Promises I can't keep

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    Mia Yagami aveva capito abbastanza in fretta che mantenere le sue promesse non era facile quanto farle. Si era impegnata non poco a fare del suo meglio per evitare quegli incontri al Pulse. Ma della Mano Monca, che ormai giaceva sotto il controllo di uomini pericolosi, sotto il benestare degli Auror, era difficile scappare all'infinito. Questa sera devo andare. Al più tardi nei prossimi giorni. Altrimenti ci andranno di mezzo altre persone. Non posso rischiare tutto per uno stupido incontro. Più di uno, a detta di Kai Parker, l'Auror che in prima battuta l'aveva attirata in quella rete. A dirla tutta, il Pulse le stava in un certo qual modo stretto; non traeva più alcun piacere nel presentarcisi, e anche la magra consolazione di un sacchetto di galeoni, impallidiva di fronte alla prospettiva di deludere Raiden. Non poteva però continuare a evitare gli Auror, spostarsi ad Iron Garden con fare guardingo, preoccuparsi anche quando lasciava il proprio bimbo alle cure di persone fidate. Doveva spezzare quella catena. In verità, l'aiuto era giunto in maniera quasi inaspettata quando nel pomeriggio aveva visitato il vecchio molo di Iron Garden, dove spesso era possibile reperire qualche articolo al mercato nero. Sperava di riuscire a trovare qualche pezzo di acciaio da portarsi dietro e una Pozione Rinvigorente che potesse aiutarla ad affrontare gli scontri con l'animo più leggero. « Trentacinque galeoni per una Rinvigorente? Tu non sei normale! Te ne offro dieci e non di più. » Niente da fare. Alla Vigilia, Iron Garden era diventata una vera e propria attrazione per turisti e curiosi; di conseguenza introdurre qualunque cosa tra le mura del quartiere rappresentava un rischio maggiore, e i contrabbandieri se ne approfittavano non poco. « E vattela a comprare a dieci galeoni dove ti pare. » « A Diagon Alley costa 2 galeoni. » « E allora vai a Diagon Alley. » Una frase che il giovane malfattore disse con un tono sbeffeggiante, consapevole del fatto che non c'era creatura che potesse mettere piede nella maggior parte dei negozi dei quartieri magici per bene. Tuttavia, la visita al molo non si era rivelata completamente inutile. In cambio di quindici falci, forse colta da un senso di completo sconforto, si era seduta di fronte all'anziana Madame Saria che, dopo una serie di promozioni a dir poco fumose, le aveva consegnato un vecchio volantino di una band che Mia ricordava sin troppo bene. I Morgana avevano suonato diverse volte al Suspiria a Hogsmeade, e lei, che sarebbe andata a sentire anche un menestrello, purché si trattasse di un live in mezzo alla gente, era sempre andata a sentirli. « Mi scusi, con tutto il rispetto, ma cosa dovrei farmene di questo? » Madame Saria aveva indicato con una certa eloquenza il volto di uno dei membri per poi osservarla intensamente. « Lui conosce l'arte dell'oblio. » Il solenne tono di voce l'aveva quasi fatta rabbrividire. « Sarà lui a trovare te. » Pausa. « Non tornare al Pulse, Mia. Mai più. Mai. » Come prego? Per un istante il panico negli occhi della giovane Yagami fu evidente. Tuttavia, l'anzia sembrò quantomai indisturbata dal suo avvertimento così come dallo sconcerto negli occhi della lycan. « Va bene, grazie. »
    Non ci aveva più pensato a quell'incontro, finché, dopo essere riuscita a sfuggire agli incontri della Vigilia a causa dei controlli nella serra di Théa che erano proseguiti fino a tarda ora, il ventisei dicembre era stata richiesta a Nocturn Alley con la precisazione che fosse assolutamente indispensabile che si presentasse agli incontri. Poco male. Era riuscita a regalare ad Haru un Natale tutto sommato normale senza privarlo della sua presenza durante i giorni più importanti di festa. Era certa che a quel punto tornare per qualche incontro non sarebbe stato poi questo gran problema. Quel giorno, tuttavia, mentre si spostava tra le bancarelle natalizie di Diagon Alley, poco prima dell'ora di cena, fu nuovamente colpita dell'avvenimento di Madame Saria. E se avevesse avuto ragione? Se le preoccupazioni di Raiden in merito a quel posto fossero state più fondate di quanto pensasse? Proprio mentre si era fermata a osservare un po' pensierosa una delle bancarelle di dolciumi, da cui non avrebbe potuto in ogni caso comprare niente, considerata la scritta "vietata la vendita alle creature magiche" si sentì di colpo tirare la manica della giacca. Nell'abbassare lo sguardo si ritrovò di fronte a un bimbo che la osservava con gli occhi lucidi. « Ehi! Tutto bene? » Il bimbo non risposte immediatamente. Piuttosto, si passò la manica sopra gli occhi tirando su col naso. « Sei qui con qualcuno? Ti sei perso? » Lui annuì, e a Mia si strinse quasi automaticamente il cuoricino nel vederlo triste e smarrito. In tutta risposta Mia si tolse la sciarpa dal collo e la avvolse attorno al collo del piccolo sorridendogli. « Dai, non ti preoccupare. Ora li troviamo. Sai dirmi dove hai visto i tuoi l'ultima volta? » Non parlava; non sapeva dire se fosse perché era molto timido o per altre ragioni, ma Mia trovò comunque un sacco di argomenti per distrarlo e riempire il vuoto dei suoi silenzi. Gli parlò di quanto amasse Mielandia e di quanto gli sarebbe piaciuto quando sarebbe andato a visitare Hogsmeade e gli aveva indicato la sua scopa preferita nel negozio di articoli sportivi della zona. Nel mentre si lasciava trascinare dal piccolo nella direzione da cui era arrivato. Finché, ad un certo punto, il bimbo lasciò andare di colpo la sua mano. Corse come un fulmine in direzione di uno spilungone che a giudicare dall'espressione lo stava cercando come un pazzo. Succede. A volte li perdi di vista per un secondo, e il secondo dopo sono chissà dove. Solo quando fece qualche passo in direzione dell'uomo si accorse di averlo già visto. Ma prima che potesse dire qualunque cosa, un signore intento a fumare davanti a una delle finestre in alto del palazzo antistante, urlò loro contro. « Ehi! Stai attento amico! Quella ha il Berserk sul braccio. Viene da Iron Garden. » Lo disse con un certo disgusto nel tono di voce. « Ancora non hai capito che il tuo posto non è qui? Amico, ascolta! Fai attenzione. Scommetto che voleva rubarti il bambino. È così bestia??? CHE VOLEVI FARE EH? PUSSA VIA! TORNATENE CON GLI ALTRI RATTI DI FOGNA. » Mia abbassò lo sguardo scuotendo la testa, cercando di ignorare le urla del tipo. « Mi scusi. Ho trovato il bambino tra le bancarelle. La stava cercando e l'ho solo accompagnato. Non voglio alcun guaio. » Non a caso indietreggiò di qualche passo pronta a lasciarsi alle spalle quella storia. « Uhm.. comunque è stato un piacere. Non so il tuo nome - ma.. stammi bene ok? » Annuì tra se e se sorridendo dolcemente al piccolo. Fece una piccola pausa prima di tornare a guardare il padre. « A discapito di ciò che ha sentito non volevo creare alcun problema. Cioé - anche io ho un bambino. È.. è più piccolo ma.. non rubiamo i bambini ad Iron Garden. Mi dispiace se le ho dato una cattiva impressione. »


     
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    Sto scoprendo che alcune cose spaventano Remì, mentre altre lo affascinano al punto da farlo correre tra la folla.
    Lo so che cazzo devo fare, ma quando il mio piccolo e stupido ragazzino corre qui e lì la cosa peggiore che io possa fare è rincorrerlo a mia volta. Io aspetto. Lo faccio osservandolo come una cazzo di faina, a distanza perché capisca i suoi errori. E, quando lo fa, allora gli vado in contro, lo riservo e gli faccio capire che non me ne andrei mai.
    Io senza Remì non respiro, e sapere che questo cazzo di mondo se lo divorerebbe in un secondo, non mi rende mai tranquillo. Ma - quel che è ancora più raro - è che oggi c'è una cazzo di ressa.
    Per questo, quando i minuti corrono e Remì non torna, io ringhio. Quello che so di diventare è un padre preoccupato, paranoico, ossessivo. I battiti aumentano, e la cazzo di certezza che potrei fare a pezzi per molto meno, serpeggia trai respiri.
    Lui lo a che anche nell'allontanarsi deve stare attento, che non può in alcun cazzo di modo fare sempre di testa sua. Ed è qui che cade la facciata del padre adulto, di quello che davvero gli lascerebbe le sue libertà: ha 8 anni, cristo santissimo.
    Otto anni, non parla, è stato rifiutato dalla vita, ed ancora non si fida abbastanza di me.

    Eccolo qui il mio cazzo di problema: che lui non si fida di me. Che io non faccio abbastanza, magari per questa cosa del padre non ci sono portato, e magari non basta che io gli legga una storia per sentirmelo accoccolarsi tra le braccia. Penso davvero che Eliphas gli piaccia di più.

    Ma - prima che io abbia un cazzo di infarto - Remì torna. Gli occhi lucidi, una sciarpa che non è sua ed una ragazza appresso. Rimango in silenzio mentre le grida di un uomo sovrastano ogni altra voce. Io mi sento solo ribollire, tanto che agitando la bacchetta gli chiudo la finestra in muso. E' il mio modo di dirgli che deve stare particolarmente zitto. Che non me ne frega un cazzo che la tipa venga dal ghetto delle bestie. E qualunque cosa sia, non è lui a dovermela dire: lo saprò a modo mio.

