina Durand. Checché ne pensiate, io ho rispetto per lei e per i suoi colleghi, e per il lavoro che state svolgendo qui dentro. Pretendo che sia ricambiato.» Théa avanzò di un passo, il mento spinto in avanti e la pietra di Beozar fatta distrattamente roteare sul palmo della mano. «Dalle mie parti il rispetto viene guadagnato, ispettore Douglas. Non può essere comprato, né estorto.» Ormai sufficientemente vicina da poterlo guardare negli occhi a fondo, e senza interrompere quel contatto, Galathéa fece scivolare una mano sotto quella di lui, le dita fredde contro il suo palmo più caldo, deponendovi la merce di quello scambio. Il tono di voce si era fatto più sottile, ben più duro. Fece quindi un passo indietro, per tornare al proprio posto. «Non c'è niente che trovo rispettabile nel servire un Ministero senza scrupoli, crudele e buonista. Sono consapevole che ci siano forze più grandi di ciò che appare, alle spalle, ma questo non costituisce una scusante, né rende i meccanismi in gioco meno tristemente umani.» Si trattava di giochi di potere, niente di meno metafisico di così. E per quanto una warlock come lei fosse stata istruita e addestrata in modo da comprendere che c'è sempre della luce nell'oscurità, e che non esiste buio che non si insidi nel chiarore, qualunque cosmico equilibrio avrebbe dovuto essere mantenuto stava chiaramente venendo meno. E tutti ne erano complici. «Ci crede davvero, alle cose che dice? Le conosce, le condivide, le comprende? O le ripete perché si convince di non avere scelta?» Chiese, senza davvero aspettarsi una risposta – una domanda posta non tanto per sapere come ragionasse lui, ma come tutti loro, al Ministero, pensavano e decidevano. Aveva una vaga idea di che cosa stesse parlando? In fondo, lo compativa; lei, a differenza di lui, non aveva più niente da perdere, perché aveva già volontariamente dato via ogni cosa. «Avrà la mia collaborazione, il minimo indispensabile della mia personale attenzione, così come sono certa che farà lei verso di noi. Ha una casa calda a cui fare ritorno, un salario decente ad assicurarsi che abbia sempre un piatto a tavola. Ha più di quanto chiunque, qui, non riesca ad ottenere senza spaccarsi la schiena. Se lo faccia bastare.»
     
