Children of Fire

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  1. hellcaster
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    jack in the box

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    Aleyda lo guardava dall'alto, seduta sulla poltrona di pelle con le gambe accavallate - quella sopra che dondolava piano come a rimarcare la malizia disegnata sulle sue labbra da uno di quei suoi classici sorrisini sornioni. Le dita della mano sinistra tamburellavano eloquentemente sul bracciolo di legno laccato, sotto il naso di Eliphas. Ormai quel gioco era chiaro a entrambi: ad Aleyda piaceva farlo aspettare, non dargli mai troppe sicurezze pur nella consapevolezza che lui sapesse molto bene i suoi reali sentimenti. « Mhh.. non saprei, Eliphas Luhng. Mia madre mi ha sempre detto che frequentare un demonologo è uno spreco di tempo: sono tutti sposati col lavoro. » Il che suonava piuttosto buffo, detto a un uomo che si trovava letteralmente in ginocchio di fronte a lei, con in mano un anello. No, non si trattava di una proposta di matrimonio - non una vera e propria - ma poco ci mancava. Era una vecchia usanza warlock, una di quelle ormai scomparse che tra le nuove generazioni si presentava piuttosto di rado. In dono c'era sempre un anello, o meglio due: uno per la persona alla quale si proponeva l'impegno, e l'altro per il richiedente. Una sorta di step preliminare al matrimonio, volto a suggellare la relazione tramite una muta e intima promessa tra le due parti. Indossare quegli anelli permetteva ai due di comunicarsi, qualora volessero e in ogni momento, le proprie emozioni, i propri pensieri e i propri stati d'animo. Non c'era da stupirsi se i più giovani fossero meno propensi a quell'usanza: appariva troppo antiquata, troppo esclusiva, e anche un po' pomposa. Ma ad Eliphas le cose antiche erano sempre piaciute. Inarcò un sopracciglio, osservandola di sottecchi e le labbra arricciate in un sorrisino che cercava di trattenere. « È il tuo modo di fare l'indifferente o di insinuare che ti aspettassi altro? » La mora sospirò, muovendo lentamente la gamba accavallata per appoggiare la punta della scarpa contro la spalla di lui, spingendo quanto bastava a fargli sentire la pressione del tacco appuntito sulla pelle. Well, a girl can expect many things from a man on his knees. Sbuffò una risata dalle narici, Eliphas, chiudendo di scatto la scatolina quadrata. « Peccato, era lo step successivo, ma immagino non ti interessi. » Rise a metà frase, non appena Aleyda schizzò in avanti per arraffare la scatola, prontamente portata in alto dalla mano di Eliphas. « Ay perro! Dammelo, è mio. Non sai che è da cafoni riprendersi i regali? » « Anche questo te l'ha detto la mamma? » Il suono della propria stessa risata cominciò a distorcersi, come quello di una radio in galleria - un disturbo. All'improvviso la scena cambiò, catapultandolo altrove. Era sempre L'Avana, riconosceva l'odore di quell'aria e il cortile dell'Osservatorio, illuminato nella notte da fuocherelli fluttuanti. Ma la scena era nuova, a lui per primo - come qualcosa che non gli apparteneva, in un corpo che non era il suo. La nicotina riempì i suoi polmoni, appannandogli la vista da una nuvoletta di fumo denso sbuffata da quelle che dovevano teoricamente essere le sue labbra. « Spiegami il senso degli elementali se non possono nemmeno rendere questi posti vivibili. Ho fatto la doccia cinque minuti fa e ho già i vestiti appiccicati. » Se la voce era la sua, il tono lasciava poco spazio all'interpretazione: era Magnus. « Credo abbiano cose più importanti da fare. Ma se non ti piace qui, non faresti prima a chiedere un trasferimento? » Il suo sguardo si sollevò verso una delle finestre dell'Osservatorio, dove la luce era ancora accesa. Dalla vetrata si potevano intravedere i ripiani più alti dei grossi scaffali che popolavano la biblioteca, lì dove si trovavano Eliphas e Aleyda intenti a fare chissà cosa. Giustamente che impegni deve avere un'elementale se non tampinare e distrarre chi lavora davvero? « E lasciare Eliphas da solo? » Sbuffò una risata, scuotendo leggermente il capo mentre si portava la sigaretta alle labbra. « Senza di me non saprebbe trovarsi il culo con le mani. » E qualcuno dovrà pur raccogliere i cocci quando questa storiella andrà inevitabilmente a finire male.