    Remì placca le mie ginocchia abbracciandole strettissimo. Non è niente. Sussurro perché stia tranquillo, anche se gli sento i singhiozzi che non so sempre placare. \\ Sei arrabbiato? \\ lo vedo chiedere, piano piano. Scuoto la testa, perché lo sono come un cazzo di cane, ma mai con lui fino in fondo. Quando lo guardo negli occhi, il cuore smette di agitarsi.
    Prendo un respiro più profondo, la mia attenzione adesso è per la ragazza. Così come la mia espressione del cazzo, nulla di troppo rassicurante. Abbasso di un tono la voce, perché tocchi una corda più profonda, perché sia un cazzo di avvertimento.

    — Ti ringrazio per avermelo riportato secco, duro come una cazzo di lama, perché tutto quello che brucia dentro resti così dove deve stare: a scaldarmi in inverno. — Oh ma lo so, che non vuoi creare problemi... non è un cazzo vero, ma lo accenno sovrastandola poco a poco, come ad oscurare la sua luce quasi innocente. E' una creatura, ma questo non mi ha mai spaventato. — ... perché altrimenti non staresti neppure parlando, adesso. Perché ti avrei fatta a pezzi se avessi solo sollevato un'unghia su mio figlio. Perché questa è una cosa che so fare bene.

    — Non ho soldi da darti, se li cerchi. So come siete messi al Garden, ma non sono il tipo che può anche fare la carità. Me ne accerto, ma la guardo comunque dritta negli occhi. Abbassare lo sguardo non è nelle mie corde, a meno che non serva. Affondo una mano trai ricci di Remì, a dichiarare ancora la sua proprietà. — Sicura che non stai cercando niente? spengo il mozzicone.





     
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    Nel vedere il piccolo correre verso il padre, Mia sentì il bisogno di distogliere lo sguardo, quasi volesse dare loro un po' di privacy. Era un'immagine a modo suo dolorosa. Forse perché sapeva che anche il suo nanerottolo correva incontro al padre alla stessa maniera. Un quadro quotidiano al quale aveva quasi imparato a disabituarsi. Qualcosa che le era stato strappato con la stessa velocità con cui l'aveva ottenuto. Stirò un sorriso amaro tra se e se e affondò le mani nelle tasche della giacca. C'erano momenti in cui Mia non sapeva cosa farse di sé, come comportarsi, come funzionare. Quella, per quanto fosse un momento più che naturale e una reazione quanto mai spontanea di un bambino che ritrovava il proprio genitore, fu una pillola difficile da ingoiare. « Oh ma lo so, che non vuoi creare problemi... perché altrimenti non staresti neppure parlando, adesso. » No ma top. Meno male che doveva essere la mia carta di uscita di prigione. Avrebbe potuto ribattere dicendogli che in verità sarebbe stato un po' più difficile di quanto sembrasse mettere in atto quell'avvertimento, ma trovò comunque alquanto inutile e controproducente farlo. Dopo le urla del tipo al piano superiore, poi, tentare di gonfiare il petto e mettersi nella condizione di sembrare più di quanto non fosse, era forse la strategia più sbagliata che potesse attuare. Ma poi che mi frega! Finché non pensa che mangio i bambini va bene così. E in fondo, non sapeva neanche che tipo fosse quell'uomo. Di lui conosceva poco e niente; per lo più quel poco che aveva sentito tra una chiacchiera e un'altra davanti a una bottiglia di birra. Non era nemmeno certa che Madame Saria fosse ben informata rispetto alle sue qualità, e Mia in primis non sapeva se potesse fare davvero qualcosa per lei, né quanto le sarebbe costato. « Non ho soldi da darti, se li cerchi. So come siete messi al Garden, ma non sono il tipo che può anche fare la carità. » In tutta risposta la mora abbassò lo sguardo sul bambino scuotendo la testa. È questo ciò che è diventato il nostro mondo? La gente si aspetta soldi anche per aver dato una mano a un bambino smarrito? Forse avrebbe dovuto sentirsi offesa da quella insinuazione. Mia non avrebbe mai potuto accettare nulla per un simile gesto. E poi guardalo. E' così carino. Come lo erano, agli occhi della Yagami, un po' tutti i bambini. Li trovava teneri, gentili, privi di malizia e cattive intenzioni. E questo era molto più di quanto potesse aspettarsi dagli adulti. « Non voglio niente. Voglio sperare che qualcuno faccia la stessa cosa per il mio bimbo semmai dovesse trovarsi nella stessa situazione. Posso immaginare cosa ha provato. » Se Haru si fosse allontanato, specialmente in una zona trafficata come Diagon Alley, Mia sarebbe impazzita. « Mi ripagherà il karma.. un giorno. » Non oggi, ma un giorno accadrà. Voleva ancora sperare, l'ex Serpeverde. Sperare che in un modo o nell'altro le cose si sarebbero sistemate e nessuno si sarebbe più sentito in dovere di farle minacce velate per pura diffidenza. Era sul punto di lasciare la scena girando i tacchi, quando fu lui a risollevare la conversazione. « Sicura che non stai cercando niente? » Per un istante corrugò la fronte, evitando il suo sguardo. Il volantino che le era stato consegnato qualche giorno prima giaceva ancora nella propria tasca un po' accartocciato. Poteva tastarne la pergamena leggermente lucida; a quel concerto, Mia ci era anche andata. Era al Suspiria, ai tempi in cui lei e Raiden erano ancora solo amici e facevano finta che non ci fosse nulla tra loro. Ricordo che gli ho detto che mi sarebbe piaciuto fare la groupie. Non di quelle che va al letto con le rockstar, però una che di quelle un po' matte che se ne va in giro a volantinare e fare pubblicità a gratis. Lui ci aveva riso sopra e poi i loro amici avevano buttato in mezzo battute in merito di cui non ricordava proprio niente. Una vita fa. Una bella vita fa. « No.. non - » Sospirò scuotendo la testa, quasi tentasse di scrollarsi di dosso quel ricordo. Il sapore amaro di una persona che non poteva più essere. Spostò lo sguardo di lato; una nuvoletta di vapore fuoriuscì dalle labbra di lei mentre si stringeva nelle spalle. « - non lo so. » Una pausa più lunga del dovuto mentre cercava di decidere il da farsi. Poi di colpo, tornò a guardare l'uomo. « Ce l'hai una sigaretta? » Chiese quindi di colpo, allungando un passo nella sua direzione. « Non hai soldi da darmi, però.. potresti darmi un po' del tuo tempo. » Mentre attendeva di capire se volesse accettare, tirò fuori dalla tasca il volantino dei Morgana dalla tasca della giacca. Risaliva al lontano 2020. Una vita fa, praticamente. « Ti sembrerà strano, ma una persona mi ha fatto il tuo nome proprio un paio di giorni fa. Una beffarda coincidenza averti beccato così. » Disse di colpo, mettendosi a sedere sugli scalini della palazzina da cui il tizio l'aveva sgridata poco prima. Sorride al bambino, facendogli cenno di sedersi a sua volta se ne avesse voglia, poi sollevò nuovamente lo sguardo in direzione di Joshua Çevik. « Coincidenza o.. qualcos'altro. Chi cazzo ci capisce più come va il nostro mondo. Tra Logge, creature segregate, città che cadono da un giorno all'altro.. warlock, fuochi fatui maligni.. » E' tutto un grandissimo puttanaio. « Ci venivo spesso ai vostri concerti un tempo. Mi sarebbe piaciuto farti firmare la mia chitarra quando suonavate a Hogsmeade, ma la verità è che non ho mai avuto il coraggio di venire a chiederlo. » E ora una chitarra non ce l'ho neanche più. Sorrise appena scuotendo la testa. Mi vergognavo di qualunque cosa, e non sapevo neanche quanto la vergogna sarebbe diventata parte di me. « Suonate ancora? Con questa situazione.. la sicurezza.. il Ministero anti-sesso-droga-e-rock'n'roll.. » Di colpo indicò se stessa con fare alquanto spontaneo. « Mi chiamo Mia, comunque. Ero.. una specie di fan. Ma giuro che non sono una stalker. » Pausa. « Sono solo.. persa? » Annuì tra se e se stringendosi nelle spalle. Ed è più semplice ammetterlo con un completo sconosciuto di cui piratavo i cd da adolescente - senza offesa - che con i propri cari. Come cazzo sono finita in questa situazione. Che cazzo di tristezza. « Hai detto che sai come siamo messi ad Iron Garden.. posso chiederti cosa sai di preciso? » Cosa dicono qui? Cosa vi dicono.



     
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    — Non c'è stata nessuna "situazione", avevo tutto sotto controllo e lui lo sa. Devo dirlo e basta, e lo faccio anche se Remì può percepire quando racconto una stronzata. Che non voglio mi si sottolinei quanto alcune volte io perda di vista la situazione. Non avevo un cazzo sotto controllo, ma non è dato sapersi: soprattutto agli estranei. Tutti quelli che sono i miei cazzo di problemi, devono restare con me. Anche se quando il fervore con cui mi muovo finisce per spegnersi. Non mi fido mai di nessuno, neppure di chi mi riporta mio figlio, e non importa se non vuole niente. Tutti vogliono qualcosa, tutti mi cercano per una ragione.
    Sono pochi quelli che mi si avvicinano per qualcosa di diverso dal lavoro, o da rotture di cazzi. E sì, magari è colpa mia, che con la gente non ci voglio stare. Tanto è Jack che prende gli accordi per i Morgana.
    E no, lei non può immaginare cosa ha provato Remì. Non può sapere quanta paura può aver avuto, se non posso conoscerla prima io. Ed io la sento perché dalla mia gamba non si discosta nemmeno quando lei gli offre un posto più comodo a cui appoggiarsi.
    Lo so che sono il suo punto di riferimento, è solo che a volte non lo merito. Non merito niente.

