Wicked little town

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    La notte si distendeva come un velo oscuro su una Londra dormiente, mentre Eliphas avanzava attraverso le strade deserte con il peso dell'esilio a stringergli il cuore. Il vento notturno sibilava tra gli edifici e la luce della luna, nascosta in gran parte da fitti nuvoloni scuri, illuminava a malapena il suo cammino. Uno scenario lugubre, che forse ben si addiceva a fare da cornice alla sua figura slanciata, contraddistinta dal contrasto tra l'estremo pallore della pelle e il colore scuro dei suoi abiti. Nessuno che fosse privo di scheletri nell'armadio passeggiava con tanta tranquillità per i vicoli più sporchi della città a quell'ora disgraziata, non senza cedere quanto meno alla tentazione di lanciarsi qualche occhiata alle spalle. Forse avrebbe dovuto farlo, considerato il suo status in relazione al Ministero della Magia, ma in cuor suo quello di essere catturato da qualche ghermidore in un vicolo era l'ultimo dei suoi pensieri - e c'erano ben poche altre cose che potessero minacciarlo. In contrasto all'aria spettrale della sua figura, i pensieri del demonologo - compagni fedeli nella solitudine notturna - erano pervasi dalla tristezza e dalla nostalgia. Il richiamo dei ricordi felici a cui si abbandonava nella roulotte fatiscente in cui viveva risuonava nelle profondità della sua mente come un'eco lontana, un'ombra fugace di ciò che era stato. Una necessità. Erano passati circa due giorni dall'ultima volta che li aveva visitati, e i morsi dell'astinenza si facevano sempre più attanaglianti di ora in ora. Nelle profondità di quella malinconia, il fatto di trovarsi a calpestare il suolo che l'aveva cresciuto non sembrava consolarlo affatto; l'unica sua preoccupazione era tornare in Romania al più presto, archiviando quell'intera parentesi inutile dell'incontro con gli altri ricercati e concedendosi il bene più lussuoso che potesse concepire al momento: estraniarsi dal presente, esistere solo in uno spazio astratto e sicuro in cui ancora quel dolore che provava non aveva avuto modo di bussare alla sua porta.
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    Davanti alla porta di Joshua, una pausa sfiorò il suo passo deciso. Il suo sguardo si alzò verso la porta chiusa, e per un istante, una malinconia profonda si rifletté nei suoi occhi. Le mani tremanti si avvicinarono alla superficie di legno, e un sospiro insondabile si mescolò con l'aria notturna. Bussò con tre colpi misurati, un rituale che avevano concordato già ai tempi della sua fuga - qualche mese addietro. Il suono riecheggiò nella notte silenziosa, il suo significato amplificato dalla solitudine circostante. Nel sentire i passi di Josh farsi più vicini, il moro cercò di scrollarsi di dosso quanto possibile l'espressione cinerea, sollevando gli angoli delle labbra in un sorriso quando vide il volto dell'amico fare capolino dall'uscio. Di fronte al suo sguardo, sollevò la busta bianca che teneva tra le dita, contenente una bottiglia di liquore e una scatola di Scarabeo nella versione facilitata per bambini. Tipico di Eliphas, puntare su giochi di quel tipo. « Sarò ricercato, ma non cafone. » disse ironico, facendo dondolare leggermente la busta prima di porgerla all'amico. « Immagino che Remì stia dormendo. Gli farò la sorpresa quando si sveglia.. magari cucinando i pancake per colazione. » Fece una pausa. « Anche per sdebitarmi dell'ospitalità. » Si strinse leggero nelle spalle, affondando le mani nelle tasche del cappotto mentre con un cenno del mento indicava la busta ceduta a Josh. « Che ne dici, ci facciamo un bicchiere nel frattempo? » Anche perché ormai siamo quasi all'alba. Dubito che avrebbe senso andarmene a dormire. Ammesso e non concesso che riesca a prendere sonno.

     
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    Cazzo, lo sapevo. Lo sapevo che stava aspettando un fottuto momento per tornare fuori così. Perché la vita di un ricercato è questa, e cristo quanto ancora fatico ad abituarmi. Lo so che deve rigare dritto e - possibilmente - nella più totale invisibilità: ma a me non piace quando non ho un cazzo di controllo sulle persone che... contano.
    Mi manda ai matti cercare ed aspettare. Ancora di più sapere che non sto facendo niente di utile. Nulla, solo badare a Remì che mi impegna ogni giorno di più e lavorare per tirar su qualcosa. Ma niente per lui, per loro, per chi mi illudo abbia bisogno di me.
    Però lo so che quando ha fretta, ha fretta e basta. Ed io del mio ringhio non posso fare altro che restare in appartamento, nel silenzio che rimbomba. Se mi concentro posso sentire il respiro assonnato di Remì, il suo cuore che si placa piano piano, le fusa di Lucifero acciambellato sul cuscino con lui.
    A volte fa tutt'uno con i ricci di mio-... di mio figlio. Cazzo, anche questo suona strano, ed è peggio nella penombra prima dell'alba.
    Londra è deserta, respira a malapena come poco respiro io. Forse ho imparato a vivere in apnea, sempre nell'attesa di ricevere una notizia del cazzo, e cristo come mi sta stretto tutto questo: non ho voglia di aprire un fottuto giornale e leggerci nomi a cui tengo, di nuovo, come se la mia vita fosse questo. Un loop di merda che si risolleva quando combatto, perché è la cosa che sento di fare. Combatto contro la tristezza del non poter avere Eliphas qui più spesso. Mi accontento e basta.

    Ma scatto, allungo le gambe per uno slancio quando lo sento bussare. Lo sapevo, è così che funziona quando smette di scrivere. O forse me lo sentivo, perché altre volte è scomparso e basta. Ma non stasera.
    Non riesco a farlo aspettare, anche se attutisco il rumore di miei passi, non sia mai che la vecchia del cazzo qui sotto venga a farmi storie. L'ho quasi svuotata quando ha provato a dirmi che Remì faceva troppo rumore: Remì!
    Comunque questo è un bussare inequivocabile, monta un sorriso storto tra le labbra, che stringo piano. Come piano apro la porta, lascio ciondolare la testa appoggiandomi allo stipite. Gli guardo le spalle perché è questo che faccio, paranoico come la merda. Mi assicuro che nessuno lo veda sulla mia soglia.

    — Che non si metta in discussione la tua educazione, Els. E ci rido, che a mani vuote non passa mai, ma gli faccio anche spazio. Un "dai, entra" che non devo pronunciare perché lo sa già. Sa già che qui può presentarsi a tutte le ore del giorno e della notte. Allungo una mano, l'uomo morto sta qui a due passi da noi, pronto a prendersi il cappotto di Eliphas mentre resto in tuta. Gli darei qualcosa di più comodo, ma so come cazzo finisce poi. — Ti direi che sdebitarti è una stronzata, ma Remì li vorrà tantissimo. Ed anche io. Che, insomma, la cucina di Eliphas è una cazzo di manna dal cielo, quando io si e no so mettere su toast.
    Ci provo perché il delivery mi costa troppo, ma dubito che Remì apprezzi le mie incapacità.

    Mi lascio almeno il tempo di chiudere la porta, prima del quarto grado, di accennargli in silenzio che può fare come fosse a casa sua, che sia lanciarsi sul divano o morire nel terrazzino striminzito che ho qui. Anche se dubito che possa affacciarsi a qualcosa, o farsi vedere.
    — Cazzo si, anche più di uno che i bicchieri non sono mai troppo pochi, soprattutto perché non siamo ragazzini, a reggere sono diventato piuttosto bravo; grazie, vita di merda!
    Però poi quella che mi esce è una radiografia, mi faccio giusto più vicino, il tono basso per non svegliare Remì, che è muto ma non sordo. Ehi so che non mi serve impegnarmi troppo per richiamare la sua attenzione. — Stai mettendo qualcosa nello stomaco? Hai trovato un posto dove stare? S-stai bene? Ché io devo sapere. Devo sapere se stai bene, o se questa merda è troppo pesante per portarne il peso da solo. Alleggerisco solo con mezzo sorriso, appoggio la busta sul tavolino vicino al divano. — Che mi hai portato? lo chiedo, giusto prima di aprirla.



