Children of Fire

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    La Vigilia era per Diana un giorno come qualunque altro. Un giorno di festa, sì, ma anche di tremende responsabilità, come ad esempio impacchettare i mille regali da impartire a genitori, amici e conoscenti. E così, svegliarsi presto era imprescindibile, come imprescindibile era mettersi in contatto con Amelia, la sua assistente, la quale si era recata nel suo attico di prima mattina per aiutarla a preparare tutto l'occorrente per il viaggio. Seppur il Natale non fosse una festa particolarmente sentita a casa sua, era ormai abitudine che i Bernheimer si ritirassero nel maniero del Ministro Crane per le vacanze. Ovviamente si trattava solo di una scusa per permettere ai pezzi grossi del paese di continuare a lavorare sotto Natale senza perdersi l'occasione di passare qualche giorni sulla neve assieme alle proprie famiglie. Inoltre, quello non era certo un anno qualunque. « È un sollievo poter tornare nelle Highlands. Mi manca la neve e non mi dispiace poter staccare un po' dal caos della capitale. » E per Diana, che non si fermava mai, qualche giornata lenta, significava solo darsi una scusa per staccarsi dal telefono e dagli impegni per potersi riposare in santa pace. « Credi che ci sarà anche Lui? » Il Messia. Il loro salvatore. Diana provava un'ammirazione smisurata nei suoi confronti, e seppur avesse sempre avuto il desiderio di incontrarlo, Eric Donovan sembrava tutto fuorché interessato alla mondanità. « Il Ministro Crane lo avrà sicuramente invintato. » Diana si strinse nelle spalle mentre osservava con uno sguardo pensoso uno dei tanti pacchetti disposti sul tavolo di vetro della sua cucina. « Non saprei. » Di colpo corrugò la fronte. « Santo cielo. E se si presentasse? Non ho un regalo adatto. » Una tragedia che la mandò completamente in confusione. Faceva ancora fatica a ricordarsi che ora esisteva un nuovo uomo più importante nel paese. Cosa si regala a un prescelto? Un libro di pregio? Una piuma fatta su misura? Un paio di gemelli? Quella possibilità non era stata nemmeno lontanamente contemplata dalla giovane warlock, e trovarsi nella condizione di ipotizzare anche solo che potesse essere colta impreparata la dilaniava. « Cosa si indossa a una cena di Natale con il Messia? » Il Messia festeggia il Natale? Tutti dubbi a cui suo padre mise un freno non appena venne interpellato in merito. Eric Donovan sarebbe rimasto tra le persone durante le feste; la sua segreteria personale aveva fissato diversi appuntamenti tra orfanotrofi e case di riposo in giro per il paese. Se anche avesse avuto il tempo di fare loro una breve visita non si sarebbe fermato a sufficienza per scartare regali. Così, restava solo prepararsi per la partenza. Avrebbe attraversato il paese da sola, alla guida, prendendosi il tempo di fare qualche tappa intermedia per svolgere alcune commissioni per conto dei genitori. In circostanze normali, la maggior parte degli ospiti del Ministro si sarebbero smaterializzati direttamente in Scozia, ma ciò non si applicava anche alla giovane Bernheimer, la quale avrebbe passato gran parte della giornata alla guida. La smaterillizzazione ad opera di altri, d'altronde, le dava un profondo senso di nausea, odiava la Metropolvere - che in ogni caso non era collegata alla residenza dei Crane - e piuttosto che scendere giù per gabinetto si sarebbe rotolata nel fango. Alla sua diversità si era ormai abituata; non ci faceva neanche caso. Aveva fatto piuttosto di necessità virtù, e così si era offerta di fermarsi in alcune botteghe lungo la strada per reperire alcuni ingredienti particolari per gli infusi della madre e consegnare il manoscritto del nuovo trattato di Talbot presso i suoi editori nel quartiere magico vicino Birmingham. Dopo aver salutato quindi Amelia, aver innaffiato le piante e assicurato bene la casa, era scesa nel garage, mettendosi alla guida della sua scintillante berlina bianca nuova di zecca immettendo nel traffico della capitale. Una mattina come tante altre se non fosse per i due occhi giallognoli che comparvero nel suo specchietto retrovisore ad un certo punto del tragitto. Nel voltarsi il sedile posteriore in pelle si rivelò vuoto, ma l'atmosfera opprimente di una presenza nefasta continuò a premere sul petto per diverso tempo. Non erano in molti a farle visita ultimamente - un evento più unico che raro, quasi una congiunzione astrale. Se durante l'estate, e fino all'Elisse, aveva avuto giorni in cui la paura di quelle creature la paralizzavano completamente, dopo la metà di ottobre, il peso schiacciante di quel sovraffollamento era venuto meno miracolosamente. Magnus ha avuto un gran bel da fare quest'anno. Odiava tornare a scomodarlo a causa di un spirito un po' troppo impetuoso. Però se dovesse diventare un problema - La sgommata sulla strada umidiccia interruppe di colpo i suoi pensieri portandola a sussultare con occhi grandi e un'espressione avvolta dal terrore. Virò a destra per evitare l'ostacolo intangibile, andando a scontrarsi contro un parapetto. I cuscinetti di emergenza scoppiarono di colpo premendo contro il petto di lei, mentre la presenza dagli occhi occhi viscidi comparve di colpo alla sua detta sul sedile del passeggero. « Il tuo viaggio si ferma qui. » La voce rauca la fece rabbrividire, tant'è che non ebbe nemmeno il coraggio di volgere lo sguardo in direzione della vecchia. Uno degli spiriti più antichi che aveva messo radici nella sua mente. Quella di cui Diana tendeva ad avere più paura. Non le aveva mai chiesto niente, ma le sue orribili fattezze, l'avevano sempre spinta sull'orlo del terrore. La cosa peggiore è non avere la più pallida idea di quali fossero le sue intenzioni. Così staccò la cintura di sicurezza scivolando fuori dall'auto solo per rendersi conto che il sedile del passeggero era ancora una volta libero. Scosse la testa raggiungendo in fretta e furia la propria borsa per riappropriarsi del proprio telefono. La macchina stava palesemente fumando. Il che significava che non sarebbe stata in grado di ripartite. Cercò velocemente il primo sprazzo di civiltà sul telefono, per poi incamminarvisi. Una stazione di servizio in mezzo al nulla che si dava il caso si trovasse a meno di un chilometro dalla sua posizione. [...] « Dubito che il meccanico di zona sia ancora aperto. Dovrà aspettare fino a martedì. » « Come fino a martedì! Ma io ne ho bisogno subito! Senta, la prego, è una questione di vita e di morte. » Non sarebbe successo, e così le uniche alternative che aveva era chiamare qualcuno, oppure reperire un'altra macchina. Pur di non ammettere di aver subito un inutile rallentamento, dovendosi anche spiegare per giunta rispetto all'incidente, Diana optò per la seconda opzione, sedendosi quindi con un vecchio libro telefonico a uno dei tavoli della caffetteria presente nella stazione di servizio. Un giro di telefonate non indifferente che portò tuttavia a pochi risultati. Anche le concessionarie di zona avevano chiuso. Possibile che questo posto sia così provinciale? Effettivamente si trovava nel bel mezzo del nulla. Si era lasciata alle spalle Birmingham già da parecchio e tutto ciò che aveva attorno era l'immensa compagna inglese, tanti piccoli centri urbani e una generale incapacità di rispondere a situazioni di emergenza.
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    Poi, di colpo, il suo viso sembrò illuminarsi. Tra gli scaffali della stazione di servizio lo riconobbe quasi automaticamente. Che fosse arrivato a causa della Mietitrice oppure aveva deciso di anticipare il loro appuntamento mensile? Non c'erano altre spiegazioni. Diana aveva sempre avuto l'impressione che Magnus avesse una specie di sesto senso nei suoi confronti. Le piaceva vederlo come un angelo custode. Ogni qual volta fosse a disagio, in un modo o nell'altro compariva, ascoltandola anche per ore, senza mai lamentarsene. Così, di colpo si alzò, raccogliendo le sue cose solo per avvicinarsi e accettarsi che fosse davvero lui e non lo stesse scambiando per qualcun altro. « 오빠? » Lo osservò con un'espressione sorpresa, guardandosi poi attorno per essere certa che nessuno facesse caso al fatto che stesse parlando da sola. « Cosa ci fai qui? » Di colpo sul volto della mora comparve un sorriso gentile, affiancandolo per fare finta di guardare alcune barrette ipercaloriche. Zuccheri a dismisura. Un'immagine che sembrò farle venire un senso di nausea alla bocca dello stomaco. « Pensavo fossimo d'accordo sul fatto che i luoghi pubblici fossero off limits; e in ogni caso non dovevamo vederci prima della prossima settimana. » Di colpo gli gettò un'occhiata furtiva, rivolgendogli un sorrisino imperlato da un barlume luciferino. « Ti mancavo così tanto? » Scosse la testa sospirando, prima di stringersi nelle spalle. « Oppure sei solo un po' geloso della prospettiva che il Superiore possa davvero presentarsi alla cena del signor Crane? » Ridacchiò appena. « A me lo puoi dire. Prometto di non fartelo pesare troppo. » Si rigirò una barretta tra le mani rimanendo a fissarlo per qualche istante con un'espressione che lentamente divenne più seria. Magnus dal canto suo sembrava un po' strano. Forse non si aspettava che fosse quello il suo comportamento di fronte all'evidenza ricomparsa di un problema che avevano concordato di tenere il più possibile sotto controllo. « Andiamo Magnus! Non guardarmi così. È tornata, è vero. Lo so che avrei dovuto chiamarti, ma in tutta onestà non ho tempo di occuparmi della Mietitrice al momento. I miei si aspettano che io arrivi a Dunbeath Castle entro stasera. Non posso fare tardi alla cena della Vigilia di Natale con il Ministro della Magia. È un autogol colossale. È già sufficientemente difficile essere me, senza che ci si metta anche questo imprevisto. » Scosse la testa alzando gli occhi al cielo. « Ma a quanto farò tardi in ogni caso, visto che la mia macchina è fuori gioco e questo posto non ha nemmeno una stazione di pullman. Ah! Tutta colpa di quella megera rugosa. » A quel punto, dopo essersi guardata ancora una volta attorno, si voltò improvvisamente verso di lui. « Non è che puoi darmi una mano? Devo far ripartire la mia maledetta auto e andare via di qui il prima possibile. »





    Edited by « american beauty » - 25/12/2023, 01:11
     
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    jack in the box

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    Aleyda lo guardava dall'alto, seduta sulla poltrona di pelle con le gambe accavallate - quella sopra che dondolava piano come a rimarcare la malizia disegnata sulle sue labbra da uno di quei suoi classici sorrisini sornioni. Le dita della mano sinistra tamburellavano eloquentemente sul bracciolo di legno laccato, sotto il naso di Eliphas. Ormai quel gioco era chiaro a entrambi: ad Aleyda piaceva farlo aspettare, non dargli mai troppe sicurezze pur nella consapevolezza che lui sapesse molto bene i suoi reali sentimenti. « Mhh.. non saprei, Eliphas Luhng. Mia madre mi ha sempre detto che frequentare un demonologo è uno spreco di tempo: sono tutti sposati col lavoro. » Il che suonava piuttosto buffo, detto a un uomo che si trovava letteralmente in ginocchio di fronte a lei, con in mano un anello. No, non si trattava di una proposta di matrimonio - non una vera e propria - ma poco ci mancava. Era una vecchia usanza warlock, una di quelle ormai scomparse che tra le nuove generazioni si presentava piuttosto di rado. In dono c'era sempre un anello, o meglio due: uno per la persona alla quale si proponeva l'impegno, e l'altro per il richiedente. Una sorta di step preliminare al matrimonio, volto a suggellare la relazione tramite una muta e intima promessa tra le due parti. Indossare quegli anelli permetteva ai due di comunicarsi, qualora volessero e in ogni momento, le proprie emozioni, i propri pensieri e i propri stati d'animo. Non c'era da stupirsi se i più giovani fossero meno propensi a quell'usanza: appariva troppo antiquata, troppo esclusiva, e anche un po' pomposa. Ma ad Eliphas le cose antiche erano sempre piaciute. Inarcò un sopracciglio, osservandola di sottecchi e le labbra arricciate in un sorrisino che cercava di trattenere. « È il tuo modo di fare l'indifferente o di insinuare che ti aspettassi altro? » La mora sospirò, muovendo lentamente la gamba accavallata per appoggiare la punta della scarpa contro la spalla di lui, spingendo quanto bastava a fargli sentire la pressione del tacco appuntito sulla pelle. Well, a girl can expect many things from a man on his knees. Sbuffò una risata dalle narici, Eliphas, chiudendo di scatto la scatolina quadrata. « Peccato, era lo step successivo, ma immagino non ti interessi. » Rise a metà frase, non appena Aleyda schizzò in avanti per arraffare la scatola, prontamente portata in alto dalla mano di Eliphas. « Ay perro! Dammelo, è mio. Non sai che è da cafoni riprendersi i regali? » « Anche questo te l'ha detto la mamma? » Il suono della propria stessa risata cominciò a distorcersi, come quello di una radio in galleria - un disturbo. All'improvviso la scena cambiò, catapultandolo altrove. Era sempre L'Avana, riconosceva l'odore di quell'aria e il cortile dell'Osservatorio, illuminato nella notte da fuocherelli fluttuanti. Ma la scena era nuova, a lui per primo - come qualcosa che non gli apparteneva, in un corpo che non era il suo. La nicotina riempì i suoi polmoni, appannandogli la vista da una nuvoletta di fumo denso sbuffata da quelle che dovevano teoricamente essere le sue labbra. « Spiegami il senso degli elementali se non possono nemmeno rendere questi posti vivibili. Ho fatto la doccia cinque minuti fa e ho già i vestiti appiccicati. » Se la voce era la sua, il tono lasciava poco spazio all'interpretazione: era Magnus. « Credo abbiano cose più importanti da fare. Ma se non ti piace qui, non faresti prima a chiedere un trasferimento? » Il suo sguardo si sollevò verso una delle finestre dell'Osservatorio, dove la luce era ancora accesa. Dalla vetrata si potevano intravedere i ripiani più alti dei grossi scaffali che popolavano la biblioteca, lì dove si trovavano Eliphas e Aleyda intenti a fare chissà cosa. Giustamente che impegni deve avere un'elementale se non tampinare e distrarre chi lavora davvero? « E lasciare Eliphas da solo? » Sbuffò una risata, scuotendo leggermente il capo mentre si portava la sigaretta alle labbra. « Senza di me non saprebbe trovarsi il culo con le mani. » E qualcuno dovrà pur raccogliere i cocci quando questa storiella andrà inevitabilmente a finire male.