    Ma so di aver colpito nel punto giusto, quando lei tentenna. Allora si, certo che ho una cazzo di sigaretta. —Sì, te la giro. Così almeno faccio qualcosa mentre mi parla, ché il tabacco così costa meno e mi illudo di fumare di meno perché ci metto di più a rollarle tutte.
    Ma questo è per darle tempo, per guardarla di tanto in tanto mentre raggruppo il tabacco nella cartina. In effetti ci sono sempre due opzioni. Se non sono rotture di coglioni, sono clienti, e se non sono clienti è gente dei locali.
    Cazzo, da ragazzino sognavo di diventare una rockstar di quelle vere, di quelle che vengono chiamate in giro per i tour del fottuto mondo. Adesso devo fare i patti con la realtà di merda, e mi devo accontentare dei locali che riempio, perché i concerti li hanno cancellati.
    —Una persona? è una domanda retorica, sollevo il sopracciglio mentre incastro il filtro alla cartina, e sigillo. Chi? questa invece non è retorica, chiunque sia stato dovrà aver avuto i suoi motivi, voglio saperli. Le allungo la sigaretta fatta e finita, per accenderla ci vuole un cazzo di niente per quelli come noi. Solo che - Cristo! - più elenca le piaghe del nuovo mondo e più sento Remì focalizzarsi sulla sua voce. Lo so che si sta preoccupando, che sa che qualcosa non va a Londra, da un po'. Lo sa da Eliphas, e lo sa perché non è stupido. Ed io non sono il cazzo di padre che pensa di mettere i figli dentro una campana di vetro, le cose le devono sapere ma... ma forse oggi è già abbastanza.

    —Beh le cose sono andate un po' a puttane, ma qualcosa riusciamo a farla, noi-... no, non mi aspettavo che venisse da me per la musica. —... abbiamo i nostri agganci lontano dai fastidi del Ministero. Senti, io- non so finire la frase. Dovrei dirle che va bene eh, apprezzo che esista qualche mio cazzo di fan, ma non ho il tempo di stare qui a chiacchierare con chi mi ferma per strada. Ma non mi esce niente di tutto questo. Mi si blocca in gola ogni cosa al suo « Sono solo.. persa? ». E' persa. Mi sale un nodo in gola, apro la bocca senza emettere un fiato. La richiudo. La guardo ancora, neanche so come cazzo fa di cognome. Mi blocca e basta. Dismetto i ringhi per qualche secondo, ma ancora non mi siedo. Né io, né Remì. Chi cazzo sei, Mia?

    —So che Crane l'ha messa in culo a tutti. Che avete gli Auror a fare da cani da guardia e degli orari del cazzo da seguire. So che non state nella merda, ma nemmeno in una reggia. E non potete fare più quasi un cazzo per sopravvivere. La guardo dritta negli occhi. Magari vivo nelle convinzioni esagerate di Jack, la cui moglie adesso è segregata proprio lì al Garden. —Come se le creature non fossero mai esistite prima. Ma quello a cui penso, è che Nil e mia madre sarebbero finite lì se non le avessero uccise. Quanto mi mancano. —Perché dici che sei persa?





    Edited by Jossshua - 28/12/2023, 08:50
     
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    « Non c'è stata nessuna "situazione", avevo tutto sotto controllo e lui lo sa. » « No ma certo. Assolutamente. » Non ne era tanto convinta, ma immaginava che persino gli uomini duri avessero bisogno di un po' rassicurazioni, e a giudicare dal modo in cui Joshua sentiva il bisogno di puntualizzare la sua posizione rispetto a quella situazione, non si sentì di puntare l'elefante nella stanza. Non c'è però niente di male nell'essere un genitore preoccupato. E a giudicare dal modo in cui lo stava cercando, era andando nel panico come chiunque altri al posto suo. Avere a proprio carico un nanerottolo pronto a sfuggire dal controllo in qualunque momento non era facile; fare i conti con le loro paturnie, adattarsi ai loro bisogno, lasciare da sé per dare a loro tutto il confort di cui si potesse disporre, ristabiliva un ordine di priorità completamente differente. Mia lo sapeva bene. E così, decise di non aggiungere altro in merito, lasciandogli invece girare la sigaretta senza aggiungere altro in merito a quell'incidente. « Una persona? Chi? » A quel punto pareva quasi stupido raccontargli quella storia. Si rendeva conto che potesse solo suonare ridicola. Ma d'altronde, di quei tempi, con le mostruosità con cui aveva a che fare, cose ben più ridicole erano all'ordine del giorno. « Ad Iron Garden c'è una zona in cui si radunano quelli del mercato nero. Ci vendono cose a prezzi assurdi perché non abbiamo altro modo per procurarcele. » Una realtà che sciorina con naturalezza. Questa è la sua realtà ora, e a dirla tutta parlarne non le fa alcun effetto. « E poi c'è questa signora anziana che si siede in un angolo - dice di essere una veggente. A me sembra solo stramba. » Si stringe nelle spalle e sospira. « Mi ha dato lei quel volantino. » Ma in verità io l'ho già visto. Avrebbe potuto giurare che è lo stesso che aveva piegato e buttato nel suo diario di scuola. Stesse pieghe, la stessa incapacità cronica di tenere un angolo che sia uno non piegato. Tutto ciò non lo disse però. Stentava a credere che si trattasse di qualcosa di più di una coincidenza. Alla veggenza, Mia ci credeva poco, e ormai, tendeva a stare molto alla larga di qualunque cosa potesse avere a che fare con l'accesso ad altri tipi di magia - alle logge, nello specifico. Quelle, risvegliavano in lei ricordi troppo contorti. Cose di cui preferiva non parlarne.
    Non è chiaro perché ma, in tutto quel blaterare, qualcosa sembra disarmarlo per davvero. E allora, Mia solleva lo sguardo nella sua direzione inclinando la testa di lato. Si fa passare la sigaretta e se la accende mentre ascolta le sue ultime parole. « So che Crane l'ha messa in culo a tutti. Che avete gli Auror a fare da cani da guardia e degli orari del cazzo da seguire. So che non state nella merda, ma nemmeno in una reggia. E non potete fare più quasi un cazzo per sopravvivere. Come se le creature non fossero mai esistite prima. » Molto sommario, ma tutto sommato preciso. « Perché dici che sei persa? » Una domanda di fronte alla quale Mia sorrise. Da quando in qua riusciva a prendere le questioni con così tanta filosofia? Come se fosse semplicemente così, e non potesse fare nulla per cambiare la propria sorte. « Ti sei risposto da solo no? Crane ce l'ha messa in culo. » Non è sufficiente? « Tu come ti sentiresti se non riuscissi nemmeno a entrare in un negozio per comprare un lecca lecca a tuo figlio? » Perché di questo si trattava. Faceva strano rendersi conto che la più grande forma di gentilezza gliel'avesse offerta proprio Joshua, con la sua bruschezza e il tono asciutto. « Il problema di quel posto non è quello che non possiamo più fare, ma quello che siamo costretti a fare. Di quello non parla nessuno, perché - » Si stringe nelle spalle e sorride amaramente, mentre lo osserva con un'espressione rassegnata. « - perché.. uhm.. immagino faccia comodo a tutti averci come fenomeni da baraccone. Il Place de Grève è in città, ma per molti, siamo comunque più interessanti noi. » Pausa. Si inumidì le labbra deglutendo. « Lo conosci il Pulse? Ci sei mai stato negli ultimi tempi? » Probabilmente no, altrimenti l'avrebbe riconosciuta. Oppure no. Lì in mezzo un po' tutti sono carne da macello. « La persona che ha fatto il tuo nome ha detto che hai il dono dell'oblio. » Che modo pomposo per dire che sei un obliviatore. Una sorpresa per Mia, che dei bassifondi conosceva poco, e per la quale, Joshua non era nient'altro se non il membro di una band underground di cui sentivi solo se eri abbastanza alternativo da desiderare una vita all'insegna del rifiuto delle leggi e della società civile. « Mi ha anche detto che non ci devo più tornare - al Pulse intendo. E poi mi ha indicato il tuo nome. » Scosse la testa. « Onestamente io non ci credo più di tanto a queste cose - le profezie, i veggenti, la lettura del futuro - però ho visto sufficienti stramberie da sapere che ignorare i segnali non è cosa saggia. » Quella aveva le Logge negli occhi, e per quanto io voglia starmene alla larga, perché con quella roba non voglio averci a che fare, faccio comunque fatica a ignorarne i segnali. « Sono persa perché io lì non ci voglio più tornare per davvero. Ho promesso di non farlo più. Non è un bel posto - sei poco più che carne da macello. » Cazzo, ogni tanto mi chiedo qual è la differenza tra quel posto e il fare la puttana. Questo a Raiden non ho il coraggio di dirlo, però ogni tanto mi sento sporca da morire. « Però se lo facessi, potrei forse aiutare un sacco di persone. E comunque non ho più tanta scelta. Quindi non è che posso veramente dire di no. » Si strinse nelle spalle alzando gli occhi al cielo. « Se è vero che sei un obliviatore sei stato nella testa di tante persone. Hai esperienza. Le conosci. Quindi.. tu cosa faresti? » Inclinò la testa di lato arricciando appena il naso. « Tenteresti di uscirne, oppure ti terresti il tuo vantaggio anche a costo di sentirtelo un po' su per il culo? »



     
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    Quante cazzo di volte ci sono finito al mercato nero. Le prime volte mi ci portava mio padre. Ci portava anche Nil, nella speranza che ci fosse anche solo un cazzo di rimedio per lei e per nostra madre.
    Mi ricordo di tutti quegli stronzi che rispondevano alla sua disperazione chiedendoci più soldi. Ancora di più. Riducendo le nostre cene e poi anche i nostri pranzi.
    Mia madre lavorava come poteva ma ancora non bastava. E per loro abbiamo provato ogni cosa: sigilli, rituali, artefatti. Perfino feticci di strani culti sudamericani. Ma niente, ovviamente, poteva funzionare. Eppure ogni volta lui ci sperava. Ogni volta faceva sperare noi, ed ogni singola fottuta speranza che mi veniva spezzata, generava un mostro.
    E quando mia madre è morta, lui ha smesso; allora quei giri del cazzo ho iniziato a farli io.
    Ma io non sono mai stato mio padre. I miei modi nel sottobosco non sono mai piaciuti. Ed ho capito prima di lui che non avevamo più speranze.
    Quando ho visto Nilufar l'ultima volta, le mancavano comunque pochi anni. Ma cazzo se sarei impazzito a cercarle una cura fino alla fine. Anche se lei aveva già smesso di cercare.
    Ma non rispondo. Non rispondo a come mi sentirei se non potessi neanche entrare in un negozio, perché purtroppo già lo so.
    Approfitto di un tiro lungo alla mia sigaretta per darle modo di dirmi di più.
    Forse lo so chi è quella vecchia di cui parla, ma. Ma ancora di più, io conosco il Pulse.
    —Sì. Ho obliviato gente che ha pagato un sacco di soldi per togliersi il ricordo di averne scommessi il triplo, ed averli tutti persi. Immagino non fosse un bel biglietto di ritorno a casa. Tiro più a fondo il fumo nei polmoni.