     
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    Sorrise a Josh, inclinando il capo in un cenno di ringraziamento nel mettere piede oltre la porta d'ingresso. Vedere le quattro mura di una casa vera e propria era diventato ormai un lusso per Eliphas, che all'interno di un ambiente così riparato non ci entrava da mesi. Fatta eccezione per la riunioncina di stanotte. Vedere il luogo in cui Albus Potter e Amunet Carrow vivevano con la protezione della rete ribelle lo aveva indubbiamente fatto riflettere. Era chiaro che per quanto si volesse parlare di spirito di gruppo e di trovarsi tutti sulla stessa barca, un ricercato non era uguale all'altro. Eliphas, come tanti altri, non aveva il privilegio di potersi nascondere in una casa nobiliare, con i propri cari accanto, un pasto caldo sempre pronto e un letto morbido su cui dormire sonni pressoché sereni. Lui doveva scaldarsi tentando di accatastare più coperte possibili, cercando la meno ruvida come primo contatto; doveva rigirarsi su un divano letto cigolante, scegliendo quale parte del corpo far sporgere oltre il bracciolo - se la testa o i piedi. Insomma, se pure avesse avuto la stoffa del rivoluzionario, di certo non poteva permettersi il lusso di concentrarsi sui sogni di gloria come chi viveva al riparo a Grimmauld Place. Stupido, sì. Forse era da sciocchi giocare a chi fosse più sfortunato in quella situazione, ma Eliphas aveva perso a sufficienza da non voler sfidare ancora la benevolenza del fato nei suoi confronti. Ho ancora i miei genitori a cui pensare. Hanno perso un figlio, l'altro è esiliato. Non posso dargli un altro dolore. « Cazzo si, anche più di uno. » Ecco, Josh lo capiva. Forse non del tutto, ma abbastanza da dargli una fetta di normalità in quella situazione che di normale aveva ben poco. « Ehi. Stai mettendo qualcosa nello stomaco? Hai trovato un posto dove stare? S-stai bene? » Sospirò, liberandosi del cappotto, che si curò comunque di piegare e lasciare ordinato. Sapeva che Josh non fosse tipo da curarsi troppo di quelle accortezze, ma il demonologo non sarebbe stato in grado di mancare di rispetto allo spazio altrui nemmeno sotto tortura. Una volta libero dall'indumento pesante, il moro scrollò le spalle. « Non posso dire di avere la migliore delle alimentazioni, ma i gipsy cucinano tanto e non si fanno problemi a condividere. Sto con loro al momento. Immagino di aver capito nel giro di mezza giornata che la completa solitudine non facesse per me. » No, decisamente no. Nessuno warlock era abituato all'isolamento, ed Eliphas meno di tutti - lui che di comunità si era sempre riempito i polmoni. Forse stupidamente, considerata la facilità con cui lo avevano rigettato in seguito ad un singolo errore nella sua lunga carriera da warlock modello. Fece una pausa, finendo poi per annuire, più tra sé e sé che altro. « Sto bene, relativamente parlando. » Una bugia bella e buona. Eliphas stava tutto tranne che bene, e sia le pesanti occhiaie sia i deboli tremori alle dita dettati dall'astinenza ne erano un indizio lampante. Ma che senso aveva preoccupare Joshua? Come se di preoccupazioni e gatte da pelare non ne avesse già a sufficienza di suo. « Che mi hai portato? » Sì, ecco, cambiamo argomento. Riprese un sorriso, allungandosi verso la busta per estrarne il contenuto. « Per
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    Remì un gioco da tavolo. È un ragazzino intelligente. La scorsa volta quando gli ho letto quel libro che avevo portato ho notato che conosce un sacco di parole per la sua età, quindi non so.. ho pensato che potesse piacergli. »
    Eliphas e Aslan ci avevano giocato spesso, da piccoli, a scarabeo. A volte ci passavano pomeriggi interi, prontamente presi in giro da Magnus che preferiva di gran lunga giochi più fisici. « E per te, caro mio, assenzio. » Sorrise appena. « Ammetto che potrebbe esserci una componente di auto-regalo in questa scelta. » Perché era cosa nota, che fosse la bevanda preferita di Eliphas, nonché uno degli alcolici nella cui produzione gli warlock spiccavano. Ridacchiò appena, arrotolandosi le maniche della camicia fino ai gomiti prima di iniziare a preparare - stappando la bottiglia e versando due dita di alcolico in due bicchieri. Ne passò uno a Josh, mettendosi a sedere sul divano. « Alla legge non scritta secondo cui non stai bevendo di mattina se non sei mai andato a dormire. » disse, tenendo lo sguardo ironico puntato in quello dell'amico mentre sollevava il bicchiere in un veloce brindisi, seguito immediatamente da un sorso con cui buttò giù tutto il contenuto del bicchiere. Ne aveva bisogno, decisamente. Nel breve silenzio che seguì, il demonologo poggiò il bicchiere vuoto sul tavolino, riempiendolo di nuovo senza tuttavia berlo - non ancora. « Non ho intenzione di metterti nei casini. Mi fermerò solo per poco, il tempo di attendere il prossimo passaggio sicuro per la Romania. » Non c'era una tabella di giorni e orari fissa, ovviamente; chi forniva quei trasporti giocava proprio sul fatto di non avere un pattern rintracciabile. Il ragazzo che l'aveva aiutato a tornare in Inghilterra gli aveva garantito che nell'arco di massimo un paio di giorni sarebbe potuto tornare indietro, ma Eliphas non sapeva né quando né dove si sarebbero incontrati. Te lo fanno sapere a modo loro, con i loro tempi. « Tu come stai Josh? Te la cavi? » Chiese dunque, bisognoso di cambiare argomento dopo quel dovuto inciso. Spostò lo sguardo su di lui. « Com'è la vita sotto il Messia? » Fece una breve pausa, passando distrattamente l'indice sulla superficie circolare del bicchiere. « Cazzo, sembrava che il mondo si stesse ribaltando e invece torno e mi sembra tutto così.. tragicamente normale. » Eliphas non aveva mai avuto un'altissima considerazione della società magica tradizionale, ma non pensava nemmeno che potesse rivelarsi così facile per quella gente accettare quella che era a tutti gli effetti una caccia alle streghe verso i loro stessi vicini. Sbuffò una risata amara, scuotendo leggermente il capo. « Immagino che questa storia mi servisse. Sai, forse un po' di cinismo in realtà è salutare: ti fa guardare alle cose con più chiarezza. »

     
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    Ma Eliphas non sta bene. Io ho solo bisogno di chiederlo, di dargli la possibilità di mentire come è giusto che sia, anche se questo mi fa salire un nodo in gola. Uno di quei nodi che scioglierò dopo, quando la mia cazzo di apprensione sarà tornata nel cassetto. E lui sa come sono. Sa che questo è solo uno sfiorare leggero lungo la superficie dei suoi iceberg. Può tenermi nascosta ogni sofferenza, senza mai riuscirci davvero. Scaverò, Els, ti faccio solo la grazia di non insistere per quel poco tempo che passi con me... con noi. Eliphas non merita neanche questo. Mi ricordo perché cazzo ci eravamo trovati bene quelle volte, perché nonostante la fottuta diversità, siamo ancora qui dopo anni. Perché siamo esiliati, in un modo o in un altro, ricco o povero, non cambia un cazzo se il filo conduttore è lo stesso.
    Ed il nostro è questo, abbiamo perso tante cose, fratelli, sorelle, genitori (nel mio caso). E lui è l'unico che sa che cazzo ho fatto a mio padre, il giorno in cui ho capito cosa potevo fare alla mente degli altri. Ciò che ai miei cari non farei mai. Non risparmio neanche Remì dalle sue sofferenze, perché so che ha bisogno di star male, e nel dolore di sentirmi qui. E' questo che dovrebbe fare un padre, dovrei lasciarlo evolvere e crescere ma restando a vista, qui per ogni cosa gli serva.
    Mi dico che è per questo che ho cercato di nuovo Eliphas, per fargli un piacere perché gli mancava. Già come se non mancasse anche a me. Di balle, quindi, me ne racconto anche io.

