Carrot Cake & Poisons

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    «Ok, va bene. Io... penso che posso provarci, senza fargli capire che mi sto facendo i cazzi suoi. Tanto lo sa come sono, sa che sono un paranoico. Non lo ricollegherà a noi. » Tu devi riuscirci, Josh. Non provarci. Un pensiero, quello, che tuttavia non sentì il bisogno di esplicitare. Da un lato non era il caso di attaccarsi alla semantica e rischiare così di riportare in quella conversazione il clima ostile di cui era appena riuscito a disfarsi; dall'altro voleva sperare che le motivazioni di Joshua fossero abbastanza solide da permettergli di portare a termine quell'incarico nel migliore dei modi. Se pure Aslan pensava, in cuor suo, che l'emotività di Joshua potesse talvolta rappresentare un ostacolo, sentiva essere altrettanto vero l'opposto. Non esiste nulla, dopotutto, che motivi tanto quanto le emozioni. Sperava, lo psichico, che l'obliviatore riuscisse ad incanalarla in modo adeguato, tutta quella cornucopia di cose che sembrava sentire, renderle il propulsore per raggiungere il suo fine il più rapidamente ed in maniera quanto più efficace possibile. D'altronde, che ad Eliphas ci tenesse più di quanto non volesse ammettere, a Lee era chiaro. Non ti saresti presentato qui in primo luogo, alla fine, se non stessi prendendo la cosa molto sul serio. Non era la sua persona preferita, Aslan, lo percepiva distintamente. Ma va bene lo stesso. Non era la sua approvazione ciò di cui necessitava quanto la sua efficienza; con la prima non avrebbe ottenuto alcun risultato tangibile. E i risultati erano quello di cui aveva più bisogno in quel momento. Portò dunque lo sguardo nella sua direzione per puntarlo nei suoi occhi. « Va bene. » Gli disse dunque, annuendo piano. « Se vuoi rendermi partecipe del tuo piano, ti ascolto. » Fece una breve pausa però, facendosi più serio. « Suggerirei di farlo perché due paia di occhi vedono i punti ciechi meglio di uno soltanto. » Inclinata la testa appena di lato, tuttavia, aggiunse. « Se però sei sicuro dei tuoi metodi, o li ritieni una questione troppo privata per essere condivisa... » Si strinse appena nelle spalle, lasciando cadere la frase, a sottintendere che avrebbe rispettato quella scelta. D'altronde Joshua era un adulto presumibilmente funzionale ed Aslan non era mai stato un maniaco del controllo. Se pure avrebbe preferito capirne di più, si rendeva conto che iniziare a togliere spazio di manovra all'altro senza un reale motivo sarebbe potuto risultare controproducente. Senza contare che se ti avessi pensato totalmente incapace, probabilmente ti avrei indicato la porta e basta. « Tu come sei messo? » A quella domanda non poté far diversamente dal guardarlo, interrogativo, un sopracciglio inarcato. In che senso come sono messo? pareva implicare. Tuttavia non disse niente, per il momento, avendo l'idea che l'interlocutore non fosse ancora arrivato al succo della questione. « Sanno che siete come fratelli, quanti fari hai puntati addosso? Tutti, suppongo, mh? » A quelle parole, Aslan rise. Per la prima volta in quella conversazione, dove si era mantenuto estremamente serio, distante quasi, scoppio in una risata genuina.