    Va bene, la vecchia le ha detto una cosa sensata. Non è bene invischiarsi nella merda delle lotte a pagamento. La metà sono truccate e l'altra metà non porta comunque niente di buono alla bestia. Ma Mia lo sa. Me lo dice in tutti i modi possibili ed immaginabili. E lo capisco cosa frena ai suoi pensieri. È il cazzo di fine che giustifica i cazzo di mezzi.
    Ma io non sono una persona ragionevole, io vivrei quella merda diventando la bestia dei loro fottuti desideri.
    L'avrei fatto se fossi stato nella sua situazione, ma prima di Remì. Per lui mi sforzo anche di essere una brava persona, finché riesco.
    —Forse ti devi chiedere una cosa diversa. Resto ancora con i piedi ben piantati a terra, Remì che mi guarda quando parlo. —Chiediti se conta di più la promessa che hai fatto o il bene che faresti. Se hai promesso a qualcuno di importante e se questo vale più del resto. Vivere per gli altri, Mia...soffio trai denti, in un ringhio che palesa ciò in cui credo, anche se io faccio l'opposto di quello che dico. —... non serve ad un cazzo.
    Duro, aspetto qui la primissima reazione, i miei occhi non vacillano mezzo istante. —Io diventerei la bestia che serve diventare per sopravvivere. Se non avessi Remì... Che guardo adesso —.... darei via anche il resto di me, per sopravvivere, e perché nella rabbia trovo il mio centro e torno a guardare Mia. Non mi sembra il tipo che tira fuori davvero gli artigli senza sentire alcuna ripercussione morale. —Preferirei tutto pur di non essere chi perde la ragione in scommesse solo per sentirsi più umano. Sarei una bestia tutta la vita concludo. Un altro tiro prima di arrivare comunque al cazzo di dunque.
    —Per cosa cerchi l'oblio, mh? Vuoi che ti faccia dimenticare quello che fai? È solo una richiesta, tiro ad indovinare aspettando che poi la gente finisca per sorprendermi. Ne ho viste di ogni, e su questo lei ha ragione.




     
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    « Sì. Ho obliviato gente che ha pagato un sacco di soldi per togliersi il ricordo di averne scommessi il triplo, ed averli tutti persi. Immagino non fosse un bel biglietto di ritorno a casa. » Mia annuì. Non sapeva cosa significasse. A dirla tutta, pur essendo cresciuta con dei genitori che l'avevano fortemente responsabilizzata nei confronti del denaro, non ricordava di aver mai avuto una sola preoccupazione relegata all'aspetto economico. Fino ad ora, quanto meno. E forse era proprio per questa ragione che si era adoperata così prontamente a cercare qualcosa che potesse supplire a quella mancanza di risorse che le aveva sempre permesso di vivere agiatamente. Aveva dato per scontate tante cose, Mia; anche cose semplici, come ad esempio fermarsi e comprarsi un gelato, comprare un pensiero stupido per una delle sue amiche, comprare un biglietto dell'autobus o tentare e ritentare di acchiappare un peluche in una delle slot machine del Toyland di Hogsmeade. Aveva sempre vissuto in maniera normale, senza eccessi, ma anche sempre preoccuparsi veramente di nulla. Ora che non era più così, si rendeva conto di aver dato comunque tante cose per constate. « Forse ti devi chiedere una cosa diversa. Chiediti se conta di più la promessa che hai fatto o il bene che faresti. Se hai promesso a qualcuno di importante e se questo vale più del resto. Vivere per gli altri, Mia.. non serve ad un cazzo. » Conta sia la promessa che il bene degli altri. Perché tra quegli altri c'era la sua gente, le persone a cui voleva bene, i suoi compagni di armi. Quel tipo di lealtà non si poteva barattare, né le si poteva rivolgere le spalle. Deglutì, la giovane, annuendo tra se e se, ma non rispose. Lo lasciò piuttosto parlare, dandogli modo di mantenere il filo del discorso. « Io diventerei la bestia che serve diventare per sopravvivere. Se non avessi Remì.. darei via anche il resto di me, per sopravvivere, e perché nella rabbia trovo il mio centro. Preferirei tutto pur di non essere chi perde la ragione in scommesse solo per sentirsi più umano. Sarei una bestia tutta la vita » Ma tu non sei una bestia. E non lo sono nemmeno io. E del fatto che Joshua non fosse una bestia, Mia ne era convinta anche solo perché non l'aveva schivata, non l'aveva ignorata come molti altri. Non gli aveva urlato contro, né l'aveva guardata con occhi diversi solo perché veniva dal ghetto. Senza rendersi conto, sotto la pelliccia da duro, l'uomo dimostrava più gentilezza e bontà d'animo di molti altri. Molta più di quegli ipocriti che sono venuti a portarci le loro briciole alla Vigilia. Molta più di quelli che si riempiono di paroloni a destra e manca dalla comodità delle loro abitazioni finemente arredate. E poi, c'era un altro punto; nel nominare il bimbo - Remì, quindi è così che ti chiami - Mia spostò lo sguardo sul suo piccolo corpicino infagottato rivolgendogli un tenero sorriso. Joshua non faceva il passo più lungo della gamba perché c'era qualcun altro che contasse su di lui. Come Haru. Di colpo sollevò lo sguardo verso l'alto. Gli occhi le bruciavano nel realizzare così tante cose in così poco tempo. Per tutto quel tempo aveva visto la decisione di Raiden come una punizione. Il fatto che lui fosse fuori e loro dentro era stato vissuto dalla giovane Yagami come una decisione di principio. Prendeva sempre male le decisioni del marito, in maniera prevenuta, però Haru si merita davvero una vita normale, non fuga. Ha bisogno di una casa, di calore e affetto. Non può vivere in fuga. Non ha alcuna colpa se le cose sono andate così. « Per cosa cerchi l'oblio, mh? Vuoi che ti faccia dimenticare quello che fai? » Istintivamente il sorriso di Mia si allargò, ma divenne anche più amaro, melanconico. Sarebbe facile. Dimenticare. Ma se c'era qualcosa che aveva imparato sulla propria pelle era proprio il fatto che non ricordare non era mai cosa buona. Ti porti appresso un vuoto che non sai spiegarti. E' lì e non sai cosa fartene. Le cicatrici restano, ma non sai come le hai ottenute, e continui ad arrovellarti attorno a quelle domande finché non impazzisci. « No. Se dimenticassi, tornerei al punto di partenza. » Ed io non voglio dimenticare quello schifo. Non voglio dimenticare ciò che fanno, ciò che hanno fatto. Quella era la sua corazza, e doveva restare esattamente dov'era se voleva sopravvivere. « Però forse vorrei che qualcun altro dimenticasse me. La persona che mi ci ha portato in prima persona. » Pausa. « Non credo che servirebbe a molto.. là dentro ci va tanta gente. » E non è Kai l'unico a gestire le cose. Lui è solo uno degli Auror. La rete però, è più grande, ed io non so nemmeno chi ne fa parte. « Non so nemmeno se voglio che lui dimentichi. Ci sono giorni in cui vorrei.. » Fargli tanto male. Ma tutto ciò, davanti a un bambino forse era meglio non dirlo. « ..- sì, insomma. Hai capito.. » Per un po' rimase in silenzio, osservando le proprie mani arrossate dal freddo. La sigaretta consumata a metà e una strada innevata a fare da sfondo a quella conversazione quanto mai inaspettata. « Credo che tu abbia ragione. » Disse di colpo. Non era certa che i due si riferissero alle stesse cose, ma le parole di Joshua avevano fatto breccia. Forse a volte ci vuole un completo estraneo per vederci più chiaro. Adesso però, credo di sapere cosa voglio fare. « Grazie. Di avermi ascoltata. E di avermi detto quello che pensi. » Si alzò di colpo dalla propria postazione allungando la mano nella sua direzione per stringergliela. Che lui decidesse di accettare quella stretta o meno, Mia avrebbe comunque continuato a osservarlo con attenzione. « Non voglio rubarti tanto altro tempo.. sono piombata un po' a cazzo di cane nei vostri piani. Magari avete da fare. Però, vorrei chiederti un altro favore, se non ti è di troppo disturbo. » Gli indicò dall'altra parte della strada una dei vari negozi di dolciumi situati sulla strada principale del quartiere magico. Si sfilò lo zainetto per frugarvi dentro e consegnare all'uomo una manciata di galeoni; più di quanti servissero per quella missione. « Lì fanno i migliori pan di zenzero che abbia mai mangiato. Ti dispiacerebbe entrare e comprare due delle scatole grandi? E una di quelle casette che si assemblano a casa. » Restò a pensarci. « E una confezione di sacchetti di plastica. Il pacco da cento. » Ok forse mi sto allargando. « Lo farei da sola, ma.. » Non posso. « L'anno scorso il mio bimbo era troppo piccolo per mangiarli e mi farebbe piacere farglieli assaggiare. A lui.. e al resto del ghetto. » Si massaggiò il collo un po' imbarazzata. « Puoi tenere il resto. E - se lo consideri necessario, ti resto debitrice. Per qualunque cosa. » Beh quasi. Però si spera che tu abbia sufficiente buon senso da non chiedermi di strangolare quel coglione che urlava prima. « Puoi farmi questo favore? »