    — Se non dovessero più tenerti tra loro, me lo devi dire. Perché? Perché non lo so, perché gli darei le chiavi di casa mia e sarei ancora più in apprensione di prima. Perché cercherei un cazzo di altro modo per farlo vivere sereno. Le ho viste le occhiaie, Els. Vedo ogni cazzo di cosa da quando sei un ricercato. Da quando il tuo esilio ti abbassa le spalle. Dovrebbe leggersi come quello che è, questa frase: "non mi piace che tu stia da solo quando questo non ti ha mai fatto stare bene". Ma fermo i cani nella mia testa adesso, al ringhiare lenti lungo le sbarre del cancello, li libererò solo quando la rabbia sarà troppo alta per essere contenuta. Per ora ringhiano e basta, e non voglio lo facciano lungo il suo collo. Relativamente E' una tregua.

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    Mi lascio cadere sul divano, accanto a lui, scuoto la testa per la sua fottuta eleganza, se la porta dietro anche quando ogni cosa potrebbe andare a puttane. Come se ripiegare il giaccone fosse un segno di normalità a cui aggrapparsi per dirsi che è ancora tutto ok.
    Non è ok un cazzo, ma va bene così. Va bene quando fa un regalo a Remì ed io ho gli occhi che brillano giusto un pochino, appena appena nella penombra rosata che aspetta l'alba. Dio, sei qui per farti amare ed anche se si muove una risata lenta, io non sto scherzando più di tanto. Non nel modo in cui le considero io queste cose, questi gesti che ci spezzano. Sfioro quel giochino, che rende netto lo stacco tra me e Remì, tra la sua intelligenza fuori dal comune e la mia. — Sai che ti costringerà a giocarci, si? Gli daresti più soddisfazione tu di me ed è una cosa che so, per cui non soffro alcuna pena: Remì è il mio piccolo genio, non riesco a non vederlo così. Lo vedo anche prendere posto per terra vicino al tavolino, gli occhi enormi puntati su "Zio Eliphas" ad implorare un'altra partita prima che vada via. Ma dove per mio figlio c'è un gioco, per me ce n'è un altro: l'assenzio. Che poi non è che il ricordo a cui non mi sono avvicinato questi mesi. Son convinto che vada bevuto con lui e basta, quindi certo che recupero il bicchierino dalla sua mano quando me lo allunga.
    — L'unica legge che mi sento pienamente di rispettare. Accenno, prima di buttar giù il primo bruciante bicchierino alla fine del brindisi. Dovrebbe dire già un po' di come sto, mh?
    — Io... mi rigiro il bicchierino vuoto tra le mani, lo sguardo come se ci stessi divinando con i suoi fondi trasparenti. — ... io tiro avanti come sempre, non penso sia cambiato quasi un cazzo per quelli come noi. Rialzo gli occhi su Eliphas, non gli ho mai nascosto un cazzo, nemmeno la mia preoccupazione. Rilasso le spalle. — Sto solo più attento, ma non è colpa tua questa, lo sai che sono fatto di merda su queste cose. E che non so stare ad imposizioni così rigide. Anche se tutto ti sembra così normale, non lo è. — Seh. Riempio di nuovo il mio bicchierino e lo spingo dolcemente contro il suo. —Alla capacità degli inglesi di fingere anche con loro stessi. E di mantenere quest'aura di "non ho visto niente, non è cambiato nulla".
    — Però non ti devi preoccupare per noi, lo so che non ci metti a rischio, ma non fare la stronzata di starci distante per questa ragione, mh? che lo so, sono parole al vento ma almeno ci provo. — Questa casa del cazzo è aperta per tutto il tempo che ti serve, so come... proteggerci, diciamo. E parlo di me e di Remì, ma cristo, anche di te! — Non sarò un warlock, ma qualche trucchetto lo conosco. Alludo, tirando su mezzo sorriso, mentre mi lascio scivolare meglio sul divano, appena più rilassato dall'assenzio che brucia in gola. — Quando finirà questa merda?





