afraid of heights

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    « In questo posto c'è spazzatura ovunque. Come fanno a viverci? » « Eh, lo so. Mi hanno detto che si stanno organizzando per raccoglierla e smaltirla tutta, ma ci vuole tempo. » « Ma il Ministero non fa niente per aiutare? » « A quanto ho capito fanno finta di fare qualcosa. Mandano dei funzionari a supervisionare, ma niente di più. Per il resto, devono occuparsi di tutto i residenti. Ognuno deve avere un lavoro utile alla comunità. » « Mhm, sembra una specie di schiavismo. » Con una mano intenta a tenere il cellulare fermo contro l'orecchio, Émile camminava a passo lento per le viuzze di Iron Garden, talvolta soffermandosi su dettagli che lo colpivano talmente tanto da costringerlo a commentare con Nessie, dall'altra parte della cornetta. « Oddio Ness, là c'è una pozza di sangue. Sono sicuro al cento per cento che quello è sangue. » « Dici? » « Secondo te devo preoccuparmi dei vampiri? Si sta facendo sera... » Émile voleva con tutto se stesso non credere alle isterie e ai sensazionalismi sulle Creature che alimentava il Progetto Minerva, ma una proposizione del genere era senza dubbio molto più semplice al mattino - e non sul far della sera, con la luna piena alta nel cielo, in un luogo che pullulava di vampiri e lupi mannari. « Dici che il Ministero li rifornisce bene di Antilupo, qui? » mormorò a bassa voce, mentre camminava, un passo dietro all'altro, con estrema lentezza. « Dai Emi, ora ti stai facendo venire le paranoie. » « Mhm, forse hai ragione » ammise, imboccando una strada più ampia. Erano le otto e mezza di sera, circa, eppure il quartiere era del tutto deserto. Emi sapeva che fosse in atto una specie di coprifuoco all'interno del ghetto, ma non credeva fosse preso così seriamente. Aveva però supposto che lui, in quanto cittadino libero dello Stato Magico, non avrebbe incontrato grandi difficoltà nell'entrare all'interno del quartiere - e in effetti fin'ora così era stato. Intorno a lui c'era una desolazione quasi fastidiosa, un silenzio assordante che veniva interrotto soltanto dal rumore dei suoi passi e dal clangore metallico degli oggetti che portava in mano. « Questa roba fa un fracasso incredibile! » si lamentò a mezza voce con Nessie, mentre accennava all'enorme calderone nuovo di zecca che portava dal manico con la mano destra. All'interno, una ventina di provette di varie dimensioni, ingredienti vari ed una bilancia con una base intagliata in quercia e riporti d'oro. Tutte attrezzature di prima scelta per la Pozionistica, che aveva acquistato quel pomeriggio stesso a Diagon Alley per niente meno che un occhio della testa. Uno dei motivi per cui procedeva piano era perché voleva evitare che qualcosa all'interno del calderone si rompesse, o - peggio ancora - che il rumore svegliasse qualche arpia nelle vicinanze pronta ad attaccarlo. « Comunque, sono arrivato alla fontana vecchia. Almeno credo sia questa qui. Ora dove devo andare? » Nessie non esitò a risposndere. « Bene, sei praticamente arrivato. Ora devi solo imboccare la strada immediatamente sulla destra, ed è la seconda casa a sinistra. Non puoi sbagliare. » Quelle parole gli misero addosso una certa agitazione. Era arrivato. « Mhm, va bene. Ci sentiamo poi quando torno? » « Sì. Fammi sapere poi com'è andata quando torni. » Salutò velocemente Agnés, prima di riporre il cellulare in tasca, nel silenzio della piccola piazza deserta. I restanti metri che
    lo separavano dalla casa di Ronnie li percorse a passo svelto, ormai noncurante del rumore fastidioso che producevano il calderone e gli oggetti all'interno.
    Una volta di fronte all'abitazione, tentennò. Non c'era un citofono con un nome sopra, e le tende della piccola finestra erano chiuse, dunque era impossibile accertarsi chi vi fosse all'interno. In quel momento si chiese se forse non sarebbe stata una migliore idea anticipare la propria venuta con una chiamata, o anche solo un messaggio. Magari Ronnie già dormiva. O magari quella non era neanche casa sua, e lui aveva sbagliato a seguire le indicazioni di Nessie. C'erano un sacco di variabili, e lui forse avrebbe dovuto girare i tacchi e tornarsene indietro. Questa cosa di provare a fare ammenda poteva sempre farla un'altra volta. Oppure poteva lasciare i suoi regali lì davanti alla porta con un bigliettino.
    Sospirò pesantemente, per poi decidersi a bussare. Uno, due, tre colpi secchi con le nocche sul legno scorticato, poi un passo indietro. Attese per qualche minuto, in silenzio, prima di vedere la porta aprirsi e - sospiro di sollievo - Ronnie apparire dall'altra parte. Grazie a Dio non era la casa di un vampiro. « Ciao, Ronnie » disse timidamente, nella penombra della strada poco illuminata. « Scusa se non ti ho detto niente, volevo, uhm... » farti una sorpresa? « Sì, insomma, volevo passare per salutarti... » La verità era che Emi non si era annunciato perché aveva cambiato idea su quella visita fino alla mezz'ora prima, con Nessie al telefono che cercava di convincerlo che fosse una buona idea. Tutt'ora, con gli occhi di Ronnie puntati addosso, non capiva se avesse fatto o meno la scelta giusta. « Per te. » In mezzo a quel silenzio imbarazzante, l'unica cosa che gli parve sensata fare fu allungare nella sua direzione il calderone insieme agli altri regali. « È una cavolata... Però ho pensato che potevano servirti... » Si strinse nelle spalle. Non gli piaceva l'idea di apparire come uno che voleva comprarsi il perdono dell'amica con dei regali, ma al contempo gli sembrava carino farle sapere che l'aveva pensata, in qualche modo. Che, almeno un po', la conosceva. Alla festa di fine anno, qualche mese prima, Ronnie aveva perfino messo in dubbio la sincerità della loro amicizia, ed Emi non sapeva se questi erano ancora i suoi sentimenti. « Posso, uhm... Posso entrare? »

     
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    La vita nel ghetto non era granché diversa da quella che Veronica aveva conosciuto sin da bambina nel piccolo quartiere di Liverpool abitato dai maghi meno abbienti e da tutti coloro che - per motivi di sangue o altro - avevano sempre vissuto ai margini della società magica. Stesse case minuscole, stesso grigiore, stesso vivere di espedienti senza il privilegio di poter guardare al proprio futuro come a qualcosa che si estendeva oltre la settimana. Nessuno aveva mai osato chiamare Liverpool un ghetto, ma a conti fatti lo era sempre stato - pur se in maniera diversa. "Parte vecchia, trascurata o parzialmente abbandonata di una città, in cui vivono le persone più povere o le minoranze etniche; fig., situazione o condizione tale da circoscrivere e limitare lo sviluppo dell'attività di individui o gruppi o dequalificarne l'incidenza sociale.": è questa la definizione che l'enciclopedia dà per la parola ghetto. Non è nulla di nuovo, per alcuni di noi - quelli che sanno bene che non è una legge, ma la società cosiddetta