    Di quel ricordo anomalo, da cui si era svegliato all'improvviso tutto ansimante, non ne aveva fatto parola con nessuno. Non che avesse chissà chi a cui dirlo, ma di certo la tentazione di raccontare quell'episodio era sorta in lui quando si era trovato di fronte alla madre. Aveva dovuto mordersi la lingua. Come avrebbe potuto spiegarglielo senza menzionare il contesto? Senza rivelarle cosa stesse facendo e come se la stesse davvero passando. « Sì, sto bene. Ho qualche problema a dormire, ma per il resto mangio e funziono. » Raccontarle di quel sogno (se così poteva chiamarlo), avrebbe solo vanificato l'intento rassicurante di quelle parole. Sua madre non era mai stata della tipologia apprensiva, ma di certo lo era diventata dopo la morte di Magnus; se avesse saputo la situazione di Eliphas, Dio solo sapeva fino a che punto sarebbe stata disposta a spingersi pur di non perdere l'unico figlio che le era rimasto. E anche questo era un problema: Evelyn Luhng, di Magnus, non voleva parlare, specialmente con Eliphas. Quando ancora il demonologo tentava di dar voce ai propri sospetti sulla morte del gemello, Evelyn non reggeva, tanto che una volta - al culmine della sopportazione - si era scagliata contro di lui e gli aveva battuto i pugni sul petto urlandogli di smetterla. "È già difficile accettarlo senza che ti ci metti pure tu": queste erano le parole che gli aveva rivolto il padre, dopo averli divisi e portato la moglie in un'altra stanza per farla calmare. E così Eliphas, da bravo figlio, aveva obbedito. Non potendo provare quei sospetti che gli altri etichettavano come deliri, aveva semplicemente scelto di tacerli, di non rigirare il dito nella piaga. Pur conoscendo più di chiunque altro il dolore della perdita, forse non poteva immaginare cosa potesse provare una madre privata di suo figlio - specialmente all'interno di una comunità in cui poter concepire era visto come un miracolo ancor prima di un lusso. Anche in quell'occasione l'aveva guardata negli occhi, sentendo le parole sulla punta della lingua, ma frenandosi dal proferirle al solo immaginare lo sguardo della madre. Le sto già causando sufficiente dolore così. Il suo esilio non era facile nemmeno per le persone che si era lasciato alle spalle, era chiaro. Evelyn aveva insistito per giorni, arrivando addirittura a pregarlo, per farlo tornare in Inghilterra a qualche giorno dall'inizio delle celebrazioni per Yule. Voleva dargli qualcosa di buono da mangiare, ma anche semplicemente guardarlo negli occhi dopo mesi di distacco. « Devi tenerti in forze. Sono sicura che questa cosa sarà solo temporanea. Ci sta lo zampino degli Anziani, me lo sento. Loro vedono e sanno tutto. Hanno un progetto. Vorranno far passare del tempo e quando tutti si saranno dimenticati di te - di noi -, le cose torneranno come prima. Ne sono certa. » Il giovane stirò un sorriso tiepido, annuendo piano. Non aveva la stessa fiducia della madre, ma forse in quel momento era meglio lasciare che lei si appellasse alla speranza per elaborare il tutto.
    Le loro strade si erano divise su questa nota di menzogne e non detti. Evelyn aveva cercato di temporeggiare il più a lungo possibile, e per lo più Eliphas l'aveva lasciata fare, fin quando non si era fatto troppo tardi e aveva dovuto ricordarle la promessa strappata in cambio di quell'incontro: che sarebbe uscita di casa, si sarebbe fatta bella e avrebbe partecipato al banchetto di Yule a testa alta insieme al marito e ai genitori di Aslan. « Mi raccomando, metti quel vestito che ti piace tanto e ricorda a tutti il motivo per cui papà si è trasferito dopo averti vista una volta. » Una storia, quella, che Evelyn raccontava spesso, sempre con una forte nota di orgoglio. Il ricordo sembrò portare un piccolo sorriso involontario sul volto della donna - segno del fatto che l'intento di Eliphas avesse colpito nel segno. Sollevò una mano, sventolandola per salutare la madre prima che sparisse in un turbine di fumo scuro. E non appena la sua figura scomparve, il sorriso del ragazzo morì stancamente sulle sue labbra - come cedendo alla gravità dopo un lungo e continuativo sforzo di sfidarla. La mano ricadde nella tasca del cappotto, mentre con un sospiro girava i tacchi e si incamminava a testa bassa fuori dalla boscaglia. Avevano scelto un'area isolata per ovvie ragioni, ma nel tragitto aveva adocchiato una stazione di servizio poco distante e gli sembrava solo giusto premiare i propri sforzi con dell'alcool. Senza, era molto difficile per lui sopportare la realtà.
    [..] « 오빠? » Sulle prime non si voltò, rimanendo tutto concentrato a studiare la scelta tra un whiskey e un gin particolarmente scadenti ad un prezzo stracciato. D'altronde pur riconoscendo la parola, Eliphas non parlava coreano, e dubitava che qualcuno potesse rivolgersi a lui in quella lingua. « Cosa ci fai qui? Pensavo fossimo d'accordo sul fatto che i luoghi pubblici fossero off limits; e in ogni caso non dovevamo vederci prima della prossima settimana. » Ma la voce continuava ad essere un po' troppo vicina e la presenza al suo fianco chiaramente ferma. Così, senza sollevare il capo, alzò lo sguardo, rivolgendo un'occhiata al suo fianco per avere la conferma che sì, chiunque fosse quella ragazza, stava parlando proprio con lui. Aprì la bocca per mettere presto fine all'equivoco, ma la mora fu più svelta. « Oppure sei solo un po' geloso della prospettiva che il Superiore possa davvero presentarsi alla cena del signor Crane? A me lo puoi dire. Prometto di non fartelo pesare troppo. » Aggrottò la fronte, sinceramente confuso. Dal modo in cui lei continuava imperterrita, pur dopo averlo visto bene in viso, non sembrava affatto rendersi conto di star parlando con uno sconosciuto. No, si comportava come se fosse tutto perfettamente normale e lui dovesse sapere di chi e cosa lei stesse parlando. « Andiamo Magnus! Non guardarmi così. È tornata, è vero. Lo so che avrei dovuto chiamarti, ma in tutta onestà non ho tempo di occuparmi della Mietitrice al momento. I miei si aspettano che io arrivi a Dunbeath Castle entro stasera. Non posso fare tardi alla cena della Vigilia di Natale con il Ministro della Magia. È un autogol colossale. È già sufficientemente difficile essere me, senza che ci si metta anche questo imprevisto. Ma a quanto farò tardi in ogni caso, visto che la mia macchina è fuori gioco e questo posto non ha nemmeno una stazione di pullman. Ah! Tutta colpa di quella megera rugosa. Non è che puoi darmi una mano? Devo far ripartire la mia maledetta auto e andare via di qui il prima possibile. » Alla sola menzione del fratello la testa di Eliphas cominciò a girare vertiginosamente, lanciandolo in vere e proprie montagne russe ad ogni parola che la mora aggiungeva. Così tanti pensieri si accavallarono nella sua mente, così tante ipotesi. E quando unì i puntini di tutti gli indizi in quelle parole, la più plausibile si formò nella sua testa, guidata dai suoi annosi dubbi come il rigo di un quaderno guida il tratto di un penna. Dallo shock, le dita di Eliphas persero la presa sulla bottiglia di whiskey, che cadde rovinosamente a terra sfasciandosi in mille pezzi. Per un istante non sembrò nemmeno registrare quel danno, continuando a fissare la sconosciuta in viso senza dire nulla, incapace di articolare un qualunque pensiero coerente. Poi lentamente abbassò il capo, osservando il
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    disastro ai propri piedi. « Ehi tu! » Io? « Sì parlo con te, spilungone! Guarda che quella adesso la devi pagare. » Annuì in direzione del titolare, come in una trance, solo per poi far cadere nel proprio cestino la bottiglia di gin e prenderne velocemente una seconda di whiskey dallo scaffale per fargli compagnia. Forse è uno di quei casi in cui mischiare va bene. « Cosa ti fa pensare che io sappia riparare un'auto? » disse, come se nulla fosse, decidendo momentaneamente di glissare sullo scambio di identità nel tentativo di scoprire il più possibile. Ti giuro su tutto ciò che mi è sacro, Magnus: ti conviene che questa sia un'elaborata trappola del Ministero per catturarmi, perché se ti sei cacciato nei guai, all'inferno ti ci spedisco io con le mie mani. Passò oltre la ragazza, senza andare però troppo lontano, ma solo per prendere un sacchetto di patatine dallo scaffale e aggiungerle alla spesa, cogliendo anche l'occasione per dare un'occhiata ai dintorni e fuori dalla vetrina nel tentativo di scovare qualcosa di ipoteticamente sospetto. Sembrava tutto a posto, in teoria, ma questo non poteva garantirgli nulla al momento. « Invitata alla cena di Natale di Crane e ci vai tutta sola con una macchina babbana? A me suona come un cercarsi le sciagure. » Stava tentando di tastare il terreno, prendere tempo per capire chi fosse la sua interlocutrice, quali intenzioni avesse, cosa sapesse e contemporaneamente perlustrare la zona quanto gli era concesso farlo dall'interno della stazione di servizio. « Quindi le cose sono due. O sei una sprovveduta e dubito seriamente che Crane si strapperebbe i capelli per un tuo ritardo alla sua cena, oppure stai giocando a qualche gioco. » Dopo l'ennesima occhiata oltre la vetrina, Eliphas girò i tacchi, sollevando meccanicamente le labbra in un sorriso. Cercò di studiarne più attentamente i lineamenti, nella speranza di poterla identificare, ma no, era certo di non averla mai vista in vita propria. Fece quindi scioccare la lingua contro il palato. « Beh, se vuoi il mio aiuto dovrò ottenere qualcosa in cambio. » Sollevò il cestino, che nel frattempo aveva riempito di varie bevande e cibarie. « Offri tu. » Non attese la sua risposta, dandole subito le spalle e facendole cenno con le dita di seguirlo mentre raggiungeva a lunghe falcate la cassa self-service, iniziando a passare i vari articoli. Non appena lo scanner lesse l'etichetta del primo alcolico, un messaggio comparve sullo schermo - quello che Eliphas sperava di ottenere. « Serve un documento. » Non importava che ne avesse uno babbano, quelli magici erano comunque incantati in modo tale da non destare alcun sospetto e funzionare alla stessa maniera di quelli babbani. Da qualche anno era diventata una misura indispensabile. Così si voltò, sorridendole serafico, con la mano tesa nella sua direzione. Almeno così vediamo chi sei. « Su, non fare la timida. Sono sicuro che sarai venuta benissimo in foto. » Attese fin quando la mora non gli diede la carta d'identità. Diana Bernheimer. Perché questo cognome non mi è nuovo? Lesse velocemente le poche generalità elencate mentre passava la carta contro lo scanner, restituendogliela subito dopo. « Insomma, la vecchia che ti ha sabotato la vigilia? È nella stanza con noi, Diana? Oppure devo seguirti alla macchina per salutarla? Spiegami. Ho sufficiente alcol per interessarmi dei tuoi problemi. » Il modo in cui parlava era deliberato: un consapevole ricalco del tono e dei modi di fare del gemello. Non sapendo ancora in quale gioco fosse finito, non voleva rischiare di precludersi alcuna possibilità. Quindi cominciamo dal dato più misterioso, tra tutti quelli che mi hai fornito.