    Edited by Jossshua - 27/12/2023, 12:43
     
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    « Io... io tiro avanti come sempre, non penso sia cambiato quasi un cazzo per quelli come noi. Sto solo più attento, ma non è colpa tua questa, lo sai che sono fatto di merda su queste cose. » Inarcò le sopracciglia, inclinando appena il capo di lato. Aveva avuto modo di conoscere davvero la società magica tradizionale solo negli ultimi due anni, ma poteva dire di aver visto a sufficienza da non stupirsi di quella risposta. Un fatto che lo aveva colpito immediatamente, quello della netta divisione tra classi sociali. Per uno warlock era difficile capire quel concetto, visto che la maggior parte di loro vivevano in condizioni piuttosto paritarie e solo gli Anziani (che già di per sé era difficile incontrare) venivano considerati come appartenenti ad uno strato diverso. Un mondo molto più complesso di quanto credesse, quello dei maghi, basato su una serie di regole non scritte e usanze disomogenee. Eppure Eliphas, per sua natura, se ne era sentito attratto; la curiosità aveva sempre la meglio su di lui. E guarda dove mi ha portato. Forse, col senno del poi, il dogma warlock di non interessarsi all'altra comunità era il più saggio. « Alla capacità degli inglesi di fingere anche con loro stessi. » Incurvò gli angoli delle labbra in un sorriso tra l'ironia e l'amarezza, spingendo il proprio bicchiere contro quello di Josh prima di buttare il contenuto giù per la gola. « Credo sia un tratto internazionale, sai? Ho saputo che anche gli altri paesi si stanno pian piano adeguando al Verbo. Presto arriveremo al punto in cui ci si potrà nascondere solo nelle fogne. » Che forse è proprio ciò che vogliono. Ma dal suo punto di vista, quello era un problema secondario. Per quel che lo riguardava, il mondo magico poteva anche dargli la caccia con i forconi e la cosa lo avrebbe solo fatto dispiacere. Il problema era un altro: l'esilio. Il fatto che la sua stessa comunità lo avesse rigettato per guadagnarsi una pace di cristallo col Ministero. Nei primi giorni di fuga, Eliphas aveva rimuginato sin troppo a lungo sul proprio rancore nei confronti dei suoi simili, e alla fine l'unico modo per mettere a tacere quel dolore - e tutti gli altri pregressi che erano prontamente tornati a galla - era stato la ricerca di un anestetico alla vita stessa. « Però non ti devi preoccupare per noi, lo so che non ci metti a rischio, ma non fare la stronzata di starci distante per questa ragione, mh? Questa casa del cazzo è aperta per tutto il tempo che ti serve, so come... proteggerci, diciamo. Non sarò un warlock, ma qualche trucchetto lo conosco. » Abbassò il capo, annuendo piano, con un tenue sorriso sulle labbra. « Grazia.. davvero. » Fece una breve pausa. « Cioè, non sto distante perché lo voglia. È che non so quanto sia intelligente, al momento, stare fermo in un posto.. per giunta sotto il naso del Ministero. » Una mezza verità. Se inizialmente la sua fuga era stata pianificata proprio su quell'esigenza, presto il suo distanziamento da tutto e tutti era diventato una droga a se stante. In quella bolla irreale, Eliphas poteva permettersi il lusso di non provare granché di reale, rincorrendo la felicità dei ricordi passati e soffocando la tristezza del presente con litri di alcolici. Era più semplice così. Inabissarsi. Perché se ti immergevi abbastanza in basso, la luce del sole non poteva arrivare fino a quelle profondità. E il nulla è più consolatorio di una realtà in cui ogni punto fisso ti è stato violentemente strappato. « Quando finirà questa merda? » Quasi involontariamente, una risata si fece largo dal petto del ragazzo fino a fuori le sue labbra, mentre la mano tornava alla bottiglia per riempire il bicchiere vuoto. E giù, un altro shot. « Quando non
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    rimarrà più nessuno con cui prendersela, immagino. »
    Quindi immagino che debba fargli tanti auguri per questo ambizioso progetto di realizzare un'utopia. Sospirò, affondando con la schiena contro il divano mentre si passava le mani sul viso stanco. « Non lo so, Josh. Prima ho incontrato un po' di gente nella mia stessa situazione e sono tutti così pronti a ribaltare il mondo. O almeno questo è ciò che dicono. » Fece scivolare giù le mani, fissando vacuo un punto a caso di fronte a sé e scuotendo leggermente il capo. « Voglio bene ad alcune di queste persone, e spero sinceramente che riescano nel loro intento. Ma se pure volessi fare lo sforzo di entrare in questa roba.. cosa cambierebbe per me? Riavere il posto nella mia comunità? Come se non fosse successo nulla? » Non era così semplice, o quanto meno quello che Eliphas aveva subito non era un danno riparabile con un'inversione di marcia. Perché se pure lo avessero reintegrato, la ferita non si sarebbe rimarginata. Quella fiducia non esiste più. Quello che mi era rimasto a cui aggrapparmi - il senso di comunità - me l'hanno tolto. E per lo più, che il demonologo se ne rendesse conto o meno, ad essere stata atrofizzata era proprio la sua capacità di credere in qualcosa e fidarsi nuovamente di qualcuno. Sospirò. « È un ragionamento così egoista, me ne rendo conto. Ma l'altruismo è un lusso per pochi, di questi tempi. E mi ha fregato così tante volte che diventerebbe solo stupidità recidiva se mi lasciassi trascinare anche stavolta. »

     
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    — No io... Io lo so. Lo so che se non resta non è solo per tenere al sicuro noi, ma è per non rischiare la sorte. E la cosa che mi fa schifo più di tutte non è certo lui, non potrebbe mai. Mi fa schifo questo mondo del cazzo che sta venendo su adesso. Mi fa schifo il Verbo, a cui non brindo ma per il quale butto giù un altro shottino. Mi fa schifo che lui sia stato descriminato quando - anche adesso - non sta facendo la rivoluzione. Eliphas sta sopravvivendo, come facciamo tutti noi ogni fottuto giorno della nostra vita. E lo capisco, mi zittisco perché lo capisco, lo so. So che potrei offrirgli di dividerlo 'sto cazzo di letto che ho in casa, ma non sarebbe saggio.
    Lui è quello sveglio, senza dubbio più di me, per quello a Remì piace tanto, credo si senta meno solo quando c'è qualcuno a cui piacciono le stesse cose. Io mi ci impegno, giuro, ma alla ventesima partita di scacchi non ce la faccio più. — Lo so, scusa, è che è assurdo cazzo. Assurdo e troppo veloce. Chino il capo in un'ammissione che seppur mi mette a tacere, certo non mi fa stare più tranquillo.
    E posso bere quanti bicchieri voglio, ma la verità è che la realtà non assumerà una forma diversa quando la bottiglia di assenzio sarà vuota. L'avremo solo noi, solo i nostri muscoli saranno rilassati. Magari ci inventeremo l'ennesimo modo di superarla, di non vedere la merda in cui camminiamo ogni giorno.
    Mi chiedo come cazzo sarebbe stato se fossi rimasto in America. La mia patria di merda si piegherà anche lei? Questa cosa sforerà i confini? Perché Dio, qualcuno gli farà il culo. Nessuno vive per sempre, neanche la dittatura mascherata da "lo facciamo per il popolo". Ma poi loro, di noi, che cazzo ne sanno? Ma lui ha ragione. Non importa nulla, continueranno finché avranno gente con cui prendersela. E ne troveranno di modo creativi, me lo sento, è palese.

    — Li capisco. I suoi amici, gli altri esiliati, i ribelli, chiunque sia pronto ad aprire il culo per farsi strada tra lo schifo che gli viene gettato contro. Eliphas lo sa come sono, sa che farei male a qualcuno per molto meno, e mi ha visto quando Nilufer è morta. Come se non fosse stato abbastanza brutale perdere una madre. Me l'hanno uccisa davanti agli occhi, solo perché avevano paura. La paura è una stronza, ma chi la cavalca come un surfista merita di morire. Butto giù il terzo ed il quarto in rapida successione, perché non voglio incattivirmi così tanto. Ma io... insomma, anche io ho paura. — Avrei ucciso per molto meno, o almeno così pensavo.

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    — Forse no, non riavresti il tuo posto affermo, ma solo perché sto riflettendo, mi rilasso qui accanto, spalla a spalla, giro giusto il muso per guardarlo meglio. Quanto cazzo fa male vederlo così, a volte blocca i miei pensieri, ci penso e sto fermo, perché sento solo di non poter fare niente altro. — Ma ti riprenderesti il diritto di respirare qui c-... qui a Londra, o dove vuoi tu, senza il cazzo di fiato sul collo. Els, lo so che la speranza è poca e lo so che non è colpa tua. Per tante cose non lo è, ma vorrei che tu non lasciassi la presa sull'idea di una vita normale. Una vita, almeno, che si possa chiamare così. E giù con il quinto che scioglie i muscoli ed un po' anche la lingua. Cristo non brucia quasi più, è un buon segno?

    Ma io forse respiro un po' troppo vicino alla sua spalla adesso. Abbasso il tono, che a questa distanza si va di mormorii. — Comunque nelle fogne sono ambientati i film che preferisco. Alludo, piano piano. Non che io lo stia paragonando ad un Marvel, ma insomma, non ci vado troppo distante. E' che nell'immobilità non so stare. — Non essere altruista mormoro, appoggio il bicchiere al tavolo perché ho bisogno di una mano che gli sfiori piano il collo. Guardami adesso, per favore. — E non fare l'eroe. Il pollice che sale verso lo zigomo. E' buio, va bene così se non mi ferma. — Ricordati però che non sei solo, e se devi chiedermi aiuto, fallo e basta, senza scrupoli. Non provare a risparmiarmi, chiaro? Non so neanche se respiro.