civile, a creare un ghetto. Minerva gli ha solo dato un nome, una forma e delle specifiche più stringenti. Ma questa cosa è sempre esistita. Bastava la diseguaglianza. Bastava una società sufficientemente immobile e rigida nelle sue divisioni di classe, per creare una realtà in cui chi aveva pochi mezzi poteva difficilmente aspirare ad ottenerne di più, venendo sistematicamente spinto in ambienti urbani di cui nessuno si curava. Ricordava ancora bene, Veronica, quando durante le vacanze di Pasqua di un duemiladiciassette che adesso sembrava incredibilmente lontano, aveva origliato per sbaglio una conversazione a tarda notte tra i genitori. « Non lo so, Arlo, e se fosse l'ennesima cometa? Lo sai come vanno queste cose. Ogni tot anni arriva una faccia nuova che ci promette qualcosa.. ma guardaci: siamo ancora qui, o sbaglio? » « È diverso. Gene giù alla fabbrica è stato ai loro incontri e ha giurato di non aver mai visto nulla di simile. Lo conosci: non è uno che abbocca facilmente. Per Merlino, è lo stesso che ha strappato la tessera elettorale dopo il voltafaccia dei liberali! Credo sia seriamente la chance migliore che abbiamo per ribaltare le condizioni di questo gioco del cazzo che ci tiene qui da generazioni. » Aveva fatto una pausa, Arlo, chiudendo la porta della cucina per accertarsi che la sua voce venisse sentita ancor meno. Aveva funzionato, per lo più, ma i muri erano sottili nella casupola dei Rigby, e la piccola di casa era riuscita comunque a cogliere qualche parola che non aveva del tutto compreso, all'epoca. « Non --- partito. Questo --- Co-- sta me--- rivoluzione. » Lì per lì, a soli quattordici anni e con ben altre preoccupazioni per la testa, la piccola Grifondoro non aveva dato troppo peso a quelle parole. Aveva capito più o meno di cosa potessero parlare, o quale fosse l'obiettivo, ma di certo non avrebbe potuto immaginare che quella sera i suoi genitori stessero decidendo di unirsi ad un'organizzazione segreta che avrebbe dato battaglia al Ministero. Col tempo lo avrebbe capito - lo avrebbe visto con i propri occhi. Arlo e Vanessa avevano scelto di credere in Byron Cooper perché era uno di loro, perché parlava la loro lingua, perché aveva capito che giocare secondo le regole non era possibile se le regole erano scritte da avversari che le cambiavano costantemente per agevolarsi. Ma forse anche lui, alla fine, è stato una cometa. D'altronde eccomi qui. E loro, lui compreso, dove sono? Ad Azkaban. Forse è semplicemente un gioco che siamo destinati a perdere. Forse una via di fuga non può esistere. Anche quella sera, come tante altre, la giovane Rigby si ritrovava da sola a riflettere mentre la bacchetta muoveva i fili invisibili dei piatti a lavare nel lavello del minuscolo cucinotto ad angolo. Mia usciva spesso per andare al Pulse, e nel silenzio del piccolo appartamento i pensieri della giovane si amplificavano in considerazioni che univano il passato e il presente con sottili fili rossi su cui non aveva mai avuto modo prima d'ora di fermarsi a riflettere lucidamente. La realtà di Iron Garden l'aveva portata a vedere la sua vita come un grosso gioco dell'oca: per tutti quegli anni era avanzata di casella in casella, tirando i dadi, sperando nella sorte, illudendosi ad ogni passo di essere più vicina alla meta, solo per poi essere rispedita direttamente all'inizio del gioco. Forse avrebbe potuto evitarlo. Non era una creatura, né aveva un legame vero e proprio con i ribelli al di là della parentela. Ma a quel punto dubitava che gente come lei avesse mai davvero una scelta - che potessero aspirare a vincere il gioco. O forse potevano, quelli che erano disposti a pagarne il prezzo e voltare le spalle a tutti gli altri.
    Sussultò, interrotta nei suoi pensieri da un rumore di nocche alla porta. Istintivamente interruppe l'incantesimo sui piatti, avvicinandosi alla porta a passi felpati, con la bacchetta ben stretta in pugno. Non era abituata a ricevere visite a quell'ora, e nonostante la cosa più plausibile era che si trattasse di un vicino di casa, non poteva comunque escludere che un qualche Auror non avesse deciso di fare un'ispezione a sorpresa. Tecnicamente parlando, Mia doveva essere coperta, ma di garanzie vere e proprie non ne avevano nessuna, così avevano pattuito che se qualcuno fosse venuto a ficcare il naso, se ne sarebbe occupata Ronnie. Solo che non si aspettava sarebbe mai davvero successo, quindi così tanto preparata non lo era. Già solo il fatto che la sua prima scelta fosse impugnare la bacchetta la diceva lunga. Avvicinatasi a passi felpati alla porta gettò un'occhiata circospetta dallo spioncino. La sua espressione contratta si rilassò istantaneamente e, rimessa la bacchetta nella fondina, aprì la porta. « Ciao,
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    Ronnie »
    Non vedeva Emi da ormai parecchio tempo, da quando si erano incrociati nel caos dell'attacco alla scuola. Ovviamente non si era stupita di non trovarlo tra gli abitanti del ghetto, ma non poteva dire nemmeno che si aspettasse di trovarlo alla sua porta per una qualunque altra ragione. Beh, almeno sei venuto. Hai già più spina dorsale di altri. « Ehi. Che ci fai qui? » disse, un po' sostenuta, nel ricordarsi che in ogni caso avevano litigato. « Scusa se non ti ho detto niente, volevo, uhm... Sì, insomma, volevo passare per salutarti... » Inarcò un sopracciglio. Suonava quasi ironico quel "volevo passare per salutarti", come se il luogo in cui Veronica si era ritrovata ad abitare gli fosse di strada nel tragitto tra casa e il supermercato. Un quartiere come tutti gli altri. « Per te. » Abbassò lo sguardo sull'oggetto che Emi le parò davanti: un calderone, contenente vari materiali e ingredienti da far scintillare gli occhi a qualunque appassionato di pozionistica come Veronica. Inutile dire che per contenere l'entusiasmo a quella vista fu necessario per lei fare appello a tutte le forze che aveva in corpo. Se già di norma le sue finanze le avevano sempre reso difficile accedere a materiali di qualità, adesso, ad Iron Garden, se li poteva solo sognare. « È una cavolata... Però ho pensato che potevano servirti... » Si schiarì la voce, sollevando il mento per mantenere quell'aria un po' sostenuta. « Non dovevi, ma ti ringrazio. Tornano sempre utili queste cose. » Provava sempre un certo imbarazzo nell'accettare i regali, specialmente quelli di cui sapeva di aver bisogno. Le condizioni di vita a cui era abituata l'avevano resa orgogliosa, incapace di leggere i pensieri altrui nei suoi confronti come qualcosa di diverso da carità e pietà. Sapeva che le ragioni di Emi fossero probabilmente diverse, ma le riusciva comunque difficile scacciare via quel sentimento che l'aveva sempre accompagnata sin da bambina. « Posso, uhm... Posso entrare? » Non disse molto. Semplicemente aprì un po' più la porta, facendogli cenno col capo di seguirla all'interno prima di scansarsi di lato e lasciarlo passare. « È