    DSioneB
    « A meno che, senza rendercene conto, io e Luhng non abbiamo occultato quasi trent'anni di vita, portando avanti la nostra amicizia su di un piano parallelo, sconosciuto ed invisibile ai più, cosa di cui dubito alquanto, presumo che lo sappiano, sì. » C'era una punta di ironia nella risposta dello psichico, forse perché Joshua era andato a constatare proprio l'ovvio. Si ricompose piuttosto rapidamente comunque, concentrandosi su quella che era la sua domanda effettiva. Fece spallucce, quasi trovasse prevedibile ciò di cui stava per rendere partecipe il suo improbabile compagno. « Boh, che ti devo dire. Si aspettano che io detoni prima o poi. Che dia di matto o qualcosa del genere. » Sembrava piuttosto divertito da quella prospettiva, lo psichico, da quello strambo stallo alla messicana che era andato a crearsi tra lui e... beh, fondamentalmente tutti gli altri. Non era certo di quante persone fossero realmente riuscite ad inquadrare la sua reazione all'esilio del migliore amico. Gli faceva fin comodo fossero il minor numero possibile. « In soldoni non aspettano altro che un mio passo falso proprio perché sono ben consapevoli di cosa hanno fatto. Il punto è un altro però. » Sbuffò un accenno di risata sarcastica, lo psichico. « Finché non hanno nulla a cui appigliarsi, di cosa possono accusarmi? Del fatto che ce l'abbia con loro, il che la renderebbe una reazione plausibile e quindi potenzialmente giustificata? » Negli occhi dello stregone c'era il principio di un bagliore divertito. « E perché dovrebbe esserlo, giustificata? » Chiese, le labbra piegate in un sorrisetto serafico. « Trattarmi apertamente in maniera diversa dal solito significherebbe ammettere tacitamente di averla fatta sporca. Ed ammetterlo, seppure solo con me o pochi altri, significherebbe perdere terreno. Aprire uno spiraglio a dubbi che non si possono permettere di innescare nella popolazione generale, per così dire. » Fece spallucce ancora una volta, quasi trovasse esilarante quella situazione. « Non possono fare movimenti bruschi nei miei riguardi fintanto che mancano accuse da muovermi. Quindi, in fin dei conti, non è nemmeno tanto chiaro chi abbia il coltello dalla parte del manico. » E non c'era nessuno più bravo di Aslan a non fare movimenti inconsulti. Immagino Eliphas non avesse poi tutti i torti quando diceva che io non fossi di così facile lettura. « O mi stavi per caso chiedendo come sono messo a livello emotivo? » Ironizzò, l'angolo della bocca che scattava nuovamente verso l'alto. Quello forse è un pozzo nel quale non ti conviene avventurarti, Josh.
     
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    —C'è una cosa che non sai di me prima ancora di parlare del mio piano, prima ancora di condividere - per quanto dire il cazzo che penso non sia normale per me - forse Aslan deve sapere.
    A parte i lucchetti che mi serrano la mente, quell'occlumanzia che protegge un punto nevralgico di me.
    Non mi nascondo solo per il gusto di farlo, mi nascondo perché ho un figlio. Uno per cui vorrei continuare ad essere padre almeno altri trenta, quaranta anni.
    Un padre con un senno, non un'anima vagante ad Azkaban. Un padre presente, perché quando crescerà, Remì sarà uno spettacolo, ed io non intendo perdermelo. Per questo mi volto, mi assicuro che sia abbastanza distante. Lo tengo fastidiosamente lontano quando dichiaro qualcosa di me. —Eliphas lo sa scandisco lentamente tornando a guardarlo. —Siete dei cervelloni, quindi credo tu sappia già cosa sono gli sciamani, e quanto siano poco accettati nella loro variante meno "gentile". L'ombra che abbracci corrompendo il tuo stesso sangue, a quella mi riferisco. Alla via che ho scelto, e che suppongo, in qualche modo, Aslan conosca già. E non per la segretezza di Eliphas, di cui mi sono fidato ciecamente e che non voglio sapere se sia ben riposta adesso. —Non serve che tu sappia cosa so fare, voglio solo dirti che cosa rischio, forse anche per assicurarti che sto attento e farò le cose come si deve. E soprattutto, cristo dio, dove arrivano i miei limiti. Il mio limite è che con la legge farò tutta la cazzo di attenzione che posso.