     
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    « Forse no, non riavresti il tuo posto. » Almeno Joshua era onesto. Non era il tipo di persona che ti diceva che tutto sarebbe andato per il meglio e che per far tornare le cose come prima bastava crederci. No perché infatti ero io quel tipo di persona. Il deficiente che si ostinava a vedere sempre il lato positivo anche quando non c'era. A conti fatti, forse Magnus ci ha sempre visto più lungo di me. Un cinico e un individualista di prima categoria, il gemello. Eliphas gli aveva sempre rimproverato quei tratti, ma cominciava a pensare che forse avesse avuto ragione lui sin dall'inizio - quanto meno in linea generale. D'altronde, almeno finché c'era ancora, è sempre caduto in piedi. Mentre io non posso dire lo stesso. No, infatti Eliphas era più il tipo che cascava in continuazione e si rialzava col sorriso, dicendo di non essersi fatto nulla. Ma ad un certo punto non ce la fai più a fingere, e di certo non ce la fai più nemmeno a rimanere ottimista. « Ma ti riprenderesti il diritto di respirare qui c-... qui a Londra, o dove vuoi tu, senza il cazzo di fiato sul collo. Els, lo so che la speranza è poca e lo so che non è colpa tua. » Come spiegarglielo? Poteva farlo? Josh avrebbe capito i sentimenti che lo legavano alla sua comunità e la ragione per cui quell'esilio - che Eliphas viveva come il più profondo dei tradimenti - lo aveva fatto crollare più di tutte le perdite subite nel tempo? Sospirò, riempiendosi il bicchiere solo per svuotarlo in tempo record. Forse sì. Forse se avesse riversato su di lui il peso che aveva nell'anima, Joshua avrebbe potuto comprendere. Ma ormai era arrivato a un tale punto basso pur di evitare quel dolore, che la sola ipotesi di dargli voce veniva come automaticamente bloccata dai suoi pensieri. No, non ce la faceva a parlarne. Non voleva farlo. Non voleva dare una forma concreta a quel senso di solitudine e di abbandono ben più profondi e complessi di quanto fosse disposto ad ammettere. Quindi si limitò a scrollare le spalle. « Vedremo. Tanto non è che ci possa fare nulla, no? » L'ombra pallida di un sorriso comparve a incurvargli le labbra, velocemente, prima che la nuca si abbandonasse contro lo schienale del divano. « Comunque nelle fogne sono ambientati i film che preferisco. » Si voltò appena, scoccandogli un'occhiata a metà tra il confuso e il divertito. Le labbra arricciate da una
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    risata sommessa. « Devo essermeli persi, questi film. » disse, abbassando la voce per mimare lo stesso tono di lui. Lo sguardo saettò veloce tra gli occhi e le labbra, poi di nuovo agli occhi. Sapeva benissimo dove sarebbero andati a parare, e forse era ciò che gli serviva. Una distrazione. Un altro anestetico. « Non essere altruista. E non fare l'eroe. Ricordati però che non sei solo, e se devi chiedermi aiuto, fallo e basta, senza scrupoli. Non provare a risparmiarmi, chiaro? » Nella penombra della stanza, l'effetto di ogni tocco sembrava moltiplicarsi esponenzialmente. O forse era l'alcol. Probabilmente entrambe le cose. Importava? Di certo non più di quel familiare formicolio che gli risaliva lungo le gambe. « Mh-mh. » disse soltanto, ormai distratto, annuendo piano mentre i denti affondavano leggermente nel labbro inferiore. Che non avesse intenzione di dire altro era chiaro, ma a renderlo più palese fu il modo in cui le sue dita fecero presa sulla stoffa della maglietta di Joshua, tirandolo a sé per avventarsi sulle sue labbra in un bacio affamato di sensazioni sufficientemente forti da sovrastare il rumore dei suoi pensieri. La mano libera scivolò lungo le gambe dell'altro, arpionandosi all'incavo del ginocchio per tirarlo a cavalcioni sulle proprie. Andava incontro alle sue labbra con foga, attirandolo sempre più vicino nel tentativo di escludere qualunque altra sensazione. Funzionava, era facile - lo era sempre stato. Le mani sui glutei di Joshua e il bacino che spingeva verso l'alto, incontro al suo, alla ricerca di quel contatto. Giusto un istante per prendere fiato. « Vuoi aiutarmi di là? » Pausa. « Non ti risparmio. Promesso. » Il tono ancor più basso di prima e una risata leggermente arrochita dall'intensità di quel contatto. Inarcò un sopracciglio, maliziosamente. Un invito che lasciava ben poco spazio all'interpretazione.

     
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    Ho sempre pensato che Eliphas fosse in parte come me: una miccia sempre accesa, pronto a riprendere il percorso al primo alito di vento. Temevo che questo esilio di merda l'avrebbe spento del tutto. Perché la luce nei suoi occhi l'ho letta terribilmente quando ha varcato la mia soglia. Dev'essere stato come perdere una famiglia in una volta sola, allontanato dalla congrega e poi dalla sua cazzo di città. E forse questo non posso empatizzarlo neanche io. Non ho dimenticato neanche Magnus. Ma ci penserò dopo alle implicazioni di ogni cosa, perché il mio fottuto segnale viene preso alla lettera. Dio, quanto mi è sempre piaciuta la sua pelle, e come le mie dita ci scivolino così bene nello sfiorarla.
    Sai di assenzio... è il sussurro spezzato dalle labbra che finalmente si ritrovano. Cazzo se mi era mancato.
    Il suo bacio e fiamma viva, ed io sono pronto a bruciare, a divorarmi le sue labbra come se fossero il pasto del mese, l'unico che mi soddisfa davvero. Le riscopro, le mordo per definire una proprietà: la mia. Che duri una sera o sei mesi, non importa. Lo bacio come l'ho baciato troppe volte quando eravamo qualcosa anche noi, ma cazzo se adesso ci metto ancora più fame. Più tempo passa e peggio è con gente come me. Respirerei dai suoi cazzo di polmoni se fosse umanamente possibile. Le mie dita si incastrano veloci trai suoi capelli, e stringono come lacci ai polsi. Basta sentire le sue lungo una gamba per sentirlo quel brivido familiare. Ringhio.
    Domami, Els. Fallo di nuovo, come se dovessi reimparare a muoverti con me. Piegami, cazzo. Piegami perché sei l'unico che può.

    Ma se lui è la miccia, ed il sul fuoco corre lungo un corda nella sabbia, la cazzo di dinamite, invece, è la mia vita. Lo so che non posso dire ad alta voce che mi era mancato. Perché potevamo non funzionare in tantissimi modi, finire per distruggerci ad ogni discussione di merda, ma cazzo se nel sesso siamo sempre stati bravi. Dei fottuti Dei.
    Alla sua fame ha sempre risposto la mia, in egual misura.
    Magari a salvarci è stato il cazzo di spirito di conservazione, sapere che nonostante quello che stavamo - e stiamo - per fare, poi non cambierà niente. Lui sarà ancora in esilio, forse un briciolo meno solo, ed io ancora un cane in gabbia, a girarmi come una bestia in attesa di poter mordere di nuovo, ancora e ancora.
    Lo faccio perché è lui, perché i nostri intrecci del cazzo li ho sempre voluti così.

    Seppur quando mi stringe, una parte di me lo minaccia, l'inguine spinto solo a sfiorarci, così da logorarci. La sua presa di potere è l'unica cosa a cui non sono più abituato dopo... anni. Chè a dominare fuori da queste mura, sono solo io. A volere, piegare, prendere e possedere sono sempre e solo io. Io che spingo la gente contro i muri, che fotto gli stronzi anche quando a fatica respiro.
    Ma Eliphas...
    La punta della lingua scende a percorrergli la scapola, allargo la maglia con le dita, fino a che le labbra non riproducono un bacio lungo il collo da giraffa che si ritrova. Io ho bisogno di divorarlo e non pensare ad altro.