     
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    Una bestia deve fare la bestia. Di questo sono sempre stato convinto. Non ho mai consolato Nilufar quando si trasformava nel giaguaro. Mai. Le ho sempre detto che doveva lasciarsi andare alla trasformazione, oppure avrebbe solo sofferto ogni volta. Tanto si trattava di giorni, e li avrebbe passati nella gabbia che papà aveva comprato. Rinchiusa nel magazzino, al sicuro da chiunque cercasse di classificarla - perché no, con il cazzo che la registravamo.
    Quindi per questo non so dire qualcosa di simile ad un "andrà tutto bene". Bene non ci va mai un cazzo e beh non sono cose che tutti reggono.
    Forse direi qualcosa del genere solo a Remi, ma non perché sia vera, perché mi assicurerei lo diventi.
    Perché se gli dico che qualcosa andrà bene significa che sarò io ad assicurarmi che succeda. Io sono ancora il motivo per cui le cose vanno bene o male per lui.
    Ovviamente non può accadere quasi per nessun altro. Perché non ho più il controllo di niente e la cosa mi lascia di merda ogni volta.
    Però aspetto, perché vedo come ogni parola generi un moto in Mia. Ragiona, ascolta, è quello che ne esce un po' le fa guadagnare del rispetto.
    Va bene non farsi togliere il male dalla testa, io non giudico chi lo fa, ma so che se non soffrissi ogni giorno per la mia famiglia, non sarei il cane che sono. Sarai qualcuno di diverso, magari puro, magari felice. Ma non io.
    Quella persona non sarebbe me.
    Trattengo un "brava" trai denti. Sopratutto se quello che cerca è vendetta. —Sì, so che intendi, posso comunque fargli una visita.
    Sto attento ad usare le parole quando c'è Remì con me. Lui sa cosa faccio, è vero, ma non sa quanto duramente posso colpire.
    — Di quelle che si dimenticano insieme a qualche altro dettaglio importante della propria esistenza. E lascio che sia lei a capire questo, a capire cosa significhi. Quando si può rompere dentro un uomo solo togliendo selezionati ricordi.

    Non ho motivo di non stringerle la mano adesso, lo faccio, ma credo mi si legga in faccia che non ho capito il perché.
    Però lei non ha finito. E quello che sta facendo adesso, mi fa sorridere mentre sollevo piano un sopracciglio.
    No. Mentre mi fa l'elenco della spesa vorrei aggiungere che non sono un cazzo di fattorino, anche se sto capendo dove vuole arrivare. Ho capito a cosa mira e per quanto questo potrebbe spezzare anche il mio, di cuore, non va bene. Ho bisogno di soldi, si, ma non per farle la spesa. Non così.
    Ci ho sperato che non fosse una perdita di tempo; è vero. Forse può ancora non esserlo.
    Mi rigiro i galeoni tra le dita. Stridono dolcemente nel farmi fastidiosamente comodo. Potrei prenderli ed andarmene, ma non lo faccio.
    Mi avvicino a lei. Due passi, la sigaretta spenta nella neve.
    — Apri la mano. Ordino, per farle ricadere i galeoni nel palmo. Cristo se li rivoglio.
    — Non faccio niente di tutto questo. Ci entriamo assieme, vieni con noi e ti compri tutto quello che ti serve. Ci penso io. Perché si inizia ad essere bestie da adesso. Ci si alza e si cammina.



     
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    « Sì, so che intendi, posso comunque fargli una visita. Di quelle che si dimenticano insieme a qualche altro dettaglio importante della propria esistenza. » Mia lo osserva un po' perplessa, con occhi grandi, e nell'ascoltare quelle parole inclina appena la testa di lato, come se tentasse inutilmente di scrutare cosa ci fosse nell'animo del moro. Ma tu, in definitiva, perché dovresti aiutarmi? Questo, oppure non si trattava di un aiuto. Era ingenua, Mia, ma non abbastanza da accettare le caramelle dagli sconosciuti, e a giudicare dalla prima impressione - non ho soldi da darti - Joshua doveva essere un tipo piuttosto attaccato all'aspetto materiale. Chi non lo era però? In fondo, la giovane Yagami in primis aveva accettato di partecipare agli scontri del Pulse perché aveva bisogno di soldi e perché, sentiva la necessità di non far mancare proprio niente al piccolo Haru. Decide comunque di passare oltre; lo tiene a mente, però. La possibilità di avere qualcuno che possa quanto meno scardinare in parte, o in toto, la mente di Kai Parker è una tentazione che potrebbe cogliere con estrema facilità. Ha capito qualcosa, tuttavia, qualcosa che non se la sente di condividere con la sua controparte. Quell'Auror è suo. E quando arriverà il momento farà la stessa fine di quello che tentato di fare del male alla mia amica. La sua povera Stacey, che giaceva ora sconsolata in una cella ad Azkaban, nonostante tutti i suoi sforzi. Nella sua forma a quattro zampe, l'ex Serpeverde ne aveva afferrato uno per il braccio, e poi aveva affondato le zanne nella giugulare di lui. Dire che le avesse dato soddisfazione era poco. Tutto ciò, evita però di condividerlo con il suo interlocutore. Se sapessi cosa ho fatto, cosa ho dovuto fare; forse non mi tratteresti più con la stessa gentilezza. Gli stringe quindi la mano, e decide di lasciarlo andare non prima di chiedergli un piccolo favore. Ma Joshua fa qualcosa che la lascia ancora più interdetta. « Apri la mano. Non faccio niente di tutto questo. Ci entriamo assieme, vieni con noi e ti compri tutto quello che ti serve. » Sgranò di colpo gli occhi osservando le monete nel palmo della propria mano. Forse si era dimenticata cosa fosse la gentilezza, o forse, al di fuori dei suoi amici di vecchia data non ne riceveva più da tanto tempo; fatto sta che rimase profondamente colpita da quel gesto, al punto da non saper come reagire. Se ne stava lì impallata, guardando di tanto in tanto oltre la spalla dell'uomo, osservando le vetrine illuminate come se fossero qualcosa non a sua portata. « Guarda che non posso. Se mi denunciano ci passo guai seri. Non posso permettermi - turbolenze. » Io ho promesso. Ho promesso che sarei stata fuori dai guai. E lui ha ragione. Devo tenere la testa basta. Era combattuta Mia, era evidente. Una parte di lei avrebbe voluto strapparsi la fascia di Iron Garden legata al braccio ed entrare a testa alta all'interno di quel negozio. Ho capito però che a forza di fare cazzate mi metto solo di più nei guai, e non posso permettermelo. Non sono da sola. Non posso fare questo alla mia famiglia. Di colpo sembrò andare nel panico, come se quella tentazione fosse troppo grande e lei dovesse resistergli a tutti i costi. Indietreggiò di un passo e si assicurò lo zainetto su entrambe le spalle. « Senti lasciamo perdere. Non importa. Si tratta di una cazzata. » Un vezzo. Nessuno ha bisogno di due biscotti. Ha bisogno di uscire da lì dentro. « Se vuoi restituirmi il favore fai finta che non ti ho detto niente. Se qualcuno ti chiede qualcosa non mi hai visto e non sai il mio nome. Ti prego, fammi solo questo favore. Non ti chiedo nient'altro. » Stava parlando a manetta, quasi avesse bisogno di tirare tutto fuori prima che potesse cambiare idea. « Già se mi vedono quelli del Pulse finisce male. Figuriamoci se non seguo pure le regole. » Abbassò lo sguardo e strinse i denti. « Sei stato gentile ma va bene così. » Forse per te è un gioco, o forse ci credi davvero a questa cosa. Così gli diede le spalle incamminandosi verso l'uscita di Diagon Alley. Ma a pochi passi dal punto in cui si erano incontrati, Mia si voltò nuovamente. Non aveva intenzione di tornare indietro o di cambiare idea, ma voleva comunque lasciarsi dietro una piccola scia. Forse un barlume di speranza. Forse la possibilità di poter accendere il fuoco dell'indignazione in qualcun altro che fosse al di là di quelle mura. « Molti di noi non possono essere nemmeno bestie, Joshua. Ci hanno tolto anche la possibilità di fare questo. Hanno i nostri cari. Molti sono rinchiusi, altri scappano perché volevano essere liberi, e noi stiamo lì - e aspettiamo. » Deglutì colta dalla frustrazione, la rabbia che le montava in petto. « Fino a qualche mese fa io ero una recluta sotto la guida di Harry Potter, pace all'anima sua; vivevo in una casetta carina vicino a un ruscello e avevo accanto la persona più buona e gentile sulla faccia della terra. Ora mi faccio picchiare e insultare dalle vere bestie. » Abbassò lo sguardo mordendosi l'interno delle guance. « A te non fregherà niente, avrai i tuoi problemi.. li abbiamo tutti. Però se nel tuo piccolo puoi fare qualcosa.. anche solo chiudere la finestra di un altro stronzo in faccia, spero tu possa farlo ancora. Ne abbiamo bisogno. » Abbiamo bisogno di altra gente che nel proprio piccolo fa qualcosa. Gente che non si è bevuto la propaganda di Minerva e del Messia. Si rovistò le tasche alla ricerca di un fazzoletto su cui incise velocemente con la bacchetta il proprio numero di telefono, riavvicinandosi a grandi falcate per metterglielo in tasca. Poi si distanziò con la stessa velocità. « La prossima volta in cui ti senti gentile, o in cui senti che tutto questo - » Tutto. Il mondo. Le persone. Questo ordine. Il cazzo di santone che tiene tutti in pugno. « - fa schifo, chiamami. » E quindi indietreggiò di nuovo pronta a uscire il prima possibile da Diagon Alley, convinta che tornare al Pulse non era la risposta a niente. Avrebbe fatto diversamente. Avrebbe trovato un'altra soluzione.


