Carrot Cake & Poisons

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    \\ --> Remì che parla in Lingua dei segni


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    Mi gira il cazzo? Sì. Farò questa cosa lo stesso? Sicuro. E vorrei dire che è colpa di Remì, che mi trotterella vicino, ma non è vero. Vorrei dire che a spingermi da Aslan sia una sconfinata amicizia, ma non è vero neanche questo. Non c'è un legame che si spinga a fondo come si pensa, ma qualcosa-... qualcosa c'è.
    Forse il cazzo di bisogno di vedere chiaramente il fottuto elefante nella stanza, o forse la stessa preoccupazione che ha inizio e fine in un punto preciso. Fatto sta che, quando Remì mi ha ricordato che giorno fosse, gli ho detto di sì. Gli ho detto che stava bene andare a fare gli auguri al nostro amico, soprattutto dopo il modo in cui abbiamo passato il Natale.
    Andare a trovare il nonno non è stata una buona idea, mio padre si e no si ricordava chi fossi io, figuriamoci Remì. Ma il mio marmocchio è intelligente, lo sa che non è colpa sua - ovviamente non sa che la colpa è mia, e non glielo dirà mai, questo è ovvio.
    \\ Papà? \\ sento lo strattone alla manica prima di vedere l'agitarsi lento delle mani di Remì. Lo guardo, aspetto, è il nostro segnale, serve a dirgli che sono in ascolto, che ha tutta la mia attenzione. E ce l'ha, soprattutto prima di entrare nel cazzo di quartiere dei warlock.
    \\ Va bene se prendiamo il dolce? \\ Cazzo, il dolce. Non lo so quanti soldi ho in tasca, Remì, ma - beh, dio, si. Si e non lo faccio per lui.— Vuoi che prendiamo tre fette di torta di carote? penso di saper leggere anche troppo bene la mente di mio figlio, che annuisce anche arrossendo un pochino.
    Ma forse è l'alba, magari ha freddo, potrebbe perfino nevicare ma i suoi occhioni scioglierebbero il ghiaccio del cazzo. — Devo fare quella cosa, però... e voglio che lui sappia tutte le volte che uso l'oblio per, beh, per scamparla senza pagare visto che siamo alla canna del gas adesso. E visto che sono così un coglione da non volere l'aiuto di nessuno. \\ Si io, io capisco \\ e lo so che è vero, lo so che non mi vede come la persona di merda che sono, dio quanto cazzo lo amo.

    ...

    E non ci è voluto poi tanto, abbiano giusto atteso che ci fosse meno gente, e di beccare una pasticceria al volo che avesse appena aperto. Un posto piccolino, con giusto un commesso e nessuno intorno.
    Adesso Remì ha in mano sia il sacchetto del regalo, che il pacchetto di carta con un'intera cortina di carote e perfino qualche candela. Visto che c'eravamo mi sono preso anche qualcos'altro, ma perché il nostro stomaco stava ululando. Non gli starò dando la vita migliore del mondo, ma adesso sorride e va benissimo così.
    Non ho bisogno di tenerlo per mano, a quest'ora forse perfino Aslan starà dormendo. Non lo so, nel dubbio quando siamo da lui, uso il campanello. Mi ci attacco piano, almeno finché non risponde - che sia a voce o venendo a prendermi per il collo. .— Buon compleanno, ragazzino. E va bene dirlo anche se siamo fottutamente coetanei. Magari non sono il regalo che si aspettava, e non sono davvero qui per fargli gli auguri: avevo bisogno di una scusa, ed è perfetta. — Ci fai entrare? non dovrei implorare, ma ammorbidisco il tono. Tanto sarà una cazzo di toccata e fuga, no? Al volo e via. — Fai l'ultima buona azione di quest'anno. Remì ride.


     
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    « Musone, addirittura. » Il giovane warlock aveva sbuffato una risata, lo sguardo che saettava in direzione della gatta nera, che continuava ad emettere trilli ad intervalli regolari, nel tentativo di distoglierlo dalla marea di scartoffie sparse sulla scrivania dello studio. « Stanco, forse. Posso concederti anche di essere discretamente stressato in questo particolare periodo. Ma musone proprio non direi, Blacky. » Scosse piano la testa abbassando nuovamente la testa sui propri appunti. Appunti dei quali, per inciso, ebbe il tempo di leggere appena qualche paragrafo prima che la gatta di cui prima si lasciasse andare a quello che non si poteva interpretare in maniera diversa da uno sbuffo irritato seguito da un paio di lunghi miagolii acuti. Lo psichico inarcò un sopracciglio, scettico, senza tuttavia sollevare lo sguardo sulla creatura. Si umettò le labbra: « Allora, vediamo - siamo ad almeno cinque viaggi internazionali negli ultimi due mesi, di cui uno in occasione dello Yule a Praga - non penso questo mi annoveri tra i reclusi come dici tu. » Poi, il tempo di un paio di respiri: « E comunque, se avessi voluto ricevere l'ennesima strigliata sul fatto che lavoro troppo, credo avrei invitato mia madre. Per dirne una. » Imperturbabile, si era allungato a prendere una penna per annotare qualche altra cosa a piè di pagina, come a chiudere quel discorso. Da qualche parte dentro di sé Aslan sapeva benissimo che Blacky, il suo famiglio, non avesse proprio tutti i torti. Se pure tutte quelle cose le aveva fatte, se anche aveva davvero viaggiato in lungo ed in largo ultimamente, di certo non l'aveva fatto con uno stato d'animo che si potesse definire disteso. Come era vero che pure la celebrazione dello Yule a Praga, in fin dei conti, l'avesse approcciata con un distacco piuttosto netto rispetto al solito. Aveva visto Kvitka, era vero, ma anche con lei era stato molto freddo. Ma d'altra parte sa benissimo quali sono i patti. Sa perché ci vediamo, sa che non c'è nemmeno esclusività e che non mi interessa avere una relazione con lei. Sarebbe pure stupido pretendere una vicinanza per cui non ci sono i presupposti. Kvitka era una warlock, una psichica come lui e, per quanto la stimasse come collega e si frequentassero in più di un senso, non si era mai parlato di nulla di serio. Aveva funzionato bene fino ad allora, come un meccanismo ben oliato. Eppure quella freddezza di Aslan doveva esserle pesata l'ultima volta, perché aveva tentato più e più volte di buttare giù il solido muro che li separava. Senza riuscire in nulla che non fosse irritarlo, ovviamente, tanto che Lee aveva deciso di partire la mattina dopo quella che aveva rischiato di degenerare in una discussione. La verità era che tante cose non voleva dirgliele. E, seppure alcune avrebbe potuto condividerle, non ne provava il minimo desiderio. Così era tornato a Londra, appena in tempo per l'evento ad Iron Garden, poi si era recato a Lione per reperire del materiale che gli sarebbe tornato utile per il caso della Rosier. Infine era arrivato il suo compleanno e, quasi sotto costrizione dei suoi, era tornato quella mattina per farsi vedere almeno a pranzo. Era stato con la faccia scura tutto il tempo, suo malgrado, perché il suo compleanno era una ricorrenza che istintivamente associava ad Eliphas. L'amico demonologo si era sempre fatto venire le idee più strane per festeggiarlo, nonostante i tentativi dell'altro di fargli capire che non fosse necessario. E forse necessario non lo era, ma era sicuramente piacevole.
    Perciò aveva deciso di fare la cosa che riteneva essere più produttiva - si era messo a lavorare subito in vista del pranzo coi suoi genitori. Contava di andare a letto e semplicemente archiviare quella giornata come terminata quanto prima. Ma i suoi piani vennero interrotti da un altro versetto acuto di Blacky.
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    « Quali ospiti? No. Mi dispiace, per oggi possono considerarmi morto per quanto mi riguarda. » Un trillo divertito del felino. « In che senso buona fortuna? » Ebbe appena il tempo di lanciarle un'occhiata interdetta prima che qualcuno si attaccasse - probabilmente in maniera letterale, considerata l'insistenza - al campanello. Un'alzata di occhi al cielo e un pesante sospiro dopo, lo psichico si stava trascinando verso la porta d'ingresso. Chiunque sia, deve avere un'ottima spiegazione per quest'improvvisata. Credevo di essere stato abbastanza chiaro sul non volere cazzi, oggi. Invece a quanto pare qualcuno che non capisca si trova sempre. « Magari darmi il tempo di arrivarci, alla porta, sarebbe anche un'idea. » Disse tra sé mentre l'apriva. E si trovava davanti un duo improbabile. Lo sguardo scuro dello psichico - un netto contrasto con la pelle diafana - passò in rassegna i volti di Joshua prima e Remì poi. Dietro il viso disteso, Aslan era sorpreso di vederli lì, specialmente a quell'ora. Eppure al ragazzino sorrise comunque, quasi fosse seconda natura farlo, prima di tornare a guardare Josh. « A cosa devo...? » Non continuò, ben sapendo che non fosse necessario. Tra l'ora ed il fatto che sapesse benissimo di non essere certamente la persona preferita dell'Obliviatore non ci voleva molto a capire che quella visita fosse fuori dalla norma per Aslan. C'era questa legge non scritta - iniziata addirittura con Magnus - per cui non fosse mai la persona preferita della cerchia stretta di Eliphas. E forse proprio in virtù del fatto che questa cosa aveva avuto origine così presto, o forse per temperamento, ad Aslan il tutto era piuttosto indifferente. Era sempre civile e faceva il suo, ma non aveva mai sentito la necessità di imporsi nello spazio personale di nessuno di quegli individui. « Buon compleanno, ragazzino. Ci fai entrare? Fai l'ultima buona azione di quest'anno » Ah. Annuì comunque, lanciando un occhiolino a Remì. « Grazie. Purtroppo non conta effettivamente come buona azione, se uno di voi due mi è simpatico. » Liberatogli il passaggio, lasciò che i due entrassero, chiudendo poi la porta di loro. « Mi stupisce però questa scelta di lessico. Cosa ti ha fatto pensare, in ogni caso, che sarebbe stata la mia ultima buona azione e non l'unica? » Ironizzò. Probabilmente sempre Eliphas. Difficile che il demonologo potesse avergli detto qualcosa di cattivo sul suo conto, se pure qualcosa di cattivo da dire ci fosse stato. Che non c'era, però quello era un altro paio di maniche. Li guidò comunque fino alla cucina, aprendo poi la credenza che ospitava una varietà pressoché infinita di thé, tisane ed infusi; c'era tutto uno scaffale dedicato solo a quelli. « Remì, tu sei l'ospite d'onore, quindi scegli pure quel che ti pare. » Disse al piccolo. Aslan, tra la sua professione ed il fatto che fosse egli stesso stato un tempo un bambino molto particolare, non si era mai fatto intimidire da Remì. Lo trattava con il riguardo che avrebbe riservato a qualsiasi altro ragazzino della sua età - perché ai suoi occhi era esattamente quello - che però l'avesse colpito per intelligenza. Ne rispettava i tempi e gli spazi, certo, ma perché era lo psichico ad essere fatto così. « Tu? » Domandò dunque, rivolgendosi a Josh. « Preferisci qualcosa di caldo o magari qualcosa di più forte? »


