Children of Fire

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  1. hellcaster
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    jack in the box

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    « Smettila. Stai solo peggiorando la situazione. Così ti verrà una cicatrice. » Cosa interessasse a Diana, del fatto che ad Eliphas potesse venire o meno una cicatrice, il demonologo non ne aveva idea. D'altronde la mora aveva reso ben chiaro il proprio disgusto nei confronti di lui e della sua attuale condizione con la giustizia dei maghi. « Non sarebbe la fine del mondo. » commentò, ridacchiando un po' amaro e un po' sarcastico tra sé e sé. Ma forse lo era per una come lei, la fine del mondo. Una mezza cicatrice in pieno viso. Che sciagura. « Siediti. Dai, su! Non ti faccio niente. Non ero seria quando dicevo di voler farti esplodere la testa. Puoi almeno provarci a permettermi di dimostrare un po' di umana decenza oppure anche questo è troppo umiliante per te? » « Pensavo che avessi fretta. » Sospirò, alzando appena gli occhi al cielo, ma si sedette lo stesso. Prese posto sul piccolo parapetto, senza curarsi troppo dell'armeggiare di Diana con la borsetta. Lo sguardo di Eliphas rimaneva puntato di fronte a sé, piuttosto vacuo, perso tra le rovine a cielo aperto di quella chiesa ormai abbandonata. « Brucerà un po'. » Ed effettivamente il bruciore lo sentì, quando la salvietta entrò a contatto con la pelle viva. Inspirò appena dal naso, contraendo istintivamente il muscolo della guancia, senza tuttavia lamentarsi. « Perché pensi che il problema sia un altro? » Schiuse le labbra, facendo per rispondere, ma lei lo anticipò sul tempo. « Per favore, non dirmi di andare a chiederlo a Magnus. Non lo conosco così bene. A dire il vero l'ho visto solo una volta o due in tutta la mia vita. Per il resto è solo qui - » Gli occhi del demonologo si spostarono brevemente su di lei, seguendo il movimento ondulatorio del suo capo. Ah quindi ti ci rovista proprio per bene nella testa. Grandissimo. « Avrei dovuto capire che non sei lui quando hai fatto cadere quella bottiglia. Lui non si fa mai vedere. » « O perché si taglierebbe un braccio piuttosto che sembrare un po' meno perfetto. » Magnus non era mai stato maldestro. Persino da ragazzini, quando nel giro di un'estate si erano trovati a spigare velocemente d'altezza, ritrovandosi in corpi che non sapevano ben coordinare - Magnus si era rivelato più bravo di lui ad acquisire una certa grazia nei movimenti. Non inciampava mai, non batteva mai la fronte contro uno stipite troppo alto, non stava mai curvo con la schiena. I compagni, ai tempi, dicevano che fosse semplice distinguerli proprio da quella differenza. « Vaga nella mia testa alla ricerca di quelle cose. Dice che è l'unico modo per farmi vivere una vita pressoché normale. Però non riesce mai a trovarla - lei, quella di prima. » Strinse leggermente le labbra. Che Magnus fosse davvero così ignorante? Ne dubitava. « Mi fa strano che si sia fatta vedere. Cerca sempre i momenti meno opportuni. Una volta l'ho preso di petto dicendogli che non c'erano prove che attestassero la possibilità che uno psichico fosse in grado di mandare quelle entità dall'altra parte. » Perché infatti non può, non è possibile. Non con i suoi poteri, quanto meno. « Lui ha risposto che quella regola vale solo per gli impuri e che dovevo smettere di cercarvi e - ..guardare con così tanta ammirazione a quelle regole. » Quelle parole sembrarono riuscire a tirar fuori da Eliphas una risata, una genuina, per quanto amara ed esterrefatta. Si voltò in direzione di Diana, osservandola da sotto le ciglia, col mento leggermente abbassato. « Davvero ti ha detto questo? È il massimo che si è saputo inventare? » Un'altra risata. Scosse piano la testa tra sé e sé, alzando gli occhi al cielo scuro e carico di nuvole. « Wow. Persino nel raccontare cazzate ha perso il lustro. » Cazzo se sei caduto in basso, Magnus. Ma evidentemente il fratello doveva aver pensato che qualunque cosa, anche la più stupida e insensata, andasse bene per essere rifilata ad un'estranea. « È un cerotto al dittamo. Non è veloce come l'essenza, ma tornerai come nuovo entro domani mattina. » Stese le labbra in un piccolo sorriso, tenue, ma pur sempre qualcosa, sfiorandosi la guancia con i polpastrelli. « Grazie. » « Eri davvero lì per caso, Eliphas? Davvero non mi stavi cercando? Non c'è nessuno che sa che siamo qui? » Sospirò, chiudendo brevemente le palpebre nell'annuire, come se quella piccola aggiunta rincarasse la dose della sua sincerità. « Diana.. non sono nella posizione di cercare nessuno al momento. I tuoi