     
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    Cosa? Sei qui? Sei qui per davvero. Quando la bottiglia si infrase ai propri piedi, Diana rimase completamente immobile, osservando il giovane warlock con un'espressione a dir poco sorpresa. Per tutta la durata del loro rapporto Maganus e Diana non si erano mai incontrati da soli in carne ed ossa. L'ultima volta che lo aveva visto di persona, Minerva stava ancora lavorando alla campagna elettorale e Diana preparava il suo inequivocabile endorsement per la causa. Faceva parte del fascino del loro rapporto; Magnus diceva di viaggiare molto e a Diana andava bene così. Le piaceva giocare con lui, stuzzicarlo, fare finta che in un certo qual modo avessero qualcosa di speciale. Lei ne aveva bisogno. Forse ne aveva bisogno anche lui. Di certo, starsene alla larga permetteva a quel gioco di mantenere un certo fascino che altrimenti sarebbe venuto meno. Era consapevole del fatto che fosse solo un passatempo e che per Magnus, Diana era solo lavoro, ma le piacevano comunque le sue attenzioni. I complimenti, le attenzioni; soprattutto, amava il fatto che sfidasse il suo intelletto. Era d'altronde una delle poche persone con cui si sentiva di essere se stessa; forse perché in fondo, nella sua quotidianità era ininfluente, e forse anche perché le piaceva trovare modi per attirare la sua attenzione anche quando sembrava palesemente disinteressato a ciò che aveva a da dire. In un certo qual modo, saperlo in gabbia le piaceva, e non perdeva occasione di sfidare la sua capacità di sopportazione quasi come se infliggere a qualcun altro lo stesso grado di frustrazione a cui lei era costretta la faceva sentire meno sola. Non era mai così; ogni qual volta Magnus abbandonasse la sua mente si chiedeva perché avesse detto o fatto determinate cose. Perché amava così tanto torturlarlo, riempiendolo di informazioni a cui evidentemente non era interessato? Forse era solo masochista, e utilizzava quella presenza per ricordare a se stessa che nessuno l'avrebbe mai davvero amata se l'avesse conosciuta sul serio. « Ehi tu! Sì parlo con te, spilungone! Guarda che quella adesso la devi pagare. » Se anche qualche dubbio rispetto alla sua presenza potesse ancora avercelo, quell'interazione le bastò per comprendere che non c'era ragione di preoccuparsi della possibilità di essere vista parlare da sola. « Cosa ti fa pensare che io sappia riparare un'auto? » Se anche avesse voluto virare la conversazione sulla ragione per cui si trovava lì, il moro la anticipò. « Beh, sei tu a dire che sei un uomo pieno di risorse no? Potresti anche renderti vagamente utile ogni tanto. » Frasi che gli disse con fare alquanto puntiglioso, mentre abbassava lo sguardo sui pantaloni color rubino, imbevuti di alcol scadente. Che schifo. Ora devo anche cambiarmi. Dovrei recapitarti la ricevuta della lavanderia dopo questo smacco. « Che ti prende? » Sollevò le sopracciglia osservandolo con un'espressione interrogativa, specialmente quando la superò continuando le sue compere quasi come se niente fosse. « Invitata alla cena di Natale di Crane e ci vai tutta sola con una macchina babbana? A me suona come un cercarsi le sciagure. Quindi le cose sono due. O sei una sprovveduta e dubito seriamente che Crane si strapperebbe i capelli per un tuo ritardo alla sua cena, oppure stai giocando a qualche gioco. » Le parole del moro la portarono a corrugare appena la fronte. Era evidente avessero scaturito in lei una forma di evidente mortificazione che manifestò sbuffando sonoramente prima di gettare nel mucchio dello scaffale la barretta che si era rigirata tra le mani. « Non è necessario rigirare il coltello nella piaga. Sono molto consapevole dei miei limiti anche senza che tu li renda evidenti. » Si era offesa, era evidente. Non amava sentirsi da meno, tanto meno sapere che qualcuno aveva il potere di sottolineare con così tanta facilità le sue inabilità. Vivere nel mondo magico senza alcun potere era una contraddizione in termini e il mondo non mancava di farglielo notare ogni qual volta ne avesse l'occasione. Ne era a maggior ragione infastidita alla luce del fatto che a rimarcare la questione fosse proprio Magnus. Si fidava del fatto che almeno lui avrebbe capito e soprattutto non l'avrebbe fatta sentire a disagio. Volevo solo stare un po' per conto mio. E non solo. Ogni qual volta dimostrasse di potersela cavare senza assistenza, Diana sentiva di marcare un piccolo traguardo lungo la strada verso la sua indipendenza dalla necessità di essere sempre circondata da qualcuno che la assistesse. Poteva sembrare una cosa stupida, e soprattutto inutile, alla luce del fatto che poteva avere qualunque cosa volesse e pagare persone che la aiutassero in qualunque modo ne avesse bisogno, ma a volte è semplicemente avere del tempo per se stessi. Starsene da soli. Non c'è nulla di male in questo. « Beh, se vuoi il mio aiuto dovrò ottenere qualcosa in cambio. Offri tu. » Alzò gli occhi al cielo scuotendo la testa prima di seguirlo verso la zona delle casse. « Se sei qui non mi pare che tu abbia molta scelta. » Doveva averlo mandato qualcuno. Avrebbe dovuto immaginarsi che non sarebbe andata troppo lontana senza che nessuno seguisse le sue tracce. Un po' ne era delusa. Quando suo padre l'aveva incaricata di fermarsi a Birmigham per consegnare il suo manoscritto alla sua casa editrice di fiducia, aveva pensato che lui fosse sinceramente pronto a lasciarla fare. D'altronde che cosa le sarebbe mai potuto accadere? La maggior parte delle persone vedeva Diana come niente più che un'oca giuliva senza cervello, troppo assorta dal suo wiztagram per partorire un pensiero di senso compiuto senza i suoi collaboratori. Evidentemente però, al giovane warlock non sembrò importare molto delle sue parole, dirigendosi con una certa determinazione verso la cassa self service come se la giovane Bernheimer non avesse detto assolutamente nulla. Osservò il passaggio di quei prodotti sotto lo scanner con un'espressione un po' interdetta, finché non venne interpellata nuovamente. « Serve un documento. » Cosa? Sul serio? « Su, non fare la timida. Sono sicuro che sarai venuta benissimo in foto. » Quasi dovesse dimostrare la questione, mise mano alla borsetta e gli consegnò il documento. « Certo che sono venuta benissimo. » Strinse i denti e scosse la testa. « Ma non è questo il punto. » Lo affinché tirando fuori la carta per passarla sul lettore pagando quella spesa indignitosa per poi voltarsi nella sua direzione. « Patatine, alcol e bibite? Vuoi farti venire un cancro o stai cercando di dirmi qualcosa? » Se hai un desiderio di morte, puoi dirmelo direttamente. « Patti chiari, amicizia lunga: quella roba non te la mangi nella mia macchina. » Asserì di colpo sollevando un dito di fronte al suo viso a mo di avvertimento prima di strappare lo scontrino dalla macchina, infilandolo nella tasca del cappotto. « Insomma, la vecchia che ti ha sabotato la vigilia? È nella stanza con noi, Diana? Oppure devo seguirti alla macchina per salutarla? Spiegami. Ho sufficiente alcol per interessarmi dei tuoi problemi. » Istintivamente si guardò attorno scuotendo la testa. « Non qui. Usciamo. » E in effetti girò sui tacchi dirigendosi verso una delle uscite per ritrovarsi sotto un'ampia tettoia nel gelo di fine dicembre. Si guardò attorno, assicurandosi che nessuno potesse origliare la loro conversazione per poi sospirare. Tirò fuori il cellulare dalla tasca del cappotto solo per constatare con un certo fastidio che non aveva affatto campo. Che strano. D'altronde però, si trovavano in una zona davvero desolata. Non si sarebbe stupita se nemmeno i telefoni babbani non fossero funzionati da quelle parti. Così, lo rimise al proprio posto alzando gli occhi al cielo.
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    « Non ti ho chiamato perché non mi sembrava una cosa poi così seria. Non volevo rovinarmi le feste - ogni volta che inizi a rovistare nella mia testa, mi sento molto fiacca. Specialmente quando si tratta di lei. » Magnus l'aveva avvertita sul conto della vecchia Mietitrice. Non era un buon segno. Nemmeno lui aveva gli strumenti per comprendere che intenzioni avesse. C'era chi diceva fosse estremamente arrabbiata; cercava un passaggio, e il fatto che avesse trovato Diana non era un affatto positivo. « E poi, lo so - lo so cosa abbiamo detto! - però in tutta onestà non mi ha chiesto niente. Non mi chiede mai niente. Si è presentata solo stanotte ed è stata una cosa molto breve. Ho pensato che fosse solo perché a Natale mi sento sempre un po' triste. E poi, mentre guidavo mi ha letteralmente tagliato la strada. » Si strinse nelle spalle tentando di sembrare indifferente sulla questione. La verità è che si era spaventata non poco. « Mi è venuto spontaneo tentare di evitarla e sono finita contro un parapetto. » Una storia decisamente meno entusiasmante di quanto potesse sembrare. « Ma immagino che tutto questo lo sai già. » Non era certa di come avesse fatto. Solitamente Diana era molto collaborativa rispetto alla sua condizione, ed era proprio alla sua collaborazione che si affidava tutta la sua esistenza. Poteva però ipotizzare che forse tutto quel tempo passato insieme avesse portato Magnus a essere più sensibile nei suoi confronti. « 오빠? Puoi per favore aiutarmi a sistemare questa cosa e lasciarmi andare? » Deglutì abbassando lo sguardo. « Solo per questa volta. Ti prego. Puoi mantenere il segreto? » Provò un senso di disagio non appena pronunciò quelle parole. Ma che cosa sto facendo? Non esiste che lo prego. Diana non pregava. Mai. E in effetti subito dopo indietreggiò di un passo osservandolo con un'espressione un po' contrariata. « In ogni caso non mi hai detto come hai fatto a trovarmi. Mi stavi seguendo? Ti ha detto papà di tenermi d'occhio? Oppure sono stati gli altri? » Alzò gli occhi al cielo superandolo, per iniziare a percorrere la strada verso la propria macchina stringendo i pugni per tentare di controllare quel senso di rabbia e frustrazione che provava nei confronti di quel comportamento. « A giudicare dal modo in cui vi comportate mi sembra che fate di tutto per farmi arrabbiare. Se è un problema che io viaggi da sola potevate dirmelo. » A volte vi meritate proprio che io mi arrabbi. « Invece noooo, è sempre la stessa storia. Diciamole di sì - sia mai che diventa una bomba nucleare. Hai almeno lontanamente idea di quanto sia mortificante? Di quanto - » Camminava velocemente quasi non vedesse l'ora di arrivare alla macchina, aggiustarla e rimettersi in moto. Tuttavia, non appena giunse davanti al posto dell'avvenuto incidente, si rese conto che la macchina era completamente scomparsa. Al suo posto solo qualche frammento di vetro rotto, il parapetto a metà distrutto e il nulla. « No no no - la mia macchina! Non c'è - » L'avevano rubata? Era scomparsa? Si passò le mani tra i capelli guardandosi attorno spaesata, per poi guardare Magnus con un'espressione esterrefatta. « Fai qualcosa! C'erano tutti i miei vestiti lì dentro. E i regali. La mia Birkin edizione limitata. Hai idea di quanto tempo ci voglia per averne una? » A quel punto doveva chiamare la polizia. Ma il telefono era senza campo. E lei non aveva avvertito nessuno del fatto che si sarebbe fermata lì - ovunque fosse. Non arriverò mai. Farò una figuraccia. Dovrò avvertire gli warlock e chiedere un portale in mezzo al nulla. Penseranno che non posso essere lasciata da sola neanche per un viaggio da nulla. Non doveva succedere nulla. Era tutto calcolato. Io avevo promesso che sarei stata attenta. Era la mia occasione. « Non startene impallato lì come una mummia! Chiama la polizia. Avvisa qualcuno! » Fai uno dei tuoi hocus pocus, non lo so! « No - no no no no! Non avvisare nessuno. » Chiuse gli occhi e iniziò quella serie di esercizi di respirazione che l'aiutavano a calmarsi prima di iniziare a dare di matto. « Non fa niente. Va tutto bene. » Ma non andava tutto bene. Non a caso, più realizzava che era completamente sprovvista delle sue cose e non aveva alcun mezzo per arrivare nelle Highlands, più si sentiva in trappola, come se avesse fallito nella sua unica grande impresa di quell'anno. E in effetti, più tentava di respirare, più sembrava agitarsi. Un lampione sopra la sua testa scoppiò di colpo e a seguire altri a seguire. Panico. Sarebbe stato solo questione di tempo prima che lei o qualcun altro tornasse.