    Edited by haegeum - 1/1/2024, 00:30
     
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    L'ironia è l'arma a doppio taglio di chi è più sveglio di te. È quello che mi ha sempre detto mia padre. E le ritenevo puttanate fino al momento in cui ho conosciuto Aslan. Non che provassi grande affetto per lui, nè ne provo adesso – tant'è che il suo compleanno è solo una scusa – ma so riconoscere quando qualcuno può essermi superiore in qualcosa.
    Questo non significa che io lo tema, finiscono tutti per abbaiare senza mai mordere, vicino a me. A volte hanno solo un cuore di panna e li riconosco perché sono quelli che piacciono a Remi. Le persone di cui mi fido le calibro attraverso mio figlio. Lui ha un cuore che vive di sfiducia, abbandonato da tre famiglie adottive prima di trovare un padre stupido come me.
    Ma è per questo che lascio fare a lui. Perché riconosce le persone di cui possiamo fidarci. Forse non è la cosa giusta da fare, sicuramente non qualcosa che un genitore dovrebbe portare avanti. Io dovrei preservarlo dalle delusioni del mondo, ma so invece che se qualcuno lo deludesse, io poi lo farei a pezzi.
    Però non è importante oggi. Oggi c'è qualcosa di diverso che preme nello stomaco, spinge un segnale che ha finito per muovere i miei piedi fino a qui, quando avrei potuto restare a casa. Tanto che tiro su giusto mezzo sorriso e scuoto la testa quando Aslan ci apre. Lascio la presa dalla spalla di Remì che ha salutato dolcemente agitando la mano, per poi illuminarsi alla proposta di Aslan.
    — Ne trovi una anche per me? Sussurrò a Remì. Non c'è neanche da chiederlo, mio figlio si lancia a recuperare una sedia per salire in piedi sulla dispensa e cercare una combinazione di tisane e gusti che possono piacere solo a lui. — Farà lui, mi fido del barman, ma grazie del-... qualunque cosa sia questa ospitalità probabilmente ma non so se lo definirei felice di vedermi, o semplicemente già con il cazzo girato peggio di me. Uno di noi due gli sta simpatico, si. Perché anche in questo Remi sa fare le cose meglio di me; è un piccolo asso, lui. E non ho paura di perderti di vista in questa casa. Il che è un cazzo di vantaggio date le volte in cui l'ho visto sgusciarmi di mano in questi mesi.
    Ma - beh - in quanto a buone azioni, Aslan mi lascia sorridere.
    — Mh, perché vuoi dirmi che non ne hai fatta nessuna in dodici mesi? Dubito fortemente...
    Che dovrebbe suonare come un complimento. Come un moto di rassegnazione per entrambi. Non è una tregua, perché non c'è mai stata una guerra. È solo un modo che abbiamo, penso.
    — Tranquillo, davvero, mi faccio andare bene quello che sceglierà per me, così so che non mi avveleni abbasso il tono perché Remi fa ancora fatica a tracciare l'ironia, è qualcosa che non capisce, si impressione velocemente.
    Faccio appena qualche passo avanti, mentre Remi ancora rovista, per sollevare la bustina con la torta.
    — Abbiamo tre fette di torta di carote e, se non dovesse piacerti, almeno fingi ti prego perché ci ha messo dieci minuti a farsi dare le fette più carine e integre. Lascio che sia un occhiolino a sancire questo, prima che mio figlio torni a dirci che cosa ha scelto di farci bere.
    — Immagino di non essere il regalo di compleanno che ti aspettavi, ma tant'è che questo ti passa il convento. E forse non volevo stare solo la mattina di capodanno. Forse.
    O forse mi serve il contatto con quello che in comune non abbiamo adesso. Eliphas.
    Ed è per lui che un po' mi sono mosso. Ma forse non è tempo nei primi trenta secondi qui dentro, di tirar fuori già la cosa. — Anche se penso immagini perché sono qui. Accenno comunque, facendomi più spazio.
    L'interruzione è Remi che ritorna con due bustine precise.
    Per lui; arancia cannella e menta. Per me: tabacco e ribes. Il che penso dica tutto sul padre che sono.
    Remì sorride ad Aslan come se il ragazzo gli avesse fatto il miglior regalo del mondo.


     
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    « Mh, perché vuoi dirmi che non ne hai fatta nessuna in dodici mesi? Dubito fortemente... » Lo psichico fece spallucce, ad esprimere che quella domanda non avrebbe ricevuto risposta. In fondo non sta bene vantarsi delle proprie buone azioni. E non solo questo - è completamente irrilevante che io ne abbia fatta qualcuna o meno. La mia domanda, alla fine, era un'altra. Per quanto l'osservazione di Aslan fosse stata in sé piuttosto ironica ed il giovane non intendesse affatto mettersi a scavare per giungere al principio di quella storia, la questione, per quanto lo riguardava, era improntata su di un discorso parecchio più soggettivo. Cosa avesse portato l'altro a pensare che ne facesse affatto. Dal suo punto di vista, Lee non sentiva alcuna delle proprie azioni come intrinsecamente buona o malvagia, forse perché non ragionava in quei termini. Ma questo Joshua non poteva saperlo, né lo stregone si sentiva in vena di iniziare a dilungarsi su come fosse impostato il suo senso di morale. « Tranquillo, davvero, mi faccio andare bene quello che sceglierà per me, così so che non mi avveleni. Abbiamo tre fette di torta di carote e, se non dovesse piacerti, almeno fingi ti prego perché ci ha messo dieci minuti a farsi dare le fette più carine e integre.» Gli risultò piuttosto naturale arricciare le labbra in un principio di sorriso divertito. Tuttavia, anziché rispondere subito all'Obliviatore, gli venne più spontaneo portare la propria attenzione su Remì prima. In fondo, anche lui aveva le proprie priorità - in quel caso, il suo sovracitato ospite d'onore. Accettò subito quanto il ragazzino gli porgeva, scoccandogli un sorriso raggiante, i lineamenti e lo sguardo nettamente più morbidi. « Per me? » Chiese, rimarcando forse l'ovvio, ma facendo bene attenzione a mostrare la propria gratitudine. « Aspetta. Sarei proprio un gran maleducato a non ricambiare in alcun modo. » Aggrottò la fronte, pensoso, chiaramente intento a riflettere su come potesse ricambiare quella cortesia. Poi lo sguardo parve illuminarsi. Lee annuì tra sé e sollevò la mano destra, all'indice della quale stava il ditale, e fece un movimento fluido. Nell'arco di qualche secondo, un piccolo cubo di legno finemente intagliato fluttuò all'interno della stanza, fino a poggiarsi con delicatezza sul piano immacolato della cucina, non troppo distante da Remì, al quale rivolse un'occhiata. « Penso possa essere il tuo genere. » Gli spiegò, con una punta di calore nella voce. « Viene da Praga, e da quel che so dentro ci sono dei cioccolatini. Ovviamente, scatola e cioccolatini saranno entrambi tuoi, basta riuscire ad aprirla. » Distese le labbra in un ulteriore sorriso. Aslan immaginava che quel genere di puzzle logici e rompicapi potessero essere nelle corde del piccolo Remì; aveva comprato il tutto per un valore più estetico che altro - lui, dalla sua, era ovviamente riuscito a comprendere piuttosto in fretta come fare i conti coi meccanismi che la chiudevano -, perciò immaginava che il suo ospite potesse certamente trarne più soddisfazione di quanto non avrebbe fatto lui. Sancito lo scambio, portò lo sguardo su Josh. « Evidente che tu non mi conosca bene, altrimenti sapresti che non solo non sarebbe il mio metodo preferito, ma che non farei mai certe cose in casa mia. » L'angolo delle labbra arricciato verso l'alto in un sorrisetto sghembo, aggiunse: « Troppa fatica, sai com'è. » Mantenne un tono leggero e piuttosto basso, a sostenere l'atmosfera ironica che era andata a crearsi tra i due. Intanto si era avvicinato a sua volta alla dispensa per recuperare il proprio infuso - betulla ed ibisco - senza nemmeno commentare la questione della torta. Se anche non gli fosse piaciuta, non era certamente stato cresciuto dalle scimmie. E a quel punto supponeva anche di aver ampiamente dimostrato a Remì in primis come si sentisse in merito. Rimase per qualche tempo ad armeggiare con il bollitore, poi versò l'acqua in tre piccole teiere - avevano tutti scelto gusti separati in fondo - che fece fluttuare, insieme ad altrettante tazze, fino al tavolo della cucina. « Immagino di non essere il regalo di compleanno che ti aspettavi, ma tant'è che questo ti passa il convento. Anche se penso immagini perché sono qui. »
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    Aslan, che nel frattempo si era occupato di servire le fette di torta ai presenti e a preparare il proprio infuso, sollevò istintivamente lo sguardo verso Joshua. « Ti sorprenderà scoprire che non sono mai stato particolarmente schizzinoso sui regali. E che per di più non me ne aspetto proprio nessuno. Quindi questo va più che bene. » Lanciò uno sguardo affettuoso al piccolo Remì, salvo poi riportare gli occhi onice sul padre del bambino. Si umettò le labbra, poggiandosi poi meglio contro lo schienale. Si prese qualche attimo per osservare l'Obliviatore in silenzio - quasi stesse davvero valutando come rispondere al meglio a quell'asserzione. « Lo immagino, sì. » Concesse dunque in tono pacato, un'espressione distesa sul viso delicato. « L'immaginazione, tuttavia, non è la migliore delle fonti a nostra disposizione. Oserei dire possa diventare persino un pericolo qualora cominci a galoppare su questioni di per sé delicate. » E sappiamo entrambi che quella di Eliphas lo è. Sapeva, in fondo, che c'erano ben pochi motivi che avrebbero potuto spingere il suo attuale interlocutore a mettere piede in casa sua. Inclinò dunque la testa di lato, lo sguardo ora sicuramente più attento ed affilato - pronto ad ascoltare (e forse persino accogliere) quanto Josh aveva da dirgli. « Ergo, magari, aiutami a collocare quanto io possa essermi immaginato. » Una pausa lunga appena un battito di ciglia. « Spiegami pure l'effettiva motivazione della tua visita. »