    Di quel ricordo anomalo, da cui si era svegliato all'improvviso tutto ansimante, non ne aveva fatto parola con nessuno. Non che avesse chissà chi a cui dirlo, ma di certo la tentazione di raccontare quell'episodio era sorta in lui quando si era trovato di fronte alla madre. Aveva dovuto mordersi la lingua. Come avrebbe potuto spiegarglielo senza menzionare il contesto? Senza rivelarle cosa stesse facendo e come se la stesse davvero passando. « Sì, sto bene. Ho qualche problema a dormire, ma per il resto mangio e funziono. » Raccontarle di quel sogno (se così poteva chiamarlo), avrebbe solo vanificato l'intento rassicurante di quelle parole. Sua madre non era mai stata della tipologia apprensiva, ma di certo lo era diventata dopo la morte di Magnus; se avesse saputo la situazione di Eliphas, Dio solo sapeva fino a che punto sarebbe stata disposta a spingersi pur di non perdere l'unico figlio che le era rimasto. E anche questo era un problema: Evelyn Luhng, di Magnus, non voleva parlare, specialmente con Eliphas. Quando ancora il demonologo tentava di dar voce ai propri sospetti sulla morte del gemello, Evelyn non reggeva, tanto che una volta - al culmine della sopportazione - si era scagliata contro di lui e gli aveva battuto i pugni sul petto urlandogli di smetterla. "È già difficile accettarlo senza che ti ci metti pure tu": queste erano le parole che gli aveva rivolto il padre, dopo averli divisi e portato la moglie in un'altra stanza per farla calmare. E così Eliphas, da bravo figlio, aveva obbedito. Non potendo provare quei sospetti che gli altri etichettavano come deliri, aveva semplicemente scelto di tacerli, di non rigirare il dito nella piaga. Pur conoscendo più di chiunque altro il dolore della perdita, forse non poteva immaginare cosa potesse provare una madre privata di suo figlio - specialmente all'interno di una comunità in cui poter concepire era visto come un miracolo ancor prima di un lusso. Anche in quell'occasione l'aveva guardata negli occhi, sentendo le parole sulla punta della lingua, ma frenandosi dal proferirle al solo immaginare lo sguardo della madre. Le sto già causando sufficiente dolore così. Il suo esilio non era facile nemmeno per le persone che si era lasciato alle spalle, era chiaro. Evelyn aveva insistito per giorni, arrivando addirittura a pregarlo, per farlo tornare in Inghilterra a qualche giorno dall'inizio delle celebrazioni per Yule. Voleva dargli qualcosa di buono da mangiare, ma anche semplicemente guardarlo negli occhi dopo mesi di distacco. « Devi tenerti in forze. Sono sicura che questa cosa sarà solo temporanea. Ci sta lo zampino degli Anziani, me lo sento. Loro vedono e sanno tutto. Hanno un progetto. Vorranno far passare del tempo e quando tutti si saranno dimenticati di te - di noi -, le cose torneranno come prima. Ne sono certa. » Il giovane stirò un sorriso tiepido, annuendo piano. Non aveva la stessa fiducia della madre, ma forse in quel momento era meglio lasciare che lei si appellasse alla speranza per elaborare il tutto.