     
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    « Non qui. Usciamo. » La lasciò andare avanti, seguendola con aria circospetta nel prepararsi già all'ipotesi di essere attirato in un luogo più appartato e circondato da una squadra di Auror. Certo, che tutti quegli sforzi fossero rivolti proprio a lui, quando a piede libero c'erano ricercati molto più importanti, Eliphas lo trovava un po' assurdo. Ma la possibilità doveva comunque essere tenuta in considerazione. Anche perché una vittoria che faccia da esempio è sempre un'ottima carta da giocarsi per mantenere la reputazione. « Non ti ho chiamato perché non mi sembrava una cosa poi così seria. Non volevo rovinarmi le feste - ogni volta che inizi a rovistare nella mia testa, mi sento molto fiacca. Specialmente quando si tratta di lei. E poi, lo so - lo so cosa abbiamo detto! - però in tutta onestà non mi ha chiesto niente. Non mi chiede mai niente. Si è presentata solo stanotte ed è stata una cosa molto breve. Ho pensato che fosse solo perché a Natale mi sento sempre un po' triste. E poi, mentre guidavo mi ha letteralmente tagliato la strada. Mi è venuto spontaneo tentare di evitarla e sono finita contro un parapetto. Ma immagino che tutto questo lo sai già. » Aggrottò la fronte, osservando bene con espressione corrucciata il volto della ragazza. Era difficile dire se la sua fosse o meno una recita, ma se lo era, doveva riconoscerle delle doti attoriali non indifferenti. Una parte di lui sperava che fosse quello il caso, che presto un gruppo di Auror sarebbe sbucato per chiedergli di rinunciare al ditale e tenere le mani ben in vista. Sì, forse essere spedito ad Azkaban per qualche anno era un'ipotesi più consolatoria dell'unica altra alternativa. Un'alternativa che creava in lui sentimenti contrastanti. Quante volte aveva sperato in cuor proprio che Magnus fosse vivo? Che le sue sensazioni non fossero i deliri di un fratello in lutto? Troppe. E quante volte aveva sperato che, qualora fosse quello il caso, i motivi del fratello fossero giustificati? Ancor di più. Nessuno conosceva Magnus meglio di lui, nessuno più di lui poteva capire quanto quel timore che aveva in corpo fosse in realtà giustificato. Ma era pur sempre suo fratello, un pezzo di sé, un arto senza il quale si sentiva incompleto; qualunque fosse il guaio in cui si era cacciato, il suo primo istinto sarebbe stato tentare di aiutarlo a tirarsene fuori - anche dopo tutto il dolore che aveva causato a lui e al resto della famiglia. Perché ti vogliamo bene lo stesso. Puoi non rendertene conto. Puoi anche trovare il nostro amore sciocco, ma non cambierà nulla. « 오빠? Puoi per favore aiutarmi a sistemare questa cosa e lasciarmi andare? » Perché lo chiama così? Che Magnus avesse appreso un'altra lingua, di questo non si sarebbe stupito. Né, in realtà, lo avrebbe sorpreso apprendere che avesse scelto di assecondare una bella ragazza nell'utilizzare quell'appellativo. Sì. Forse sei davvero vivo. Perché nemmeno l'auror più fantasioso del mondo saprebbe comprenderti tanto a fondo da capire che, sì, sei sufficientemente idiota da farti chiamare 오빠. Era una cosa così tanto da lui, che forse più di qualunque altro indizio, fu proprio ciò a portarlo a credere che quei sospetti potessero essere fondati e che non si trattasse di un'elaborata trappola. O che, quanto meno, una cosa non escludesse l'altra. « Solo per questa volta. Ti prego. Puoi mantenere il segreto? » Sospirò, annuendo con un fare rassegnato. Era la cosa migliore: fingere che nulla fosse e aiutarla ad andarsene. Fece per dire qualcosa, ma lei prontamente lo tagliò. « In ogni caso non mi hai detto come hai fatto a trovarmi. Mi stavi seguendo? Ti ha detto papà di tenermi d'occhio? Oppure sono stati gli altri? A giudicare dal modo in cui vi comportate mi sembra che fate di tutto per farmi arrabbiare. Se è un problema che io viaggi da sola potevate dirmelo. » Ancora una volta, nel seguirla ovunque fosse diretta, cercò di rispondere, ma nulla - lei non aveva finito. Magnus devo davvero capire come proprio tu, che nemmeno ti sprecavi a conoscere le ragazze che frequentavi, riesca a starle dietro. « Invece noooo, è sempre la stessa storia. Diciamole di sì - sia mai che diventa una bomba nucleare. Hai almeno lontanamente idea di quanto sia mortificante? Di quanto - » « Diana, mi fai le domande perché vuoi che ti risponda o solo perché ti piace il suono della tua stessa voce? » riuscì a infilare svelto, con tono scocciato, nella pausa della ragazza. Una pausa che, tuttavia, non doveva essere volontaria, visto che l'attenzione della ragazza deviò alla svelta su altro. « No no no - la mia macchina! Non c'è - » Sospirò, il demonologo. Fermandosi a metà strada, con le mani appoggiate ai fianchi e l'espressione di chi avrebbe davvero voluto trovarsi altrove. Fattelo dire, Magnus. La tua ragazza è insopportabile. « Fai qualcosa! C'erano tutti i miei vestiti lì dentro. E i regali. La mia Birkin edizione limitata. Hai idea di quanto tempo ci voglia per averne una? » Strabuzzò gli occhi, aprendo di scatto le braccia. « NON LO SOOOO. COSA CAZZO È UNA BIRKIN? » Far spazientire Eliphas non era semplice - tutt'altro. Ma la Bernheimer sembrava essersene resa capace dopo nemmeno dieci minuti di interazione. « Cosa vuoi che faccia? Prima mi dici che devo aggiustarti la macchina, poi che devo.. bo, fartela ricomparire dal nulla? Sono uno warlock, non un genio della lampada. » E quelli non ti conviene cercarli, che ti fregano sempre. « Non startene impallato lì come una mummia! Chiama la polizia. Avvisa qualcuno! No - no no no no! Non avvisare nessuno. » Sospirò esasperato, lasciandosi cadere seduto sul ciglio della strada e passandosi le mani sul volto fino a rivolgere lo sguardo al cielo plumbeo. Dove sono gli Auror? Vi prego, portatemi ad Azkaban. « Non fa niente. Va tutto bene. » Quelle parole avrebbero dovuto rincuorarlo, e forse sulle prime fu proprio questo il loro effetto. Tuttavia quel senso di sollievo durò poco. Un po' perché, dopo i lunghi soliloqui della ragazza, il silenzio fu letto da Eliphas come qualcosa di preoccupante. E un po' perché la tensione che la giovane sembrava avere in corpo andò a coincidere in maniera un po' troppo sospetta con l'inquietante sfrigolio del lampione sopra di lei. Istintivamente si alzò in piedi, ma non fu comunque abbastanza svelto, ritrovandosi a sussultare all'indietro e pararsi il viso quando la luce scoppiò di colpo, lasciandosi dietro una puzza che nulla aveva a che fare con qualcosa di naturale. Qualunque warlock avrebbe potuto distinguerla con facilità: un sintomo, un lascito della magia che li contraddistingueva. Ma lei non aveva un ditale, e non aveva nemmeno una bacchetta - almeno non a portata di mano. Si guardò velocemente intorno. Il vuoto. Magia accidentale? Non era cosa comune tra gli adulti, ma a giudicare dallo stato d'animo della mora, era la cosa più plausibile. Ed Eliphas non aveva una vera e propria soluzione, specialmente dato che delle cause non sapeva nulla. Poteva solo tentare e seguire l'istinto. Così, a lunghe falcate, raggiunse Diana, piantandosi di fronte a lei. Con un movimento svolto slacciò la chiusura del pentacolo che portava sempre al collo, facendo passare il lungo cordino argentato oltre il collo di lei, in modo da comprendere quello di entrambi. Allacciato nuovamente, puntò il ditale contro il retro del medaglione, cominciando a bisbigliare qualche parola in un dialetto antico mentre la punta di ferro tracciava il disegno di una runa i cui solchi brillavano di luce verdastra. Non sapeva quanto ciò potesse servire, ma se dentro di lei c'era della magia nera incontrollata, il sigillo poteva far sì che questa fugasse almeno in parte in lui, riequilibrando temporaneamente la situazione. Gli occhi del demologo saettarono veloci dal pentacolo al viso di lei, cercando conferma di una sperata efficacia. « Meglio? » chiese a voce più bassa, ricercando il suo sguardo per accertarsi che quell'abracadabra - come lo chiamava lei - avesse funzionato. Sapeva ben poco di Diana e ne aveva capito ancor meno dai suoi discorsi, ma se un inconveniente qualunque come quello della macchina aveva il potere di portarla a tanto, di certo la situazione era preoccupante. Magnus sa di tutto ciò? Sa che è una bomba ad orologeria? E la lascia andare in giro indisturbata, senza protezione, senza sigilli di alcuna sorta, nulla di nulla? Inutile dirlo: quella situazione si faceva più strana di secondo in secondo, e ormai l'ipotesi della trappola ministeriale era l'ultima delle sue preoccupazioni. Qualcuno te lo ha detto, Diana, che uno psichico non può aiutarti davvero? Magnus te l'ha detto che, rovistandoti nella testa, non farà altro che peggiorare la tua situazione a lungo termine? È davvero così irresponsabile da non curarsene? Sospirò. Quelli non avrebbero dovuto essere affari suoi, e di certo non avrebbe dovuto interessarsene, ma se suo fratello - o qualcuno che si spacciava per tale - era coinvolto, Eliphas non poteva esattamente starsene con le mani in mano. « Non hai
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    nulla per tenerlo sotto controllo? »
    Dimmi che avevi un qualche sigillo in macchina ed è questa la ragione per cui hai dato di matto. « Un amuleto? Una gemma? Niente? » Sospirò nuovamente, slacciando il cordino del pentacolo per liberarla dalla presa. Sentiva su di sé la pesantezza di quell'energia, e la runa incisa sull'argento stava cominciando a sbiadire - segno che l'incanto doveva aver funzionato. Ma era solo un effetto temporaneo. Così, girando nuovamente il pentacolo, incise un'altra runa, allacciando poi la chiusura dietro al collo della ragazza e lasciando cadere il pendente dentro il collo della sua maglietta. « Durerà qualche giorno, se non succede nulla di troppo grave. Non farlo vedere, non parlarne con nessuno. Tienilo sempre a contatto con la pelle. » Le diede quelle istruzioni velocemente, prima di puntare gli occhi in quelli di lei con sguardo eloquente, facendo passare l'indice nel breve spazio tra loro due. « Io e te non ci siamo visti, ok? E non ne faremo più parola. Ero qui per altri scopi, non per te. Quindi il massimo che posso fare è darti un passaggio con la smaterializzazione e lasciarti in un centro abitato da cui dovrai proseguire per conto tuo. Tutto chiaro? » Fece un passo indietro, affondando le mani nelle tasche in un istante di silenzio, prima di indicarla con un cenno del mento. « Quando la runa sbiadisce puoi anche buttarlo, non importa. Ma ti consiglio di trovare qualcosa che lo rimpiazzi se non vuoi far esplodere altri lampioni. »

     
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    La pressione che sentiva nelle tempie portava con sé solo altro panico, il terrore di aver perso il controllo per una cosa tanto stupida quanto insignificante. Ma lo era davvero? Stupida e insignificante? La vita di Diana si manteneva su equilibri precari. Viveva con la convinzione che se fosse stata impeccabile avrebbe potuto vivere una vita pressoché normale, agiata, serena, e questo era il motore propulsore di tutta la sua esistenza. « Ti diverti mai, Diana? » Erano nel salotto del suo attico quando un Magnus spazientito dal via vai della ragazza, incapace di stare ferma anche prima di un'intensa sessione di pulizie, le porge quella domanda con un'espressione annoiata. La mora continua a spostarsi nell'ambiente domestico come se mantenere anche solo un capello fuori posto fosse fuori discussione. Forse si sente solo ignorato; d'altronde è sempre piuttosto evidente quanto poco gradisca l'intrusione dello warlock. « Vedi la mia agenda da qualche parte? » Non lo stava neanche ascoltando. La sua testa viaggiava ad alta velocità pensando alla conferenza stampa e alle dichiarazioni che avrebbe rilasciato il giorno seguente. Minerva era da poco salita al potere e lei aveva ottenuto un importante contratto con una delle case più famose di moda del mondo magico. Doveva ripassare il suo discorso prima che Magnus rovistasse nella dua testa. « Diana. » Di colpo le dita di Magnus si stringono attorno al suo polso obbligandola a fermarsi. Non è davvero là, eppure il suo cervello registra quel contatto come se fosse vero. Il calore dei suoi polpastrelli contro la pelle fredda mentre avanza qualche passo nella sua direzione. « Mi hai sentito? Ti ho fatto una domanda. » In tutta risposta, la mora alza lo sguardo nella sua direzione schiudendo le labbra. « Anche io ti ho fatto una domanda. » Nessuno dei due interrompe quel contatto, quanto meno finché, consapevole del fatto che Diana non di sarebbe sottatta, la lascia andare. « Comodino, in camera da letto. » Lei stira un sorriso di finta gentilezza e senza aggiungere altro si dirige nella direzione da lui indicata. L'ha sentito, solo che non vuole rispondergli. Ha ormai imparato che Magnus ha sin troppo potere su di lei e quella domanda avrebbe dato il via solo ad altri giochetti psicologici. Odiava il potere che aveva su di lei. Odiava essere manipolata. « Sei nella mia testa da sufficiente tempo per sapere che non tutti ci divertiamo allo stesso modo. Se ti annoi, nessuno ti trattiene. » Sei comunque in anticipo. Come sempre. Traeva piacere dalla possibilità di esercitare il suo fascino sull'indole di lei. « Che noia! È un peccato che tu non sia cresciuta con noi. Cambieresti idea. Noi abbiamo un