    La sua pelle, che è l'unica al mondo ad essere più pallida della mia. Riapro gli occhi, fermo i battiti solo quando mi parla. Uno dei pochi momenti di paura che gli concederò fino all'alba.
    — Ah si? Si rigira le mie parole sulla lingua e penso solo che sia una cazzo di fortuna che casa mia sia tanto piccola da avere la camera a due passi.
    Gli prendo un polso, che nell'arretrare verso la stanza ho voglia di baciarlo ancora. A due mani, come ad assicurarmi che non vada via, che non scompaia ora tra le mie dita. Lo tiro con me dentro la stanza, non accendo la luce. La penombra basta a ritrovarlo dove ho bisogno che sia. Chiudo la porta spingendola dolcemente ma è la sola mano che allontano da Eliphas. E lo faccio per pochissimo tempo.
    Due dita le infilo lungo l'aggancio dei suoi pantaloni, sbottono il primo bottone guardandolo dritto negli occhi. Ho fame, Els, ho sempre la mia cazzo di fame, non è cambiata per niente. Ho bisogno di qualcuno che voglia me, fammi perdere quel controllo che mi brucia le vene.




     
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    Se ne dicevano tante degli warlock. Tante da non poterne tenere il conto. Tra le varie, che fossero promiscui, depravati, degeneri, perversi. Eliphas aveva sempre trovato divertente quel modo di definirli, come se nell'utilizzo dei vocaboli fosse inclusa una battuta che nemmeno chi la proferiva coglieva. La perversione andava a braccetto col il male. E sì, questo era il giudizio che i maghi avevano di loro: che incarnassero il male anche nel ricercare il contatto con altri esseri umani. Come se quella, l'esperienza più intrinsecamente umana di tutte, fosse in qualche modo inscindibile dall'immoralità. Come se ammettere a se stessi di essere fatti di carne, di desiderare il tocco di qualcun altro, di essere - appunto - solo umani, dovesse essere giustificato da altro per considerarsi giusto. Era ingiusto da parte sua cercare una sensazione diversa dal dolore che aveva dentro? Era ingiusto presentarsi a casa di Joshua all'alba, consapevole di come sarebbe andata a finire? Abbandonarsi alle sue labbra, essere il primo a cercarle - anche questo era ingiusto? Beh se lo sono io lo è anche lui, no? It takes two to tango. Forse i più intellettuali avrebbero potuto dire che l'ingiustizia non si consumasse tanto verso l'altro, quanto verso se stesso, e che nessun piacere fisico potesse cancellare ciò che sentiva dentro. Vero, ma questo Eliphas lo sapeva. Nulla può essere cancellato, ma tutto può essere messo in pausa. E in quella pausa, per quanto irrisoria in relazione a tutto il resto, Eliphas non vedeva nulla di sbagliato.
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    Si lasciò trascinare verso la camera - se trascinata si poteva definire una persona che spingeva con i propri baci affamati verso quella porta che ormai rappresentava più di un semplice luogo fisico in cui consumare tutto quel miscuglio di emozioni che aveva in corpo. Con respiri pesanti scandiva ogni tocco sulla propria pelle, inglobandolo come parte di sé mentre le mani scivolavano pesanti lungo il corpo di Josh. Le dita corsero veloci alla cintura, slacciandola con la stessa impazienza con cui oltrepassò anche la barriera degli indumenti. Una presa decisa, accompagnata da un gemito sommesso nell'avere riscontro diretto di quel desiderio ricambiato. Percorreva l'intimità del moro con una pazienza che si affacciava direttamente sulla fame, gettandovisi infine a capofitto, come ossessionato dall'idea di spingere anche lui oltre il limite. « Sai di assenzio. » disse in un fiato, nella breve parentesi di pausa da quei baci abrasivi che scendevano lungo il collo di Joshua. Una risata bassa vibrò dalla sua gola, forse per il sottile piacere che gli provocava, appropriarsi delle sue parole oltre che del suo corpo. « Dimmi di cos'altro so io. » Una richiesta, mormorata quasi come un comando, prima di fargli sentire la pressione dei denti sul collo.

     
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    Mi sfugge un cazzo dì ansimo, nell'esatto momento in cui la sua mano va oltre. Mi cerca, Dio quanto mi piace essere cercato, soprattutto quando a farmi trovare sono pronto. Sono qui cazzo, Eliphas. C'ero prima che te andassi e ci sarò domani o quando cazzo sarà che andrai via di nuovo. Lo farò finire io il suo esilio, ma non è quello a cui penso adesso. Perché lui è qui, e non c'è minuto che intendo sprecare prima del risveglio di Remì.
    Adesso penso a come si faccia a respirare se mi bacia così, e come si faccia a tenersi fermi quando niente di noi è acqua. Non c'è calma, c'è solo fuoco. Ci sono le fiamme scure dell'Inferno, e labbra che bruciano in un cercarsi incessante.
    Ci sono io che per lui sono d'acciaio, basta percepire le sue dita, la sua presa di comando per irrigidire i muscoli e stringergli una mano dietro la nuca.

    — Cazzo-... sentenzio, sarcastico, come se io tenessi per la mia fragile salute, perché voglio che lui vada più a fondo con me. Prenditi ogni centimetro che riesci, non tralasciare niente Eliphas.
    Ho bisogno che mi ricordi che almeno un po' gli sono mancato, che queste notti e giorni e quando cazzo ci pareva, hanno un senso nello scuotersi profondo dei miei sonni.
    Non dormo più, ma questo non dipende da lui. Adesso non dormiró e basta. Ma bastano i suoi denti, le sue parole, per far crollare i miei castelli, quelli che con fottuta cura rimetto in piedi ogni volta. Non è niente, è solo oggi. E solo oggi mi va benissimo.

    Nontimancavoperniente sibilo, con un sorriso che mi spacca i denti. Proprio quando i suoi mi affondano nel collo. L'altra mano scivola lungo le natiche, stringo la presa.
    Di cosa altro sai, Els?
    Sa di polvere. Eliphas. Sa di polvere da sparo, di lontananza. Sa di notti senza stelle a cercare una luna che si è spenta. Sa di terre straniere e carovane pesanti. Sa di tutto quello che un po' mi è mancato. Forse più di un po'. Ma non glielo lo dico così, non se mi ruba un ansimo scavandomi così a fondo.
    Di cosa altro sai, Els?
    — ... di me, tra poco alludo, continuo a spingere con questa cazzo di ironia, che non fa che peggiorare la mia situazione. Vorrei sapere se - al contrario mio - è rimasto a digiuno oppure è andato a caccia per altre notti come questa.
    Ma io voglio di più. Più morsi. Accompagno i suoi con con mano che ricerca ancora i suoi capelli, a cui mi aggrappo come fossero scogli nel mare in tempesta dei miei occhi.
    — Cazzo, Els sfiato, con un brivido che mi scioglie i muscoli. Lo avvicino di più a me, ho bisogno che il suo corpo aderisca al mio e che non ci sia più nessuno tessuto a sfregare.
    Voglio la tua pelle
    ringhio il mio comando, non è ancora una supplica, è un fottuto dogma.