    Ovviamente non potevo sperare che per lui andasse meglio. 'Sta società di figli di puttana la odio ogni giorno di più e mi chiedo come cristo abbia fatto Eliphas a sentircisi a casa. Forse per Aslan - che non smetto di guardare adesso - magari in lui c'è il fottuto segreto di tutto.
    Ma se il warlock sa come si fa a disinnescare le persone, tendo il fottuto orecchio quando mi parla dell'innesco. Il suo, li detonare interno che loro hanno acceso. Ciao Aslan.
    Lo ascolto con un cazzo di sorriso complice che si fa strada piano piano, mentre mi rigiro la carta del cioccolatino tra le mani. La piego in un piccolo pugnale, le do la forma solo perché sto davvero ascoltando che cazzo mi sta dicendo. —Ok, hanno fottuto l'uomo sbagliato che ci scherzo, sì, ma mica tanto.
    Io so bene di che cazzo è capace, e con me non ha usato che un briciolo della nostra frustrazione. Con questo non intendo dire che lo perdono, solo che depongo le armi in favore del nostro amico in comune. —Oh col cazzo che ti chiedo il livello emotivo ma sorriso quando lo dico, seppur so essere più un ghigno il mio.
    —Voglio solo sapere quanto sei vicino a raderli al suolo - con criterio, ovviamente. Gli faccio eco a modo mio, ma qui sono nel mio campo. Torno serio.
    Funziona un po' come tra due alleati, no? Io ti dico dove sono i tuoi limiti, e tu mi dici dove sono i tuoi, perché può essere che io sia il più ovvio, il soggetto ideale per commettere un fottuto errore, ma non sottovalutiamo chi non ha mai lasciato un segno prima di me. Tu.


     
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    « C'è una cosa che non sai di me. » Gli risultò piuttosto naturale cercare nuovamente lo sguardo del proprio ospite, una punta di curiosità nelle iridi scure. « Eliphas lo sa. Siete dei cervelloni, quindi credo tu sappia già cosa sono gli sciamani, e quanto siano poco accettati nella loro variante meno "gentile". » Negli occhi dello psichico si accese una luce di consapevolezza. Di ciò che gli sciamani erano aveva sentito parlare, ne era anzi persino intrigato - in fondo era una branca della magia che non conosceva, ma che nella variante che lo stesso Joshua aveva definito meno gentile pareva avere qualche tangenza con la magia praticata dagli warlock. Com'era ovvio non conosceva le specifiche tecniche delle loro arti magiche, non avendo mai avuto modo o tempo di approfondire la questione, ma restava che il concetto stesso non gli fosse del tutto sconosciuto. Annuì lentamente, Aslan, alle parole del proprio interlocutore. « Meno gentile cioè più scomoda, sì. » Commentò, alzando gli occhi al cielo in un moto di disappunto. « Sai, non capirò mai quest'ostinazione di voler condannare obbligatoriamente ciò che fa parte di un intero. » E non solo non la comprendeva, Lee: la reputava non soltanto controproducente nei fatti, ma pure sintomo di estrema stupidità. Quella stigmatizzazione delle Arti Oscure derivava da una visione piuttosto binaria del mondo, che per altro dimenticava di considerare l'elemento più importante della faccenda. La Magia è uno strumento. Lo strumento da solo, per quanto potente e poco ortodosso - che poi cos'è, l'ortodossia, se non una misura stabilita dagli umani, da chi si pensa più in alto, da chi crede di avere la verità in bocca? - non può essere classificato come buono o cattivo semplicemente perché un tale attributo gli è improprio. Chi condannava la Magia Oscura nella propria totalità valutava, inevitabilmente, gli esseri umani che ne facevano uso o che ne erano attratti, come intrinsecamente malvagi, incapaci di sviluppare un proprio senso di giustizia ed una propria morale. Davano, insomma, più valore allo strumento che non a chi lo impugnava, quasi esistesse davvero