    Edited by haegeum - 2/1/2024, 18:06
     
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    Quando ho portato a casa Remì, non avevo intenzione di diventare padre. Non avevo quella spinta che la gente ha, quel desiderio del cazzo di avere qualcuno a loro immagine e somiglianza.
    Qualcuno che piange, urla, e non sa farsi capire fino ai quattro anni. O qualcuno per cui stare in pensa per il resto della vita.
    Se avessi avuto quei pensieri, che Nilufar invece aveva per tutti, mi sarei cercato una da farcire ed avrei risolto così.
    No, quando io ho salvato Remi, l'ho fatto perché è stato un attimo. Davvero una questione di attimi: lui mi ha guardato, e senza leggergli nulla gli ho visto il dolore, l'abbandono, l'essere un canetto ricurvo che nessuno avrebbe mai capito. Nessuno si sarebbe mai sforzato per lui, come nessuno ha mai fatto per me. Ho aspettato che mi prendesse la mano, che si fidasse in un impeto di disperazione, per cancellare i ricordi di lui dalle mente della direttrice e dei pochi bambini rimasti.
    Tenuti come cani alla catena, mangiavano una volta al giorno. Ho fatto quello che ho dovuto, e quel posto non esiste più da due anni.
    Poi ho capito che cazzo avevo fatto. Quando Remì mi si è addormentato contro il petto per la prima volta, io ho capito che non l'avrei mai più lasciato andare. E Cristo, non avevo pianificato questo. Perciò si, quando lo vedo entrare in confidenza anche con Aslan - che so, lo apprezza - resto geloso.
    Geloso come uno stupido quando so che per lui sono "papà" da un bel po' ormai, e che se qualcosa non gli torna è a me che stringe il polso. Che quando fa gli incubi dormiamo assieme, soprattutto se piove. Remì ha paura del temporale. È solo che... che quando lo guardo il resto del mondo assume meno importanza. Vivo per proteggere. E sarebbe onorevole, se non aggiungessi un "a costo di uccidere" ad ogni frase.

    E sono geloso anche quando poi mi sta bene che sia così. Che Remì che non sa come interagire con i suoi coetanei, trovi un qualcuno dei miei "amici" un piccolo porto sicuro. Così quando ciondola con la testa accanto al mio fianco, gli accarezzo i capelli ribelli. Ha dei ricci che mi faranno impazzire quando andrà ad Hogwarts. Ma è angosciante presto, non sono pronto a lasciarlo già andare via.
    Il suo muso, in ogni caso, mi fa morire. Ha gli occhi che sono quasi più scuri di quelli di Aslan, eppure brillano di fronte al regalo perfetto.
    Perché qualunque cosa coinvolga la mente è per Remì la gioia più pura. Sgrana gli occhi. Mima due grazie di fila e più mi guarda. Lo fa perché mi chiede il permesso anche se non serve. Mi basta annuire per vederlo sparire dalla vista. Afferra il cubo e non c'è più niente di interessante intorno a lui; solo quegli ingranaggi che deve risolvere.
    — Sai che non ce ne andremo finché non lo avrà finito? Sulla linea di un tono più leggero, aggiungo questo, trovando comunque il mio posto al tavolo. Lo so che se mi volesse uccidere forse il veleno non sarebbe la sua prima scelta, almeno non davanti a mio figlio. Ma resta un modo come un altro per ricordarsi che pur essendo così drasticamente diversi, ad un tavolo sappiamo parlarci più che bene.
    E nei suoi modi rivedo Eliphas. Quanto cazzo l'ho preso per il culo quando sono arrivato qui. Tutta quella compostezza, tutti quei modi - della loro cultura - di metterci un secolo a dire una cosa dritta per dritta.
    Le formalità, gli obblighi, i costumi. Ci ho riso parecchio, ma perché sono uno stupido contadino. Ho studiato quello che ho studiato, so tutto su ogni singola forma di Maledictus esistente al mondo, ma non basta mai.
    — Grazie, comunque. Accenno a Remì, capo chino sul cubo, la punta della lingua che spunta dalle labbra. E' sordo a tutto in questo momento, e so che anche per questa ragione quando avrà bevuto il suo infuso bollente, si accomoderà in divano, gli occhi sempre sul cubo.

    Io non rifuggo aluno sguardo, non c'è bisogno di leggerci nei rispettivi pensieri per capire che io ed Aslan abbiamo un terreno comune. In fondo è Eliphas che ci ha fatti conoscere, ed in questo momento il nostro problema è sempre lui.
    — Sento solo di non saperne abbastanza. E forse iniziare dalla fine non è una buona cosa, ma non abbasso lo sguardo, stringo giusto la tazza tra le dita. — Non capisco per quale ragione il suo esilio sia irrevocabile. Tu sei un warlock, dimmelo tu. Dimmi perché se anche questa stronzata dei ricercati finisse, lui non potrebbe riprendersi il suo posto. Non ce l'avete una cazzo di- ma mi rendo conto che mi manca il fiato, più ne parlo e peggio è. Abbasso il tono, ma ne esce un ringhio frustrato. Mi manca un pezzo, non so quella parte di mondo a cui non posso accedere. — E stare qui, fermo, è l'ultima cosa che riesco a fare. E non dirmi di accettarlo, le fasi dell'accettazione non rientrano nelle mie capacità. Dimmi cos'altro posso fare.


     
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    « Sai che non ce ne andremo finché non lo avrà finito? » Lo psichico annuì, l'ombra di un sorriso sulle labbra mentre guardava il piccolo Remì esaminare il rompicapo che gli era stato donato. « L'avevo preventivato. » Rispose in tono leggero, stringendosi nelle spalle prima di mescolare con cura il liquido dorato all'interno della propria tazza. « Se anche ci fosse la necessità di andarvene prima che ci riesca - cosa di cui dubito perché è un ragazzino brillante - è un regalo. Può impiegarci tutto il tempo che gli serve. » Espresse quel concetto come un'ovvietà qualunque. Che Remì fosse un bambino più intelligente e sensibile della media gli era chiaro come il sole a mezzogiorno. Dietro quella cortina di silenzio si nascondevano una sensibilità rara ed una mente cristallina e a Lee, che con le menti altrui ci lavorava, piaceva poter in qualche modo partecipare all'affinamento di un meccanismo già così preciso. Cosa rara per la sua giovane età. « Grazie, comunque. » Aslan scosse piano la testa: « Non c'è di che. È una piccolezza, mi fa solo piacere se è contento. » Ancor meglio se il giochino può essere funzionale a distrarlo. Inutile girarci attorno, alla fine - per quanto avesse fatto quel regalo per far contento Remì, quella non era stata la sua unica intenzione. Come aveva detto, immaginava perché Josh avesse deciso di fargli visita e, consapevole del fatto che il discorso che stavano per affrontare non fosse esattamente dei più leggeri, aveva pensato sarebbe stato meglio dare al piccolo qualcosa su cui focalizzare la propria attenzione, sviandola da questioni potenzialmente cupe, che avrebbero potuto appesantirne l'animo. In cuor suo sapeva benissimo che non sarebbe stato sufficiente a schermarlo da tutto, ma sperava ugualmente di alleggerirlo quanto bastava. Non per sfiducia, non perché lo considerasse piccolo ed indifeso, ma perché sapeva in prima persona che non ci fosse bestia più feroce del senso d'impotenza di fronte ad una situazione grande come quella. Mangiava dall'interno anche lui, a fasi alterne - immaginava soltanto quanto a fondo avrebbe potuto colpire una personalità come quella del piccolo Remì. Aveva appena finito di mandare giù un sorso dell'infuso quando venne raggiunto dalle parole dell'Obliviatore: « Sento solo di non saperne abbastanza. Aslan si trattenne dall'emettere un sospiro. Piuttosto, si mise ben comodo sulla propria sedia, scostandola dal tavolo quanto bastava per potersi mettere comodo ed incrociare le braccia al petto, lo sguardo puntato in quello dell'altro.
    ]
    « Quindi sei qui per un excursus. » Commentò, fattuale. Fece quindi un cenno del capo, invitandolo così ad esporre i propri dubbi. « Non capisco per quale ragione il suo esilio sia irrevocabile. Tu sei un warlock, dimmelo tu. Dimmi perché se anche questa stronzata dei ricercati finisse, lui non potrebbe riprendersi il suo posto. Non ce l'avete una cazzo di - » Che Joshua stesse cominciando ad agitarsi gli sarebbe stato evidente se pure non fosse stato quel che era - uno psichico. L'aria era così carica che da qualche parte dentro di sé, una nemmeno troppo nascosta, lo stregone sapeva benissimo gli sarebbe stato sufficiente dire una sola parola sbagliata perché il tutto detonasse. Eppure alla frustrazione malcelata dell'Obliviatore, lo psichico contrapponeva il silenzio e l'impassibilità. Non perché la questione non lo toccasse, quanto perché forse lo toccava troppo. Così tanto che scavava in profondità più che in direzione della superficie. « Cosa, una Corte a cui presentare ricorso? » Glielo aveva domandato piano, un sopracciglio già sollevato, quasi ad anticipare quanto gli avrebbe detto nel giro di qualche secondo. « Sì e no. » Fece schioccare la lingua contro il palato, inclinando appena la testa nell'osservare il ragazzo che gli sedeva di fronte. Ci furono istanti di silenzio piuttosto carico dove, era evidente, Aslan stava soppesando il suo interlocutore più che le cose che gli avrebbe detto. « Posso darti la risposta dello psichico modello oppure quella di Aslan Lee. » Una pausa, prima di continuare. « Ti avverto che le due sono molto differenti tra loro. » Così come si era infilato in quella conversazione tuttavia se ne sottrasse, lasciando che l'altro esaurisse quanto aveva da dire prima di prendere nuovamente la parola. Era una deformazione professionale, quella - gli piaceva sempre avere a disposizione ogni pezzo del puzzle prima di iniziare a ricomporlo. « E stare qui, fermo, è l'ultima cosa che riesco a fare. E non dirmi di accettarlo, le fasi dell'accettazione non rientrano nelle mie capacità. Dimmi cos'altro posso fare. » Lo sguardo di Aslan, ancora puntato sul proprio interlocutore, si adombrò ed assottigliò visibilmente. « Forse non hai ben chiaro chi hai davanti. Sarebbe una richiesta un po' paradossale. » Gli disse, il tono colorato di una leggerezza che non sentiva propria. Seppure tendenzialmente contenuto nell'esternare la propria emotività - complice la sua specializzazione - era ben lontano dal non provare emozioni. E l'esilio di Eliphas l'aveva destabilizzato e colpito nel profondo. Era forse stato quello che più ne aveva risentito, eccezion fatta per la famiglia del demonologo. Io con Eliphas ci sono cresciuto. E da quando l'hanno esiliato mi sento costantemente come se mi mancasse un braccio. Eppure, eccezion fatta per la signora Luhng, e la sua stessa madre, Inanna, nessuno aveva avuto il coraggio di chiedergli come lui stesse vivendo quella storia. Non veramente. Non genuinamente. E lui non ne aveva parlato, preferendo darsi da fare per assorbire gli urti altrui. « Per rispondere alle tue domande. L'esilio è irrevocabile perché non ci sono stati altri casi di esilio prima del suo. Puoi anche definirla una forma di - hm - clemenza nei suoi confronti: in fondo è libero di fare cosa vuole. Ed è in sé - cosa che non sarebbe stata così scontata se fosse stato punito sul serio. » Snocciolò, quasi in automatico. C'era tuttavia qualcosa di affilato e sottile nel suo tono, seppure non fosse immediatamente evidente. « La versione ufficiale è che abbia deciso di contravvenire ad ordini diretti - gli era stato detto piuttosto espressamente cosa fare e cosa no. e lui ha deciso di comportarsi comunque in una certa maniera. E ci ha messi tutti in pericolo. » Abbassò lo sguardo sulla superficie lignea del tavolo per diversi secondi - un tempo sufficiente perché l'altro potesse fare i conti con quelle informazioni. Quando lo risollevò, quello sguardo, qualcosa negli occhi scuri dello psichico era mutato. Difficile capire cosa. Si trattava come di una corrente fredda e pericolosa - per quanto di ardua lettura. « La mia versione personale è che la richiesta che gli hanno fatto - di non attaccare - fosse impossibile da esaudire in partenza, considerata la situazione. L'hanno punito perché serviva un capro espiatorio. Non l'hanno protetto sebbene in quella posizione ce l'avessero messo loro per primi. » Praticamente l'hanno usato come pretesto per pararsi il culo. Bevve un altro po', lasciando che la tisana gli togliesse quella sensazione di asciutto dalla bocca. « Queste sono le premesse. E viste le premesse che vuoi fare, andare a mettere le bombe sotto il culo degli anziani perché non sai stare fermo? » Una domanda retorica la sua, natura che sottolineò inarcando finemente le sopracciglia. « O boh, andiamo a fare casino insieme, così aggiungiamo altro sul groppo di Eliphas? Tipo un ulteriore esiliato - me - e qualche senso di colpa per accompagnare? » Pausa. « Mi sembra chiaro che il long game sia l'unico possibile. Perciò, se non pensi di essere in grado di portare pazienza sii onesto ora e... boh, semplicemente fatti da parte. Perché non è una questione risolvibile adesso per domani. » Sebbene non fosse stato particolarmente acido o duro in merito, era evidente che fosse serio. E che soprattutto non avrebbe permesso a Joshua di intralciarlo in alcuna maniera. « Inoltre sono molto preoccupato per Eliphas. In generale. L'avrai visto di recente immagino - come ti è sembrato? Qualcosa che ti sia rimasto impresso? » Gli rivolse una lunga occhiata. « Visto tutto quanto - dovrebbe avere anche lui voce in capitolo su cosa vorrebbe per sé. » Perché non si può tendere la mano a qualcuno che non ha intenzione di stringerla.


