Children of Fire

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  1. cinderella's dead
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    Sin da quando aveva rimesso piede in Inghilterra e la sua vita era iniziata a girare, Diana era stata avvertita sulla pericolosità di entrare in contatto con altri warlock. Sua madre le aveva fatto giurare che ne sarebbe rimasta alla larga e che, nonostante la sua malsana curiosità avrebbe abbandonato l'idea di conoscerli. Quella terra era la prima ad averle offerto un palcoscenico, la prima ad averla accolta a braccia aperte, senza remore, lasciandole la libertà di decidere sul suo destino, almeno in parte. Ma era davvero così? Diana era davvero libera? Spesso le sfuggiva il senso di tante scelte fatte per la sua incolumità, così come le sfuggiva la ragione per cui dovesse rimanere lontana dai suoi simili. Seppur non fosse mai appartenuta a quelle piazze, e non avesse mai studiato al fianco degli altri, Diana sentiva che quello era il suo posto. Perché dovrebbero mai uccidere una persona fatta e finita? Forse ai tempi non sapevano con cosa avessero a che fare. Era più semplice così. Non li scusava, né trovava una giustificazione alla volontà di uccidere una neonata, ma capiva da quale posizione venisse una simile decisione. E allora perché Eliphas Luhng si comportava come se preferisse trovarsi in qualunque altro posto tranne che lì come lei? Era l'ennesima trappola? Un giochetto mentale? « Senti fai come ti pare, pensa quello che vuoi. Davvero non mi interessa. » Era quanto mai smarrita di fronte all'apparente indifferenza dello warlock. E si sarebbe persino sentita offesa, se solo un improvviso cambio di programma non avesse spostato la sua attenzione sulla necessità di nascondersi. « Guarda che non ti fa niente. Il fatto che abbia un aspetto un po' spaventoso non la rende automaticamente una minaccia, lo sai? » Ma tu come fai a essere così indifferente. È orribile. E a dirla tutta, le dava parecchio filo da torcere. Quell'anima, essere, creatura - di qualunque cosa si trattasse - continuava a tornare nonostante le accortezze di Magnus. C'erano volte in cui se la ritrovava appresso nei momenti meno opportuni, ed ogni volta ne rimaneva completamente terrorizzata. C'era, tuttavia in lei, qualcosa di estremamente particolare. Una sensazione; come se la conoscesse. Come se quell'essere orrido fosse in un certo qual modo destinato a rimanere con lei indipendentemente da quanto si sforzasse a scacciarla. Non risponde al giovane warlock. Preferisce schiarirsi la voce e offrirgli una profumata paga in cambio di un passaggio. Un passaggio dove poi? Non posso andarci davvero. Se scoprono che ho incontrato un fuggitivo la prima cosa che chiederanno è perché non ho chiamato le autorità. Sui movimenti strani, il Progetto Minerva si insospettiva in fretta. Temevano nuovi possibili attacchi da parte dei terroristi. E lei era in compagnia di uno di loro. Tuttavia, Eliphas si comportava come tutto fuorché un terrorista. Semmai sembra un po' per aria. Nessun dubbio sulla possibilità che la ragione di quello stato d'animo potesse essere collegato al suo comportamento. « Non me ne faccio nulla dei soldi, Diana. E se pure fosse, non sono il tipo che si fa pagare profumatamente dei favori che sono semplice umana decenza. Scioccante da un ricercato impuro, vero? Se proprio devi fare qualcosa, evitare di parlare di questo incontro con mio fratello o i tuoi amichetti. Cosa che a quanto pare torna comoda pure a te. » « Mi stai chiedendo di non parlare di te con uno warlock che vaga nella mia testa come un elefante in una cristalleria? Benissimo. » Indietreggiò a sua volta, tentando di scrollarsi di dosso l'evidente imbarazzo dovuto alla debolezza appena mostrata. « Farò quello che posso. » A quel punto si aspettava una veloce quanto indolore smaterializzazione - una decisione di cui già non era poi tanto sicura, alla luce del fatto che non si fidava di lui. Aveva però alternative? Di camminare o fare l'autostop non se ne parlava, e di taxi in quella zona non ce ne erano. Tra il salire a bordo di un'auto con uno sconosciuto e smaterializzarsi chissà dove con il giovane Luhng - accidenti non so proprio cosa sia peggio. In definitiva però, Eliphas non le aveva fatto nulla, e per quanto ciò non dicesse abbastanza sulla sua persona, riusciva sicuramente a catturare la sua attenzione. La palese antipatia però, non gioca molto a suo favore di certo. Se era vero che gli warlock la volevano morta però, perché nel momento in cui ne incontrava uno, quest'ultimo si comportava come se fosse caduto dalle nuvole? « Dai, su. » A quel punto alzò gli occhi al cielo seguendolo verso il limitare della strada, ma non appena si accorse della fanghiglia oltre l'asfalto, si