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    amici mi hanno messo una taglia e i miei.. beh, immagino che non siano più tanto amici miei, visto che mi hanno gentilmente invitato a non farmi più vedere. »
    Lo disse con un sorriso, stringendosi nelle spalle e sollevando veloce lo sguardo, come se ci fosse qualcosa di divertente. Una battuta a spese proprie. « Quindi puoi stare tranquilla, immagino. Non andrò nemmeno a fare la spia; non me ne entrerebbe davvero nulla in tasca, onestamente. » Perché se pure la situazione della giovane, o il fatto che Magnus fosse vivo, potessero essere di interesse per la comunità, Eliphas dubitava fortemente che vendere quelle informazioni al concilio gli avrebbe procurato qualcosa in più di una stretta di mano o un croccantino. Mi vogliono fuori, punto. Potrei anche portargli El Dorado sulle spalle; non cambierebbe nulla. Quindi che senso ha farmi in quattro per una comunità che per me non muove nemmeno un dito? Sospirò. « Ora.. vuoi sapere la mia diagnosi? » Quella sembrava essere la domanda principale. Ma per affrontarla, Eliphas aveva bisogno di un aiuto. Si piegò verso la busta lasciata in terra, estraendone la bottiglia di whiskey e stappandola veloce con i denti, buttandone giù un buon sorso. Annuì tra sé e sé, rilassando la schiena contro la pietra fredda e distendendo le gambe di fronte a sé, accavallando i piedi. Così va meglio. « Beh, è molto semplice. Magnus non può risolvere il tuo problema perché è uno psichico. Gli psichici si occupano di ciò che sta dentro le nostre teste, no? » Sorrise eloquente, allargando appena le braccia. « Il problema non è nella tua testa. » Ta-dan. « Quella donna non è nella tua testa. Non tecnicamente. Per questo non la trova.. e non può trovarla. » Fece una pausa, lanciandole uno sguardo eloquente. « E lui lo sa, Diana. Avrà pure i suoi deliri, ma non è un incompetente. Conosce la propria arte a menadito, al punto da poter decretare subito e con certezza cosa sia di sua pertinenza e cosa no. » Non importa quanto vaneggi sugli impuri o cazzate simili, se pure si fosse messo in testa di studiare tutto lo scibile warlock, non avrebbe avuto in ogni caso il tempo materiale per padroneggiare altre branche oltre la sua. Sospirò, portandosi la bottiglia alle labbra per prenderne un altro generoso sorso - gli occhi puntati davanti mentre, una volta staccatosi, annuì tra sé e sé. « Tu hai una qualche maledizione. Questa maledizione ha aperto uno squarcio dentro di te. E su quella ferita pullulano tutte le cose che, da noi umani, dovrebbero rimanere separate. » Fece una pausa, cercando altre parole semplici per spiegare in maniera comprensibile qualcosa che per un comune mago - anche il più informato - poteva essere complesso da afferrare. « Ciò che fa Magnus, nel migliore dei casi, non avrà alcun effetto. Ti sta come.. oppiando, diciamo. Il problema sussiste ma tu non te ne rendi conto perché la sua magia non te lo fa vedere. E quindi, appunto, nel migliore dei casi non succederà nulla di diverso da ciò a cui sei abituata. Ma nel peggiore, finirà per inibire le tue difese naturali, confonderti al punto da non riuscire più a riconoscere i sintomi del tuo malessere e - infine - avvelenare così tanto e così costantemente la tua testa di magia nera da renderla terreno fertile per qualunque altra entità. » Ci vuole molto tempo e molto impegno per curare qualunque sia la maledizione che ti affligge. Ma Magnus non sta facendo altro che rendere quel tempo di guarigione sempre più lungo, aumentando i rischi e spingendoti sempre di più verso le conseguenze estreme. Si voltò nella sua direzione, incurvando le labbra in un sorriso più comprensivo, forse anche un po' triste. « Non voglio spaventarti, Diana. Sei libera di non accettare i miei consigli o la mia esperienza. La tua scelta non mi cambierà la vita, ma la mia coscienza sì. » proferì, senza aggiungere altro, allungando la bottiglia nella sua direzione. Un muto invito che non esplicitò a parole.

     
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