     
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    — No Mia frena, non hai capit- e le direi ogni cosa. Ogni progetto, ogni stupida idea che avevi per adesso. Per darle la parvenza di poter entrare in un negozio, prendere qualcosa per suo figlio ed uscire, come se fosse di nuovo tutto normale.
    E lo so che questo deve fare un cazzo di male, perché ne fa sempre. Fa sempre male fingere qualcosa che non esiste, ma almeno una volta io avrei potuto dare una mano.
    Non so neanche perché cazzo sono così empatico, ma so perché ogni lamentela ed ogni tentativo di spiegarle questa cosa, poi viene meno.
    Mi si blocca il cuore. In mezzo al fiume di parole su come la sua vita sia andata in merda e così quella di chiunque fosse come lei e sia come lei, c'è dell'altro. È come se io all'improvviso sentissi di dover stringere più forte Remì a me. Come se ci fosse il rischio che anche solo a parlarne, qualcuno possa portatemelo via.
    "Hanno i nostri cari". Lei può dire tante cose. Può lamentarsi, può non capire che l'avrei aiutata. Ma questa, questa fa male e basta. Mi fa per una cazzo di volta abbassare il viso. Guardo davvero mio figlio e mi chiedo quanto cazzo mi farei arrestare pur di riprendermelo. Magari poi finirei sulla forca e non servirebbe a niente se non a dirgli che ha un padre di merda.
    Non posso pretendere nemmeno che questo sia chiaro. Non posso. Io ne morirei, avrei la stessa rabbia di un cane a digiuno, continuamente bastonato, e la stessa rassegnazione di quel cane davanti ad una catena più pesante di me.
    —Avevo una sorella non so neanche perché inizio a parlare quando in fondo non ho niente da dire che possa sul serio fare la differenza adesso. —E avevo una madre insisto, cammino sperando che si fermi, così che almeno io possa raggiungerla. Ascoltami e basta, Mia.
    —Non è la stessa cosa che state passando voi ma, erano Maledictus e questa cosa adesso scava un solco nell'anima. Remì lo sa, ma solo fino ad un certo punto. Però adesso non ce cosa che io non riesca a dire, gli accarezzo i ricci perché lui trovi la calma nello stesso modo in cui la trovo io.
    —Loro non avevano il diritto di esistere, nè di nascere. Non sarà stato questo nuovo mondo del cazzo a portarmele via, ma non credo sia poi-... insomma io lo capisco lo so cosa vuol dire quando portano via i tuoi cari. Quando li fucilano davanti ai tuoi occhi. So cosa vuol dire quando tu arriverai sempre in ritardo per tutto e loro si sentiranno in diritto di fare ciò che vogliono per questo.
    —Volevo solo permetterti di sentire ancora un po' di normalità. Avrei cancellato il ricordo dal commesso e ti avrebbe servito dimenticando il nuovo mondo. Solo un... un attimo più normale di come devi vivere oggi ma riapro il palmo verso di lei, per farmi ridare i suoi galeoni.

    —Se non te la senti vado io, non sono così una merda e mi prendo anche il numero, perché lo so che finirò dentro a questa merda continuamente. Ma è da quando hanno esiliato Eliphas che lo so. Devo solo starci attento, perché nessuno riesca mai a portarmi via Remì. Forse è per quello che quando usciamo lo tengo tanto stretto.



     
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    « No Mia frena, non hai capit- » Si volta di colpo, Mia; gli occhi lucidi e la sconfitta nello sguardo. Si sente così piccola, così insignificante, così inutile. Sono inutile, cazzo. Sono così inutile che l'unica cosa che so fare è lamentarmi con un signor nessuno. A che pro? Cosa mi aspetto che faccia? Cosa puoi mai fare tu, Joshua? « Cosa? Eh? Cosa! » Lo osserva come un animaletto ferito. Uno a cui è stata tesa una mano che ha paura di afferrare. « Non è un gioco, Joshua! Non lo è.. » Alza la voce, Mia, ma non appena lo fa sembra già pentirsene, e così, quell'improvvisa flessione della propria voce si ammutolisce di colpo. Forse per paura della sua reazione, forse perché in fondo ha paura che potrebbe consegnarla agli Auror per cattiva condotta. Da quando ha iniziato ad avere così tanta paura di ogni cosa? Quando ha smesso di tenere la testa alta e lo sguardo fiero di fronte ad ogni intemperia? « - non lo è mai stato.. » Deglutisce e abbassa lo sguardo di colpo stringendosi le braccia al petto, quasi a voler proteggersi da qualunque colpo avverso. « Avevo una sorella. E avevo una madre. Non è la stessa cosa che state passando voi ma, erano Maledictus. Loro non avevano il diritto di esistere, nè di nascere. Non sarà stato questo nuovo mondo del cazzo a portarmele via, ma non credo sia poi-... insomma io lo capisco. Volevo solo permetterti di sentire ancora un po' di normalità. Avrei cancellato il ricordo dal commesso e ti avrebbe servito dimenticando il nuovo mondo. Solo un... un attimo più normale di come devi vivere oggi. » Inizialmente non disse niente, Mia, piuttosto si sentì estremamente in colpa. Un po' per avergli urlato colpo, e un po' per essersi comportata in maniera così sgradevole girandogli le spalle. Non era mai stata così. Un tempo avrebbe parlato a oltranza anche con i sassi, forse troppo ingenua, forse troppo fiduciosa, ma sempre curiosa, genuinamente interessata a ciò che gli altri avevano da dire. Era una di quelle che si faceva di gente - nel bene e nel male cercava sempre di stare a contatto con le persone, le cercava, a volte faceva perdere loro la pazienza a forza di parlare a oltranza. Quando tutto ciò era cambiato non lo sapeva, ma di certo in quel momento si sentì talmente tanto in colpa che dovette soffiare violentemente per tentare di controllarsi. Sospirò profondamente stringendo i pugni, osservando dilaniata la mano tesa di Joshua. Voleva permetterle di vivere un momento di normalità. « Se non te la senti vado io, non sono così una merda. » Di colpo sollevò lo sguardo reclamano il suo quasi come se volesse coglierlo di sorpresa. Era alla ricerca di un tentennamento, di qualcosa che potesse tradire le sue buone intenzione. Inutile nascondere le lacrime, seppure ciò non la frenò dal passarsi la manica sul viso. « Se mi fai del male sarà l'ultima cosa che fai, intensi? » Voleva sembrare minacciosa, Mia, ma quel singhiozzo che spezzò le sue parole la rese se possibile ancora più tenera. E così tornò sui suoi passi, perché in cuor suo ne aveva bisogno. Aveva bisogno di un barlume di speranza, di potersi ancora raccontare che lì fuori non era tutto brutto e cattivo, né il mondo l'avrebbe trattata per sempre a pesci in faccia, chiedendole ogni porta. Ma se mi fai del male sarà l'ultima cosa che farai per davvero. L'ultima volta che ho dato fiducia a uno sconosciuto sono finita nel peggiore posto possibile. E così, seppur colta da quella tentazione, rimase vigile lungo la breve strada che li separava dal piccolo negozietto.
    Era quasi completamente vuoto. Poco prima della chiusura in procinto dell'ora di cena, le file di pacchetti finemente decorati, pronti per essere portati sulle tavole dei rispettabilissimi maghi inglesi, apparivano deserti. Mia gettò immediatamente uno sguardo al negoziante che sollevò il naso dall'edizione di quella mattina della Gazzetta del Profeta. Alla vista della fascia appartenente al ghetto col simbolo degli innominati in bella vista, l'uomo sembrò sgranare gli occhi. Mia gettò uno sguardo in direzione di Joshua al suo fianco senza sapere come comportarsi o se l'uomo avesse intenzione di fare qualcosa. In quella tensione crescente, la giovane Yagami fece esattamente ciò che le era stato detto di fare. Si comportò normalmente, attorcigliando le sottili dita fredde e pallide attorno al manico di uno dei piccoli cestelli all'entrata per poi gettare uno sguardo in direzione di Remì. « Mi aiuti a scegliere un po' di cose? A te cosa piace? » E così colta un po' dall'entusiasmo e dalla foga di avere a disposizione tutto quel ben di dio Mia iniziò a gettare nel carrello un po' tutto ciò che le cadeva sotto mano. Faceva caso ai prezzi, annotando mentalmente quanto potesse spendere, ma senza badare più di tanto a quanto fosse carica. Se gli Auror le avesse fatto qualche domande, avrebbe semplicemente detto che quelle cose le erano state donate. Alla fine si era impantanata di fronte a diverse confezioni di mochi; le rimanenze forse di qualche lotto importato. Nel rigirarsi tra le mani una delle confezioni, palesemente di scarsa qualità, provò un senso di immensa tristezza e nostalgia. E poi, sovrappensiero li gettò nel cestino, girandosi in direzione di Joshua. « C'è qualcosa che vi piace tanto? Possiamo mangiarcelo insieme. Dovrò tornare.. a casa - ad Iron Garden - a breve.. però.. ecco - una cosa veloce. Se vi va. »


     
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    Lo so che non è un gioco, per questo resto serio. Perché non c'è niente di bello in questo cazzo di mondo e adesso, per lei, perfino respirare è impossibile.
    E forse è da stronzi, ma non smetto mai di chiedermi che cazzo farebbe Nil in una situazione come questa, quante volte cederebbe allo sconforto e quante altre si alzerebbe per combattere. So che mi sarei offerto volontario per finire al Garden con lei, e che me l'avrebbe impedito con ogni forza, fino ad arrivare ad odiarmi per questo. Lo avrei fatto lo stesso, sì.
    Magari in qualche mese mi avrebbe perdonato, avrei comunque avuto modo di andare a controllare che papà stesse bene e lui sarebbe potuto venire a trovarci e sì, ecco, magari non gli avrei fottuto il cervello come invece ho fatto. Adesso è già tanto se ricorda di aver avuto una famiglia. L'unica cosa che gli sovviene è che esisto io, ma solo quando gli sono davanti e allora non ha scampo di fronte all'ovvio. Ed anche in quel momento, se può, mi odia.