    Edited by haegeum - 2/1/2024, 23:46
     
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    Vorrei dirgli di tagliare corto sulle parti della storia che già so, ma ho l'impressione che se lo facessi mi ritroverei piantato al muro a due metri da terra. O forse è solo quello che farei io a parti inverse. Allora sto buono, ringhio ma ascolto. Il fastidio ormai è parte integrante della mia esistenza. Lo so che cosa sembro, lo so bene, lo vedo nell'immagine che gli si delinea davanti agli occhi.
    A me non frega un cazzo di quanto potente sia la loro congrega, non mi interessa in modo sciocco e infantile. Lo so che non posso limitarmi a ringhiare a bordo campo se mai mettere una cazzo di zampa dove devo. Ma è vero che so che farmi uccidere a cazzo di cane non sarebbe utile a nessuno, e l'ultima cosa che voglio è che Eliphas sia più nella più nella merda di come già non sia. Ma si, cazzo, non ce l'hanno una corte d'appello? Un vecchio bavoso che prova un briciolo di pietà?
    So però - anche - che io non l'accetterei. Se venissi esiliato, non accetterei di tornare solo per la pietà di uno dei saggi, o come cazzo si chiamano da loro. Antichi? Figli di puttana? Mummie decrepite? Beh, loro. Quelli che già odio con innata facilità.
    E' che quando Aslan mi guarda così, mi chiude le parole in gola. Neanche mi ribello all'idea di sembrargli un coglione. E' esattamente quello che sono per te, mh?

    Se non ho chiesto alcune cose ad Eliphas è perché guardandolo negli occhi ho capito che non sarebbe servito a niente se non a ferirlo. Ma sapere che l'hanno fottuto con la facilità con cui si incastra una lepre in una tagliola, questo- dio, questo mi fa ringhiare più a fondo. E' solo un modo interno di rabbia, una fiamma che divampa attraverso i miei occhi. Le dita stridono attorno alla tazza, gli anelli gracchiano sotto la morsa delle mie stesse dita.
    — Che figli di puttana, potevano scegliere chiunque, non gliene sarebbe fregato un cazzo, mh? Potevano scegliere anche te
    Adesso ì il momento in cui i miei occhi tornano nei suoi, tornano a guardarlo perché sono stanco di abbassare la testa anche all'ovvio. — Se sono qui a chiedertelo, è perché non voglio fare il coglione, Aslan cazzo. Lo sibilo a denti stretti, esasperato contro la sua immobile calma. Non so essere come lui. Non sono in grado di mantenere fermi i cavalli ed i loro moto quando le cose vanno così di merda per chi a-... per le persone a cui tengo. A cui teniamo in due.
    — Te lo chiedo perché ci sei dentro e per quanto io odi ammetterlo, e lo sai che lo odio, farei... farò quello che mi dirai, ma dimmi almeno qualcosa perché così non va bene un cazzo. Così non va bene niente. Non va bene se sto fermo, e non va bene se mi muovo alla cieca. Finirei per farmi uccidere, e non posso ora che ho una bestiolina riccia che mi aspetta sul divano.
    — Non sono così male, se mi dai un'occasione. Che magari non sono un cazzo di warlock, ma me la cavo a fare il mio, posso passare nella nebbia senza alcuna fatica, e distruggerei ogni traccia possibile. Come già faccio le rare volte che vedo Eliphas. Un salto ad obliare la vicina è d'obbligo.

    A proposito di Eliphas.

    — Sì l'ho visto. Lapidario, la tisana fredda va giù lo stesso, anche se il gelo permea ovunque adesso. — La sua voce in capitolo mi piace ancora meno. E' rassegnato alla merda, che non significa vivere, e neppure "non vivere". Uno stallo del cazzo, io... Io sono preoccupato, ma questa è un'altra storia. A me gira anche il cazzo e fosse per me mi farei odiare da Eliphas seduta stante decidendo io per lui e per tutti quanti. — ... non mi piace quello che pensa, e non mi piace lo sguardo che ha. Lo so che è normale per la merda che sta passando, ma così non è giusto. Tutt'al più che nemmeno se l'è meritato, è stato fottuto anche troppo bene. Ma non ti verrò a parlare della nostra notte, Aslan. Quello che è mio, resta mio. — Preoccupa anche me.