     
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    « ...di me, tra poco. » Soffocò una risata nel collo di Joshua, continuando a farsi strada con le labbra ovunque trovasse pelle da marchiare come propria. Ogni parola, ogni sospiro, erano per lui una conferma e un incentivo - qualcosa di cui sentiva la necessità più di quanto sarebbe stato disposto ad ammettere allo specchio. Aveva bisogno di quel contatto, di quel calore, di allontanarsi dal dolore che lo graffiava ogni giorno e al contempo sentirsi di nuovo umano. Si era perso. Sentiva che fosse così. Forse una parte di lui riusciva anche ad ammetterlo, seppur qualcosa continuasse a bloccarlo dall'accettare del tutto quell'amaro senso di sconfitta. Si era perso nel lutto, nel distacco dalla propria comunità, nella dipendenza da una formula magica che gli toglieva più vita di quanta gliene dava - e perdendosi in tutte queste cose aveva perso principalmente se stesso. Di certo non era un illuso: sapeva che una notte di sesso non l'avrebbe aiutato a ritrovarsi, né a rientrare in contatto con quelle parti di sé che nemmeno chi gli aveva strappato poteva veramente restituirgli. Ma non è il cerotto a far guarire la ferita. Il cerotto serve solo a bloccare tutto ciò che, arrivando dall'esterno, potrebbe farla peggiorare. « Voglio la tua pelle. » Come in risposta ad una richiesta implicita, le dita del demonologo fecero presa sulla maglietta di Josh, sfilandogliela in un movimento tanto veloce quanto impaziente, scandito dal battito cardiaco accelerato che dettava l'adrenalina. Se voleva la sua pelle, quella avrebbe avuto. Se voleva il suo corpo, quello gli avrebbe dato. Le dita si strinsero intorno ai polsi del moro, guidandogli le mani sotto la stoffa della propria camicia mentre si faceva più vicino, sempre di più, fino ad imprimersi sul suo corpo come un sigillo di ceralacca. Un muto invito a prendere ciò che voleva, a fare dei suoi indumenti cartastraccia qualora lo avesse desiderato. La pressione di quei baci affamati lo spingeva sempre più all'indietro, al punto da far cozzare le ginocchia di Joshua contro il materasso. Una caduta chiamata. Una gabbia tra la morbidezza delle coperte e la solidità del corpo di Eliphas. « Non è vero. » proferì in un soffio. Una risposta tardiva il cui calore lasciava scie concrete lungo il petto di Josh. « Vuoi di più. » Molto di più. Nel dirlo, le mani del demonologo scesero a disfarsi degli ultimi indumenti rimasti indosso a Josh. Le labbra subito di seguito, a tracciare con baci e guizzi della lingua ogni punto sensibile mentre gli occhi cercavano sul suo viso la conferma di quel piacere. Uno step necessario, prima di gattonare come un felino sopra il suo corpo, farsi spazio tra le sue gambe, stamparsi su di lui come un francobollo e scivolare al suo interno in un gemito sordo. Le dita intrecciata a quelle di Josh, come a volerlo bloccare lì, sul materasso, sotto di sé. Come se la sola ipotesi di un'improbabile fuga dovesse necessariamente essere bloccata. Ma Josh non aveva nulla da cui fuggire. Non come lui, che persino in quel momento - in quella pausa, in quella morsa di carne - stava fuggendo.

     
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    So solo che questo è ciò che ci serve. Serve a me, nel sapere che per quanto distante ed esiliato sia, Eliphas sa come tornare a casa. Mi prendo il diritto di essere casa sua per adesso, per qualche ora in una notte che sta già per spago all'alba. Ma io mento a me stesso, perché è con l'egoismo che ansimo.
    È per il mio bisogno primario che finisco a dargli contro in baci altrettanto affamati, gliela tolgo questa polvere di dosso. Così come gli sfilo il resto dei suoi vestiti, perché i miei cazzo sì occhi non si staccano dai suoi quando mi prende i polsi. So che sul mio volto compare un ghigno famelico, un lampo di consapevolezza prima dell'oblio di cui sono un maestro. E non me lo faccio dire due volte, il mio tocco scivola dallo sterno, giù fino a trovare quello che poi voglio oltre la sua pelle.
    Perché Eliphas ha ragione, i miei desideri non fanno che aumentare. Con le dita lo stringo piano a me, allungo il collo per farmi baciare ma il brivido che ho anche solo toccandolo, è un fottuto demone che mi prende da capo a piedi.
    Quante volte ho dimenticato come fossi. Costretto dalle stupide idee nelle nostre teste ho lasciato andare ogni cosa in passato, ma adesso non riesco. Adesso ho perso troppo per poter continuare a farlo. Il ciclo del mio dolore si infrange ora, in un moto che mi spinge contro il materasso. La risata che sale, lenta, muore veloce quando lo sento arrivare sempre più vicino. Arretro per affondare la testa lungo i cuscini neri.
    Egocentrico del cazzo una conferma che si fa preghiera e fottuto complimento, una nota roca che mi si impiglia in gola quando le sue mani, oltraggiose e stronze, bloccando le mie. Mi costringe ad una resa che - nel mio - non sarà mai docile. Inarco la schiena in un tentativo di non farla tanto semplice.
    Perché non lo è mai quando la mia voglia è talmente alta da uccidermi. La sento la tua lingua, Eliphas, so cosa stai facendo. Continua cazzo...

    Il suo farsi avanti su di me è solo un preludio all'estasi. Lo so, per questo le mie gambe gli danno spago, per questo il mio corpo si spinge contro il materasso per poter sopportare ogni spinta che arriverà. Per sopportare una dominanza che mi strappa via in baci anche troppo intensi. Ne voglio altri, ne voglio fino a soffocare. Ho bisogno di guidarlo in quello che già sa fare, e che sa fare bene con me. Ho bisogno di avere le mani che lo percorrono, perché non scherzavo nel volere la sua pelle. È così morbida da rendere impossibile tenermi le mani in tasca. Voglio che le mie dita scivolino fino a stringergli la schiena, fino a contargli le vertebre come fossero un rosario.
    Sento già che il fiato corto, che l'attesa che la sua lingua risalga a morire con la mia, è estenuante. Mi appaga come farebbe la sensazione di avere gli occhi puntati addosso e cercare il proprio nemico nell'attesa che torni a farsi vedere.
    Non so cosa sei adesso Eliphas, ma questo non cambia ciò che voglio io.
    Puniscimi per non essere stato un bravo cane, Els. Ma anche con questo non credere che me andrò docile in una cazzo di buonanotte.
    Perché mi basta sentirlo per tremare dallo stomaco.
    Al suo primo affondo, io stringo di più le dita intrecciate alle sue. È una doppia trappola: se non non scappo io, non scappa lui.
    Mi muore il fiato in gola, tanto che ne esce un ansimo roco, il preannunciarsi di un respiro irregolare. Gli vado incontro, cerco di mordere la mia strada fino alle sue labbra, con la rabbia di chi ha bisogno di un ricambio a questa sottomissione. Quanto cazzo mi piace così, mi piace non avere il controllo per una volta, non dover portare io il peso dei miei errori. Prendi le redini, Eliphas, fammi stare bene.
    Voglio altri baci adesso, li cerco in un corpo che si muove in perfetta sincronia con il suo. Lo spazio è stretto, perchè questa non è una mia abitudine, ma non farà che aumentare il piacere e farmi sentire ogni centimetro che si sta guadagnando. Contengo i miei ansimi trai canini, mordo per non gemere svegliando Remì.