    Le loro strade si erano divise su questa nota di menzogne e non detti. Evelyn aveva cercato di temporeggiare il più a lungo possibile, e per lo più Eliphas l'aveva lasciata fare, fin quando non si era fatto troppo tardi e aveva dovuto ricordarle la promessa strappata in cambio di quell'incontro: che sarebbe uscita di casa, si sarebbe fatta bella e avrebbe partecipato al banchetto di Yule a testa alta insieme al marito e ai genitori di Aslan. « Mi raccomando, metti quel vestito che ti piace tanto e ricorda a tutti il motivo per cui papà si è trasferito dopo averti vista una volta. » Una storia, quella, che Evelyn raccontava spesso, sempre con una forte nota di orgoglio. Il ricordo sembrò portare un piccolo sorriso involontario sul volto della donna - segno del fatto che l'intento di Eliphas avesse colpito nel segno. Sollevò una mano, sventolandola per salutare la madre prima che sparisse in un turbine di fumo scuro. E non appena la sua figura scomparve, il sorriso del ragazzo morì stancamente sulle sue labbra - come cedendo alla gravità dopo un lungo e continuativo sforzo di sfidarla. La mano ricadde nella tasca del cappotto, mentre con un sospiro girava i tacchi e si incamminava a testa bassa fuori dalla boscaglia. Avevano scelto un'area isolata per ovvie ragioni, ma nel tragitto aveva adocchiato una stazione di servizio poco distante e gli sembrava solo giusto premiare i propri sforzi con dell'alcool. Senza, era molto difficile per lui sopportare la realtà.
    [..] « 오빠? » Sulle prime non si voltò, rimanendo tutto concentrato a studiare la scelta tra un whiskey e un gin particolarmente scadenti ad un prezzo stracciato. D'altronde pur riconoscendo la parola, Eliphas non parlava coreano, e dubitava che qualcuno potesse rivolgersi a lui in quella lingua. « Cosa ci fai qui? Pensavo fossimo d'accordo sul fatto che i luoghi pubblici fossero off limits; e in ogni caso non dovevamo vederci prima della prossima settimana. » Ma la voce continuava ad essere un po' troppo vicina e la presenza al suo fianco chiaramente ferma. Così, senza sollevare il capo, alzò lo sguardo, rivolgendo un'occhiata al suo fianco per avere la conferma che sì, chiunque fosse quella ragazza, stava parlando proprio con lui. Aprì la bocca per mettere presto fine all'equivoco, ma la mora fu più svelta. « Oppure sei solo un po' geloso della prospettiva che il Superiore possa davvero presentarsi alla cena del signor Crane? A me lo puoi dire. Prometto di non fartelo pesare troppo. » Aggrottò la fronte, sinceramente confuso. Dal modo in cui lei continuava imperterrita, pur dopo averlo visto bene in viso, non sembrava affatto rendersi conto di star parlando con uno sconosciuto. No, si comportava come se fosse tutto perfettamente normale e lui dovesse sapere di chi e cosa lei stesse parlando. « Andiamo Magnus! Non guardarmi così. È tornata, è vero. Lo so che avrei dovuto chiamarti, ma in tutta onestà non ho tempo di occuparmi della Mietitrice al momento. I miei si aspettano che io arrivi a Dunbeath Castle entro stasera. Non posso fare tardi alla cena della Vigilia di Natale con il Ministro della Magia. È un autogol colossale. È già sufficientemente difficile essere me, senza che ci si metta anche questo imprevisto. Ma a quanto farò tardi in ogni caso, visto che la mia macchina è fuori gioco e questo posto non ha nemmeno una stazione di pullman. Ah! Tutta colpa di quella megera rugosa. Non è che puoi darmi una mano? Devo far ripartire la mia maledetta auto e andare via di qui il prima possibile. » Alla sola menzione del fratello la testa di Eliphas cominciò a girare vertiginosamente, lanciandolo in vere e proprie montagne russe ad ogni parola che la mora aggiungeva. Così tanti pensieri si accavallarono nella sua mente, così tante ipotesi. E quando unì i puntini di tutti gli indizi in quelle parole, la più plausibile si formò nella sua testa, guidata dai suoi annosi dubbi come il rigo di un quaderno guida il tratto di un penna. Dallo shock, le dita di Eliphas persero la presa sulla bottiglia di whiskey, che cadde rovinosamente a terra sfasciandosi in mille pezzi. Per un istante non sembrò nemmeno registrare quel danno, continuando a fissare la sconosciuta in viso senza dire nulla, incapace di articolare un qualunque pensiero coerente. Poi lentamente abbassò il capo, osservando il