     
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    « Che figli di puttana, potevano scegliere chiunque, non gliene sarebbe fregato un cazzo, mh? Potevano scegliere anche te. » Precisamente. E, a segnare quel pensiero, le labbra di Aslan distesero un sorriso vuoto. Con quell'unica osservazione, Joshua aveva centrato il fulcro del problema. Un problema di cui lo psichico aveva preso consapevolezza nel momento stesso in cui Eliphas, non più di qualche mese prima, gli aveva infine raccontato cosa fosse successo all'Hellfire Club, e quale provvedimento avessero deciso di prendere nei suoi confronti. Quella sera - ormai ne era tragicamente consapevole - non aveva segnato soltanto l'esilio del suo migliore amico; quella sera, qualcosa nell'anima dello psichico era morto. Morto e basta. Aslan non si era mai considerato un ottimista - quel ruolo era sempre stato di Eliphas - ma non aveva mai creduto di poter scoprire tanto marcio all'interno della comunità alla quale, a conti fatti, anche lui aveva dedicato tutta la propria vita. Che le cose non fossero perfette l'aveva sempre saputo, non era così ingenuo da credere di vivere nell'unico idillio esistente al mondo, ma non aveva mai creduto che quello spirito di fratellanza e comunità con cui egli stesso era stato cresciuto potessero essere scavalcati in quella maniera. Non aveva mai ipotizzato che le sue fondamenta potessero essere putrescenti. E così, quella notte di ottobre, il cuore di Aslan Lee si era spezzato due volte - una prima nel veder andare via l'amico senza potergli offrire nulla se non un rifugio temporaneo; una seconda nel realizzare che avesse chinato la testa di fronte a quella che si era rivelata essere un' illusione. « Se sono qui a chiedertelo, è perché non voglio fare il coglione, Aslan cazzo. Te lo chiedo perché ci sei dentro e per quanto io odi ammetterlo, e lo sai che lo odio, farei... farò quello che mi dirai, ma dimmi almeno qualcosa perché così non va bene un cazzo. Non sono così male, se mi dai un'occasione. » Aslan tirò un grosso sospiro, più stanco di quanto non avrebbe voluto, poi, forse resosi conto di aver abbassato lo sguardo sul proprio infuso, sovrappensiero, impegnato a macinare i sentimenti pesanti di cui prima, lo risollevò sul proprio interlocutore.
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    « Te la sto dando, l'occasione. » Gli rispose. Francamente, Joshua, sei tu ad essere prevenuto nei miei confronti per non so bene quale motivo. Ma non è di me che stiamo parlando, né sento il bisogno di esserti simpatico per forza - sono sopravvissuto finora anche così - per cui non ne parleremo. « Ti ho solo detto che non è il caso di partire in quarta. » Detto questo, vuotò quanto restava nella sua tazza, per poggiarla con garbo sul piattino di ceramica. « Sì l'ho visto. » A quelle parole, lo stregone annuì tra sé, sollevato. Se non altro, i ponti in maniera netta ha voluto tagliarli solo con me. La situazione non è irrecuperabile. « Quando? » Gli domandò comunque. Non gli importava di avere alla mano una data precisa in realtà - e nemmeno voleva entrare nelle specifiche di quell'incontro al di fuori di quanto l'altro avrebbe condiviso volontariamente - gli importava soltanto sapere che fosse stato dopo che l'aveva visto lui. « La sua voce in capitolo mi piace ancora meno. E' rassegnato alla merda, che non significa vivere, e neppure "non vivere". Uno stallo del cazzo, io... » Almeno è stato coerente, sembrerebbe. Non che Eliphas fosse solito mentire. Anzi, se Aslan avesse dovuto dirla tutta, avrebbe tranquillamente affermato che se c'era una cosa che non rientrava tra gli innumerevoli talenti di Eliphas, quello era il dire cazzate. Aslan lo sapeva meglio di tutti, essendoci cresciuto, che il demonologo al massimo faceva il vago. E con me, il vago, l'ha fatto pure troppo. Lee poteva anche esserci rimasto male - c'era rimasto male - di come si era concluso il suo incontro col migliore amico. Ma c'era qualcosa di più grave che aveva avuto modo di evincere da tutta quella storia - c'è qualcosa che Eliphas non mi sta dicendo. C'era sicuramente, considerato soprattutto quanto velocemente il Luhng se l'era data a gambe nel momento in cui Aslan aveva calcato un po' troppo la mano. « ...non mi piace quello che pensa, e non mi piace lo sguardo che ha. Lo so che è normale per la merda che sta passando, ma così non è giusto. Tutt'al più che nemmeno se l'è meritato, è stato fottuto anche troppo bene. Preoccupa anche me. » Lee si portò le mani alle tempie, massaggiandole con gli indici, mentre ripensava al suo ultimo incontro con l'amico demonologo. Mantenne lo sguardo basso per qualche istante, come rielaborando le informazioni che l'altro gli aveva così gentilmente fornito. « A me ha detto direttamente di farmi i cazzi miei. » Asserì infine. « In maniera parecchio meno scurrile, ovviamente - perché alla fine è di Eliphas che stiamo parlando. Ma se devo essere onesto ci sono state un numero di cose che non mi sono piaciute. » Emise una mezza risata sarcastica, sollevando gli occhi al cielo prima di tornare a guardare Josh. « A te l'ha detto dove sta? Di preciso? » Indagò. « Perché con me ha fatto il vago. Cito testuali: 'Fai un piacere a te stesso, Aslan. Non sprecare il tuo tempo ad indagare la mia vita.' Come la impegna di preciso la sua vita, ora che non gli interessa un cazzo di nulla, non ha però voluto dirmelo. » Una pausa in cui lanciò un'occhiata eloquente a Joshua. « L'hai visto che cazzo di cera ha? Come si muove? Chiamami paranoico, ma non me la conta giusta. » Un altro momento di silenzio. « Il primo step di tutta questa storia è capire che cazzo ha in testa Eliphas. In tutta franchezza non m'interessa nemmeno se dovesse poi decidere di non volere più avere a che fare con me. Ma io ho il sentore che ci sia qualcosa sotto e, fosse l'ultima cosa che faccio, ho intenzione di capire cosa di preciso. » Osservò ancora l'obliviatore, come ponderando la propria prossima mossa. « Tu ora gli sei più simpatico di me. E per quanto rifiuti il contatto non va lasciato a sé stesso. »


    Edited by haegeum - 5/1/2024, 03:02
     
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    Ho sempre pensato che la gente dovesse fare il cazzo che voleva. Che se qualcuno avesse avuto intenzione di allontanarsi da me, avrebbe potuto farlo perché non me ne sarebbe mai importato un cazzo. Vuoi ferirmi? È un problema tuo.
    Seh.
    Perché io non sono nessuno per convincere le persone a camminare al passo con me. Anche quando è esattamente ciò che voglio e per cui premo. Mi spingo nella direzione che crea catene su catene. A volte sembrano fibre di cuoio, come è stato per Nilufer - che ho comunque perso. Altre volte sono sottili strisce di seta, come quelle immaginarie ai polsi di Eliphas, scivolano docili fino a cingergli i fianchi. Che non sono ciò a cui dovrei pensare ora, no.
    A me non frega un cazzo del filo rosso e tutte quelle fantasticherie, e penso sia stato così anche per lui all'inizio, o almeno quando abbiamo capito che dare un nome alle cose non andava bene e basta. Io sono ossessivo, lo so, e se spingo un passo oltre allora non mi limito a farlo piano, il premo lasciando un'impronta pesante: è la paranoia.
    Ho odiato mia madre per aver voluto avere una figlia sapendo benissimo che avrebbe ereditato la maledizione di famiglia. Ed ha cercato di concepire ancora, Cristo, quando per fortuna sono nato io. Mia madre ha distrutto la mia famiglia, eppure mi manca.
    Eppure al cazzo di cimitero ci passo. Non vado a cambiarle i fiori, per quello ci pensa l'istituto di mio padre, ma resto lì, mi siedo e mi ricordo che anche in quel caso io non ho potuto fare un cazzo. Ero piccolo, si, ma non è una scusante a ventinove anni.
    È tutto questo mi riporta qui, perché - Aslan - io ho guardato Eliphas negli occhi, e l'ho visto spegnersi. L'ho visto lasciarsi andare in un cazzo di fiume, vittima rassegnata alla corrente senza argini a cui aggrapparsi. Lui ed il suo ottimismo andato in frantumi. L'ho fatto sorridere solo mezzo secondo, e mi è sembrato di fare una fatica del cazzo.
    Lo immagino così, ed è qualcosa che non so dire aprendo bocca. Tanto che immediatamente la richiudo.
    Posso raccontarmi un sacco di stronzate su di me, si. Ma poi alla fine saranno sempre i miei occhi a tradirmi.

    — Dopo di te. Ovviamente io l'ho visto dopo di te, Aslan, che cazzo di domande sono? Sei tu il suo migliore amico, io sono-... un'altra cosa. Non dovrei sorridere per il fatto che Aslan sia stato mandato a cagare proprio da Eli così, e giusto che contengo quella fottuta ironia, ma dio se in qualche punto di me è piacevole che sia successo. — Certo, mi ha anche raccontato quanto tempo passa a cucire a maglia. Ma il ringhio mi esce spontanea, forse perché non abbiamo parlato di un cazzo e lo so come potrebbe prenderla Aslan, come noncuranza. Io potrei essermi distratto, ma cristo se ci voleva per entrambi quello che è successo. E' che con il cazzo che entro nei dettagli di qualcosa che forse, per lui almeno, potrebbe essere prevedibile.
    — Ha detto che cercava un passaggio per la Romania. Ed è quello che so adesso, e nel dirlo torno a guardare dritto Aslan negli occhi. — Era cadaverico se me lo stai chiedendo, e lo so bene che qualcosa non va. L'ho capito dalla sua fame, per quanto ne avesse anche prima, l'ho capito dal modo in cui ci siamo stretti, ma anche questo mi resta ben sigillato in testa.
    — Mi stai dicendo che dovrei fargli da balia, Aslan? Di stargli attaccato al culo per controllare le sue mosse visto che non ti vuole vedere? Sono domande retoriche del cazzo. Scuoto la testa.

    — Scusa. Sfiato, prima che questa cosa passi da "buon compleanno" a "fuori da casa mia". Perché non ho avuto il coraggio di chiedere davvero le cose ad Eliphas, ho solo preso quel momento e me lo sono tenuto stretto, perché so che quando a me fanno troppe domande, io cambio strada, e se non voglio rispondere, non rispondo. — Posso vedere se chiamandolo, torna, ma 'sta cosa di fargli gli agguati per seguirlo mi sta sul cazzo. Però sta bene se l'alternativa è la sua autodistruzione. Che poi lo chiamerei comunque è un'altra storia.