la possibilità di venirne sopraffatti. Ed era tristemente divertente, per Aslan, constatare che i loro sforzi di remare contro un qualcosa di naturale - perché se tale non fosse stato, semplicemente non sarebbe esistito - li portavano proprio ad ottenere il risultato opposto a quello auspicato. Siamo fatti in maniera tale da essere automaticamente attratti da ciò che ci viene proibito. Esistono personalità che dello scavalcare a piè pari i divieti fanno un vanto. Ma cosa succede nel momento in cui non gli si fornisce la conoscenza necessaria a comprendere cosa, di preciso, si sta maneggiando? Succedeva esattamente ciò di cui si aveva paura - lo strumento finiva per comandare la mano, semplicemente perché quest'ultima sapeva impugnarlo, ma non lasciarlo andare. «Cosa sarebbe il tuo bene se non ci fosse il male, e come apparirebbe la terra se non ci fossero le ombre? Le ombre nascono dagli oggetti e dalle persone. Ecco l'ombra della mia spada. Ma ci sono le ombre degli alberi e degli esseri viventi. Non vorrai per caso sbucciare tutto il globo terrestre buttando via tutti gli alberi e tutto ciò che è vivo per godere della tua fantasia della nuda luce? » Inclinò la testa appena di lato nel pronunciare quelle parole con tono assorto, non potendo dirlo meglio di come era stato detto prima di lui. « Gran brutta storia, questa fantasia malata. » Si strinse nelle spalle dopo aver espresso il proprio punto di vista, invitando tacitamente il proprio interlocutore a continuare il suo discorso. « Non serve che tu sappia cosa so fare, voglio solo dirti che cosa rischio, forse anche per assicurarti che sto attento e farò le cose come si deve. » Nell'udire quelle parole dell'Obliviatore, il giovane warlock strinse le labbra in una linea dritta, quasi il loro senso non fosse così immediato. « Sì e no. » Nel proferire quelle parole con pacato garbo, sollevò appena una mano, come a dire che Josh non fosse stato abbastanza preciso. « Non mi serve tutta l'anagrafica delle tue capacità, né ti chiederò mai di raccontarmi tutti i retroscena in merito semplicemente perché sono affari tuoi. » Gli disse in tono disteso, quasi quella precisazione fosse servita solamente a dare una dimensione ad un'ovvietà di dimensioni colossali. « Ma se intendi rendermi partecipe dei rischi che corri, ritengo sia giusto spiegarmi anche come arrivi a correrli. Soprattutto perché non penso tu me lo stia raccontando tanto per, no? » Che un potenziale danno non si potesse arginare senza sapere come potesse venire inferto, d'altro canto, non era un concetto così alieno. Ne sostenne lo sguardo per qualche istante e, di fronte alla reazione che l'altro ebbe al proprio racconto, non poté far altro che rivolgergli un mezzo sorriso speculare a quello di lui. « Ok, hanno fottuto l'uomo sbagliato. Oh col cazzo che ti chiedo il livello emotivo. Voglio solo sapere quanto sei vicino a raderli al suolo - con criterio, ovviamente. » Aslan si prese del tempo per riflettere, intrecciando le mani sotto il mento per poggiarvelo. Emise un verso assorto e disse piano: « Farò quello che è giusto al momento opportuno. » L'intento dello psichico non era quello di dare all'altro una risposta vaga e chiudere lì il discorso. Per cui decise di motivare quella sua asserzione. « Mentirei se ti dicessi che non vorrei con tutto me stesso che questa fosse una battaglia solo mia. » Anche solo perché potrei effettivamente calibrare le mie mosse in base a ciò che io ritengo la cosa migliore. Sarebbe più facile. « Ma così non è. » Lo sgarbo subito è tutto di Eliphas e, per quanto l'onda d'urto abbia travolto e colpito - forse mortalmente - anche i miei valori, le conseguenze dirette può deciderle soltanto chi ha subito il torto. La libertà di scegliere