concetto di divertimento diverso. Dovresti abbracciarlo. Lasciarti andare ogni tanto. Sei una di noi in fondo. » Lo era? Magnus ci teneva molto a ricordarle che lei appartenesse alla comunità degli warlock. Che in realtà, se solo loro fossero stati sufficientemente aperti, Diana avrebbe avuto un ditale e avrebbe potuto partecipato a tutte quelle usanze che conosceva più per sentito dire che altro. « Quando Minerva avrà chiuso il cerchio tu tornerai tra i tuoi simili e potrai finalmente lasciarti alle spalle tutto. Sarai una di noi a tutti gli effetti. Dovresti iniziare ad abituarti all'idea. » Non c'era cosa che desiderasse di più. Fremeva all'idea di poter essere accettata, di non dover più vivere nell'ombra, convinta che la sua stessa famiglia le avrebbe fatto del male. « Mmh strano; pensavo che essere una warlock fosse qualcosa di più che divertirsi ai festini. » « Dipende. » A quel punto, per un istante Diana lo osservò da sotto i grandi occhiali da vista, prima di tornare a scorrere il suo discorso. Sapeva che una volta conclusa quella sessione sarebbe andata dritta a dormire; non diede quindi troppo peso alle parole di lui. Era, tuttavia, difficile non lasciarsi sedurre da quelle immagini, dal desiderio di appartenere. Di trovare finalmente il proprio posto nel mondo. Tutto ciò che faceva non era nemmeno lontanamente soddisfacente quando la possibilità di riappropriarsi di se stessa, abbracciare le sue origini, quella che a tutti gli effetti pensava fosse la sua communità. « Nel mondo reale mi tocca ancora lavorare. » Richiusa l'agenda la posò all'interno del cassetto scrollandosi la tensione di dosso roteando la testa verso destra e verso sinistra. « Ma arriverà il giorno in cui non dovrai più farlo. Scommetto che sarai un'ottima psichica. Forse anche qualcosa di più. Ciò che tu hai per le mani, Diana, è un potere che può infrangere i nostri antiquanti limiti. Ed io sarò lì ad aiutarti. Sempre. » Una fantasia. Un sacrilegio. Qualcosa che, Magnus non avrebbe nemmeno dovuto nominare. Oppure no? Cosa significa quando Minerva chiudera il cerchio? Tante domande a cui nemmeno lei aveva risposte certe. « Ma per adesso devo ancora lavorare. E anche tu devi. » Di arrotolò la manica della camicia fino all'altezza del'avambraccio, scoprendo il marchio che aveva sempre portato sul braccio, per poi lasciarlo lavorare. Il moro percorse con dita affusolate la pelle chiara di lei finché non giunse a toccare il marchio. Chiuse gli occhi inumidendosi le labbra. Attingere a quella magia, pensava Diana, sembrava quasi una specie di droga per lui. Quelle sessioni si protraevano per ore. Magnus scavava nella sua testa in maniera meticolosa, disegnando marchi potenti attorno al simbolo. Più e più volte le aveva detto che trovasse tutto ciò alquanto inutile. Tua madre non conosce davvero questa magia. Non può ucciderti, fidati. Ma Diana non si fidava. Semmai era certa che stesse nutrendo non solo l'ego ma anche l'ambizione e la sete di un giovane che aveva da tempo perso il controllo di sé. La Bernheimer, dal canto suo, aveva forse imparato a vivere in maniera così esemplare anche perché sapeva di non avere alcun tipo di privacy. Nessuno poteva garantirle che Magnus stesse facendo solo il suo lavoro, né poteva sapere a cosa lo warlock riferisse sul suo conto altrove. Così, meno domande si faceva, più riusciva a vivere in maniera rigorosa, e più non ci sarebbe stato nulla da dire sul suo conto. Lui giurava di non toccare parti di sé troppo private, ma nonostante questo c'erano momenti in cui aveva l'impressione che tenesse in pugno la sua anima. Se volesse potrebbe schiacciarla completamente. E non erano poche le volte in cui si chiedeva se non alterasse qualcosa di proposito, pur di tenere a bada i suoi impulsi.
    Forse non lo vedeva da troppo tempo, o semplicemente i marchi che solitamente applicava, avevano retto meno del solito. Aveva vissuto un periodo stressante e a dirla tutta, tutti quegli intoppi non aiutavano certo a farle fare bella figura. In fondo, anche quella volta, Diana non andava a casa dei Crane per divertirsi. Ci andava per esserci, per assicurarsi che la sua famiglia avrebbe continuato a godere del benestare del consiglio, perché doveva dimostrare di essere ancora una persona di cui potevano fidarsi. « Va tutto bene. » Continuava a ripetere ossessivamente trasalendo spaventata ad ogni scoppio. Le mani tremanti mentre sentiva quel fungo crescere dentro di lei premendo sul suo petto fino a farle male. Quasi non si accorse dell'improvvisa vicinanza del giovane warlock; non riusciva a respirare, combatteva con quel palese attacco di panico irrazionale che portava con sé solo altra tensione. Una mano afferrò l'avambraccio di lui, cercando una forma di equilibrio che nessuno poteva donarle. Così pensava. Osservava i movimenti del giovane senza veramente registrarli. Era come se una forza esterna la stesse strangolando. Non respirava. « Io - non riesco. » Non posso fermarlo. Non ce la faccio. Non riesco a respirare. Ma poi di colpo, qualcosa accadde. Il peso sul petto di lei sembrò risollevarsi di colpo permettendole di prendere una boccata d'aria tale per cui i suoi polmoni si riempirono per la prima volta di aria gelida. E come dal nulla, l'equilibrio arrivò. Come dopo una pioggia intensa, la nebbia e le nuvole addensatesi nella sua testa si allontanarono. E lei riuscì a mettere per la prima volta a fuoco il viso di lui. Lo vedeva. Non Magnus. Vedeva lui. « Meglio? » I colori dell'ambiente circostante ripresero a ravvivarsi, mentre un po' precaria si aggrappava al braccio di lui guardandosi attorno spaesata. Istintivamente osservò i lampioni sopra la sua testa. Avevano smesso. Le scintille si erano calmate di colpo. Tutto giaceva in una perfetta quiete come prima che i due arrivassero sulla desolata scena di quella strada bagnaticcia. « Non hai nulla per tenerlo sotto controllo? Un amuleto? Una gemma? Niente? » Lo sguardo della giovane Bernhaimer era talmente focalizzato sugli occhi scuri della controparte che quando quelle parole arrivarono fu come se quest'ultime provenissero dalle sue stesse interiora. Non aveva mai provato nulla del genere. Come se per un istante quel malessere avesse sostituito qualcosa che non le apparteneva e che invece arrivava direttamente da lui. Quella non era la solita magia di Magnus. Pur trovandosi spesso nella mente di lei, Diana aveva sempre percepito se stessa come intera, integra, come se qualunque cosa il giovane warlock stesse facendo non stesse in alcun modo alterando la sua anima. Erano sempre rimasti separari, e Magnus si era sempre sempre tenuto ben distante dall'andare troppo in profondità. Seppur le avesse detto più di una volta, con quel suo solito tono drammatico, che loro due erano una cosa sola, non lo erano mai stati. Istintivamente si portò la mano sul polso, come se volesse accertarsi che qualcosa fosse al suo posto. Nulla. Il bracciale che sua madre le aveva regalato molti anni prima non era lì. Scomparso. Come la macchina, come tutto ciò che la ancorava a quella precaria realtà. Lo sai. Tu lo sai che che è così. No. Non tu. Magnus. E avrebbe anche dovuto sapere che Magnus era il primo a non condividere l'ostinazione dei suoi cari di tenere a bada quella che per lui era un'impressionante fonte di energia. Il giovane psichico ne era affascinato. A tratti sembrava esserne ossessionato.
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    «Si - » Fu la sua risposta automatica. « - lo avevo. » Lo osservò armeggiare con quel gioiello un po' antiestetico senza dire niente, osservando piuttosto il suo volto come se si aspettasse che da un momento all'altro cambiasse sembianze. Chi sei? Perché quello, di certo non era Magnus. Sei un fantasma? Provieni dall'al di là? Ma soprattutto, perché la stava aiutando? « Durerà qualche giorno, se non succede nulla di troppo grave. Non farlo vedere, non parlarne con nessuno. Tienilo sempre a contatto con la pelle. Io e te non ci siamo visti, ok? E non ne faremo più parola. Ero qui per altri scopi, non per te. Quindi il massimo che posso fare è darti un passaggio con la smaterializzazione e lasciarti in un centro abitato da cui dovrai proseguire per conto tuo. Tutto chiaro? » Ma la cosa più strana di tutte era la leggerezza. Si sentiva come se avesse avuto un peso enorme sulle spalle per tempi immemori e ora, per la prima volta, riusciva a muoversi, respirare. Ispirò a fondo; l'aria gelida nei polmoni mentre lo osservava con occhi grandi e l'espressione di chi tentava di leggere nell'animo dell'altro. « Quando la runa sbiadisce puoi anche buttarlo, non importa. Ma ti consiglio di trovare qualcosa che lo rimpiazzi se non vuoi far esplodere altri lampioni. » Io e te non ci siamo visti, ok? Ma loro si erano visti. Erano lì. Sul ciglio di una strada in mezzo al nulla; una foresta buia da un lato, campi aridi dall'altra. Le colline alle spalle dello warlock. Un quadro che avrebbe voluto poter immortale per ricordarsi quanto fosse bello poter respirare, per rammentare quel barlume di libertà. « Come - come hai fatto? » Lo sguardo di lei puntato negli occhi di lui con un'espressione che si fa via via più seria. « Legge numero 195 del 1724, articolo 3, comma 1; nessun warlock può, senza eccezione alcuna, infrangere il sommo ordine delle classi costituito e tramandato tramite il Trattato del Sommo Concilio di Aleppo del 1523. L'inosservanza del presente articolo è punibile con l'estromissione immediata dal cuore della comunità warlock, oltre a sanzioni pecuniarie e restrizioni sulla pratica delle arti arcane. La sospensione dei diritti e dei privilegi warlock sarà effettiva fino a che il trasgressore non dimostri, attraverso un rito di purificazione magica approvato dal Consiglio degli Anziani, il suo pentimento e la sua volontà di sottomettersi nuovamente al Trattato del Concilio. Il Consiglio degli Anziani avrà definitivamente ogni diritto dello warlock e codannarlo all'Oblio Eterno. » La peggiore delle punizioni; dimenticare - per sempre. Tirò un lungo sospiro sollevando il mento a mo di sfida. Conosco bene le vostre leggi. Le nostre. Perché seppur Diana fosse vissuta fuori da quel mondo, ne aveva sempre bramato l'appartenenza. La sentiva come un'eredità, un diritto, qualcosa che a pochi bambini veniva concesso a prescindere e che a lei invece era stato sotratto. « Uno psichico non usa i sigilli a meno che non vuole andare incontro a un destino peggiore della morte » I marchi sì, ma sono completamente differenti. Quella in cui il giovane warlock si era destreggiato era una conoscenza diversa; una che apparteneva a un'arte completamente differente. Non era maldestro, né incerto e sembrava essere sufficientemente potente da tenere a bada energie con cui aveva ben poca dimestichezza. Un demonologo esperto. Poi di colpo ebbe una realizzazione, e le pupille di lei si dilatarsi ulteriormente, portandola a indietreggiare di un passo. Si portò la mano sul petto e strinse i denti. Ma certo. Come ho fatto a essere così stupida. Strinse il pugno della mano destra portandosi mordendosi l'indice con una tale violenza da percepire tutto il dolore causato dai propri denti. « È uno scherzo. » Sospirò profondamente cercando di contare fino a dieci prima di aprire bocca. « Mi sto impegnando con tutta me stessa a non strapparmi questo obbrobrio dal collo nella speranza che la prossima cosa a scoppiare sia la tua testa. Perché tu - TU - sei un - » - un completo deficiente. Ma quelle parole, Diana non le avrebbe detto a voce alta, perché in fondo doveva tentare di dimostrare la propria riconoscenza a una persona che l'aveva aiutata. Qualunque altra linea di condotta sarebbe stata non-impeccabile. « Era così difficile dire non sono Magnus, non ti conosco?? » Di colpo avanzò nella sua direzione puntandogli il dito contro. « Quanto tempo hai detto che ci vuole prima che la tua magia sparisca? Qualche giorno? » Accidenti, qualche giorno è tantissimo. « Se si accorgono che un altro warlock mi ha toccata - uno come te poi - siamo spacciati entrambi. Seguiranno la scia e troveranno te, ed io sarò tua diretta complice. » Penseranno che ho finalmente dato seguito alla mia fissazione di entrare in contatto con le communità degli warlock. Le comunità degli "impuri". Non riuscì a contenersi e di colpo, colta da un'improvviso raptus di rabbia lo colpì con la borsetta sul braccio. « Cosa ti dice il cervello eh?! Impuro e anche ricercato. » Forse prendere a borsettate uno spilungone, per giunta warlock e demonologo, che avrebbe potuto tranquillamente lanciarla in un fosso anche senza poteri magici era poco saggio, ma in quel momento non è che poteva fare poi molto. « Mi hai compromessa! » Bastardo! Si stava agitando talmente tanto che per poco non perse l'equilibrio sui suoi costosissimi tacchi a spillo. « Chi ti ha mandato? Da quanto tempo mi state cercando? Perché non mi lasciate vivere in pace? Non ho fatto del male a nessuno! Perché non potete semplicemente permettermi di esistere. » Soffiava pesantemente cercando di trattenersi dall'arrabbiarsi ancora di più. Scoccò la lingua contro il palato e scosse la testa. « Ridammi la mia macchina, su! E la Birkin. » Se penso che volevo anche mettermi in contatto con voi. « È opera tua la Mietitrice, avanti, confessa! Me l'hai messa alle calcagna e ora fai finta di aiutarmi, certo! » Creare un problema per far finta di risolverlo. Ma proprio mentre la stava nominando la vecchia megera comparve alle sue spalle; impallidì di colpo. Portava una vecchia vestaglia bianca; i lunghi capelli bianchi umidicci gocciolavano. Era sporca. Le gambe ossute avevano un aspetto orribile. Di colpo afferrò entrambi i lembi del cappotto dello warlock cercando riparo dalla sua presenza. Ma proprio quando tornò a guardare, la megera si avventò su entrambi urlante, prima di scomparire neo nulla. « Il vostro viaggio si ferma qui. » Di colpo si allontanò lasciando andare il suo cappotto con uno scatto. Se il sigillo di lui non teneva a bada quella cosa non ci stava più capendo nulla. Ma non avrebbe comunque ammesso di poter essersi sbagliata. Se sei qui, sicuramente non è un caso. E se mi stavi cercando voglio sapere che cosa vuoi da me. Si schiarì la voce e sollevò il mento sistemandosi la sciarpa di seta per poi rimettersi in ordine i capelli. « Ti sarei molto grata se potessi darmi quel passaggio. » Come se nulla fosse. « Vicino a una caserma, possibilmente. Devo denunciare la scomparsa della mia Birkin. E della macchina. » Pausa. « Ti pagherò. » Si affrettò a dire. « Profumatamente. » Altra pausa. « In contanti. O assegno. Come preferisci. »



     