     
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    « Certo, mi ha anche raccontato quanto tempo passa a cucire a maglia. » Aslan non disse assolutamente nulla di fronte a questa affermazione dell'Obliviatore. D'altronde, come già esplicitato, al vetriolo era piuttosto abituato. Era cresciuto con Eliphas d'altra parte - e questo significava maggiormente che per una buona parte del percorso fosse stato affiancato a Magnus. Inutile girarci attorno: il gemello del migliore amico non l'aveva mai sopportato. Neppure quando il futuro psichico era stato appena un bimbetto alto forse un metro. Forse si era sentito minacciato, come se Lee volesse togliergli il fratello - una cosa solo sua, come tutte le cose di Magnus d'altra parte - e l'aveva sempre trattato di conseguenza. Lui dal canto suo non si era quasi mai scomposto, preferendo di gran lunga lasciarsi scivolare le cose addosso. A Joshua applicava più o meno lo stesso ragionamento: lo lasciava fare le sue battute senza nemmeno degnarlo di una reazione. Che devo dirti d'altra parte, di veramente costruttivo? Nulla. Se ti fa sentire meglio trattarmi così, forse questo dice di te più di quanto non dica di me. « Ha detto che cercava un passaggio per la Romania. » E proprio non ti è venuto in mente di chiedergli di essere più specifico? Davvero, Josh? Tuttavia era un inizio. Ed era certamente più di quanto non avesse a disposizione lo psichico, per cui si morse la lingua, limitandosi ad annuire alle parole della propria controparte, essendo sprovvisto di veri input da dare. Se fosse stato necessario, alla fin fine, lo stregone era più che disposto a passare in rassegna ogni campo presente sul territorio rumeno pur di risalire al migliore amico. Essere venuto a conoscenza della collocazione geografica in maniera più ristretta di un misero "Europa orientale" gli dava comunque più spazio di manovra di quanto ne avesse in precedenza. Un rumore ovattato attrasse la sua attenzione quanto bastava perché distogliesse per qualche istante lo sguardo dal moro. Una parte di lui intuiva già cosa potesse star accadendo, ma gli era risultato naturale controllare. Blacky era uscita dal suo nascondiglio - un vano apposito, appena al di sotto del soffitto, ed era atterrata con delicatezza sul pavimento. Osservò il suo ospite con occhi attenti, la gatta, senza tuttavia avvicinarglisi, preferendo prendere posto sul pavimento, accanto allo psichico. Una specie di sfinge. Doveva aver capito che il discorso ruotasse attorno al demonologo - notoriamente una delle sue persone preferite - e ora osservava Joshua, quasi quelle informazioni l'interessassero in prima persona tanto quanto interessavano il suo compagno di vita.
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    « Era cadaverico se me lo stai chiedendo, e lo so bene che qualcosa non va » Aslan annuì, dando implicitamente ragione all'obliviatore e sottolineando con quel cenno che fossero stati spettatori della stessa cosa. Avrebbe anche aperto bocca per dire qualcosa in merito - forse fargli una domanda - non fosse stato per la direzione imboccata dall'altro dal nulla. « Mi stai dicendo che dovrei fargli da balia, Aslan? Di stargli attaccato al culo per controllare le sue mosse visto che non ti vuole vedere? » Quella domanda scatenò due reazioni molto distinte - una nello psichico e l'altra nella creaturina seduta ai suoi piedi. Aslan sorrise, scuotendo piano la testa, quasi deluso da quella domanda; Blacky soffiò. Una cosa poco caratteristica per la gatta, solitamente così mansueta ed affatto incline all'aggressività. Eppure ora guardava il suo ospite - passato automaticamente nella categoria "indesiderati", quasi l'obliviatore le avesse pestato la coda a più riprese. Lo guardava con una cattiveria che nemmeno si preoccupò di celare, gli occhi verdognoli ridotti a due fessure ed il pelo ritto sulla schiena. Un nemmeno troppo tacito come ti permetti?. « Lascia stare... » Le sussurrò Aslan, morbido, le labbra distese in un sorriso affettuoso. Blacky, dalla sua, emise un miagolio infastidito, muovendo rapidamente la coda a destra e sinistra. Non lo guardò nemmeno. Continuò, anzi, ad incenerire con lo sguardo l'altro - in palese attesa di un suo passo falso. E se Blacky era irritata, Aslan si era di nuovo chiuso nel suo silenzio. Riportò lo sguardo sul giovane senza ancora dire nulla. « Scusa. Posso vedere se chiamandolo, torna, ma 'sta cosa di fargli gli agguati per seguirlo mi sta sul cazzo. Però sta bene se l'alternativa è la sua autodistruzione. » Lo psichico l'aveva ascoltato con attenzione ed uno sguardo indecifrabile negli occhi scuri. Solo una volta appurato che l'altro avesse finito di esporre quanto aveva da dire si umettò le labbra, prendendo la parola dopo quelli che si potevano classificare come lunghi secondi di riflessione. « Ascoltami bene, Joshua - perché non ho intenzione di fare questa digressione una seconda volta. » Aveva parlato con gelida pacatezza, Aslan, tenendo gli occhi così simili a quelli di un gatto piantati in quelli chiari della proprio controparte. « Non ho idea di quali grilli hai in testa circa la mia persona - ed in tutta onestà non mi interessa dissuaderti in merito. Puoi pensare quello che ti pare e ti fa dormire meglio la notte. » Stirò l'accenno di un sorriso vuoto, di circostanza, atto a riempire quel battito di ciglia che si era preso per incamerare l'aria necessaria alla prossima battuta. « Eliphas è sempre stato una persona estremamente socievole. Aperta alla vita, al mondo, alle esperienze. Da un giorno all'altro è passato dal fiore all'occhiello di questa comunità - alla quale, aperta e chiusa parentesi, aveva votato la sua vita, e per la quale, nel tempo, ha fatto rinunce e scelte difficili non indifferenti - ad essere persona non grata tra la sua stessa gente. Da un giorno all'altro, Joshua, Eliphas si è trovato completamente solo. Per giunta senza aver fatto nulla per meritarselo. » Si mosse per poggiare le braccia sul tavolo, giungendo le mani per poggiarvi il viso. Non disse l'ovvio, Aslan, scegliendo deliberatamente di non rigirare il dito nella piaga. Non lo pronunciò quel ti sembra normale che stia scegliendo di tagliarsi fuori dalla vita?, eppure l'occhiata eloquente che rivolse all'obliviatore la rese sufficientemente palese. « Dalla mia, sto cercando di approcciarti per quello che rappresenti in questa situazione - una risorsa non indifferente, che possiede i mezzi per fare ciò che a me è impossibile, ovvero stare vicino al mio migliore amico, per il quale la solitudine è talmente innaturale che la sua unica utilità non può essere che un'elaborata forma di autoflagellazione. O un meccanismo di difesa. O entrambe in diverse misure. » Lasciò che quanto detto aleggiasse tra loro per un tempo sufficiente all'altro di percepirne la gravità, senza accennare a distogliere lo sguardo. « Questa situazione, Joshua - non è un gioco di potere. Per me non rappresenta un modo per dimostrarti di essere il più intelligente di tutti - non ne sento il bisogno, credimi - o per godermi l'opportunità di poterti comandare a bacchetta sfruttando il tuo legame con Eliphas. Sarebbe maturo da parte tua smettere di antagonizzarmi ad ogni costo e cercare di ascoltare davvero quel che ti dico, senza lavorare di fantasia. Come ti ho già detto, è controproducente. Specialmente se il tuo interlocutore non lo conosci. » Parlava in tono pratico, Lee, affatto toccato dall'exploit precedente del suo interlocutore. D'altronde - come già detto allo stesso Josh - non sentiva la necessità di guadagnarsi la sua approvazione ad ogni costo. E, per quanto avesse consapevolmente scelto di non conoscerlo più di tanto, forse anche per via di quei suoi modi, non si sentiva in competizione con lui. Non c'è nulla per cui competere. Niente da vincere. Soltanto una situazione del cazzo che possiamo cercare di risolvere. Ma non funziona se senti costantemente il bisogno di rimarcare di avercelo più lungo... anche perché, banalmente, non è così. In fondo, qualunque rapporto potesse intercorrere tra Joshua ed Eliphas, quello tra lo psichico ed il demonologo esisteva da praticamente tutta la vita. Erano cresciuti insieme, si erano conosciuti come solo due fratelli mancati potevano conoscersi, ed avevano visto sfumature, l'uno dell'altro, che gli sarebbe stato impossibile intravedere altrimenti. La scelta della specializzazione, i primi esami, le prime cotte, i primi anni lontani da casa. Ed anche le prime delusioni, i fallimenti - e non solo le prime, ognuno dopo di questi. Era solo naturale che il loro rapporto fosse diverso da tutti gli altri - lo erano anzitutto le sue basi. « Il mio scopo si allinea col tuo: voglio capire cosa sta succedendo ad Eliphas ed intervenire per aiutarlo, se possibile. » Anche perché i cocci di tutto questo li sto raccogliendo io, da qui, non di certo tu. E di cocci da raccogliere, Aslan ne aveva tanti. Un'ampia scelta. Quelli delle sue certezze circa la comunità warlock, ad esempio, argomento che non aveva certamente intenzione di affrontare con l'obliviatore - non finché questo non avesse smesso di dargli contro senza motivo. Ma non solo: c'era anche la questione della signora Luhng. La mamma di Eliphas, dalla quale si presentava almeno due volte a settimana. Per tenerle compagnia. Sempre in giorni diversi, di modo che la donna non la vedesse come una forzatura o, peggio, un atto di carità nei suoi confronti. Sempre con una scusa diversa. La ascoltava, Aslan, la lasciava parlare. Alcune volte la lasciava piangere perché anche di quello c'era bisogno. Altre volte la lasciava sfogarsi, delirare quasi, su come il figlio non avesse fatto nulla per meritarsi quella punizione, e su come dunque sarebbe stato presto riammesso. Aslan sentiva il cuore spezzarsi ogni volta. Eppure, ogni volta, faceva buon viso a cattivo gioco e, come una quercia, stava semplicemente lì. Perché doveva fare quello - era quello il suo ruolo. Era ciò che doveva ad una persona che l'aveva visto crescere. « Se non ce la fai a non demonizzarmi e vedere chissà quali assurde dietrologie nelle cose che ti chiedo, Josh - io non lo so come ti immagini di poter essere d'aiuto. Perché adesso te lo puoi permettere - sfogare la tua frustrazione su di me in questo momento non può avere conseguenze. Ma se ti dovesse venire in mente in un momento critico che facciamo? Ci diamo ai bisticci, come due infanti? » Pausa. «Vedi di darti una cazzo di regolata. Davvero però. »



    Edited by haegeum - 12/1/2024, 01:33
     
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    Cristo. Il soffio della gatta fa sollevare lo sguardo a Remì che - ormai - ha quasi finito di risolvere il suo grattacapo. Guarda lei, poi Aslan, poi me. Io non faccio un cenno che sia uno, perché so già che adesso arriverà esattamente ciò per cui sono qui e per il quale non sono minimamente pronto.
    Mi basta l'ennesimo "Ascoltami bene" di oggi per tirare le labbra e stringe i denti. Aslan ha ragione, io non so ascoltare, in questo non sono mai stato bravo, io ho le mie idee, ma se sono qui è perché esiste un bisogno controcorrente. Ho bisogno che mi venga contraddetto tutto, cazzo. Ed è solo in quel momento che il mio cuore smette di battere.
    Che i miei denti stridono tra loro, nel sentirlo di nuovo parlare di come cazzo sia Eliphas. Perché è vero che non lo conosco come lo conosce chi ci ha vissuto una fottuta vita, lo so! Cristo, lo so. Ma continuo a restare dell'idea che esista una piccola parte che è solo... mia. Allora si che non mi lascio fermare neanche dalla logica, quella che mi smonta come Remì sta smontando il suo gioco.
    Sono metodici, e sono uguali, lui ed Aslan. Girano, grattano piano intorno alla scatola, poi - quando li trovano - spingono le lame nel punti di leva, e la cosa del cazzo magicamente si apre.
    Ora io mi sento quella scatola, ma c'è nessun cioccolatino ad aspettare chi la apre.
    « Eliphas è sempre stato una persona estremamente socievole. Aperta alla vita, al mondo, alle esperienze. Da un giorno all'altro è passato dal fiore all'occhiello di questa comunità - alla quale, aperta e chiusa parentesi, aveva votato la sua vita, e per la quale, nel tempo, ha fatto rinunce e scelte difficili non indifferenti - ad essere persona non grata tra la sua stessa gente. Da un giorno all'altro, Joshua, Eliphas si è trovato completamente solo. Per giunta senza aver fatto nulla per meritarselo. »

    — As... No, non mi esce nessuna parola che abbia un senso compiuto, stringo ancora, li faccio stridere quei cazzo di denti, ma poi neanche lo tengo alto lo sguardo. Lo abbasso perché Aslan sa già quale cazzo sia il risultato delle sue parole. E, in ogni caso, con me è palese. Non sono qui per nascondergli nulla. Nemmeno il moto che rende i miei occhi lentamente più lucidi. Io Eliphas lo capisco perché ci sono passato, so che cazzo significa farsi portare via tutto e non avere un Aslan che cerca di mettere fine alle mie sofferenze. Ci ho messo fine da solo, diventando quello che sono diventato a contro cui non posso combattere.
    Il problema di stare vicino ad Eliphas, è che non sono sicuro che sia ciò che vuole davvero, credo che quello step sia già sfumato, che non sia a me che pensa quando si rinchiude nei suoi circoli viziosi. Ma io ho dato il via a questo, ed io-... mi devo prendere la bastonata che merito.