un po' in disordine, non farci caso. » disse, richiudendosi la porta alle spalle e facendo ripartire il lavaggio dei piatti con un colpo di bacchetta. Non appena il ragazzo mise piede nell'appartamento, dalla stanza di Mia partì subito in quarta Kei, il doberman dell'amica, che si precipitò nell'ingresso abbaiando a più non posso in direzione dell'estraneo. « Shh. Buono, Kei, buono. Lo conosco. » Fece presa sul collare del cagnolone, senza tirarlo, ma tenendolo abbastanza fermo da evitare che andasse subito addosso ad Emi, a cui lanciò un'occhiata. « Tranquillo, non ti fa nulla. È il classico cane che abbaia ma non morde. Solo che non si fida molto degli estranei.. specialmente di sesso maschile, a quanto pare. » Mia le aveva raccontato brevemente la storia di Kei, e non c'era da biasimarlo. Ormai era diventato uno di famiglia anche per Ronnie, che se lo coccolava ad ogni occasione, dandogli spesso qualcosa dal proprio piatto quando lui la fissava durante i pasti. Al cagnolone bastò infatti qualche carezza per tranquillizzarsi, accucciandosi comunque nell'ingresso, con lo sguardo ben puntato su di loro. Una volta calmato, l'ex Grifondoro tirò un sospiro, raggiungendo l'amico. « Non è un museo, puoi sederti dove ti pare. » Gesticolò sbrigativamente ad indicare l'ambiente, dove si trovavano giusto un paio di sedie e un piccolo divano piuttosto consumato. Dalla sua, Ronnie tirò a sé una delle prime, mettendovisi a sedere sopra a gambe incrociate. Per qualche istante non disse nulla, tamburellando le dita sulla superficie del tavolo - gli occhi puntati verso la finestrella che affacciava solo sul muro del palazzo adiacente, sin troppo vicino. Poi di colpo schioccò la lingua contro il palato, riportando lo sguardo all'amico. « Lo sai che non giro intorno alle cose, Emi. E onestamente al momento ho troppi pensieri per giocare a nascondino su questioni che - diciamocelo - sono delle bambinate. » Perché eravamo poco più che bambini quando sono nate, e come bambini le abbiamo gestite in tutti questi anni. « Io ci sono rimasta male perché mi hai detto una cazzata. Punto. Più di una, in realtà. Pensavo avessimo un certo tipo di rapporto e poi mi hai fatto sentire come una cretina. E non volevo - non voglio - che anche Nessie si senta così. » Fece una pausa. « Avrai avuto i tuoi motivi. A questo punto non so nemmeno se abbia senso scoperchiarli. Voglio solo che tu sia molto onesto con me e mi dica quale, esattamente, sia il mio ruolo e il mio peso nella tua vita. Così che anche io possa adeguarmi di conseguenza. Tutto qui. »

     
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    « Non dovevi, ma ti ringrazio. Tornano sempre utili queste cose. » Émile sorrise, incapace di nascondere quella punta di soddisfazione che attraversava la sua espressione, mentre faceva il proprio ingresso nella piccola dimora della ragazza. Sei dentro senza che ti abbia preso a calci. È già un buon inizio. « È un po' in disordine, non farci caso. » Si guardò intorno, curioso: a lungo si era domandato a che tipo di alloggi fossero destinati gli abitanti di Iron Garden, se davvero come si diceva fossero costretti a condizioni di vita pessime e degradanti, o se quelle fossero tutte dicerie. Per quanto Agnés lo avesse preparato, l'ambiente spoglio e un po' fatiscente riuscì a sorprenderlo ugualmente. Il suo curiosare fu interrotto improvvisamente da un forte abbaiare, che costrinse il giovane a spostare l'attenzione dalle pareti scrostate alla fonte del rumore, ai propri piedi. Gli occhi nocciola s'illuminarono quando vide l'animale. « Shh. Buono, Kei, buono. Lo conosco. » Istintivamente, Emi allungò una mano in direzione del cane, nel tentativo di accarezzarlo. Era più forte di lui, ogni qualvolta vedeva un animale non riusciva a stargli lontano. « Kei? Ti chiami Kei? Ma sai che sei bellissimo? » si complimentò, ed il suo palmo stava per raggiungere cautamente il muso dell'animale, prima di venire respinto da un ringhio per nulla accogliente. « Okay, come non detto. » Il giovane ritrasse la mano, riponendola nella tasca dei pantaloni. Capì che non era il caso di forzare la mano. « Tranquillo, non ti fa nulla. È il classico cane che abbaia ma non morde. Solo che non si fida molto degli estranei.. specialmente di sesso maschile, a quanto pare. » Un sorriso mesto apparve sulle labbra del Tassorosso, mentre seguiva i movimenti del cane e lo guardava adagiarsi sull'uscio. « Non è un museo, puoi sederti dove ti pare. » « Oh, sì, scusa » fece allora, vagamente imbarazzato, prima di trascinare una delle sedie di legno verso di sé ed accomodarvisi. « È... mhm, carino qui. » Era difficile celare il proprio disagio. Il suo intento non era quello di mentire apertamente: in fin dei conti, per quanto quella stanzetta fosse angusta e mal combinata, era evidente il tocco femminile di Ronnie e Mia, le quali erano riuscite comunque a creare un'atmosfera quanto meno accogliente, malgrado le condizioni. Calò di nuovo il silenzio, mentre Émile prendeva a torturarsi la zip della felpa, facendole fare su e giù, visibilmente a disagio. Aveva trascorso tanto di quel tempo a preoccuparsi sull'eventualità in cui Ronnie gli avrebbe sbattuto la porta in faccia senza farlo entrare in casa che, ora che era seduto di fronte a lei, non sapeva da dove cominciare. Fortunatamente per lui, l'intraprendenza della Rigby non si fece attendere nemmeno in questo caso. « Lo sai che non giro intorno alle cose, Emi. E onestamente al momento ho troppi pensieri per giocare a nascondino su questioni che - diciamocelo - sono delle bambinate. » Senza nemmeno battere ciglio, annuì di risposta, un cenno del capo secco e deciso, come quello di un bambino che si affretta a concordare con la maestra. Veronica aveva
    sempre esercitato quella particolare aura su di lui, come se sotto il suo sguardo giudicante si sentisse in dovere di rigare dritto. « Io ci sono rimasta male perché mi hai detto una cazzata. Punto. Più di una, in realtà. Pensavo avessimo un certo tipo di rapporto e poi mi hai fatto sentire come una cretina. E non volevo - non voglio - che anche Nessie si senta così. Avrai avuto i tuoi motivi. A questo punto non so nemmeno se abbia senso scoperchiarli. Voglio solo che tu sia molto onesto con me e mi dica quale, esattamente, sia il mio ruolo e il mio peso nella tua vita. Così che anche io possa adeguarmi di conseguenza. Tutto qui. » Incrociò le braccia sul tavolo che li separava, mentre un sospiro leggero sfuggiva alle sue narici. Per quanto gli facesse male sentire quelle riflessioni, e notare le incomprensioni e le crepe che aveva provocato nella loro amicizia, si sentì comunque grato che Ronnie fosse disposta a parlarne apertamente. Se non altro, quello era un segnale di buona disposizione, apertura al confronto. Sicuramente meglio di qualcun altro. Perciò decise che sarebbe stato onesto, per quel che poteva: perché Ronnie meritava la sua sincerità, e delle spiegazioni.