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    disastro ai propri piedi. « Ehi tu! » Io? « Sì parlo con te, spilungone! Guarda che quella adesso la devi pagare. » Annuì in direzione del titolare, come in una trance, solo per poi far cadere nel proprio cestino la bottiglia di gin e prenderne velocemente una seconda di whiskey dallo scaffale per fargli compagnia. Forse è uno di quei casi in cui mischiare va bene. « Cosa ti fa pensare che io sappia riparare un'auto? » disse, come se nulla fosse, decidendo momentaneamente di glissare sullo scambio di identità nel tentativo di scoprire il più possibile. Ti giuro su tutto ciò che mi è sacro, Magnus: ti conviene che questa sia un'elaborata trappola del Ministero per catturarmi, perché se ti sei cacciato nei guai, all'inferno ti ci spedisco io con le mie mani. Passò oltre la ragazza, senza andare però troppo lontano, ma solo per prendere un sacchetto di patatine dallo scaffale e aggiungerle alla spesa, cogliendo anche l'occasione per dare un'occhiata ai dintorni e fuori dalla vetrina nel tentativo di scovare qualcosa di ipoteticamente sospetto. Sembrava tutto a posto, in teoria, ma questo non poteva garantirgli nulla al momento. « Invitata alla cena di Natale di Crane e ci vai tutta sola con una macchina babbana? A me suona come un cercarsi le sciagure. » Stava tentando di tastare il terreno, prendere tempo per capire chi fosse la sua interlocutrice, quali intenzioni avesse, cosa sapesse e contemporaneamente perlustrare la zona quanto gli era concesso farlo dall'interno della stazione di servizio. « Quindi le cose sono due. O sei una sprovveduta e dubito seriamente che Crane si strapperebbe i capelli per un tuo ritardo alla sua cena, oppure stai giocando a qualche gioco. » Dopo l'ennesima occhiata oltre la vetrina, Eliphas girò i tacchi, sollevando meccanicamente le labbra in un sorriso. Cercò di studiarne più attentamente i lineamenti, nella speranza di poterla identificare, ma no, era certo di non averla mai vista in vita propria. Fece quindi scioccare la lingua contro il palato. « Beh, se vuoi il mio aiuto dovrò ottenere qualcosa in cambio. » Sollevò il cestino, che nel frattempo aveva riempito di varie bevande e cibarie. « Offri tu. » Non attese la sua risposta, dandole subito le spalle e facendole cenno con le dita di seguirlo mentre raggiungeva a lunghe falcate la cassa self-service, iniziando a passare i vari articoli. Non appena lo scanner lesse l'etichetta del primo alcolico, un messaggio comparve sullo schermo - quello che Eliphas sperava di ottenere. « Serve un documento. » Non importava che ne avesse uno babbano, quelli magici erano comunque incantati in modo tale da non destare alcun sospetto e funzionare alla stessa maniera di quelli babbani. Da qualche anno era diventata una misura indispensabile. Così si voltò, sorridendole serafico, con la mano tesa nella sua direzione. Almeno così vediamo chi sei. « Su, non fare la timida. Sono sicuro che sarai venuta benissimo in foto. » Attese fin quando la mora non gli diede la carta d'identità. Diana Bernheimer. Perché questo cognome non mi è nuovo? Lesse velocemente le poche generalità elencate mentre passava la carta contro lo scanner, restituendogliela subito dopo. « Insomma, la vecchia che ti ha sabotato la vigilia? È nella stanza con noi, Diana? Oppure devo seguirti alla macchina per salutarla? Spiegami. Ho sufficiente alcol per interessarmi dei tuoi problemi. » Il modo in cui parlava era deliberato: un consapevole ricalco del tono e dei modi di fare del gemello. Non sapendo ancora in quale gioco fosse finito, non voleva rischiare di precludersi alcuna possibilità. Quindi cominciamo dal dato più misterioso, tra tutti quelli che mi hai fornito.

     
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7 replies since 25/12/2023, 00:56   193 views
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