    Non è una lotta che posso vincere, non dovrebbe neanche essere una lotta e lui ha ragione. Rialzo il muso solo quando ha finito, e lo sento che finisce, perché la stoccata arriva esattamente dove deve, facendomi tirare le labbra di nuovo, in un ghigno a metà tra rassegnazione e dolore.
    E di fronte a questo, io non dico più nulla, torno a guardare Aslan, in totale e sintomatico silenzio.
    Ho capito, ok? Ho capito e basta. Solo che adesso non so che cazzo fare, ed è per questo - suppongo - che mi sono spinto fin qui. Odio solo il punto in cui sono. Non tanto vicino da convincere Eliphas che non è finito del tutto il suo mondo, e non troppo lontano da poterlo ignorare senza sentirmi a pezzi ogni cazzo di volta.
    Appoggio la schiena alla sedia, è il segno di resa più evidente che io possa dargli, non so fare altre cose adesso. Quello che non mi aspettavo era l'interruzione di Remì, cristo sembra che stia venendo a dirmi che sono stato bravo a farmi fottere così e capirci qualcosa. Mi lascia in mano un cioccolati, e ne spinge uno verso Aslan. Io ne approfitto per lasciare a mio figlio un bacio trai capelli, uno che mi serva a sussurrargli: Abbiamo quasi finito, aspettami di là. Guardo Aslan.



     
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    Aslan non era mai stato tipo da cattiverie gratuite - era un comportamento a suo avviso estremamente infantile. Allo stesso modo tuttavia non era nemmeno stato mai il tipo da non rimettere le persone al proprio giusto posto nel momento in cui queste oltrepassavano una certa linea o, come nel caso di Joshua pochi minuti addietro, rischiavano di essergli d'intralcio in questioni di estrema importanza. Lo psichico supponeva che quel modo di fare dell'altro fosse semplicemente quello - un modo di fare. Probabilmente la vita l'aveva portato a doversi guardare le spalle più della persona standard, e su questo lo stregone non voleva mettere naso. Non era nella sua indole indicare agli altri come vivere la propria vita. Inizia ad essere un problema quando cominci a ringhiare contro chi, alla fine della fiera, una minaccia non è. Perché se era vero che lui e l'Obliviatore non erano poi così amici, lo era anche il fatto che si fosse presentato proprio alla sua porta, con ogni probabilità non sapendo bene dove altro andare. Stando così le cose, proprio non te lo permetto di diventare un intralcio così frustrante, per di più se il tuo intento è un altro. Il giovane warlock rimase così ad osservarlo, rendendosi conto che le sue parole dovevano aver toccato un nervo scoperto. Tutto nella postura di Joshua era cambiato notevolmente, ad indicare il fatto che stesse finalmente assorbendo il messaggio della propria controparte. Mi viene da chiedermi se pure Eliphas sia stato trattato a pesci in faccia. Anche se immagino di no. Certe libertà te le prendi solo qui, a quanto pare. « As... » Non disse altro, l'uomo. Ed Aslan seppe in quel preciso istante che forse non avrebbe fatto altro. Inclinò la testa di lato, dalla sua, guardandolo in silenzio. Non era usuale vedere un Joshua così arrendevole. Eppure il mio scopo non era questo.
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    « Senti... » Cominciò. Ed avrebbe continuato, probabilmente, se il piccolo Remì non fosse apparso coi cioccolatini alla mano. Prese il suo, si prese tutto il tempo per esaminarlo, sorrise al bambino. Solo una volta appurato che padre e figlio avessero finito di parlare e visto il piccolo di Joshua cominciare ad allontanarsi decise di riprendere la parola. « Non avevo intenzione di mortificarti con quello che ti ho detto, soltanto mettere in chiaro un paio di cose. » Affermò. Nonostante l'usuale pacatezza, suonava ora nettamente meno impostato. Meno duro. « Nemmeno a me piace l'idea di indagare di nascosto su Eliphas. Pedinarlo o altre cose sul genere. » Distolse lo sguardo posandolo sulla gatta. La creaturina, nettamente più tranquilla ora che non percepiva il suo interlocutore come una minaccia, aveva cominciato a strusciarsi contro le gambe dello psichico. Con ogni probabilità sperava di saltargli in braccio e, Aslan ci scommetteva, avrebbe provato a farlo da un momento all'altro. La conosceva come le proprie tasche. « Ciò che stavo cercando di dirti, infatti, è che nel contesto in cui ci troviamo, e visto quanto velocemente Eliphas ha levato le tende quando l'ho visto io - cosa tra l'altro tutto meno che da lui - sei l'unico tra i due a poter davvero valutare la situazione. Capire cosa ci sia sotto senza effettivamente ricorrere a certe infamate. » Perché non prendiamoci in giro - pedinarlo come fosse veramente un criminale è un'infamata. E sarà probabilmente un punto di rottura, perché se sta facendo qualcosa di losco, sicuramente non apprezzerà il gesto. Nemmeno se è per il suo bene. « Con questo non intendo caricarti di ogni responsabilità in merito, né aspettarmi che affronti tutto da solo. Però prima di capire come intervenire, è importante sapere su cosa stiamo intervenendo. Tu puoi indagare un minimo senza rischiare le maniere forti. Io no. » Una pausa, in cui guardò Joshua negli occhi. « Se sotto ci dovesse essere qualcosa di grosso, di dannoso per lui, se si fosse cacciato nei guai, probabilmente dovremo fare comunque qualcosa che non gli piacerà. Ma voglio minimizzare la possibilità di un buco nell'acqua. Per questo ti chiedo di essere quanto più collaborativo e sincero possibile. » Anche se ti sto sul cazzo. Non lo stai facendo per me, ma per lui.


    Edited by haegeum - 13/1/2024, 23:12
     
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    Mi tengo stretto Remì ancora un paio di secondi, ad occhi chiusi. Lui serve a calmare anche me, a prendere quel respiro fatto a pezzi e tirarne fuori qualcosa di decente.
    Lui profuma di fiori secchi e lavanda, il mix di spezie stupide da supermarket che gli ho messo in camera. Ma non importa quanto gettonate siano, io le amo su di lui.
    E non credo di poter ricambiare con qualcosa che sia altrettanto dolce o meno pungente, perché il fumo mi resta incastrato addosso e si impregna nei tessuti, mentre il resto dei miei profumi ne viene inghiottito.
    Ma mi sta bene tutto questo, come mi sta bene annuire a Remì che implicitamente mi guarda per chiedermi se va tutto bene.
    Solo con il mio assenso, e rispondendo al sorriso di Aslan, torna nel suo spazio a divorarsi ogni singolo cioccolatino.
    Ora però - nel momento in cui se ne va - ritorno sul punto della mia questione. Chè se sono qui è perché Eliphas sta di merda e le mie mani vanno alla cieca nel buio. Per quanto le ombre siano casa mia, non rispondono direttamente a me.

    —Ora sono chiarissime mormorò, ancora appoggiato allo schienale, quasi stanco per la tensione accumulata. I miei muscoli improvvisamente si sciolgono, così come la tensione nervosa che viene meno. Aslan ha detto quello che doveva e l'ha fatto in modo che mi ha reso impossibile ogni replica. E forse il mio posto è questo; con le spalle al muro.
    Adesso il solo punto in cui devo essere messo perché io riesca a ragionare, tutto il resto è troppo doloroso.
    Ma va bene. Va bene che io sia senza alcuna difesa, se così è il modo giusto di parlarti, Aslan. È solo che non pensavo ne fossi davvero capace.
    Chiudo gli occhi, ripenso ad ogni cazzo di dettaglio di quella sera. Tutto quello che non mi ha detto, e tutto quello che è inutile che Aslan sappia.
    Se non fosse perché è incredibilmente ovvio arrivati ad un certo punto.
    —È quello che vorrei evitare anche io. L'ultima cosa che voglio è che lui senta di essere come l'hanno etichettato. Perché l'ho visto nei suoi occhi continuo, stavolta con tutta la serietà che posso avere, senza quella cazzo di rabbia che provo costantemente. —Forse sono solo paranoico, ma ho paura che creda di dover diventare quello che non è, perché non c'è più spazio per ciò che è. E per quanto ne sappia di lui meno di te, questo meccanismo lo conosco benissimo anche io.
    Dici che sono indegno di questa comunità? Allora è esattamente ciò che io diventerò.
    Appoggio in mano sul tavolo, mi avvicino appena perché la cosa sta - forse - finalmente prendendo la piega giusta.
    Però di qualcosa ho colpa, in questo caso ne ho più di una, perché non ho pensato a controllare ogni centimetro di lui nel modo utile a tutti. L'ho fatto solo per quello che interessava a me. E Cristo quanto mi costa ammetterlo ora, anche se magari è il motivo per cui io non sono stato mandato a fanculo.
    —Io non-... è come tirarsi fuori filo spinato dalla gola, ma quando sbaglio funziona sempre così. —... non sono stato così attento quando ci siamo visti. Credo tu l'abbia guardato con più attenzione di me anche se il suo corpo me lo ricordo alla perfezione, non c'è un centimetro della sua pelle che io non abbia morso.
    —Sono stato così un coglione da pensare che stesse meglio di quanto credessi, invece è solo diventato più bravo a distrarmi forse perché anche da me non voleva sentirsi dire le stesse cose. —Cosa vuoi che ti dica o che cosa dovrei guardare la prossima volta?