non era un qualcosa di cui Aslan sentiva di voler privare il miglior amico. Non per l'ennesima volta. Il demonologo doveva poter scegliere, aveva il diritto di farlo, anche solo per quante volte questa facoltà gli era stata negata. Prima Aleyda, poi l'esilio. Sembrano volerti togliere tutta la felicità ogni volta che ne trovi un briciolo. Ma a me non va bene. Mi sono stancato. Sì, si era stancato, Aslan, ne aveva avuto abbastanza. Ed il suo affetto nei confronti di Eliphas Luhng era tale e talmente solido da non permettergli di stare a guardare e basta, soprattutto perché quell'accanimento della sorte nei suoi confronti, sino ad arrivare ad un benservito di quell'entità dai suoi stessi simili, lo feriva più di quanto non avrebbe fatto se fosse stato lui stesso a subirlo. Non c'è persona che meriti di ottenere la felicità, e se non la felicità allora la quiete, tanto quanto la merita Eliphas. Ed io, dalla mia, farò tutto ciò che posso per aprirgli la strada per arrivarci. Ad Aslan nemmeno interessava il proprio benessere emotivo in quel momento - il suo obiettivo era un altro. Lui poteva aspettare. Lui avrebbe aspettato. « Prima di decidere cosa voglio io per me, è giusto che Eliphas deliberi su cosa vuole per sé. » Disse quindi serio. « Un passo alla volta. »
     
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    Condannare quello che fa parte di un intero. Dio se capisco così bene questa cosa da sentirla pungere in un luogo ormai isolato di me. Del mio essere, quando sapevo bene che scegliendo la via del male avrei condannato parte della mia esistenza.
    Inhuth me l'aveva messo in chiaro, ma la scelta non è mai esistita quando io ho creduto che la corruzione mi avrebbe portato a salvare Nil. Per lei ho sacrificato me stesso, ed è stato un cazzo di sacrificio a vuoto. Ma, beh, questo non ho voglia che Aslan lo capisca con la stessa velocità con cui ha capito tutto il resto.
    Per questo maschero a fondo ciò che non voglio dirgli, lo respingo così come a volte respingo... chiunque, penso.
    Lo faccio armandomi di un ghigno che mi solleva appena agli angoli delle labbra. In fondo, essere un "cattivo" non è sempre così male, ti aiuta a vivere nella merda quando non puoi liberare le ali d'angelo incastonate nella schiena, strappate a forza dalla pelle.
    —Ah, non lo dire a me è la cazzo di aria da vissuto che lascio sformi il mio muso, solo per tornare indietro, per appoggiare le spalle allo schienale e dichiarare che ciò che avevo da dire l'ho detto. Anche se non è così, perché immaginavo di non poterla scampare così facilmente.
    —Dovrei dirti che il primo rischio lo corro proprio parlando con te. Ma è una stronzata, l'ho capito cosa cazzo sai fare e penso che - se dovesse essere - chiuderai la tua bella testolina agli incursori del Ministero, mh?
    Non si chiamano davvero così, lo so, ma è il modo in cui definisco gli intrusori, i fottuti legilimens che non sanno farsi i cazzi loro.
    Se dovesse mettersi male, in un qualunque momento della mia fottuta esistenza, cercherebbero i miei contatti per avere le conferme di una condanna, come se non bastasse il mio sangue.
    —Rischio da quando ho diciannove anni. Da quando ho corrotto il mio sangue e sono diventato quello che sono. Per quelli come me, iscriversi ad un registro è come condannarsi, la stessa identica cosa. Forse un ripasso di 'ste norme del cazzo dovrebbero farselo gli altri, anche solo per capire che non è sempre tutto un cazzo di buco nero.
    Picchietto con le dita lungo la superficie del legno.
    —Non sono il peggiore della mia specie, ma mi ci distanzio di poco, e sono quello di cui hanno più paura... questo mi lascia il ghigno sul muso, nel tornare a guardare Aslan dritto negli occhi.