    Si schiarì la gola, le dita incrociate sul tavolo che giocherellavano tra loro, per aiutarsi nella concentrazione. « Sì beh, io innanzi tutto sono venuto perché ti devo delle scuse. Per come mi sono comportato alla festa quest'estate, ma in generale per tutto. Per averti mentito e non essere stato sincero sin da subito. » Si strinse nelle spalle, prima di emettere un profondo sospiro. Okay, il primo dente è andato. « Se devo essere sincero, la cosa che più mi è dispiaciuta di tutta questa situazione è averti fatto dubitare della nostra amicizia. Che... Che tu sia arrivata a pensare che per me non abbia mai avuto significato. » Sfregò le mani tra loro rapidamente, un gesto istintivo per provare a riscaldarsi un poco. « Quindi ora proverò a chiarire le cose. » E partiamo dall'inizio. La freddezza con cui Ronnie aveva parlato l'aveva colpito ma, più di tutto, era stata la natura della sua richiesta a sorprenderlo. Voglio che tu mi dica quale esattamente sia il mio ruolo e il mio peso nella tua vita. Émile si ripeteva quelle parole nella testa, mentre cercava di mettere ordine tra pensieri e ricordi. Non era facile attribuire a Ronnie un ruolo univoco nella propria vita. « Prima che ti raccontassi quella cazzata, al quarto anno, io e te non parlavamo nemmeno tanto. » Eri la migliore amica del mio migliore amico, tutto ciò che avevamo in comune era Otis. « Ricordo che mi facevi pure un po' di antipatia a pelle » Rise, scuotendo leggermente il capo. « Poi però mi sono inventato quella cazzata - tutto perché dovevo tenere Otis all'oscuro di alcune cose che facevo con degli amici la notte » Annuì, convinto: più sincero di così non avrebbe potuto essere. Non poteva fare menzione del Clavis, ma non ci era nemmeno andato così vicino prima d'ora. « Lui una sera mi ha messo alle strette e io, nel panico, mi sono inventato quella scusa balorda che eri la mia fidanzata segreta. » Una risata amara sfuggì dalle sue labbra, come di scherno alle scelte avventate di quel quattordicenne immaturo. « E così ho trascinato anche te nel mio caos di bugie. Però da quel momento siamo diventati amici, io e te. E tu all'inizio hai frainteso tutto, ma nel farlo hai capito qualcosa di me prima ancora che la capissi io. » Ricordava ancora l'assurdità di quella conversazione. Oddio, Veronica è convinta che mi piacciano i ragazzi, pensava. Che cosa assurda, come ha fatto a pensarlo. « E col tempo quella che era nata come una bugia gigantesca è diventata pian piano un angolo di sicurezza, per me. » Per una strana scelta del caso, o forse del destino, Veronica era stata la prima persona ad avere un'idea più definita della sessualità di Emi, argomento che lui non aveva mai amato approfondire con i propri coetanei. Quelle circostanze avevano quindi creato per lui una specie di safe space, laddove l'apertura mentale e la comprensione dell'amica l'avevano fatto sentire, per la prima volta, accettato. Giusto. Sospirò. « Però l'ho fatto a spese tue. E questo non è stato giusto. » Scosse piano il capo, mentre tamburellava con i polpastrelli sulla superficie liscia del tavolo. « Per me, però, sei sempre stata questo, Ronnie. Un'amica importante - fondamentale. Anche se la nostra amicizia è nata da una mia idiozia, sono contento di averla fatta. » Non sono contento di avervi continuato a mentire per tutti questi anni, ma quella è un'altra storia. « L'anno scorso mi ero pure preso una cotta scema per te, dopo la festa del Secret Santa. » Ridacchiò a quella confessione che riteneva innocente, non senza distogliere lo sguardo dagli occhi scuri di lei, con una punta d'imbarazzo. Gli aveva chiesto di essere sincero, però, di rivelarle la natura del loro rapporto, e a questo punto glielo doveva. « Poi quest'ultimo anno invece è andato un po' così... A me la situazione dei Ribelli a Hogwarts ha stressato di brutto. Non sapevo che fare. I miei mi mettevano pressione perché tornassi a casa, e d'altronde io con i Ribelli non mi sono mai sentito al sicuro - per questo ho deciso di andarmene. » Sospirò. « E così abbiamo smesso di parlarci, io e te, Otis, e tutti gli altri. Forse perché era un momento delicato per tutti, forse perché non siamo riusciti a separare le visioni politiche dalle nostre amicizie - non lo so perché, ma è andata così. » E stiamo ancora qui a subirne le conseguenze. « Quando sono tornato a Hogwarts, speravo che le cose tra noi potessero tornare com'erano prima, ma evidentemente la facevo troppo facile. » Rise piano, facendo spallucce. Non voleva addossare la colpa di quella situazione a nessuno, la sua era semplicemente una constatazione: in fondo, avevano tutti loro vissuto una situazione del cazzo, sarebbe stato inutile cercare dei colpevoli. « E poi non lo so... La solitudine mi ha dato un po' alla testa, e lo studio per i MAGO mi ha dato il colpo di grazia. Praticamente sono arrivato alla festa di fine anno che non ero più in me. Dico questo non per discolparmi - ma voglio che tu sappia che certe cose che ho detto quella sera non le penso davvero. Io voglio che siamo amici. Tu sei importante per me, Ron. E mi manca passare del tempo con te. Spero tu possa credermi. »
     
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    « Sì beh, io innanzi tutto sono venuto perché ti devo delle scuse. Per come mi sono comportato alla festa quest'estate, ma in generale per tutto. Per averti mentito e non essere stato sincero sin da subito. Se devo essere sincero, la cosa che più mi è dispiaciuta di tutta questa situazione è averti fatto dubitare della nostra amicizia. Che... Che tu sia arrivata a pensare che per me non abbia mai avuto significato. Quindi ora proverò a chiarire le cose. » Annuì piano, senza dire nulla. Voleva lasciarlo parlare e dire tutto ciò che aveva da dire. Nel mentre, tuttavia, fece roteare la bacchetta per richiamare a sé due tazze, due bustine di tè e la grossa bottigliona in cui tenevano l'acqua potabile. Preparò il tutto con l'ausilio della magia, portando l'acqua alla giusta temperatura e lasciando cadere le due bustine nella tazza. « Prima che ti raccontassi quella cazzata, al quarto anno, io e te non parlavamo nemmeno tanto. » In attesa che il tè si facesse, la giovane Rigby portò i piedi sulla sedia, abbracciandosi le gambe al petto e poggiando il mento sulle ginocchia, con lo sguardo fisso sul viso di Emi in completo ascolto. « Ricordo che mi facevi pure un po' di antipatia a pelle » Inarcò un sopracciglio, alzando appena gli occhi al soffitto, senza tuttavia dire niente. « Poi però mi sono inventato quella cazzata - tutto perché dovevo tenere Otis all'oscuro di alcune cose che facevo con degli amici la notte. » Scusa ma cosa facevi con gli amici la notte? La tentazione di chiederglielo era forte, ma non voleva deviare il discorso di Emi, e forse dopo anni non aveva nemmeno senso interrogarsi su quale fosse questo grande mistero che lui doveva custodire. Che semplicemente non fossero affari suoi, questo nemmeno le solcò la mente. Perché lo sono, nel momento in cui mi ci metti indirettamente in mezzo. Ma d'altronde, cosa mai poteva aver fatto Emi a quei tempi? Qualche incontro notturno di black market? Dubitava che avesse chissà quali scheletri nell'armadio. « E così ho trascinato anche te nel mio caos di bugie. Però da quel momento siamo diventati amici, io e te. E tu all'inizio hai frainteso tutto, ma nel farlo hai capito qualcosa di me prima ancora che la capissi io. E col tempo quella che era nata come una bugia gigantesca è diventata pian piano un angolo di sicurezza, per me. Però l'ho fatto a spese tue. E questo non è stato giusto. » Sospirò, usando l'alibi di dare un'occhiata all'orologio per distogliere lo sguardo da quello dell'amico. « Per me, però, sei sempre stata questo, Ronnie. Un'amica importante - fondamentale. Anche se la nostra amicizia è nata da una mia idiozia, sono contento di averla fatta. L'anno scorso mi ero pure preso una cotta scema per te, dopo la festa del Secret Santa. » « Quanto sei cretino Emi. » Quel