    Edited by Jossshua - 10/1/2024, 09:41
     
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    Era un'intimità oscura, quella che lo avvolgeva nel misto di estasi e incertezza, nel cercare rifugio in Josh pur sapendo che non sarebbe durata. Il richiamo di quella passione si faceva strada nei suoi pensieri, diventando una fuga momentanea dalla realtà che lo tormentava - come quando ci si allontana dal sentiero battuto per dirigersi nei quartieri nascosti di una città troppo caotica e soffocante per essere sopportata a lungo. Un piacere furtivo, un modo di confondere i confini tra il reale e l'effimero, tra il dolore e l'estasi. Le mani che lo toccavano e le labbra che lo cercavano non erano quelle di un estraneo - no, lui Joshua lo conosceva bene, avevano condiviso più di un letto caldo - ma c'era comunque qualcosa di alienante nella foga con cui il demonologo rincorreva quel contatto; impaziente, impetuoso - come se la risposta a tutti i suoi problemi si trovasse lì da qualche parte, nascosta nel corpo dell'altro. Era ciò che voleva? Una risposta? Forse, anche se di domande non ne aveva molte; per lo più solo rimpianti. Colpe da seppellire con la scossa di quel piacere immediato, facile da ottenere - gratificazione istantanea capace di mettere a tacere, anche solo per pochi attimi, tutto ciò che gli impediva di dormire. Da un palliativo ad un altro, da una droga ad un'altra, senza mai fermarsi troppo a lungo da avere il tempo di riflettere su quanto cazzo facesse schifo la sua vita. Ma fa un po' meno schifo quando ti senti desiderato da qualcuno, quando ti fondi ad un altro corpo e ti abbandoni al conforto di essere sempre solo, sì, ma in compagnia.
    Abbandono - quello era. Anche quando a conti fatti era lui a controllare il gioco, a stabilire il ritmo, a tenere i polsi di Josh incollati al materasso. Si stava comunque abbandonando a lui, in una certa misura - alle sensazioni, alla corsa a perdifiato verso un apice che quando arrivò gli strappò i gemiti dalla bocca, portandolo a serrare le palpebre per l'intensità. Non voleva lasciarla andare, quella sensazione - la pace pervasiva che gli faceva sentire. Non importava che fosse il suo corpo o quello di Joshua, voleva comunque continuare - ripetere anche allo sfinimento, se necessario. Le labbra del demonologo si trascinarono lungo la giugulare del moro, accompagnate da carezze pesanti che tracciavano la via del suo petto, fermandosi ai fianchi. Baci affamati, che si imprimevano sulla pelle di Josh con violenza, lasciando morsi e segni come molliche di pane intorno al piatto principale. Su quel piatto, Eliphas si tuffò, inglobandolo senza se e senza ma - lo sguardo che si sollevava sul viso di lui per leggerne ogni reazione, per trovarvi le conferme che cercava, forse leggervi l'immagine speculare della propria disperazione.


     
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    E ti sento andare veloce, Els, così tanto da togliermi il fiato. Che il mio corpo resta dietro al suo per osmosi, perché non c'è un movimento che io non renda mio. Come è mio lui adesso, almeno in questa notte del cazzo. Una in cui posso tornare a soffocare trai miei stessi cuscini, una in cui posso tornare a sentirlo, perché nonostante la fottuta distanza, Eliphas è qui.— Dio, Els Soffoco a malapena una rimostranza per la forza che ci mette a sfogarsi con me.
    E cazzo se mi tengo buono per lui, se i miei ringhi di dolore si mescolano al piacere, si fondono con ansimi che mi obbligano a morderlo, a spingere i canini lungo la spalla, a lasciare i miei cazzo di segni.
    E più affonda, e più sento di tenerlo con me. Siamo due cazzo di disperati. Io perché non voglio che domani sparisca, che si perda chissà dove in Romania a finger di sapersi ricostruire una vita lontano da lui. E lui, perché lo conosco. Perché lo so che cazzo prova, so che gli manca la normalità e se questa - anche non stando assieme - sono io, così sia cazzo.

    Ma lo sento che non regge, che la foga è troppa e che io non posso stargli dietro in questi ritmi incessanti, posso solo stringerlo fin dove riesco, affondare le dita perché lascino solchi indelebili e ringhiare, cristo se ringhio quando lui viene. Quando lo sento muoversi e invece vorrei tenerlo fermo in un fottuto punto, anche se il mio - di apice - deve ancora arrivare.
    Ma cazzo, cazzo Eliphas lo sa. Lui non si ferma per mezzo bacio adesso, ci sarà tempo dopo, perché ha un compito e lo sento scendere lungo il ventre, nel con la lingua che passa l'inguine in baci profondi. Con il centro del mio fottuto mondo che incontra le sue labbra.

    — Cazzo-... Dio fai piano ma non voglio che faccia piano, ha detto che non mi avrebbe risparmiato, e cristo se è questo che voglio, che si spinga, che lo prenda fino in gola. Con una mano gli arpiono la nuca, gli do un cazzo di ritmo che sia appena più lento, perché se soffro io, così, a soffocarmi i gemiti, soffrirà lui. Fatti scopare così.
    Mi gira la testa da quanto cazzo è veloce.
    E mi piace, mi piace da morirne quando il picco raggiunge la disperazione e allora mi inarco con lui, e lo guardo, per un cazzo di attimo i miei occhi sono di nuovo nei suoi, ma stringo i denti, cerco fiato, richiudo gli occhi infossandomi in questo materasso come se fossi tutt'uno con lui.
    — Così... ringhio nel dare un ritmo, con la mano stretta trai suoi capelli, fermo lì a grattargli la nuca. Lo so che cazzo vuole, ma posso farlo sudare ancora un po'. Non reggo, però, perché cazzo se mi è mancato.
    Gli do solo un segnale, un modo per capire che se non si sposta io non avrò nessuna cazzo di pietà per lui, anche se i brividi sono così potenti da scuotermi, da mandarmi in estasi in pochi secondi.
    Perché questa è la durata del mio picco, secondi in cui torno a toccare il fottuto Paradiso dei sensi. Forse stringo tanto da fargli male, nel venire senza alcuna riserva, senza salvarmi da niente, neanche dalla sua fame. Il cuore esplode in battiti impossibili. Poi, la quiete.


     
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    Delle richieste di Josh di rallentare, ad Eliphas non interessava. Non voleva andare piano, non voleva dargli tempo di respirare - o darlo a se stesso, forse -, e come promesso non aveva nemmeno intenzione di risparmiarlo. Gli occhi puntati sul viso di Josh cercavano una conferma ad ogni tocco, ad ogni affondo, come se dalla disperazione di lui dipendesse la sua soddisfazione. Forse in un certo senso era così. Gli piaceva l'idea di strappargli l'autocontrollo come si strapperebbe un pupazzo dalle mani di un bambino. Gli piaceva sentirsi così desiderato, così necessario, all'interno di un contesto sociale che lo vedeva ben lontano da entrambe le cose. Scavava a forza il proprio spazio nel mondo; non importava che quel mondo si riducesse ad una sola persona - era pur sempre qualcosa, meglio di nulla. Non importava nemmeno sapere che il giorno dopo sarebbe tornato tutto ad essere esattamente come prima: se poteva dimenticarlo per qualche istante, allora ne valeva la pena. D'altronde non faceva altro, no? Passare da un palliativo ad un altro, da una distrazione ad un'altra. Non si fermò, nemmeno quando Joshua gli fece capire di esserci troppo vicino. Voleva arrivare fino in fondo, non si sarebbe tirato indietro all'ultimo come una dama dell'ottocento. E infatti non fece altro che andare più a fondo, stringendo le guance anche contro la pressione alla gola - gli occhi arrossati fissi sul viso di Josh mentre la lingua roteava a stuzzicare l'ultima barriera del suo contegno e portarlo all'apice. Un attimo di stasi, pochi istanti in cui sentì il corpo di Joshua tendersi, e il suo piacere riversarsi dentro di sé. Non si sottrasse, lasciando che la tensione abbandonasse pian piano i muscoli del moro prima di deglutire, staccandosi lentamente dal suo corpo per scivolare al suo fianco. Si lasciò cadere sul materasso, sdraiato sulla schiena, un braccio a sorreggersi la nuca mentre il petto si alzava e si abbassava lentamente nel tentativo di riprendere fiato e ristabilire un battito cardiaco più regolare. Si voltò a guardarlo, scoprendo i denti in un sorriso che si tramutò presto in una bassa risata arrochita dallo sforzo. « Beh direi che anche oggi ti riconfermi un ospite particolarmente accogliente. » Ridacchiò. « Immagino che adesso io sappia un po' meno di assenzio. »

     
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