     
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    « È quello che vorrei evitare anche io. L'ultima cosa che voglio è che lui senta di essere come l'hanno etichettato. Perché l'ho visto nei suoi occhi. » Alle parole della propria controparte non poté far altro che annuire, comprensivo. Di certo peggiorare lo stato d'animo del migliore amico non rientrava tra le sue prerogative e nemmeno tra i risultati auspicati, ma una parte nemmeno troppo piccola di lui si domandava quanto arginabili fossero davvero quel genere di conseguenze. D'altra parte, se il suo desiderio fosse stato quello di farsi aiutare, con uno dei due avrebbe parlato chiaramente. Questa cosa, ovviamente, il demonologo non l'aveva fatta. E, d'altra parte, tutto del linguaggio del corpo di lui la sera dell'incontro con Aslan lasciava soltanto intendere che qualcosa di storto sotto ci fosse eccome. « Forse sono solo paranoico, ma ho paura che creda di dover diventare quello che non è, perché non c'è più spazio per ciò che è. » Qui qualcosa nello sguardo di Aslan si accese. Stava pensando, era evidente. Con ogni probabilità, il suo essere assorto, sarebbe stato evidente anche all'Obliviatore che non lo conosceva poi così bene. Seppure lo stesse ancora guardando, di fatto i suoi occhi risultavano più lontani ed intensi assieme. Stava ricordando, Aslan, pescando l'esatto ricordo per la collottola. « Per quelli che accettano il proprio posto. Anche di non averne uno. » Riportò lentamente le esatte parole del demonologo, quasi sovrappensiero in merito, con la lentezza di chi ne stava saggiando il sapore per una seconda volta. Alla prima volta che le aveva sentite, ne era rimasto colpito a livello personale; adesso però non le aveva ripetute per quello. In quel preciso istante, Aslan stava indagando. In quel momento, nelle parole del migliore amico, stava cercando quel di più, sovrapponendole a quelle dette dall'Obliviatore per cercare non solo un punto di contatto, ma anche il filo da tirare per venire a capo di quel gomitolo. « A me ha detto così. Che il mondo è fatto per queste persone. » Si prese un attimo umettandosi le labbra, lo sguardo ora più lucido diretto al suo interlocutore. « Se non hai più un posto, che senso ha essere ciò che eri? » Una pausa assorta. «O forse... se non hai più un posto che credevi fosse tuo di diritto, e se te l'hanno tolto come nulla fosse, come non ti fosse mai realmente appartenuto, ha senso essere qualcuno? Sei qualcuno? » Forse Joshua si sarebbe stranito di fronte ad un Aslan così diverso dal solito, ma all'altro non importava più di tanto. In quel momento Joshua aveva davanti lo psichico, non l'amico di Eliphas. Stava fronteggiando esattamente quello - chi faceva un'indagine preliminare per avere un'ipotesi della situazione. « Forse il punto è che nemmeno sa cosa essere o cosa vuole essere. Se vuole essere. » Il tono dello stregone si era notevolmente ammorbidito rispetto all'inizio della loro conversazione. Ora era nettamente più umano. Più triste.
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    « Per quasi trent'anni è esistito qui dentro, tra gli warlock intendo, ha costruito la sua vita attorno alla comunità. E ha dato tanto. » Troppo. Spesso prima ancora che gli venisse chiesto. « Ci credeva, sai? Genuinamente. Nella comunità, nel fatto che venire in contatto con realtà nuove potesse essere costruttivo per noi. » Sulle labbra dello psichico apparve un sorriso genuino, seppur colorato di tristezza. « Tanto che ad una certa ci ha fatto credere anche me, al dare a tutta questa storia una possibilità. » Si mordicchiò l'interno guancia, Aslan, rabbuiandosi. « Però il posto gliel'hanno tolto. E si sono dimenticati di ogni merito ottenuto ed ogni rinuncia fatta. E come fai ad esistere se sei scansato dalla tua gente? Se ciò che conosci non ti vuole più e ciò che non ti conosce ti ha sempre guardato con sospetto - tu chi sei? » Un po' come perdere il proprio baricentro, no? Non sapeva, lo psichico, se l'altro lo stesse seguendo. Non era un discorso particolarmente lineare, ma neppure troppo complicato in realtà. Soprattutto adesso che Josh non sembrava intenzionato a contraddirlo ad ogni costo. Dopotutto, Josh, sei pur sempre un mago. Potrai non essere d'accordo, ma sai bene cosa si dice degli warlock. Lo sai che alla comunità magica non piacciamo. « Soprattutto se non te l'aspettavi. Un po' perché non l'avresti mai fatto - ed un po' perché non veniamo cresciuti per aspettarcelo. » Venivano cresciuti, dopotutto, con il principio di essere una grande famiglia. Lo stesso Aslan era cresciuto così. Lo stesso Aslan, da quella scelta perpetrata nei confronti del demonologo, si era sentito tradito a dismisura. Strinse le labbra, esalando un sospiro stanco. Portò nuovamente la sua attenzione sul proprio interlocutore, ascoltandone attentamente le parole. Io non- non sono stato così attento quando ci siamo visti. Credo tu l'abbia guardato con più attenzione di me. Sono stato così un coglione da pensare che stesse meglio di quanto credessi, invece è solo diventato più bravo a distrarmi. Cosa vuoi che ti dica o che cosa dovrei guardare la prossima volta? » Lee si prese un attimo per riflettere su quanto l'Obliviatore gli aveva detto. Coi polpastrelli tamburellò con rapidità e leggerezza contro la superficie del tavolo. « Quando l'ho visto io, ho notato movimenti strani. Involontari probabilmente, non lo so. Vero che faceva freddo, ma a sensazione non mi torna. » Si prese il tempo di un battito di ciglia, poi aggiunse. « Ti dico: osserva tutto quello che puoi. E sai cosa? In realtà è meglio che pensi di poterti fare scemo. L'importante è che non possa davvero. Ti garantisce più spazio di manovra. » Annuì tra sé e sé, rivolgendo al moro quello che voleva essere un mezzo sorriso incoraggiante. Il tuo asso nella manica, insomma, vedi di non giocartelo male. « Guarda tutto. Ricorda le cose che non ti tornano. Perché che qualcosa ci sia te lo dico io, e ci metto la mano sul fuoco, dal momento che quando ci siamo visti Eliphas nemmeno mi guardava negli occhi. » Fece una pausa, riempito da un basso verso pensoso. « In più non lo so, non mi convince che non abbia detto a nessuno dei due dove sta di preciso. Avrà mica poca voglia che andiamo a trovarlo? » Una domanda retorica, ovviamente. Seguita da un'occhiata piuttosto eloquente. « Immagino sia troppo ottimistico pensare di fargli vuotare il sacco almeno su dove si trova. Tu che pensi? » Perché se dobbiamo lavorare insieme la tua opinione conta, Josh. Non scherzavo.


    Edited by haegeum - 14/1/2024, 06:13
     
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    « Forse il punto è che nemmeno sa cosa essere o cosa vuole essere. Se vuole essere. »
    Se vuole essere.
    Se vuole essere. Se vuole essere. Se vuole essere. Se vuole essere. Se vuole essere. Se vuole essere. Se vuole essere. Se vuole essere. Se vuole essere. Se vuole essere. Se vuole essere. Se vuole essere. Se vuole essere. Se vuole essere. Se vuole essere. Se vuole essere. Se vuole essere. Se vuole essere.
    —E' questa la mia paura che Eliphas non voglia più essere niente. Il nulla, l'annullamento di ogni pensiero. Perché è la cosa meno da lui che esista ed è sicuro il senso delle parole che ci ha detto. Perché ci sono punti in cui non lo riconosciamo. E non è una questione del cazzo, come quella che insomma "le persone cambiano". Eliphas non è così, non c'è un "sé" segreto di cui non ci ha detto niente. E' tutta una strozzata che si è messo in testa con l'esilio, è la conseguenza della sua condizione.
    —Sì, lo so quanto cazzo ci teneva. Che è sempre qualcosa che va detta al passato, anche se adesso i brividi sostituiscono i ringhi e la cazzo di rabbia si cheta come un brontolio lento. Come una bestia che deve restare acquattata per forza, nascosta nell'ombra.
    Quanto cazzo vorrei aprirli in due, Aslan. Se ne avessi la forza, se fossi in grado, io aprirei le loro teste come noci e le svuoterei fino a renderli dei paranoici del cazzo, delle anime senza tregua, appena più senzienti di un condannato ad Alcatraz, ma sempre senza la capacità di afferrarsi da soli. Il motivo per cui mi fermi, forse, è che tutto questo lo sai. Non mi sforzo nemmeno di darti un'idea diversa di me. Io non mento. Resto un libro aperto. —Così li odio ogni secondo di più. Stridono i denti gli uni contro gli altri, ma è vero. Magari ora sono ammansito, questo è fottutamente ovvio. Però non cambia ciò che penso e se questo è un modo per mettermi alla prova, è indubbiamente presto.

    Però lo spazio di manovra lo voglio. —Ok, va bene asserisco con più calma, anche se a me negli occhi ha guardato eccome. Ha cercato i miei per ogni cazzo di spinta. Ha voluto qualcosa che ero pronto a dargli, e che non terrei per me neanche adesso. Ma che si sia preso gioco di me in qualche modo, beh io... credo sia vero, ma gliel'ho lasciato fare, cristo ho pensato che-
    Però non devo niente a nessuno. Nemmeno ad Aslan quelle confessioni che non gli interessano, perché potrà studiare Els in molti altri contesti, ma non così a lungo nel mio.
    Inspiro, lento, svuoto i polmoni. Le mani cercano un appiglio trai capelli, chiudo gli occhi.
    —Io... sfiato, ancora ad occhi chiusi. Ripercorro ogni secondo di quella mattina, ogni sillaba che possa tornarmi utile. E so che non sono utile adesso, che non so partecipare ad un dialogo costruttivo. —... penso che posso provarci, senza fargli capire che mi sto facendo i cazzi suoi. Tanto lo sa come sono, sa che sono un paranoico. Non lo ricollegherà a noi. "Noi", il nome di questa alleanza disperata.
    —Tu come sei messo? Riapro gli occhi, glieli punto addosso. Come sono stato onesto io, voglio altrettanta onestà da Aslan. —Sanno che siete come fratelli, quanti fari hai puntati addosso? Tutti, suppongo, mh? Ti stanno guardando, Aslan? Anche adesso? Dimmi che cazzo sai.


     
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