commento, pronunciato bonariamente, non riuscì a trattenerlo, sbottando in una mezza risata prima di scuotere il capo tra sé e sé. Sei proprio scemo. Scemo come tutti i maschi. E sono ancora più scema io che mi stupisco ogni volta di quanto voi siate scemi. « Poi quest'ultimo anno invece è andato un po' così... A me la situazione dei Ribelli a Hogwarts ha stressato di brutto. Non sapevo che fare. I miei mi mettevano pressione perché tornassi a casa, e d'altronde io con i Ribelli non mi sono mai sentito al sicuro - per questo ho deciso di andarmene. » Su questo, Veronica si ammutolì, mordendosi l'interno delle guance mentre le sopracciglia si corrugavano leggermente. Non aveva mai parlato in maniera diretta con Emi di queste cose, ma immaginava che lui potesse intuire la sua scuola di pensiero - un po' per ovvia associazione con la famiglia, un po' per la scelta che aveva fatto nel vivere lì, e un po' perché magari ne aveva parlato con Otis. Quando Emi aveva deciso di andarsene, Veronica c'era rimasta male. E lo stesso aveva provato anche alla partenza di Nessie. Razionalmente capiva i loro motivi, sforzandosi di essere il più possibile comprensiva nei confronti dei punti di vista altrui. Ma dentro di sé non riusciva comunque ad abbinare le persone a cui voleva così tanto bene con quelle che trovavano semplice ignorare tutte le profonde ingiustizie che si erano susseguite. E mi direte che ce ne sarà sempre qualcuna. Che la nostra società è strutturata in maniera tale che per vincere, qualcuno debba necessariamente perdere. Io tra i perdenti ci sono nata, quindi immagino che per non ci sia altra scelta. Mentre voi il lusso di scegliere cosa vi tocca e cosa no ce l'avete sempre avuto. Ma a parti inverse non proveresti lo stesso amaro in bocca, Emi? Quelle considerazioni sembrarono incupirla appena. Se quello era ciò che pensavi allora, quando il target erano quasi esclusivamente i lycan, cosa pensi adesso invece? Ti senti al sicuro, così? « E così abbiamo smesso di parlarci, io e te, Otis, e tutti gli altri. Forse perché era un momento delicato per tutti, forse perché non siamo riusciti a separare le visioni politiche dalle nostre amicizie - non lo so perché, ma è andata così. Quando sono tornato a Hogwarts, speravo che le cose tra noi potessero tornare com'erano prima, ma evidentemente la facevo troppo facile. » Stirò le labbra in una linea che solo approssimativamente ricordava un sorriso, trascinata da una certa amarezza mentre annuiva piano. « E poi non lo so... La solitudine mi ha dato un po' alla testa, e lo studio per i MAGO mi ha dato il colpo di grazia. Praticamente sono arrivato alla festa di fine anno che non ero più in me. Dico questo non per discolparmi - ma voglio che tu sappia che certe cose che ho detto quella sera non le penso davvero. Io voglio che siamo amici. Tu sei importante per me, Ron. E mi manca passare del tempo con te. Spero tu possa credermi. » Gli occhi color nocciola della Grifondoro rimasero per qualche istante fermi in quelli del
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    ragazzo. « Ti credo, Emi. » disse breve, sottolineando il tutto con un cenno sicuro del capo. Forse un po' troppo riassuntiva dopo tutto ciò che lui le aveva appena detto. Ma Veronica aveva bisogno di pensare, e soprattutto di scendere a patti con le contraddizioni che sentiva dentro di sé. Senza dire nulla poggiò a terra prima un piede e poi un altro, togliendo i due filtri dalle tazze e portandoli al secchio della spazzatura. Tutte cose che avrebbe potuto fare con la bacchetta, come prima, ma che voleva fare forse per riempire il tempo e darsi modo di riflettere. Si avvicinò anche alla credenza per prendere lo zucchero, poi due cucchiaini, e una volta tornata al tavolo allungò una delle due tazze e la relativa posata in direzione di Emi. Continuò a non dire nulla anche quando versò due cucchiaini rasi di zucchero nella propria, mescolando lentamente il tutto e soffiandovi sopra in attesa che si stiepidisse. Attese di prendere un primo piccolo sorso, prima di far scioccare la lingua sul palato. « L'ho capito che le tue scuse sono sincere. E quindi le accetto. » iniziò, decisa ad affrontare quella matassa un poco alla volta. Quindi partiamo con le cose semplici. « Dalla mia, ti chiedo scusa per essere scoppiata in quel modo alla festa. È stato infantile. Avrei dovuto prenderti da parte e parlarne in privato come stiamo facendo ora, senza renderlo un teatro e costringerti a fare coming out con tutti. » Sospirò. Si era sentita male quando la storia aveva preso quella piega. Certo, non poteva sapere cosa ci fosse sotto, ma proprio per questo non avrebbe nemmeno dovuto partire come un toro in carica e dare inizio a un vero e proprio linciaggio pubblico. « So di non avere scuse per quel comportamento - solo motivazioni che non mi giustificano. Ma per quel che vale.. me ne sono pentita sul serio. » Gli lanciò un'occhiata, sperando che lui potesse cogliere la sincerità nelle sue parole. Era piuttosto raro che Veronica ammettesse un errore, orgogliosa com'era, ma in quel caso sapeva di non avere alcun alibi dietro il quale coprirsi. « E sinceramente, anche a me manca la nostra amicizia. » Fece una breve pausa, stirando un sorriso un po' intristito. « Mi manca ciò che eravamo, Emi. Io, te, Otis.. gli altri. La leggerezza. Gli scorni stupidi. » Mi manca quella vita. Perché alla fine il punto era sempre quello, no? Che a creare barriere non era quasi mai la volontà o la mancanza d'affetto, ma le strade che si prendevano quando ciascuno era libero di fare le proprie scelte. Eravamo diversi, dentro Hogwarts. Tutto il nostro mondo era racchiuso in quelle quattro mura, e al loro interno dovevamo tornare - che ci piacesse o meno. Tutte le nostre idee erano solo quello: idee. Opinioni che abbracciavamo nella confortante sicurezza che non contassero nulla lì dentro. Che ci saremmo comunque ritrovati lì, tutti sulla stessa barca. « Se potessi tornare indietro e rivivere d'accapo tutto ciò che abbiamo condiviso, anche le cazzate che abbiamo fatto, lo farei. » Si strinse nelle spalle, un movimento veloce. « Ma non si può. E non perché provi rancore per le bugie, o perché non ti voglia più bene. Te ne voglio. Ma Emi.. guardiamo in faccia la realtà: tu stasera uscirai di qui, andrai a dormire nel tuo letto caldo e ti addormenterai sereno sapendo che domani sarà un altro giorno pieno di possibilità. » Magari non te ne rendi nemmeno del tutto conto, perché lo dai per scontato. Ma non lo è. Non per tutti. « Io invece rimarrò qui. A illudermi che prima o poi non sarò costretta ad abbandonare gli studi perché semplicemente non ce la faccio a fare tre lavori e frequentare il college contemporaneamente; non ce la faccio a comprare i materiali scolastici a mio fratello, mettermi in tavola qualcosa da mangiare, e finanziare anche i miei di studi. » Gli occhi della Rigby si fecero più lucidi, portandola a nascondere quelle emozioni dietro un veloce sorso di tè, con mani tremanti. Non aveva mai espresso quella sua paura ad alta voce, forse nel terrore che prendesse una forma troppo concreta - che quel suo lottare contro il destino e contro la condizione da cui era partita si rivelasse di fatto inutile. « E se dovessi scegliere di essere tua amica, di tornare a passare del tempo con te, dovrei automaticamente scegliere di fingere. Di vederci per un caffè e parlare di qualcosa che non sia troppo scomodo per entrambi. Qualcosa che per me non ha alcuna importanza, ma che non ci faccia litigare. Dovrei farmi andare bene che a te, sì, dispiaccia.. ma fino ad un certo punto. Perché alla fine la tua vita è bella anche così e non avresti motivo di metterla in discussione per del semplice affetto. » Non era arrabbiata. Forse aveva accettato, dopo tanto tempo e innumerevoli discussioni con svariate persone, che non fosse possibile costringere le persone a vedere la vita come la vedeva lei. Non era nemmeno giusto, a dirla tutta. « E non te ne faccio una colpa. È umano, aggrapparsi a ciò che si ha. Ma cosa possiamo condividere a questo punto? Di vero, di sufficiente a poterla chiamare amicizia, cosa ci rimane? Quando le persone che non ti facevano sentire al sicuro sono ad Azkaban, ma sono le stesse che mi hanno messa al mondo e per cui sarei disposta a minacciare a mia volta la tua sicurezza.. come pensi che questa contraddizione sia risolvibile? » È questa la differenza, Emi. Per te sono opinioni politiche. Per me è l'amara realtà, la vita che devo vivere tutti i dannati giorni. E questo ci pone automaticamente nella posizione in cui per te, fingere è facile - forse anche auspicabile -, mentre per me non lo è. Perché mi ricorda che il mondo non è diviso in vittime buone e carnefici maligni, ma in attori e spettatori. E allo spettatore la recita alla fine può piacere o non piacere, ma rimarrà comunque a guardarla. Prese un lungo respiro, scrollando leggermente le spalle prima di prendere un sorso di tè. « Non mi devi rispondere. Non sto cercando di metterti in difficoltà o alle strette. Vorrei solo che ci pensassi.. e capissi anche la mia, di posizione. »

     