fermò di colpo. Era una prova non indifferente; un po' per i tacchi, e un po' perché non voleva rovinarseli. « Ti prego non dirmi che hai paura di rovinarti le scarpe. » Lei sollevò lo sguardo a osservarlo alquanto contrariata, mentre face un tentativo allungando appena un passo per poi ritrarlo automaticamente nel rendersi conto che il fango era decisamente più spesso di quanto sembrasse. D'altronde, le orme di lui ne erano un chiaro segnale. « Senti! La fai facile tu con quei - quegli zoccoli! Il fango aggiunge solo carattere all'aria da ricercato. » Ed effettivamente più che i tacchi, a preoccuparla era la possibilità di sporcarsi i pantaloni. Non posso mica andarmene in giro come se avessi visitato una fattoria senza gli stivali anti-pioggia. « Diana, non mi posso smaterializzare in mezzo alla strada. Non ti porto lontano, ma almeno un po' di copertura devo averla. » A quel punto soffiò pesantemente corrugando la fronte. « Possiamo passare da un altro lato? Era riparato anche dietro alla stazione di servizio o nei bagni. » La proposta decisamente inopportuna lasciava intendere quanto fosse sentito quel dramma. Così, quando lo vide tornare sui propri passi, pensò che avesse intenzione di ascoltarla. Finalmente è tornato in sé, grazie al cielo! « Attento, fai piano. » Disse indietreggiando appena nel percepire i passi pensati di lui. « Mi stai schizzando. » Ma Eliphas aveva evidentemente altri piani. Nel vederlo accovacciarsi rimase alquanto interdetta. « Non starai suggerendo - » « È più umiliante per me che per te, fidati. » Cafone. Qualcun altro pagherebbe per portarmi in spalla. « Oh, umiliante. Credo sia il minimo che tu possa fare dopo avermi rovinato il Natale e potenzialmente la vita. » Effettivamente però, umiliante lo era per davvero, specialmente alla luce di come era iniziato quell'incontro e anche di come stava andando. Così, dopo aver alzato gli occhi al cielo sbuffando, decise di agganciarsi alle sue spalle e lasciarlo procedere fino a dove trovasse più opportuno. « Vai piano! Il fango schizza! Sai davo per scontato che quello col carattere particolare fosse Magnus, ma a quanto pare è proprio una cosa di - » Se la rischiava grossa, Diana, specialmente alla luce del fatto che Eliphas avrebbe potuto lasciare la presa e farla atterrare sul terriccio bagnato in qualunque momento. Ma fortunatamente, un po' perché erano giunti in un punto piuttosto isolato, e un po' perché forse non vedeva l'ora di farla stare zitta, non riuscì neanche a completare la frase.
    Faceva più freddo. Venne immediatamente colpita dalla distesa di neve tra le rovine di quello che doveva essere un vecchio monumento, una chiesa. Poi un tonfo, trambusto e le imprecazioni di Eliphas. Toccò il pavimento innevato guardandosi attorno con un certo sospetto, pensando prima a guardarsi le spalle e poi a osservare il volto del ragazzo. Aveva un brutto taglio. Doveva aver battuto la guancia contro la parete alla loro destra. « Siamo a Thurso. Basta che segui la stradina verso le luci e ti trovi nel paese. È il punto più vicino alla tua meta che conosco: in massimo un'oretta dovresti essere alla tua preziosissima cena. Ti direi di salutare tutti da parte mia, ma forse non è il caso. Però quando rivedi Magnus sentiti pure libera di chiedergli perché, di preciso, creda che rovistarti nella testa sia una buona idea quando è atrocemente lapalissiano che il problema sia un altro. » Tutto qui? Davvero? Si scoprì delusa, come se sotto sotto sperasse di trovarsi circondata da un branco warlock. Qualcuno che potesse aiutarla, qualcuno che potesse vederci chiaro e che volesse dargli una risposta. C'erano giorni in cui non sapere a chi porre le proprie domande era complesso. Guardava verso l'alto come se sperasse che in un modo o nell'altro ci fosse un modo per mettere fine a quel loop, all'apatia, a un percorso lineare nel quale si sentiva intrappolata. Lo osservava, impallata nello stesso punto, incredula nel realizzare che era davvero libera di andare. In cuor suo aveva pensato sin dal primo momento in cui aveva capito che quello non fosse Magnus, che finalmente erano arrivati, che quella eterna fuga da un nemico invisibile fosse finalmente giunta al termine. Forse in cuor suo lo voleva. E invece, ancora una volta era libera - libera di sbattersi nella sua gabbia dorata. Una cena col Ministro, uno shooting, le prove per una nuova collezione, un galà di beneficienza; dormire poco, mangiare ancora meno e via da capo. Si guardò alle spalle osservando la stradina che il moro le aveva indicato. Era innevata, come innevate erano le interiora della chiesa. Lui vestito di nero appariva come un naturale elemento di disturbo tra il grigiume sbiadito degli antichi mattoni e il candido manto. Istintivamente sospirò.