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    « Come - come hai fatto? » Scrollò le spalle, cercando di ostentare una certa noncuranza. D'altronde la magia warlock era sempre stata piuttosto misteriosa per chi non faceva parte della loro comunità, ed Eliphas era certo Diana - come tutti gli altri maghi - fosse abbastanza ignorante in materia da non farsi troppe domande. « È una magia nostra. Nulla di che. » Ma Diana, evidentemente, tanto ignorante in materia non lo era. « Legge numero 195 del 1724, articolo 3, comma 1; nessun warlock può, senza eccezione alcuna, infrangere il sommo ordine delle classi costituito e tramandato tramite il Trattato del Sommo Concilio di Aleppo del 1523. L'inosservanza del presente articolo è punibile con l'estromissione immediata dal cuore della comunità warlock, oltre a sanzioni pecuniarie e restrizioni sulla pratica delle arti arcane. La sospensione dei diritti e dei privilegi warlock sarà effettiva fino a che il trasgressore non dimostri, attraverso un rito di purificazione magica approvato dal Consiglio degli Anziani, il suo pentimento e la sua volontà di sottomettersi nuovamente al Trattato del Concilio. Il Consiglio degli Anziani avrà definitivamente ogni diritto dello warlock e condannarlo all'Oblio Eterno. » Istintivamente il demonologo sollevò le sopracciglia, preso in contropiede dall'accuratezza con cui sciorinava una legge che nemmeno il più ligio degli warlock avrebbe saputo recitare a memoria con tanta precisione. Ma tu come fai a sapere queste cose? Perché dubitava fortemente che fosse stato lo stesso Magnus a insegnargliele; quanto meno non in maniera così capillare. E soprattutto come fai a distinguere un tipo di magia da un altro tipo? « Uno psichico non usa i sigilli a meno che non vuole andare incontro a un destino peggiore della morte. » Ridacchiò nervoso, cercando di aggrapparsi a un ultimo tentativo di giocare sulla possibilità che un'esterna potesse essere raggirata. « Non è proprio così, però ci sta. Hai fatto i compiti a casa, vedo. » Ma né il suo povero tentativo di gaslighting né la sua simulata disinvoltura andarono a segno. Anzi, semmai sembrarono sortire l'effetto esattamente opposto. Le espressioni che si susseguirono sul viso di lei delinearono una sequenza inequivocabile. Eliphas fece un passo indietro, aggrottando la fronte, la mano pronta a castare la prima magia utile a difendersi qualora necessario. « È uno scherzo. Mi sto impegnando con tutta me stessa a non strapparmi questo obbrobrio dal collo nella speranza che la prossima cosa a scoppiare sia la tua testa. Perché tu - TU - sei un - » « Uno che ti ha aiutata. Sicuramente più di chi chiami 오빠. Quindi fatti da parte e dividiamoci in maniera pacifica. » Non voleva attaccarla. Non l'avrebbe fatto. Non se non si fosse rivelato inevitabile per la propria salvaguardia. Ma a carte ormai scoperte non poteva avere certezza riguardo ciò che lei avrebbe fatto. « Era così difficile dire non sono Magnus, non ti conosco?? » Un colpo di risata incredula risalì dalla gola del moro, che abbassò il mento a guardarla come a chiederle se fosse seria. « Scusa ti dovevo dire "no mi dispiace sono il gemello, quello ricercato"? » Da una che a quanto pare non si lascia sfuggire nulla mi aspetto un po' più di sale in zucca. « Quanto tempo hai detto che ci vuole prima che la tua magia sparisca? Qualche giorno? Se si accorgono che un altro warlock mi ha toccata - uno come te poi - siamo spacciati entrambi. Seguiranno la scia e troveranno te, ed io sarò tua diretta complice. » Alzò gli occhi al cielo. Uno come me. Fece per aprire bocca e risponderle, ma prima ancora che le parole potessero prendere forma, gli vennero strappate via da un colpo di borsetta sul braccio. « EHI! » Un'esclamazione più di sorpresa che altro, la sua. « Cosa ti dice il cervello eh?! Impuro e anche ricercato. Mi hai compromessa! » Istintivamente le appoggiò una mano sul gomito, dandole appoggio nel vederla traballare sui tacchi. Un gesto veloce da cui si ritrasse non appena lei fu di nuovo stabile. «
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    Ma impuro cosa?? Che problemi hai? Ma guarda tu questa! Buttala pure se ti senti tanto compromessa. Figurati quanto me ne importa se finisci per far esplodere mezza Londra. »
    Quanto meno che sia la metà giusta, però. E quale fosse, la metà giusta, forse non era tanto chiaro nemmeno a lui. « Chi ti ha mandato? Da quanto tempo mi state cercando? Perché non mi lasciate vivere in pace? Non ho fatto del male a nessuno! Perché non potete semplicemente permettermi di esistere. » Ma chi sei? Cosa vuoi? Secondo te sono davvero nella posizione di andare a tormentare qualcuno? Sono io il ricercato, non tu. « Ridammi la mia macchina, su! E la Birkin. È opera tua la Mietitrice, avanti, confessa! Me l'hai messa alle calcagna e ora fai finta di aiutarmi, certo! » Sbuffò pesantemente, allargando le braccia solo per farle ricadere lungo i fianchi in un movimento esasperato. « Senti fai come ti pare, pensa quello che vuoi. Davvero non mi interessa. » Anzi, stupido io che come al solito mi immischio. Dovevo smaterializzarmi nell'istante in cui hai iniziato a dare di matto. D'altronde non sei un mio problema. Una lezione, quella, che per Eliphas risultava particolarmente difficile imparare. Persino quando si era trattato di incontrare gli altri ricercati, il demonologo non era riuscito a negarsi del tutto. In primo luogo si era presentato all'incontro (e già questo era stato il primo errore), e poi, una volta lì, non aveva saputo dire un secco no ma invece, pur mettendo una certa distanza, si era comunque reso disponibile a dare una mano nella sua area di competenza qualora richiesto. E lo avrebbe fatto, perché Eliphas Luhng non ce la faceva fisicamente a starsene con le mani in mano quando qualcuno si trovava in difficoltà. Un difetto che mi ha fatto finire esattamente qui, in questa situazione. Forse Magnus aveva sempre avuto ragione a dirgli che era uno smidollato. Sospirò, annuendo al silenzio della giovane. Ecco, piantiamola qui. Ma no, non era finita. « Ma che fai?? » Sussultò quando le mani di lei afferrarono la stoffa del suo cappotto, nascondendovisi dietro come a cercare riparo da qualunque cosa si trovasse alle spalle di lui. Istintivamente il moro si voltò, solo per ritrovarsi faccia a faccia con una vecchia urlante. « Il vostro viaggio si ferma qui. » Inclinò il capo di lato, aggrottando la fronte, più confuso che altro. Che fosse un'anima della loggia era piuttosto chiaro, ma non poteva dire di aver mai avuto il piacere di incontrarla. « Guarda che non ti fa niente. » proferì un po' scocciato in direzione di Diana, facendo schioccare la lingua sul palato. « Il fatto che abbia un aspetto un po' spaventoso non la rende automaticamente una minaccia, lo sai? » Quello non te l'ha insegnato Magnus? Vabbè, ma tanto cosa ci si può aspettare da voialtri? Siete pieni di pregiudizi fino alla punta dei capelli. « Ti sarei molto grata se potessi darmi quel passaggio. Vicino a una caserma, possibilmente. Devo denunciare la scomparsa della mia Birkin. E della macchina. Ti pagherò. Profumatamente. In contanti. O assegno. Come preferisci. » Inarcò un sopracciglio. Ma perché non un bonifico tanto che ci siamo? Un sospiro sfuggì dalle sue labbra. « Non me ne faccio nulla dei soldi, Diana. E se pure fosse, non sono il tipo che si fa pagare profumatamente dei favori che sono semplice umana decenza. » Gli angoli delle labbra di Eliphas si incurvarono veloci in un sorriso millimetrico privo di emozione ma colmo di sarcasmo. « Scioccante da un ricercato impuro, vero? » Ma giustamente tu sei la fidanzatina di Magnus, quindi è solo naturale che ti abbia addestrata bene a credere che nulla sia gratuito. « Se proprio devi fare qualcosa, evitare di parlare di questo incontro con mio fratello o i tuoi amichetti. Cosa che a quanto pare torna comoda pure a te. » Detto ciò, girò sui tacchi, avviandosi a passo svelto verso il margine della strada, lì dove iniziava il bosco. Arrivato al suo limitare, si voltò a guardarla, ancora impalata lì dove si trovava. Con un movimento un po' spazientito, le fece cenno di seguirlo. « Dai, su. » Per una che ha fretta di andare a cena col Ministro sei davvero lenta. Ma presto Eliphas capì che le ragioni della titubanza di Diana potevano essere altre, in aggiunta alla più ovvia sfiducia. Lo sguardo del demonologo passò dagli occhi di lei al punto che stavano fissando, poi nuovamente a quelli di lei. Esalò un respiro esasperato. « Ti prego non dirmi che hai paura di rovinarti le scarpe. » Che forse rovinarsele era il meno, visto che tacchi alti e fanghiglia non andavano molto d'accordo. Da quelle parti, nelle Highlands, il terreno era sempre umido - specialmente in quei periodi dell'anno in cui pioveva pressoché ininterrottamente. « Diana, non mi posso smaterializzare in mezzo alla strada. Non ti porto lontano, ma almeno un po' di copertura devo averla. » Per Eliphas, mettendosi nei panni di lei, la soluzione più ovvia sarebbe stato semplicemente rimuovere l'ostacolo principale togliendosi quei trampoli; ma probabilmente se le avesse proposto una cosa del genere, Diana avrebbe avuto un altro crollo psicologico, allungando ulteriormente le tempistiche. Così, appellatosi a tutta la pazienza che aveva, il giovane Luhng prese un lungo respiro, voltandosi di spalle rispetto a lei e accovacciandosi. Si diede un paio di pacche sulla spalla, senza girarsi a guardarla, ma tenendo lo sguardo ben fisso di fronte a sé, nel nulla del bosco fitto. Guarda tu cosa mi tocca fare. « È più umiliante per me che per te, fidati. » Aspettò tutto il tempo necessario a Diana per convincersi a quel mezzo di trasporto, dopodiché, assicurata la presa, tornò in piedi e si diresse a lunghe falcate verso l'interno del bosco. Come promesso, non andò troppo avanti, cercando semplicemente un punto sufficientemente lontano dalla strada e un tronco abbastanza grosso da usare come copertura. « Tieniti. » la avvisò, prima di far roteare l'indice in un movimento specifico, a cui seguì un turbinio di foglie e zolfo. Nel giro di un breve istante, i suoi piedi atterrarono traballanti sulla pietra dura. La ricerca di un punto d'appoggio stabile fu vana, e nel tentativo di non cadere faccia a terra si avvicinò il più possibile ad uno dei muri, finendo per cozzarci contro con la spalla e dare una botta con lo zigomo. « PORCA-! » Si morse il labbro inferiore, trattenendosi dal terminare l'imprecazione mentre lasciava andare lentamente la presa su Diana, in modo tale da farle rimettere i piedi in terra con più grazia di quanta ne fosse toccata a lui. La chiesa diroccata di St. Peter a Thurso era un luogo che il demonologo conosceva piuttosto bene, avendo accompagnato un gruppetto di lycan a cercarvi le armi in seguito alle prime attività sospette della Loggia nelle Highlands. Le rovine si trovavano in prossimità del vecchio porto, non distante dalla cittadina babbana, dove Diana avrebbe potuto trovare tutto ciò di cui aveva bisogno, lasciandolo libero di tornare alle proprie misere occupazioni. Si portò una mano allo zigomo, che bruciava abbastanza da suggerire una ferita - cosa che fu confermata dalla sensazione bagnaticcia sui polpastrelli. Nulla di grave, ma comunque l'ennesima seccatura della serata. Sospirò scocciato, tamponandosi la guancia con il fazzoletto di stoffa bordò che aveva in tasca prima di voltarsi in direzione della mora. « Siamo a Thurso. Basta che segui la stradina verso le luci e ti trovi nel paese. È il punto più vicino alla tua meta che conosco: in massimo un'oretta dovresti essere alla tua preziosissima cena. » sciorinò velocemente, prima di stirarle un sorriso sarcastico. « Ti direi di salutare tutti da parte mia, ma forse non è il caso. » Fece una pausa. « Però quando rivedi Magnus sentiti pure libera di chiedergli perché, di preciso, creda che rovistarti nella testa sia una buona idea quando è atrocemente lapalissiano che il problema sia un altro. » Lo capirebbe anche un novizio che per riparare un vaso rotto non serve a nulla armeggiare con la terra che ci sta dentro.