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    « Ti credo, Emi. L'ho capito che le tue scuse sono sincere. E quindi le accetto. » Quando sentì pronunciare quelle parole, fu come se il peso di un'incudine venisse sollevato dal suo petto. Visibilmente rincuorato, gonfiò il petto per emettere un sospiro sonoro, tanto che Kei, raggomitolato accanto alla porta, commentò con un ringhio sommesso. « Non hai idea di quanto mi faccia piacere » commentò, rivolgendole un sorriso sincero. Aveva combinato un bel po' di casini, nell'ultimo anno, Emi; avrebbe dovuto ancora risolverne un paio, ma il pensiero che Veronica non lo odiasse più lo faceva già sentire molto, molto più leggero. « Dalla mia, ti chiedo scusa per essere scoppiata in quel modo alla festa. È stato infantile. Avrei dovuto prenderti da parte e parlarne in privato come stiamo facendo ora, senza renderlo un teatro e costringerti a fare coming out con tutti. So di non avere scuse per quel comportamento - solo motivazioni che non mi giustificano. Ma per quel che vale.. me ne sono pentita sul serio. » Le rivolse un sorriso mesto, di riconoscenza. Per quanto fosse consapevole di essere nel torto, il ricordo di quella serata, e dell'umiliazione subita di fronte a tutti i suoi compagni, pungeva ancora, tanto fa fargli arrossire le guance e sudare i palmi delle mani. « Grazie » disse semplicemente, abbassando il capo in leggero imbarazzo. « E sinceramente, anche a me manca la nostra amicizia. Mi manca ciò che eravamo, Emi. Io, te, Otis.. gli altri. La leggerezza. Gli scorni stupidi. » « Anche a me » ribatté subito, non senza notare l'evidente tristezza negli occhi di lei. Era strano, parlare di quelle cose, ripensare a quei momenti di serenità a Hogearts, mentre stavano seduti a quel tavolino sbilenco, in quella stanzetta piccola, in quel posto fatiscente. Come se stessero parlando di un'altra vita, o di un sogno condiviso. E invece era appena qualche anno fa. « Se potessi tornare indietro e rivivere d'accapo tutto ciò che abbiamo condiviso, anche le cazzate che abbiamo fatto, lo farei. » C'era una strana tensione nell'aria, qualcosa per cui Emi non riusciva davvero a sentirsi a proprio agio. Aveva ottenuto ciò che voleva, Veronica l'aveva perdonato, teoricamente avrebbe dovuto fare i salti di gioia: eppure, mentre lei parlava, ed il giovane ne scrutava più attentamente l'espressione, sentiva quell'incudine calare di nuovo sul suo petto, lentamente, grammo dopo grammo, una specie di delusione annunciata. « Ma non si può. » Una parte di lui fu sorpresa di udire quelle parole, l'altra le attendeva come si attendono le cattive notizie, con l'angosciosa trepidazione di chi non sa ancora quale tragedia aspettarsi. « E non perché provi rancore per le bugie, o perché non ti voglia più bene. Te ne voglio. Ma Emi.. guardiamo in faccia la realtà: tu stasera uscirai di qui, andrai a dormire nel tuo letto caldo e ti addormenterai sereno sapendo che domani sarà un altro giorno pieno di possibilità. Io invece rimarrò qui. A illudermi che prima o poi non sarò costretta ad abbandonare gli studi perché semplicemente non ce la faccio a fare tre lavori e frequentare il college contemporaneamente; non ce la faccio a comprare i materiali scolastici a mio fratello, mettermi in tavola qualcosa da mangiare, e finanziare anche i miei di studi. » L'ascoltava senza quasi fiatare, le braccia incrociate sulla superficie del tavolo e l'espressione assorta. Sebbene fosse consapevole delle difficoltà di chi abitava nel ghetto, certe cose non avrebbe potuto immaginarle. Non immaginava che Ronnie fosse costretta a fare tre lavori, o che stesse seriamente considerando l'idea di abbandonare gli studi. Non fino a questo punto. Abbassò lo sguardo, a quel punto, incapace di sostenere ulteriormente quello di lei, mentre le guance avvampavano per la vergogna. Si sentiva un verme, talmente abituato ai propri privilegi e ai propri problemi idioti da non accorgersi di quello che stava succedendo veramente nella vita della sua amica, tanto da pensare che uno stupido calderone e qualche altra stronzata comprata a Diagon Alley l'avrebbe fatta star meglio. E invece non riesce neanche a comprare i libri di scuola a suo fratello. « E se dovessi scegliere di essere tua amica, di tornare a passare del tempo con te, dovrei automaticamente scegliere di fingere. Di vederci per un caffè e parlare di qualcosa che non sia troppo scomodo per entrambi. Qualcosa che per me non ha alcuna importanza, ma che non ci faccia litigare. Dovrei farmi andare bene che a te, sì, dispiaccia.. ma fino ad un certo punto. Perché alla fine la tua vita è bella anche così e non avresti motivo di metterla in discussione per del semplice affetto. » Quelle parole gli mozzarono il fiato. Era davvero così, che la pensava? Era per questo che aveva evitato di rivolgergli la parola nel corso dell'ultimo anno, da quando era ritornato a Hogwarts? Era davvero quella, la fine della loro amicizia? « Ma non è così, Ronnie... » provò a dire, debolmente, allungando una mano verso quella di lei, sul tavolo, ma senza avere il coraggio di prenderla. Con poche parole Veronica era stata capace di farlo sentire indegno perfino di uno sguardo, di un contatto, o di una parola di conforto. Tu non puoi capire. Era quello l'assunto, e in fin dei conti non poteva nemmeno biasimarla, la giovane Rigby, perché quali prove poteva portare, che confutassero la sua teoria? Émile non ci aveva mai davvero capito niente, di tutta quella diatriba, e forse Otis aveva sempre avuto ragione. Aveva sempre guardato il suo orticello, le sue comodità, quello che l'aveva impaurito, fatto star male e stressato. Aveva visto Hogwarts distrutta, la sua serenità rovinata, e aveva attribuito la colpa ai Ribelli, perché di fatto erano stati loro a distruggere la quiete della sua vita. Era andato mai più a fondo in queste riflessioni? Poco, e spesso in maniera unilaterale. Dunque quale diritto aveva, ora, di controbattere alla realtà delle sofferenze della sua amica? Proprio nessuno. « E non te ne faccio una colpa. È umano, aggrapparsi a ciò che si ha. Ma cosa possiamo condividere a questo punto? Di vero, di sufficiente a poterla chiamare amicizia, cosa ci rimane? Quando le persone che non ti facevano sentire al sicuro sono ad Azkaban, ma sono le stesse che mi hanno messa al mondo e per cui sarei disposta a minacciare a mia volta la tua sicurezza.. come pensi che questa contraddizione sia risolvibile? Non mi devi rispondere. Non sto cercando di metterti in difficoltà o alle strette. Vorrei solo che ci pensassi.. e capissi anche la mia, di posizione. » Continuò a guardarla, in silenzio, con gli occhi lucidi quel minaccioso groppo in gola che rischiava di farlo scoppiare da un momento all'altro. Non voleva credere a quelle parole, né alla determinazione e alla freddezza con cui Veronica le aveva pronunciate.