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    « Smettila. Stai solo peggiorando la situazione. Così ti verrà una cicatrice. » Disse di colpo, allungando la mano verso il gomito di lui, allontanando il fazzoletto dal suo viso. « Siediti. » Gli indicò quindi lo spesso parapetto in pietra che delineava una specie di portico all'entrata dell'edificio. Spazzò via un po' di neve per fare spazio ad entrambi, facendo il primo passo sedendosi nella migliore posizione per raggiungere la sua guancia. Era un bel taglio. Aveva sbattuto di brutto. « Dai, su! Non ti faccio niente. Non ero seria quando dicevo di voler farti esplodere la testa. » Glielo disse con una certa ironia sollevando entrambe le sopracciglia con una certa eloquenza. « Puoi almeno provarci a permettermi di dimostrare un po' di umana decenza oppure anche questo è troppo umiliante per te? » Non era solo umana decenza, ma in fondo voleva davvero tentare di ringraziarlo per aver acconsentito alla sua richiesta. Voleva però sapere quale fosse secondo lui il problema. Mise la borsetta tra loro. Era certa di avere delle salviette disinfettanti e qualche cerotto all'essenza di dittamo, perché nonostante la dimensione delle sue pochette, la giovane Bernheimer era il prototipo della donna pronta a tutto, tra antidolorifici per i giorni più fastidiosi del mese e fino a rimedi contro scarpe scomode e possibili piccoli incidenti di ogni sorta. Così, preso dal pacchetto minion una delle salviette, si avvicinò al suo viso, osservandolo per qualche istante con un'espressione cauta. « Brucerà un po'. » Così avvicinò l'indice avvolto nella salvietta al viso di lui, iniziando a liberarsi delle piccole particelle di polvere e detriti facendo attenzione a non essere troppo invasiva. « Perché pensi che il problema sia un altro? » Si fermò per un attimo corrugando appena la fronte. « Per favore, non dirmi di andare a chiederlo a Magnus. » Pausa. « Non lo conosco così bene. A dire il vero l'ho visto solo una volta o due in tutta la mia vita. Per il resto è solo qui - » E dicendo ciò ciondolò la testa a destra e sinistra tornando a concentrarsi sulla ferita. « Avrei dovuto capire che non sei lui quando hai fatto cadere quella bottiglia. Lui non si fa mai vedere. » Ne parlava come se fosse una cosa normale. E per Diana, in effetti lo era. « Vaga nella mia testa alla ricerca di quelle cose. Dice che è l'unico modo per farmi vivere una vita pressoché normale. Però non riesce mai a trovarla - lei, quella di prima. » Sospira fermandosi per un istante da quel lento occuparsi della ferita, scuotendo la testa. « Mi fa strano che si sia fatta vedere. Cerca sempre i momenti meno opportuni. » Mi trova quando non c'è nessuno, tant'è che stavo iniziando a pensare che non esistesse. Ci sono tante cose che non capisco. Tante che a volte non hanno senso. « Una volta l'ho preso di petto dicendogli che non c'erano prove che attestassero la possibilità che uno psichico fosse in grado di mandare quelle entità dall'altra parte. » Nelle comunità warlock ognuno ha le proprie mansioni, i propri compiti, e per impedire a ciascun warlock di perdere il controllo, le magie più complesse venivano eseguite in squadra. Era il modo più sicuro. « Lui ha risposto che quella regola vale solo per gli impuri e che dovevo smettere di cercarvi e - ..guardare con così tanta ammirazione a quelle regole. » Non sa perché gli dice tutte quelle cose. Forse perché è effettivamente il primo warlock non appartenente a Minerva che ha mai incontrato. Forse perché vuole sapere l'altra versione. Io sento di aver ascoltato solo una parte della storia. E se non sei qui per sgozzarmi, vorrei sapere cosa c'è dall'altra parte. Una volta soddisfatta del suo lavoro, accartocciò la salvietta sporca di sangue, prendendo uno dei cerotti quadrati, soffiando appena sulla ferita. « È un cerotto al dittamo. Non è veloce come l'essenza, ma tornerai come nuovo entro domani mattina. » Dicendo ciò tolse le due alette del cerotto e glielo appicciò in faccia, facendo attenzione a far aderire la benda intinta nel dittamo alla ferita. Poi lo osservò con più attenzione. Forse non avrebbe dovuto riservargli quel briciolo di fiducia che era evidente sentisse di concedergli, alla luce del suo comportamento. Voleva però concedergli il beneficio del dubbio. « Eri davvero lì per caso, Eliphas? Davvero non mi stavi cercando? » Deglutì. « Non c'è nessuno che sa che siamo qui? »



     
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