     
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    Sin da quando aveva rimesso piede in Inghilterra e la sua vita era iniziata a girare, Diana era stata avvertita sulla pericolosità di entrare in contatto con altri warlock. Sua madre le aveva fatto giurare che ne sarebbe rimasta alla larga e che, nonostante la sua malsana curiosità avrebbe abbandonato l'idea di conoscerli. Quella terra era la prima ad averle offerto un palcoscenico, la prima ad averla accolta a braccia aperte, senza remore, lasciandole la libertà di decidere sul suo destino, almeno in parte. Ma era davvero così? Diana era davvero libera? Spesso le sfuggiva il senso di tante scelte fatte per la sua incolumità, così come le sfuggiva la ragione per cui dovesse rimanere lontana dai suoi simili. Seppur non fosse mai appartenuta a quelle piazze, e non avesse mai studiato al fianco degli altri, Diana sentiva che quello era il suo posto. Perché dovrebbero mai uccidere una persona fatta e finita? Forse ai tempi non sapevano con cosa avessero a che fare. Era più semplice così. Non li scusava, né trovava una giustificazione alla volontà di uccidere una neonata, ma capiva da quale posizione venisse una simile decisione. E allora perché Eliphas Luhng si comportava come se preferisse trovarsi in qualunque altro posto tranne che lì come lei? Era l'ennesima trappola? Un giochetto mentale? « Senti fai come ti pare, pensa quello che vuoi. Davvero non mi interessa. » Era quanto mai smarrita di fronte all'apparente indifferenza dello warlock. E si sarebbe persino sentita offesa, se solo un improvviso cambio di programma non avesse spostato la sua attenzione sulla necessità di nascondersi. « Guarda che non ti fa niente. Il fatto che abbia un aspetto un po' spaventoso non la rende automaticamente una minaccia, lo sai? » Ma tu come fai a essere così indifferente. È orribile. E a dirla tutta, le dava parecchio filo da torcere. Quell'anima, essere, creatura - di qualunque cosa si trattasse - continuava a tornare nonostante le accortezze di Magnus. C'erano volte in cui se la ritrovava appresso nei momenti meno opportuni, ed ogni volta ne rimaneva completamente terrorizzata. C'era, tuttavia in lei, qualcosa di estremamente particolare. Una sensazione; come se la conoscesse. Come se quell'essere orrido fosse in un certo qual modo destinato a rimanere con lei indipendentemente da quanto si sforzasse a scacciarla. Non risponde al giovane warlock. Preferisce schiarirsi la voce e offrirgli una profumata paga in cambio di un passaggio. Un passaggio dove poi? Non posso andarci davvero. Se scoprono che ho incontrato un fuggitivo la prima cosa che chiederanno è perché non ho chiamato le autorità. Sui movimenti strani, il Progetto Minerva si insospettiva in fretta. Temevano nuovi possibili attacchi da parte dei terroristi. E lei era in compagnia di uno di loro. Tuttavia, Eliphas si comportava come tutto fuorché un terrorista. Semmai sembra un po' per aria. Nessun dubbio sulla possibilità che la ragione di quello stato d'animo potesse essere collegato al suo comportamento. « Non me ne faccio nulla dei soldi, Diana. E se pure fosse, non sono il tipo che si fa pagare profumatamente dei favori che sono semplice umana decenza. Scioccante da un ricercato impuro, vero? Se proprio devi fare qualcosa, evitare di parlare di questo incontro con mio fratello o i tuoi amichetti. Cosa che a quanto pare torna comoda pure a te. » « Mi stai chiedendo di non parlare di te con uno warlock che vaga nella mia testa come un elefante in una cristalleria? Benissimo. » Indietreggiò a sua volta, tentando di scrollarsi di dosso l'evidente imbarazzo dovuto alla debolezza appena mostrata. « Farò quello che posso. » A quel punto si aspettava una veloce quanto indolore smaterializzazione - una decisione di cui già non era poi tanto sicura, alla luce del fatto che non si fidava di lui. Aveva però alternative? Di camminare o fare l'autostop non se ne parlava, e di taxi in quella zona non ce ne erano. Tra il salire a bordo di un'auto con uno sconosciuto e smaterializzarsi chissà dove con il giovane Luhng - accidenti non so proprio cosa sia peggio. In definitiva però, Eliphas non le aveva fatto nulla, e per quanto ciò non dicesse abbastanza sulla sua persona, riusciva sicuramente a catturare la sua attenzione. La palese antipatia però, non gioca molto a suo favore di certo. Se era vero che gli warlock la volevano morta però, perché nel momento in cui ne incontrava uno, quest'ultimo si comportava come se fosse caduto dalle nuvole? « Dai, su. » A quel punto alzò gli occhi al cielo seguendolo verso il limitare della strada, ma non appena si accorse della fanghiglia oltre l'asfalto, si fermò di colpo. Era una prova non indifferente; un po' per i tacchi, e un po' perché non voleva rovinarseli. « Ti prego non dirmi che hai paura di rovinarti le scarpe. » Lei sollevò lo sguardo a osservarlo alquanto contrariata, mentre face un tentativo allungando appena un passo per poi ritrarlo automaticamente nel rendersi conto che il fango era decisamente più spesso di quanto sembrasse. D'altronde, le orme di lui ne erano un chiaro segnale. « Senti! La fai facile tu con quei - quegli zoccoli! Il fango aggiunge solo carattere all'aria da ricercato. » Ed effettivamente più che i tacchi, a preoccuparla era la possibilità di sporcarsi i pantaloni. Non posso mica andarmene in giro come se avessi visitato una fattoria senza gli stivali anti-pioggia. « Diana, non mi posso smaterializzare in mezzo alla strada. Non ti porto lontano, ma almeno un po' di copertura devo averla. » A quel punto soffiò pesantemente corrugando la fronte. « Possiamo passare da un altro lato? Era riparato anche dietro alla stazione di servizio o nei bagni. » La proposta decisamente inopportuna lasciava intendere quanto fosse sentito quel dramma. Così, quando lo vide tornare sui propri passi, pensò che avesse intenzione di ascoltarla. Finalmente è tornato in sé, grazie al cielo! « Attento, fai piano. » Disse indietreggiando appena nel percepire i passi pensati di lui. « Mi stai schizzando. » Ma Eliphas aveva evidentemente altri piani. Nel vederlo accovacciarsi rimase alquanto interdetta. « Non starai suggerendo - » « È più umiliante per me che per te, fidati. » Cafone. Qualcun altro pagherebbe per portarmi in spalla. « Oh, umiliante. Credo sia il minimo che tu possa fare dopo avermi rovinato il Natale e potenzialmente la vita. » Effettivamente però, umiliante lo era per davvero, specialmente alla luce di come era iniziato quell'incontro e anche di come stava andando. Così, dopo aver alzato gli occhi al cielo sbuffando, decise di agganciarsi alle sue spalle e lasciarlo procedere fino a dove trovasse più opportuno. « Vai piano! Il fango schizza! Sai davo per scontato che quello col carattere particolare fosse Magnus, ma a quanto pare è proprio una cosa di - » Se la rischiava grossa, Diana, specialmente alla luce del fatto che Eliphas avrebbe potuto lasciare la presa e farla atterrare sul terriccio bagnato in qualunque momento. Ma fortunatamente, un po' perché erano giunti in un punto piuttosto isolato, e un po' perché forse non vedeva l'ora di farla stare zitta, non riuscì neanche a completare la frase.
    Faceva più freddo. Venne immediatamente colpita dalla distesa di neve tra le rovine di quello che doveva essere un vecchio monumento, una chiesa. Poi un tonfo, trambusto e le imprecazioni di Eliphas. Toccò il pavimento innevato guardandosi attorno con un certo sospetto, pensando prima a guardarsi le spalle e poi a osservare il volto del ragazzo. Aveva un brutto taglio. Doveva aver battuto la guancia contro la parete alla loro destra. « Siamo a Thurso. Basta che segui la stradina verso le luci e ti trovi nel paese. È il punto più vicino alla tua meta che conosco: in massimo un'oretta dovresti essere alla tua preziosissima cena. Ti direi di salutare tutti da parte mia, ma forse non è il caso. Però quando rivedi Magnus sentiti pure libera di chiedergli perché, di preciso, creda che rovistarti nella testa sia una buona idea quando è atrocemente lapalissiano che il problema sia un altro. » Tutto qui? Davvero? Si scoprì delusa, come se sotto sotto sperasse di trovarsi circondata da un branco warlock. Qualcuno che potesse aiutarla, qualcuno che potesse vederci chiaro e che volesse dargli una risposta. C'erano giorni in cui non sapere a chi porre le proprie domande era complesso. Guardava verso l'alto come se sperasse che in un modo o nell'altro ci fosse un modo per mettere fine a quel loop, all'apatia, a un percorso lineare nel quale si sentiva intrappolata. Lo osservava, impallata nello stesso punto, incredula nel realizzare che era davvero libera di andare. In cuor suo aveva pensato sin dal primo momento in cui aveva capito che quello non fosse Magnus, che finalmente erano arrivati, che quella eterna fuga da un nemico invisibile fosse finalmente giunta al termine. Forse in cuor suo lo voleva. E invece, ancora una volta era libera - libera di sbattersi nella sua gabbia dorata. Una cena col Ministro, uno shooting, le prove per una nuova collezione, un galà di beneficienza; dormire poco, mangiare ancora meno e via da capo. Si guardò alle spalle osservando la stradina che il moro le aveva indicato. Era innevata, come innevate erano le interiora della chiesa. Lui vestito di nero appariva come un naturale elemento di disturbo tra il grigiume sbiadito degli antichi mattoni e il candido manto. Istintivamente sospirò.