    « Ronnie... » Sospirò. Non sapeva da dove cominciare. Non si sentiva nemmeno in diritto di farlo, dopo quello che aveva sentito, ma sapeva che doveva. Doveva parlare, perché Ronnie era lì davanti a lui ma di fatto stava indietreggiando, di fatto la stava perdendo. Definitivamente. Stavolta non ci sarebbero state scuse per fare ammenda, né giustificazioni o regali di pace. Era, semplicemente, un'altra partita. Doveva dire qualcosa. « Io non voglio che tu pensi che mi sta bene quello che sta succedendo qui dentro. Non mi sta bene che tu, e i parenti di Otis, e tutti gli altri, siete costretti a questa vita di stenti. Non è giusto quello che vi stanno facendo. » Era la partita degli adulti, quella in cui si è costretti a guardare in faccia la realtà e guardarsi negli occhi allo specchio, e chiedersi, una volta per tutte, chi si vuole essere. « Io voglio che parliamo di queste cose, non voglio che tu finga con me. A me interessa. E vorrei aiutarti, come posso... » una mano strinse i ricci biondi, mentre si grattava leggermente il capo, in difficoltà. Come poteva? Non avrebbe saputo dirlo nemmeno lui. Quello che sapeva con certezza, però, era di non voler accettare quel rifiuto. Non posso perdere anche te.
    « Io forse non le capisco bene, queste cose » ammise, stringendosi nelle spalle. « Forse sono stato superficiale, oppure ho ascoltato troppo i miei genitori, non lo so. » La verità è che un'idea chiara non ce l'ho mai avuta. « Tutto quello che è successo... Sono cose che fanno star male anche me. Non sono sereno. » Roteò gli occhi al cielo, prima di aggiungere, immediatamente dopo: « Okay, è vero, sono privilegiato, questo non lo nego. Però è anche vero che le mie cugine sono scomparse, per colpa di questo governo. E io non so se sono vive o morte. » Si strinse nelle spalle. Lo so che non è minimamente paragonabile a quello che stai passando tu. Però forse è qualcosa che ci accomuna. « Io non lo so qual è la soluzione a tutto questo macello, Ron. Se i Ribelli, un ControMessia, l'Anticristo o... boh » si lasciò sfuggire un sorriso mesto, ad accompagnare quella battuta stupida che probabilmente avrebbe fatto sorridere solo lui. Si fece più serio, ad un tratto, prendendo il coraggio di guardarla di nuovo negli occhi, mentre inclinava leggermente il capo. « Saresti disposta a darmi una seconda possibilità, Ronnie? » Il tono di voce più morbido, la mano ferma al centro del tavolo si aprì leggermente, fino a che le dita non raggiunsero quelle di lei, e le strinsero delicatamente. « Non so, tu... Cosa vorresti da un tuo amico? Ipoteticamente. » Come posso aiutarti?
     
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    « Ronnie... » Sapeva bene di aver detto qualcosa di scomodo - qualcosa che poneva entrambi in una posizione di disagio. Non c'era astio, non c'era un nodo cruciale da risolvere che fosse totalmente responsabilità loro: c'era solo una differenza, tanto involontaria quanto difficile da conciliare. Una differenza che Ronnie, a modo proprio, aveva avvertito sin da piccola - quella tra lei e la maggior parte dei suoi compagni, tra ciò che loro consideravano ordinario e che per lei era un lusso. Per lo più aveva sempre cercato di non pensarci, di svincolarsi da quell'ottica che riduce una persona al proprio reddito o al luogo da cui proviene; ma per quanto tutt'ora credesse che non fossero quelli i punti riassuntivi di un essere umano, doveva comunque guardare in faccia la realtà e accettare che il mondo non sarebbe mai stato equo, e che quelle differenze avrebbero sempre giocato un ruolo a svantaggio di alcuni e a vantaggio di altri. Ciò che era avvenuto ad Ottobre e la seguente creazione del ghetto di Iron Garden aveva solo reso tutto ciò più evidente ai suoi occhi, radicalizzandone lo sguardo. Quando il problema è alla radice, il modo in cui lo affronti è necessariamente radicale - che ti piaccia o meno. Anche non affrontarlo è una scelta radicale. « Io non voglio che tu pensi che mi sta bene quello che sta succedendo qui dentro. Non mi sta bene che tu, e i parenti di Otis, e tutti gli altri, siete costretti a questa vita di stenti. Non è giusto quello che vi stanno facendo. » Sospirò, deviando lo sguardo verso la finestra, dove una leggera pioggerella cominciava a picchiettare pigra. « Io voglio che parliamo di queste cose, non voglio che tu finga con me. A me interessa. E vorrei aiutarti, come posso... » Lo voleva veramente? Oppure lo stava dicendo tanto per dire - solo perché suonava come la cosa giusta da dire? Con Emi era difficile capirlo. Non che Veronica mettesse in dubbio la sua sincerità. Lo so che tu non vorresti vedermi qui. Che non vorresti questo per le creature, o per tante altre persone. Ma al tempo stesso.. cosa puoi fare? Cosa vuoi fare? « Io forse non le capisco bene, queste cose. » « In realtà non ci sta nulla da capire. È tutto alla luce del sole. » proferì a voce bassa, portandosi poi la tazza di tè alle labbra e ingoiando quel groppo amaro che si sentiva in gola. Forse, in qualche modo paradossale, sarebbe stato più facile se la situazione fosse stata più complessa. Avrebbe lasciato dei margini, dei dubbi, una ragione per non comprendere. « Forse sono stato superficiale, oppure ho ascoltato troppo i miei genitori, non lo so. Tutto quello che è successo... Sono cose che fanno star male anche me. Non sono sereno. Okay, è vero, sono privilegiato, questo non lo nego. Però è anche vero che le mie cugine sono scomparse, per colpa di questo governo. E io non so se sono vive o morte. » Annuì piano, deglutendo. Non era stata sua intenzione offenderlo, o insinuare che per lui fosse tutto normale. Era abbastanza vicino all'epicentro da sapere come andassero davvero le cose. Ma una differenza sostanziale c'è lo stesso. Una di cui non ti faccio una colpa, ma che esiste. « Io non lo so qual è la soluzione a tutto questo macello, Ron. Se i Ribelli, un ControMessia, l'Anticristo o... boh. » Incurvò le labbra, un tenue sorriso, guidato dal bisogno che forse anche lei sentiva di sdrammatizzare un po' la situazione contro quella cappa che sembrava gravare su di loro. « Saresti disposta a darmi una seconda possibilità, Ronnie? » Lo sguardo di Veronica tornò finalmente a puntarsi negli occhi dell'amico, cadendo poi sulla sua mano tesa nella distanza che li divideva. Un segno di titubanza, mentre le dita della mora ticchettavano indecise sulla tazza calda che stringevano. « Non so, tu... Cosa vorresti da un tuo amico? Ipoteticamente. » Rimase per qualche istante in silenzio, i denti affondati nella carne interna del labbro inferiore. Poi un sospiro. Lentamente poggiò la tazza sul tavolo, scrociando le gambe per avvicinarsi con la sedia. Accettò la mano di Emi, non con una