    E sì Mia, lo so che non è uno scherzo. Ed io non stavo per niente scherzando. —Non voglio farti del male, non me ne verrebbe in tasca nulla e... guardo Remì, che è rimasto in curiosa osservazione costante — ... se proprio dovessi, non lo farei certo davanti a mio figlio e magari non è così rassicurante, ma trovo che mentire adesso sarebbe deleterio. Voglio che capisca il motivo logico per cui non le farà nulla, e non che si basi sulla fiducia data a caso a me.
    Le faccio vedere come il mio porta-bacchetta sia ancorato al polso, in modo tale che non si noti subito quando punto il legnetto contro qualcuno. Ho imparato a farlo con una certa discrezione, proprio per evenienze come questa. Un razzista del cazzo del nuovo mondo in meno, non farà male nessuno. Qualcuno gli spiegherà domani che cerca gente non va servita, e lui tornerà ad apprendere le novità con atavico disprezzo, niente che io non abbia già visto.

    — Vieni con noi, dai le faccio coraggio, anche se prima di entrare aspettiamo che sia completamente vuoto. Nel momento esatto in cui l'uomo alza il grugno dalla Gazzetta, l'oblivion va in porto, cerco solo i dettami del nuovo stato, ed il significato della fascia di Mia, così che lui possa solo pensare alla stravaganza della ragazza o all'appartenenza a qualche squadra sportiva, niente di più. Mi rendo conto della mia efficacia, quando l'astio mal celato passa da lei, a me. E questo è totalmente normale, non do mai l'impressione del bravo ragazzo o del tipetto per bene, che mi giudichino è la base. Io, nel dubbio, continuo a guardarlo in cagnesco: come è giusto per il mio ruolo, ed affianco la mia "momentanea" famiglia.
    Alla fine, Mia non è così male, Remì sembra affiancarla con gentilezza, come se sapesse anche lui di aver a che fare con qualcuno che ne sta passando troppe. Le parla con i segni ma poi guarda me.
    — Dice che non ha bisogno di nulla e che devi prendere tutto quello che serve per la tua famiglia e tornare a casa al sicuro traduco con la dovuta precisione, anche se mi allungo a recuperare un paio di confezioni di noodles istantanei, molto piccanti e quei bastoncini stupidi ricoperti di cioccolato ai vari gusti. — Io però dico che il cioccolato andrà benissimo, in qualunque sua forma, e che possiamo avere un po' di tempo in più le sussurro, mi fingo vicino quanto basta a rimarcare il concetto che "loro sono con me, e non si toccano". —Prendi anche più di quanto hai in tasca per pagare, credo che lo Stato e quest'uomo ti debbano qualche piccolo extra, che ci prenderemo noi oggi. Un ringhio basso che le sussurro, perché io non pago.



     
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    Quando le cose erano letanmente precipitate ad Iron Garden, Mia si era ripromessa di non fidarsi mai più di nessuno al di fuori della sua famiglia. La gente ha la memoria corta, e se era così malleabile nell'accettare l'esistenza di un vero e proprio ghetto adibito alle creature, allora non avevano imparato proprio niente. I maghi erano disposti ad accettare e credere qualunque promessa purché esordita con sufficiente determinazione. In quel loro mondo distorto da fantasie e favole della buonanotte vigeva il solido principio secondo cui tutto cambia affinché nulla cambi. Così era accaduto con Minerva, e loro, le creature, erano diventate le perfette vittime contro cui riversare le proprie fobie e frustrazioni. Anche Joshua le era sembrato uno di loro. Perché avrebbe dovuto essere diverso? Eppure, nel realizzare che non avesse intenzione di venire meno alle sue parole, aveva riacceso un piccolo barlume di speranza in lei. « Prendi anche più di quanto hai in tasca per pagare, credo che lo Stato e quest'uomo ti debbano qualche piccolo extra, che ci prenderemo noi oggi. » Non si era sentita di contraddirlo seppur se ne vergognasse un po'. Ma lo ascoltò comunque, seppur con moderazione. Non esagerato nel riempire il cestino. D'altronde tornare ad Iron Garden con più del dovuto, significava sottoporsi a domande a cui non aveva voglia di rispondere. L'ennesimo interrogatorio che non intendeva sorbirsi. Una parte del bottino l'avrebbe nascosto fuori dalle mura, per i giorni neri, andando a recuperarlo piano piano nella speranza di poter fornire almeno di tanto in tanto un piccolo barlume di speranza anche ad altri, esattamente come a lei ne era stato concesso uno quella sera. Infine, si era incantata di fronte a una piccola tortina nella vetrinetta accanto alla cassa, che aveva chiesto con gentilezza al negoziante prima di uscire, lasciando sul bancone sufficienti monete da non sembrare che stesse facendo una rapina. Una rapina di dolciumi. Pensa tu, siamo dei veri delinquenti. E così, col cuore decisamente più leggero, si era allontanata in compagnia dei due nuovi amici il più possibile dalla scena del crimine, andando incontro a una panchina su una strada parallela. Lì si era seduta facendo cenno al piccolo di sedersi accanto a lei consegnandogli un cecchino usa e getta con una certa impazienza. Poi fece lo stesso con Joshua. « Dai, siediti, questa l'ho presa per noi. » E dicendo ciò tirò fuori da una delle buste la tortina ricoperta di glassa al cioccolato che le aveva fatto tanta gola. Era troppo piccola per condividerla con i suoi amici e pensare di decidere chi dovesse averne un pezzo le sembrava quanto mai ingiusto. Voleva che venisse considerata come trofeo di quella serata. Una piccola rivincita in un mare di sconfitte. Così prese una cucchiata prima di passare il piccolo vassoietto argentato a Remì, annuendo in un espressione di goduria per la bontà di quella ganache. Per un po' non disse niente, lasciando semplicemente che quel silenzio riflettesse il leggero senso di pace e serenità che quella piccola vittoria cospargeva sopra le loro teste. « Tua sorella sarebbe fiera di te. » Disse di colpo osservando Joshua con un'espressione gentile. « Lo so - è una frase fatta, che cosa ne posso mai sapere io di lei. » Roteò gli occhi al cielo stringendosi nelle spalle. « Però io sono una sorella e.. - e lo sono stata. » Una triste ammissione. Una brutta storia con cui tentava ancora di farci i conti. « La più piccola di sette figli. Tutti maschi. » Un vero caos, insomma. « Siamo rimasti in tre. Durante il lockdown.. la mia famiglia ha subito tante perdite. » Non gli raccontava quelle cose perché voleva ottenere qualcosa. Semmai, voleva restituirgli il più possibile un po' di gentilezza. E umanità. Quella la stiamo perdendo indipendentemente dalla nostra natura. « Mi sarebbe piaciuto far sapere loro quanto sono orgogliosa di ciò che hanno fatto. » Sei una brava persona, Joshua. Lo sei davvero. « Anche loro avevano questa - stupida abitudine di aiutare le persone. » Un vizio davvero orribile se chiedi a me. « Quindi si.. credo che sarebbe fiera di te. Lo è. Io lo sarei. » Questa volta fece una pausa più lunga. « Lo sono.. » Di fronte a quelle parole provò un leggero imbarazzo. Forse si stava prendendo troppe confidenze, forse avrebbe visto quelle parole come un'invasione dei suoi spazi. In fondo Joshua non la conosceva, e lei non aveva alcun diritto di dirgli nulla di tutto ciò. Così, quasi automaticamente pensò di cambiare argomento, mentre consumavano il loro dolce. Tirò fuori il cellulare dalla tasca della giacca e lo passò a Remì, in modo tale che anche il padre potesse vederlo. Il lockscreen è una foto di Haru.. Mia la indica mentre il suo sorriso si fa ravviva di colpo. « Questo è Haru. Adesso ha un anno e mezzo. È per lui che ho cominciato questa roba del Pulse. » Sospirò scoccando la lingua sul palato. « Erano soldi facili. Quando ci siamo trasferiti lì dentro si faceva fatica a fare un po' tutto - lui si era preso un brutto raffreddore, non c'erano medicine, non si capiva quanto avremmo lavorato e io volevo fargli avere cose belle - come prima che ci spazzassero via la casa. » Già. La nostra casetta. Ad Haru manca molto. Manca anche a me. Tantissimo. « Suo padre ci passa abbastanza - però.. io non è che sono una a cui piace fare tanto la mantenuta, specialmente quando so che si toglie il pane di bocca per darlo a noi. Mi sento una fallita se so di poter fare qualcosa e poi me ne sto lì dentro a crescere pomodori e spazzare le strade. » Sbuffò innervosita. « La verità è che questa cosa di Iron Garden è una grandissima stronzata. Come sono una stronzata quelle taglie. Quelli là sui manifesti sono tutti miei amici, e sono brave persone. Sono in fuga solo perché hanno pestato la coda di quelli là e perché alla gente piace vivere sapendo di avere un nemico. » Poi, sul vero nemico chiudiamo gli occhi e mettiamo la coda tra le gambe. « Cioè hanno quindicimila galeoni da pagare sulla testa di Beatrice Morgenstern ma non riescono neanche a organizzare delle cazzo di forniture di carne nel ghetto - bistecche che tra l'altro siamo disposti a pagare, mica le chiediamo a gratis! Ma giustamente viziati noi a pretendere di non voler vivere solo a verdurine e porridge. » Scosse la testa servendosi di un'altra cucchiata dalla torta. « Ogni tanto vorrei davvero che potessero imparare il significato del termine terrorista. Gliela farei vedere io la terrorista. » Però non posso. E la ragione si trovava su quella schermata che i due potevano ancora vedere.