    —Sono un dreamwalker, genero mostri così come posso tenerli a distanza. Ed è questo che intendo cercare in Eliphas: mostri, incubi, dannati demoni del cazzo che lo perseguitano. Il suo dolore che sarà la chiave di lettura di tutto.
    Mi alzo dalla sedia, cerco di non fare rumore perché Remì non accorra qui quando non abbiamo ancora finito.
    —Si capiscono molte cose di una persona anche solo dai suoi sogni, da ciò che teme senza l'intervento di alcuna razionalità. Controllo l'indicibile, Aslan, è questo che spaventa.

    Ma poi lo sguardo lo sposto, solo per guardare come cazzo si sta mettendo il tempo qui fuori. Non ho certo dimenticato perché siamo qui, e nemmeno il libero arbitrio di Eliphas, ma...
    —Dopo che l'hai visto, ti fidi ancora di lui? Non è per screditare, cazzo deve averlo capito anche Aslan come si altera il mio battito se parliamo di lui. —Gli lasceresti scegliere il peggio?


     
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    « Dovrei dirti che il primo rischio lo corro proprio parlando con te. Ma è una stronzata, l'ho capito cosa cazzo sai fare e penso che - se dovesse essere - chiuderai la tua bella testolina agli incursori del Ministero, mh? » Aslan restò in silenzio per qualche istante, lo sguardo fisso negli occhi del proprio interlocutore. « Chi ti dice che sia mai aperta in presenza di persone che non abbiano la mia piena fiducia, Joshua? » Una domanda che rappresentava una risposta, per quanto laconica, e che apriva certamente la strada ad un discorso ben più ampio. Ad esempio quanto difficile fosse guadagnarsi la fiducia dello psichico. In questo, forse, lui e il suo ospite potevano considerarsi simili, sebbene esprimessero quella tendenza in maniera specularmente opposta. Lo stregone, dalla sua, non era una persona necessariamente diffidente. O meglio - non lo era per le ragioni solitamente attribuite a tale tratto. Non credeva, insomma, che gli altri potessero per forza volergli nuocere in qualche maniera. La sua si poteva più che altro definire indole - era sempre stato piuttosto riservato e, seppure fino a quel momento non avesse certamente avuto ragione di nascondere nulla a nessuno, non gli piaceva l'idea che la sua testa fosse immediatamente accessibile alle persone circostanti. Inoltre padroneggiare l'arte dell'Occlumanzia faceva pur sempre parte dell'esteso pacchetto delle abilità della sua branca warlock e lui, da sempre affascinato dal proprio stesso mestiere, aveva imparato a padroneggiarla piuttosto in fretta. « Ma se sono gli incursori a preoccuparti, credimi, non ne hai ragione. » Una breve pausa in cui si umettò le labbra prima di proseguire in tono piuttosto disteso, tranquillo, quello di una persona che stava esprimendo il concetto più semplice del mondo. « Ti sarai posto il dubbio, immagino, del come mai i maghi non ci abbiano mai fatto guerra aperta. Non gli piacciamo e siamo in palese inferiorità numerica. Allora perché? » Inclinò appena la testa di lato, un barlume divertito negli occhi scuri. « Beh, uno dei motivi ti sta seduto di fronte. » Se ci fosse da sganciare i cani da guardia quelli grossi, Josh, uno dei cani sarei sicuramente io. « Nessun ministeriale, se non uno con un palese e masochistico desiderio di avere problemi, verrebbe mai a litigare con uno psichico. Men che meno a rovistargli nella testa. » Affinché esista anche la più remota possibilità che una cosa del genere possa accadere, dovremmo essere sull'orlo di una guerra. E francamente i ministeriali mi fanno paura tanto quanto ai bimbi babbani la fatina dei denti. Non si trattava nemmeno propriamente di presunzione - era un dato di fatto. Non soltanto era palesemente più potente di un funzionario del