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    « Smettila. Stai solo peggiorando la situazione. Così ti verrà una cicatrice. » Disse di colpo, allungando la mano verso il gomito di lui, allontanando il fazzoletto dal suo viso. « Siediti. » Gli indicò quindi lo spesso parapetto in pietra che delineava una specie di portico all'entrata dell'edificio. Spazzò via un po' di neve per fare spazio ad entrambi, facendo il primo passo sedendosi nella migliore posizione per raggiungere la sua guancia. Era un bel taglio. Aveva sbattuto di brutto. « Dai, su! Non ti faccio niente. Non ero seria quando dicevo di voler farti esplodere la testa. » Glielo disse con una certa ironia sollevando entrambe le sopracciglia con una certa eloquenza. « Puoi almeno provarci a permettermi di dimostrare un po' di umana decenza oppure anche questo è troppo umiliante per te? » Non era solo umana decenza, ma in fondo voleva davvero tentare di ringraziarlo per aver acconsentito alla sua richiesta. Voleva però sapere quale fosse secondo lui il problema. Mise la borsetta tra loro. Era certa di avere delle salviette disinfettanti e qualche cerotto all'essenza di dittamo, perché nonostante la dimensione delle sue pochette, la giovane Bernheimer era il prototipo della donna pronta a tutto, tra antidolorifici per i giorni più fastidiosi del mese e fino a rimedi contro scarpe scomode e possibili piccoli incidenti di ogni sorta. Così, preso dal pacchetto minion una delle salviette, si avvicinò al suo viso, osservandolo per qualche istante con un'espressione cauta. « Brucerà un po'. » Così avvicinò l'indice avvolto nella salvietta al viso di lui, iniziando a liberarsi delle piccole particelle di polvere e detriti facendo attenzione a non essere troppo invasiva. « Perché pensi che il problema sia un altro? » Si fermò per un attimo corrugando appena la fronte. « Per favore, non dirmi di andare a chiederlo a Magnus. » Pausa. « Non lo conosco così bene. A dire il vero l'ho visto solo una volta o due in tutta la mia vita. Per il resto è solo qui - » E dicendo ciò ciondolò la testa a destra e sinistra tornando a concentrarsi sulla ferita. « Avrei dovuto capire che non sei lui quando hai fatto cadere quella bottiglia. Lui non si fa mai vedere. » Ne parlava come se fosse una cosa normale. E per Diana, in effetti lo era. « Vaga nella mia testa alla ricerca di quelle cose. Dice che è l'unico modo per farmi vivere una vita pressoché normale. Però non riesce mai a trovarla - lei, quella di prima. » Sospira fermandosi per un istante da quel lento occuparsi della ferita, scuotendo la testa. « Mi fa strano che si sia fatta vedere. Cerca sempre i momenti meno opportuni. » Mi trova quando non c'è nessuno, tant'è che stavo iniziando a pensare che non esistesse. Ci sono tante cose che non capisco. Tante che a volte non hanno senso. « Una volta l'ho preso di petto dicendogli che non c'erano prove che attestassero la possibilità che uno psichico fosse in grado di mandare quelle entità dall'altra parte. » Nelle comunità warlock ognuno ha le proprie mansioni, i propri compiti, e per impedire a ciascun warlock di perdere il controllo, le magie più complesse venivano eseguite in squadra. Era il modo più sicuro. « Lui ha risposto che quella regola vale solo per gli impuri e che dovevo smettere di cercarvi e - ..guardare con così tanta ammirazione a quelle regole. » Non sa perché gli dice tutte quelle cose. Forse perché è effettivamente il primo warlock non appartenente a Minerva che ha mai incontrato. Forse perché vuole sapere l'altra versione. Io sento di aver ascoltato solo una parte della storia. E se non sei qui per sgozzarmi, vorrei sapere cosa c'è dall'altra parte. Una volta soddisfatta del suo lavoro, accartocciò la salvietta sporca di sangue, prendendo uno dei cerotti quadrati, soffiando appena sulla ferita. « È un cerotto al dittamo. Non è veloce come l'essenza, ma tornerai come nuovo entro domani mattina. » Dicendo ciò tolse le due alette del cerotto e glielo appicciò in faccia, facendo attenzione a far aderire la benda intinta nel dittamo alla ferita. Poi lo osservò con più attenzione. Forse non avrebbe dovuto riservargli quel briciolo di fiducia che era evidente sentisse di concedergli, alla luce del suo comportamento. Voleva però concedergli il beneficio del dubbio. « Eri davvero lì per caso, Eliphas? Davvero non mi stavi cercando? » Deglutì. « Non c'è nessuno che sa che siamo qui? »



     
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    « Smettila. Stai solo peggiorando la situazione. Così ti verrà una cicatrice. » Cosa interessasse a Diana, del fatto che ad Eliphas potesse venire o meno una cicatrice, il demonologo non ne aveva idea. D'altronde la mora aveva reso ben chiaro il proprio disgusto nei confronti di lui e della sua attuale condizione con la giustizia dei maghi. « Non sarebbe la fine del mondo. » commentò, ridacchiando un po' amaro e un po' sarcastico tra sé e sé. Ma forse lo era per una come lei, la fine del mondo. Una mezza cicatrice in pieno viso. Che sciagura. « Siediti. Dai, su! Non ti faccio niente. Non ero seria quando dicevo di voler farti esplodere la testa. Puoi almeno provarci a permettermi di dimostrare un po' di umana decenza oppure anche questo è troppo umiliante per te? » « Pensavo che avessi fretta. » Sospirò, alzando appena gli occhi al cielo, ma si sedette lo stesso. Prese posto sul piccolo parapetto, senza curarsi troppo dell'armeggiare di Diana con la borsetta. Lo sguardo di Eliphas rimaneva puntato di fronte a sé, piuttosto vacuo, perso tra le rovine a cielo aperto di quella chiesa ormai abbandonata. « Brucerà un po'. » Ed effettivamente il bruciore lo sentì, quando la salvietta entrò a contatto con la pelle viva. Inspirò appena dal naso, contraendo istintivamente il muscolo della guancia, senza tuttavia lamentarsi. « Perché pensi che il problema sia un altro? » Schiuse le labbra, facendo per rispondere, ma lei lo anticipò sul tempo. « Per favore, non dirmi di andare a chiederlo a Magnus. Non lo conosco così bene. A dire il vero l'ho visto solo una volta o due in tutta la mia vita. Per il resto è solo qui - » Gli occhi del demonologo si spostarono brevemente su di lei, seguendo il movimento ondulatorio del suo capo. Ah quindi ti ci rovista proprio per bene nella testa. Grandissimo. « Avrei dovuto capire che non sei lui quando hai fatto cadere quella bottiglia. Lui non si fa mai vedere. » « O perché si taglierebbe un braccio piuttosto che sembrare un po' meno perfetto. » Magnus non era mai stato maldestro. Persino da ragazzini, quando nel giro di un'estate si erano trovati a spigare velocemente d'altezza, ritrovandosi in corpi che non sapevano ben coordinare - Magnus si era rivelato più bravo di lui ad acquisire una certa grazia nei movimenti. Non inciampava mai, non batteva mai la fronte contro uno stipite troppo alto, non stava mai curvo con la schiena. I compagni, ai tempi, dicevano che fosse semplice distinguerli proprio da quella differenza. « Vaga nella mia testa alla ricerca di quelle cose. Dice che è l'unico modo per farmi vivere una vita pressoché normale. Però non riesce mai a trovarla - lei, quella di prima. » Strinse leggermente le labbra. Che Magnus fosse davvero così ignorante? Ne dubitava. « Mi fa strano che si sia fatta vedere. Cerca sempre i momenti meno opportuni. Una volta l'ho preso di petto dicendogli che non c'erano prove che attestassero la possibilità che uno psichico fosse in grado di mandare quelle entità dall'altra parte. » Perché infatti non può, non è possibile. Non con i suoi poteri, quanto meno. « Lui ha risposto che quella regola vale solo per gli impuri e che dovevo smettere di cercarvi e - ..guardare con così tanta ammirazione a quelle regole. » Quelle parole sembrarono riuscire a tirar fuori da Eliphas una risata, una genuina, per quanto amara ed esterrefatta. Si voltò in direzione di Diana, osservandola da sotto le ciglia, col mento leggermente abbassato. « Davvero ti ha detto questo? È il massimo che si è saputo inventare? » Un'altra risata. Scosse piano la testa tra sé e sé, alzando gli occhi al cielo scuro e carico di nuvole. « Wow. Persino nel raccontare cazzate ha perso il lustro. » Cazzo se sei caduto in basso, Magnus. Ma evidentemente il fratello doveva aver pensato che qualunque cosa, anche la più stupida e insensata, andasse bene per essere rifilata ad un'estranea. « È un cerotto al dittamo. Non è veloce come l'essenza, ma tornerai come nuovo entro domani mattina. » Stese le labbra in un piccolo sorriso, tenue, ma pur sempre qualcosa, sfiorandosi la guancia con i polpastrelli. « Grazie. » « Eri davvero lì per caso, Eliphas? Davvero non mi stavi cercando? Non c'è nessuno che sa che siamo qui? » Sospirò, chiudendo brevemente le palpebre nell'annuire, come se quella piccola aggiunta rincarasse la dose della sua sincerità. « Diana.. non sono nella posizione di cercare nessuno al momento. I tuoi
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    amici mi hanno messo una taglia e i miei.. beh, immagino che non siano più tanto amici miei, visto che mi hanno gentilmente invitato a non farmi più vedere. »
    Lo disse con un sorriso, stringendosi nelle spalle e sollevando veloce lo sguardo, come se ci fosse qualcosa di divertente. Una battuta a spese proprie. « Quindi puoi stare tranquilla, immagino. Non andrò nemmeno a fare la spia; non me ne entrerebbe davvero nulla in tasca, onestamente. » Perché se pure la situazione della giovane, o il fatto che Magnus fosse vivo, potessero essere di interesse per la comunità, Eliphas dubitava fortemente che vendere quelle informazioni al concilio gli avrebbe procurato qualcosa in più di una stretta di mano o un croccantino. Mi vogliono fuori, punto. Potrei anche portargli El Dorado sulle spalle; non cambierebbe nulla. Quindi che senso ha farmi in quattro per una comunità che per me non muove nemmeno un dito? Sospirò. « Ora.. vuoi sapere la mia diagnosi? » Quella sembrava essere la domanda principale. Ma per affrontarla, Eliphas aveva bisogno di un aiuto. Si piegò verso la busta lasciata in terra, estraendone la bottiglia di whiskey e stappandola veloce con i denti, buttandone giù un buon sorso. Annuì tra sé e sé, rilassando la schiena contro la pietra fredda e distendendo le gambe di fronte a sé, accavallando i piedi. Così va meglio. « Beh, è molto semplice. Magnus non può risolvere il tuo problema perché è uno psichico. Gli psichici si occupano di ciò che sta dentro le nostre teste, no? » Sorrise eloquente, allargando appena le braccia. « Il problema non è nella tua testa. » Ta-dan. « Quella donna non è nella tua testa. Non tecnicamente. Per questo non la trova.. e non può trovarla. » Fece una pausa, lanciandole uno sguardo eloquente. « E lui lo sa, Diana. Avrà pure i suoi deliri, ma non è un incompetente. Conosce la propria arte a menadito, al punto da poter decretare subito e con certezza cosa sia di sua pertinenza e cosa no. » Non importa quanto vaneggi sugli impuri o cazzate simili, se pure si fosse messo in testa di studiare tutto lo scibile warlock, non avrebbe avuto in ogni caso il tempo materiale per padroneggiare altre branche oltre la sua. Sospirò, portandosi la bottiglia alle labbra per prenderne un altro generoso sorso - gli occhi puntati davanti mentre, una volta staccatosi, annuì tra sé e sé. « Tu hai una qualche maledizione. Questa maledizione ha aperto uno squarcio dentro di te. E su quella ferita pullulano tutte le cose che, da noi umani, dovrebbero rimanere separate. » Fece una pausa, cercando altre parole semplici per spiegare in maniera comprensibile qualcosa che per un comune mago - anche il più informato - poteva essere complesso da afferrare. « Ciò che fa Magnus, nel migliore dei casi, non avrà alcun effetto. Ti sta come.. oppiando, diciamo. Il problema sussiste ma tu non te ne rendi conto perché la sua magia non te lo fa vedere. E quindi, appunto, nel migliore dei casi non succederà nulla di diverso da ciò a cui sei abituata. Ma nel peggiore, finirà per inibire le tue difese naturali, confonderti al punto da non riuscire più a riconoscere i sintomi del tuo malessere e - infine - avvelenare così tanto e così costantemente la tua testa di magia nera da renderla terreno fertile per qualunque altra entità. » Ci vuole molto tempo e molto impegno per curare qualunque sia la maledizione che ti affligge. Ma Magnus non sta facendo altro che rendere quel tempo di guarigione sempre più lungo, aumentando i rischi e spingendoti sempre di più verso le conseguenze estreme. Si voltò nella sua direzione, incurvando le labbra in un sorriso più comprensivo, forse anche un po' triste. « Non voglio spaventarti, Diana. Sei libera di non accettare i miei consigli o la mia esperienza. La tua scelta non mi cambierà la vita, ma la mia coscienza sì. » proferì, senza aggiungere altro, allungando la bottiglia nella sua direzione. Un muto invito che non esplicitò a parole.

     
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