     
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    So che ringhio anche per molto meno. E so che quando una cosa la decido, quella si incastra nella mia mente come un fottuto mantra. Ed io ho deciso che mi sono già rotto il cazzo del nuovo mondo, e che se questo deve qualcosa a qualcuno, lo deve alla gente come Mia. Che siano bestie, creature o cazzo di uomini, non mi va che passino la vita in questo modo di merda.
    Ma io non sono un samaritano, va bene che le cose le faccio perché voglio e non per un fottuto tornaconto, ma non ho una vita tanto bella da potermi permettere di pensare alla loro prima che alla mia.
    E' vero, il mondo fa schifo, ma io in questo ci devo far vivere Remì, e lui vale più della merda che gli altri calpestano.
    Eppure a Mia ho fatto una promessa, e la mantengo. Ce ne possiamo uscire senza pagare un cazzo, con tanto di fottuta gentilezza da parte dell'uomo al bancone, che rivedrà i suoi errori un altro giorno, magari domani quando si farà i conti in cassa ma non ricorderà minimamente di averci visti.
    Remì si siede davvero vicino a Mia, credo capisca i bisogni umani molto più di me. Sa che lei adesso non ha finito di dirci quello che vuole dirci, e pur non potendole parlare, è più pronto di me ad ascoltare.
    Ma ci sono dei cazzo di limiti, e nell'esatto momento in cui Mia accenna a Nilufar, io alzo il muso da terra. Le pianto gli occhi contro. E' un avvertimento palese. Piano, ragazzina. Entraci piano in sta cazzo di cristalleria. Il fatto che io le abbia detto di mia sorella non è un motivo per usarla in un discorso diretto con me.
    Si salva solo perché devia sulla sua famiglia. Per la quale vorrei dirle che non me ne frega un cazzo, ma non è così. Ho solo paura che racconti del genere spaventino Remì - lui che con gli occhi sgranati la guarda senza perdersi un respiro. E' in quella fottuta età in cui assorbe tutto, e mi sta bene che capisca che in questo mondo c'è da starci attenti, ma non l'ho tolto da un posto di merda per presentargli un'altra vita di merda davanti.
    Lui deve avere - ed avrà - tutto quello che io non ho avuto da ragazzino. Gliel'ho giurato.

    Ma io resto in silenzio, che Nilufar non so se sarebbe davvero stata fiera di me, non ho fatto un cazzo se non metterle ansia fino alla fine, fino a che non l'hanno strappata via da me. Forse avrebbe amato Remì, ma non la piega che sto prendendo io se continuo a raschiare il fondo.
    —Haru lo guardo di sfuggita, a me i bambini non piacciono, fa eccezione sono Remì, perché è mio. —Cosa significa il suo nome? ho bisogno di distrarre mio figlio da tutto quello che sta assorbendo adesso. Immagino che un nome così debba avere un senso.

    —Sai quanto cazzo è rischioso dire tutte queste cose a voce alta? mi piego sulle ginocchia, solo per fingere di cercare qualcosa nella borsa, e portare il mio viso all'altezza del suo. La guardo, ché devo capire sul serio chi cazzo ho davanti. Impossibile come io riesca a sentirmi così Aslan adesso. Cristo santissimo. —Io non posso obliviare ogni persona che ti sente insisto, anche se i ricercati li guardo anche io, ma cristo se quei nomi fanno male. —Senti. Taglio corto, perché per le storie non c'è tempo. —Hai visto che posso darti una mano, no? E che questa cosa - la tua causa - è un po' anche la mia. Mi deve seguire nel mio discorso, voglio i suoi cazzo di occhi e tutta la concentrazione che può darmi. —Lo sai già perché non ti stanno dando niente, e che cazzo di guerra sia quella che veramente stanno combattendo abbasso ancora il tono. —Prendiamo una cosa alla volta le passo il mio biglietto, il mio numero. —L'unica cosa che devi sapere, è che se dovrò scegliere tra salvarvi il culo, e proteggere Remì, non sarete più un cazzo per me. Né tu, né Haru, né chiunque lì dentro. Ringhio un concetto che deve esserle chiaro.
    I buoni sentimenti vanno bene, ma non sono un raccontaputtanate. Se devo dire le cose, che siano vere fino al loro fottuto fondo. —Chiaro?



     
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    « Haru. Cosa significa il suo nome? » Mia rimase un po' a pensarci su mentre osservava Remí intento a mangiare qualche cucchiata della tortina che si stavano dividendo. Era un bambino tanto tenero anche lui, e sembrava tutto sommato sereno, per quanto fosse possibile essere sereni in quell'epoca. « Era il nome del padre di mio marito. Tradotto sarebbe uhm.. luce del sole? Si - ma anche primavera, rinascita. » Aveva un bel significato, specialmente alla luce delle circostanze in cui Haru era venuto al mondo. Alla luce di tutta la loro storia, di tutti quegli elementi che avevano resto di Mia e Raiden una famiglia. Avrebbe voluto sbilanciarsi di più, ammettere a voce alta che le mancava la sua famiglia, la sua casetta, che le mancava la sua dolce metà. Ma in parte, aveva paura che Joshua avrebbe fatto domande a cui non poteva rispondere, e a dirla tutta mentire non era proprio nel suo carattere, nemmeno in quel mondo, nemmeno in quelle circostanze, non di fronte a una persona che le aveva mostrato tanta gentilezza. « Sai quanto cazzo è rischioso dire tutte queste cose a voce alta? Io non posso obliviare ogni persona che ti sente. » Avrebbe voluto dirgli che era il caso di rilassarsi e che non diceva sul serio. In fondo, Mia diceva tante cose, ma non ci credeva davvero. Certo, la sua frustrazione era alle stelle, ma alla fine diciamo un sacco di cose giusto per dire qualcosa, no? Non è che ogni volta che diciamo "voglio morire", vogliamo morire davvero. C'era poi qualcos'altro; Mia era convinta di essere una persona estremamente anonima. Un po' l'attrice non protagonista di ogni storia; nessuno aveva mai fatto davvero caso lei, difficilmente veniva ascoltata e ancora più difficile era che qualcuno la prendesse davvero sul serio. Alla luce di ciò, credeva di avere il diritto la libertà di dire qualunque cosa. Ma non era così, e l'allarmismo con cui l'uomo la osservò, la portò a provare un leggero senso di imbarazzo. « Va beh dai.. era così - per dire. Non ti arrabbiare. » Un mormorio appena udibile solo dalle sue due nuove conoscenze. « Senti. Hai visto che posso darti una mano, no? E che questa cosa - la tua causa - è un po' anche la mia. Lo sai già perché non ti stanno dando niente, e che cazzo di guerra sia quella che veramente stanno combattendo. Prendiamo una cosa alla volta » Sgrana leggermente gli occhi nel vedersi allungare il biglietto da visita. Quindi intendi aiutarmi davvero? Fino a quel momento aveva pensato che Joshua sarebbe rimasto solo un fugace incontro, qualcuno con cui ha condiviso un momento di solidarietà per poi tornare ognuno sulla propria strada. D'altronde, non si sarebbe aspettato niente di diverso da un completo estraneo, anche alla luce di tutta la gentilezza chele aveva dimostrato. Non a caso, esita un po', indugiando sul biglietto che le allunga paralizzata dalla possibilità di scoprire che lui, questa ennesima persona che le offre il suo aiuto, potrebbe essere solo un'altra dei cui gesti si pentirà. Joshua però non le chiede niente in cambio; non le chiede di andare a combattere da nessuna parte, non le chiede soldi, né si aspetta alcun guadagno sul momento. Forse non sarà tutto gratis, forse anche lei dovrà fare qualcosa per lui, ma per adesso è un contatto, ed è una mano che non si sente di rifiutare. E così, accetta il biglietto rigirandoselo tra le mani con aria pensierosa. « L'unica cosa che devi sapere, è che se dovrò scegliere tra salvarvi il culo, e proteggere Remì, non sarete più un cazzo per me. Né tu, né Haru, né chiunque lì dentro. Chiaro? » La moretta annuisce energicamente tornando a osservarlo con attenzione. Le sembra scontato; d'altronde probabilmente nessuno al posto suo farebbe diversamente, e non lo farebbe nemmeno Mia. Se dovessi scegliere tra la mia famiglia e tutto il resto, io non avrei dubbi. « Chiaro. » Disse senza alcuna esitazione. « Se ti capita - stai lontano dai Parker. Il figlio è un Auror, gestisce il giro di creature che combatte al Pulse assieme ad altri Auror che gli fanno da scagnozzi. Non so esattamente chi sono gli altri, ma gli Auror che lavorano ad Iron Garden sono un po' tutti loschi. » Tentò di fare mente locale sulle poche informazioni che poteva dargli, anche solo per metterlo in guardia. « In ogni caso non è propriamente Kai Parker quello da evitare. E' il padre il vero problema - non so come si chiama, ma gestisce tutti gli affari loschi a Nocturn Alley e chissà in quali altri posti. E' invischiato in un sacco di cose.. credo sia un ex Auror o qualcuno di importante, infatti chi va da quelle parti tra la gente che conta lo tiene molto in considerazione. Gli porta rispetto, per intenderci. » Pausa. Nel dargli quelle informazioni, la sua voce si fa un sussurro appena udibile. « Queste persone sono ricche e potenti e non mi stupirei se fossero tutti collegati ai piani alti. » Minerva per intenderci. « Non so altro, ma.. se vuoi davvero aiutare Iron Garden, tieni a mente che ci sono un sacco di cose strane legate a quel posto e molta gente ci sta mangiando sopra. » Guardò per un'ultima volta Remì sorridendogli con gentilezza. Nell'esatto momento in cui si alzò dalla panchina, il bimbo tentò di togliersi la sciarpa, ma Mia lo frenò prima che potesse farlo. « Tienila. Consideralo uno scambio non molto equo per i pan di zenzero e i mochi. » Si strinse nelle spalle con naturalezza. « Resta al caldo. Me la restituisci un'altra volta, che dici? » Un modo come un altro per augurarsi di vedersi ancora. Magari in circostanze migliori, magari senza parlare di cose tristi. « Vorrei restare ancora ma - se mi beccano qui tra un po' mi sbattono dritta per dritta sul ring del Pulse e.. » Volse lo sguardo altrove. « - non mi va. » Non mi va davvero. So che evitare di andarci ancora per molto diventerà complicatissimo, ma devo resistere alle pressioni e percorrere un'altra strada. « Grazie - Joshua. Sei stato davvero gentile. Un po' - .. mi ero scordata com'è entrare in una locanda a Diagon Alley. Mi sono divertita. » Ridacchiò appena. « Magari replichiamo. Quando avrò abbastanza soldi da offrire io. »



     
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