mano, ma entrambe; la racchiuse tra le proprie, stringendola con una leggerezza decisa, mentre gli occhi tornavano in quelli di lui. « Io non parlo per ipotesi, Emi. » disse, nella speranza che le sue parole non passassero come qualcosa di duro, o un tentativo di metterlo con le spalle al muro. Non sono nella posizione di metterci nessuno, né tantomeno voglio farlo. « Un amico, per me, al momento, è qualcuno che ci mette la faccia anche quando potrebbe essere svantaggioso. » Fece una pausa. « E per questo non possiamo parlare di una seconda possibilità. Perché non è questo il punto, e io non posso chiederti di fare nulla in nome del nostro rapporto. » Nulla che non saresti già disposto a fare di tuo, quantomeno. Strizzò piano la mano dell'amico, guardandolo per qualche istante in silenzio nella speranza che comprendesse ciò che gli stava dicendo e che non si sentiva sufficientemente brava ad esprimere. « Tu non sai quanta gente viene qui tutti i giorni ad esprimere solidarietà. Chi vuole donare qualcosa, chi vuole fare compagnia.. » strinse leggermente le labbra, ritraendo piano le mani. « Persone che si dicono nostri amici, e poi là fuori non sarebbero disposti a spendere una singola parola contro un Messia che fa figli e figliastri. » Sospirò, scuotendo il capo tra sé e sé. « E magari non gli sta bene che le cose vadano così. Magari sono sinceri, quando si dicono in disaccordo con queste politiche disumane. Ma il silenzio è assenso. Quando nessuno dice una parola, nessuno alza un dito.. cosa ce ne facciamo del pensiero? » Diventa solo irritante, e si finisce per preferire essere dimenticati. È più onesto. Inclinò dunque il capo di lato, incurvando le labbra in un sorriso a metà tra il comprensivo e l'amareggiato. « Io però non posso chiederti di essere una persona che non sei. Di fare cose non senti. Posso solo rispettare le tue scelte, e tu puoi solo rispettare le mie. »

     
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    « Io non parlo per ipotesi, Emi. » Veronica lo guardò negli occhi e, malgrado avesse appena stretto la sua mano tra le proprie, Emi non si sentì in alcun modo confortato. « Un amico, per me, al momento, è qualcuno che ci mette la faccia anche quando potrebbe essere svantaggioso. E per questo non possiamo parlare di una seconda possibilità. Perché non è questo il punto, e io non posso chiederti di fare nulla in nome del nostro rapporto. » L'ascoltava in silenzio, Emi, un senso di angoscia che gli montava lentamente nel petto, come se il suo corpo avesse già inteso quello che realmente non voleva sentire. Non c'è una seconda possibilità. « Non vuoi chiedermi né pretendi niente però non puoi accettare la mia amicizia così com'è... » provò a rielaborare quelle parole ad alta voce, per cercarne una comprensione più chiara.
    Il discorso di Ronnie di poco prima era comprensibilissimo, ma com'era possibile che ora non chiedesse nulla? Che fosse disposta a mettere da parte la loro amicizia così, senza nemmeno fare una richiesta concreta a cui lui potesse provare ad adempiere? Davvero Veronica riteneva Emi disposto a nulla per lei? « Tu non sai quanta gente viene qui tutti i giorni ad esprimere solidarietà. Chi vuole donare qualcosa, chi vuole fare compagnia... Persone che si dicono nostri amici, e poi là fuori non sarebbero disposti a spendere una singola parola contro un Messia che fa figli e figliastri.E magari non gli sta bene che le cose vadano così. Magari sono sinceri, quando si dicono in disaccordo con queste politiche disumane. Ma il silenzio è assenso. Quando nessuno dice una parola, nessuno alza un dito.. cosa ce ne facciamo del pensiero?» Il ragazzo si strinse nelle spalle, visibilmente a disagio. Il suo palmo aperto al centro del tavolo era ancora caldo dal tocco della mani della ragazza, che ora l'avevano abbandonato. Era difficile controbattere ad una logica del genere, al contempo però trovava difficoltà nel capire quale azione concreta avrebbe potuto intraprendere per migliorare la situazione. « Io però non posso chiederti di essere una persona che non sei. Di fare cose non senti. Posso solo rispettare le tue scelte, e tu puoi solo rispettare le mie. »
    Con lo sguardo fisso in un punto imprecisato, Emi sospirò, ritraendo poi lentamente la mano, per riporla sul proprio ginocchio. Trascorsero allora alcuni secondi di silenzio, tempo in cui ognuno sembrava assorto dei propri pensieri. « Perché mai dovresti chiedermi di essere una persona che non sono? » le fece eco più tardi, la fronte aggrottata. « Quello che vi sta succedendo non è giusto, e io sono pronto a dirlo apertamente, e a dire che io in questo Messia non ci credo nemmeno un poco, e non l'ho fatto dall'inizio. » Osservò allora la reazione della ragazza, come se desiderasse poter leggere dietro ai suoi occhi castani. « È sufficiente? » chiese, eppure una parte di lui si convinse di aver già ricevuto una risposta più che esaustiva nelle parole dell'amica. « Da quel che ho inteso, non lo è. » Sospirò. Quelle parole avrebbe preferito non pronunciarle; fu come mordersi la lingua violentemente e di proposito, e avvertire subito il sapore amaro del sangue in bocca. « Correggimi se sbaglio, però... » Si strinse nelle spalle. « Io ho la sensazione che niente potrà mai andar bene se non quello che hai deciso tu. » Sollevò lo sguardo dal tavolo per posarlo su di lei, timidamente, come un alunno timoroso che trova finalmente il coraggio di fronteggiare l'insegnante. « Cioè, non
    so come spiegarlo, ma a me sembra che a te vada bene solo un certo tipo di comportamento che hai individuato tu. Dimmi se sbaglio: serve un tatuaggio dei Ribelli per esserti amico? È questo il punto? »
    Lo sai anche tu che non è una richiesta da fare. E allora perciò dici "Non posso chiederti di essere una persona che non sei. Sospirò, visibilmente frustrato. « Io lo so che la posta in gioco è alta, so che è una situazione diversa da tutte le altre. Ma che standard è questo, Ronnie? » Allargò leggermente le braccia, come a voler rendere evidente quella che a lui pareva una strana contraddizione. « Io vorrei essere tuo amico come posso, e vorrei supportare attivamente la tua causa anche se non faccio parte dei Ribelli. È questo il punto su cui non transigi? » Assottigliò lo sguardo. « Per quale motivo resti amica di Otis, allora, che è rimasto a Hogsmeade dopo la caduta di Inverness? Perché sei amica di Nessie? » Qual è lo standard, Ronnie, e soprattutto perché hai deciso che io non posso rientrarci? Sospirò piano, una mano persa tra i propri ricci castani, che disordinò leggermente. La guardava, in attesa di una risposta più chiara. Perché non posso andare bene?
     
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