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    « Io sono sinceramente convinta che io e lei ci troviamo qui per motivi completamente, drammaticamente diversi. » In parte, quel ragionamento era corretto; la scelta delle parole azzeccata, perfino. Che ci fosse una sostanziale differenza nelle loro situazioni era indubbio: lungi da Nate mettere sullo stesso piano la realtà tragica che le Creature stavano vivendo con quella che per lui era una mera inconvenienza nel suo cursus honorum. Eppure era convinto delle sue parole: se entrambi si trovavano in quella serra, quella mattina, a occupare il loro tempo in maniera quanto meno ridicola, era semplicemente perché qualcosa era andato storto al Ministero, e loro non erano che pedine di un sistema ben più complesso e macchinoso. A volerla vedere semplicisticamente, era quello il punto, per lui: motivo per cui tanta ostinazione ai suoi occhi era del tutto fuori luogo.
    Nemmeno il dono di Nate parve scalfire più di tanto la giovane Durand: Nate non seppe decifrare le sue espressioni, ma era certo che non ne avrebbe avuto bisogno. Quando la vide avanzare nella sua direzione, con uno dei due Bezoar tra le mani, Nate la osservò incuriosito. « Dalle mie parti il rispetto viene guadagnato, ispettore Douglas. Non può essere comprato, né estorto. » Seguì i movimenti di lei, quando gli fu più vicina, accogliendo nella propria mano la pietra appena rifiutata. Assottigliò lo sguardo, senza distoglierlo dagli occhi di Galathéa. « A dir la verità, dalle mie parti la buona educazione impone il rispetto dei propri pari, a prescindere. Ma dimentico che lei è cresciuta in contesti più primitivi. » Una smorfia divertita comparve sulle sue labbra, mentre soffocava una risata leggera per quella battuta che si era concesso - a conti fatti - più per il proprio personale divertimento che per altro. Non ci credeva nemmeno, a quelle parole: non comprendeva tutto della comunità warlock, era vero, ma non aveva nemmeno la presunzione di relegarli davvero ad una comunità di selvaggi, come si stava divertendo a provocare. La nota permalosità della ragazza sull'argomento costituiva un'occasione troppo ghiotta ai suoi occhi per non replicare in quel modo, e poi studiare compiaciuto la reazione di lei. In fin dei conti mi credi già un bigotto ignorante, non è vero? Non cambia poi molto. « Non c'è niente che trovo rispettabile nel servire un Ministero senza scrupoli, crudele e buonista. Sono consapevole che ci siano forze più grandi di ciò che appare, alle spalle, ma questo non costituisce una scusante, né rende i meccanismi in gioco meno tristemente umani. » Serrò le labbra in una linea sottile, annuendo lentamente. Il messaggio della ragazza era passato egregiamente: non le importava. Forse a conti fatti non sei poi così stupida, Galathéa Durand. La guardò, un misto di fastidio e fascinazione negli occhi chiari. Forse sei solo spericolata. « Ci crede davvero, alle cose che dice? Le conosce, le condivide, le comprende? O le ripete perché si convince di non avere scelta? » Nate sostenne il suo sguardo. Che importa?, avrebbe voluto rispondere, non senza una punta di amarezza. Trovava superfluo riflettere sulla questione, in primo luogo perché non gli era concesso esprimersi, ma soprattutto perché se anche lo avesse fatto, nulla sarebbe cambiato. Non si considerava una persona senza ideali,
    Nate, né un burattino, accusa di cui forse Galathéa stava cercando di tacciarlo - semplicemente aveva imparato presto che esistevano contesti più giusti e efficaci di altri in cui spendere il proprio pensiero. Infilò entrambe le mani nelle tasche del cappotto, non prima di riporre il Bezoar su una mensola lì vicino. Volente o nolente, la ragazza avrebbe dovuto accettarlo. « Se anche avessi la facoltà di condividere le mie idee sulla questione con lei, non lo farei. Sarebbe tempo sprecato e, comunque, non sortirebbe alcun effetto. » Si strinse nelle spalle. Non aveva mai creduto nelle ribellioni, Nate, nemmeno in tempi in cui la necessità era stata più imminente. In quell'istante si ritrovò a ripercorrere un ricordo, quasi per caso. Una persona, in quella che sembrava una vita fa, di fronte all'ennesima ingiustizia del Ministero, gli aveva proposto una ribellione. Incanteniamoci alla fontana dell'atrio, facciamo qualcosa. Oggi quella stessa persona viveva in latitanza, perché ricercata per l'ennesima volta. Per lui quella non era che pura stupidità. « Avrà la mia collaborazione, il minimo indispensabile della mia personale attenzione, così come sono certa che farà lei verso di noi. Ha una casa calda a cui fare ritorno, un salario decente ad assicurarsi che abbia sempre un piatto a tavola. Ha più di quanto chiunque, qui, non riesca ad ottenere senza spaccarsi la schiena. Se lo faccia bastare. » Scoccò la lingua sul palato, concedendosi questa volta uno sbuffo esasperato. Era stanco. Si distaccò dal tavolino dal quale era appoggiato e, con un movimento di bacchetta, fece convergere tutti i documenti dentro alla sua cartelletta, che si richiuse sotto i loro occhi. « D'accordo, ce lo faremo bastare » ripeté, cantilenante, deciso a concludere la conversazione. La voleva vinta? L'avrebbe avuta vinta. Lui voleva andare a casa, tra le sue mura calde e dal suo pasto caldo, considerato che poteva, suo malgrado. « Conservi queste sue energie di sommossa per il lavoro nella serra, a questo punto. Vorrei che tutto fosse completo entro febbraio. Ci vediamo lunedì. » E buona giornata. E con quelle parole si congedò, prima di dirigersi verso l'uscita della serra. Più tardi, una volta raggiunta l'uscita di Iron Garden, gli bastò chiudere gli occhi per smaterializzarsi da quel luogo grigio e freddo e ritrovarsi nel salotto del proprio attico. Caldo e confortevole.


    Edited by stupor mundi. - 4/12/2023, 19:01
     
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