Ministero, ma era evidente che il Ministero stesso non avesse mai voluto inimicarsi gli warlock nella propria totalità. « Tutto ciò che può ledermi viene da qui dentro. Ecco perché devo stare attento qui tanto quanto tu lo sei fuori. » Una questione piuttosto immediata, quella, le cui implicazioni non rendevano certamente più semplice la vita del giovane, non da quando aveva realizzato che un qualcosa da cui guardarsi potesse davvero esserci, ma che restava comunque vera. Le uniche persone dalle quali doveva guardarsi le spalle erano, in fin dei conti, le stesse con le quali condivideva le proprie giornate. Certo, generalizzare non era un atteggiamento positivo, ma di cautela non era mai morto nessuno. Fintanto che non gli fosse stato chiaro quale direzione intraprendere apertamente, la sua naturale introversione e la propensione a farsi gli affari propri, dovevano restare esattamente dov'erano agli occhi di coloro coi quali trascorreva quotidianamente la giornata. « Rischio da quando ho diciannove anni. Da quando ho corrotto il mio sangue e sono diventato quello che sono. Per quelli come me, iscriversi ad un registro è come condannarsi, la stessa identica cosa.» Di fronte a quell'asserzione si limitò ad annuire. Non aveva intenzione di chiedergli cosa l'avesse portato a quella scelta. Prima di tutto non trovava nulla di criminale nella Magia Oscura - sarebbe stato ridicolo, considerata la sua formazione e la sua linea di lavoro puntare il dito contro Josh - e poi era dell'opinione che l'obliviatore avesse, dalla sua, tutto il diritto di tenere per sé quelle informazioni che considerava private. Non solo perché era un concetto, quello, che Aslan aveva già ampiamente esplicitato, ma anche perché considerava deleterio, visto il loro rapporto, premere per scoprire questioni che il suo stesso interlocutore non volesse condividere con lui. « Sono un dreamwalker, genero mostri così come posso tenerli a distanza. Non sono il peggiore della mia specie, ma mi ci distanzio di poco, e sono quello di cui hanno più paura.. Si capiscono molte cose di una persona anche solo dai suoi sogni, da ciò che teme senza l'intervento di alcuna razionalità. » A quelle parole si fece più serio, lasciandosi andare ad un altro cenno di assenso. Riusciva ora a dare una dimensione più esatta alle capacità di Joshua - d'altronde, per sommi capi, conosceva le specializzazioni degli sciamani. Però uno dei suoi quesiti restava ancora privo di risposta. « Poniamo che qualcosa vada storto. Qual è la cosa peggiore che potrebbe succedere, quali gli effetti collaterali per te? » Era evidente che lo psichico non stesse mettendo in dubbio le capacità dell'altro, anche solo dal tono pacato con cui gli si era rivolto. Era però sempre stato un soggetto estremamente analitico, Aslan, come pure si poteva evincere dal tipo di domande che poneva. Gli interessava portare a compimento il piano, scoprire cosa stesse accadendo ad Eliphas, certo, ma i rischi andavano sempre tenuti sotto controllo. « Comunque sia, se c'è qualcosa di cui hai bisogno, di inerente a questa fase o qualsiasi altra, non farti problemi. » Esplicitò quel concetto con estrema naturalezza. Era ovvio che, nel momento stesso in cui gli aveva dato spazio di manovra e accettato di collaborarci, le responsabilità di quella storia gravavano sulle spalle di entrambi i presenti. « Dopo che l'hai visto, ti fidi ancora di lui? Gli lasceresti scegliere il peggio? » Non sapeva, Aslan, se l'intenzione di Joshua fosse stata quella di prenderlo in contropiede o di indagare effettivamente sulla questione. Nonostante ciò rimase piuttosto quieto nel suo approccio alla risposta. « Non posso giudicare Eliphas come inaffidabile perché ora prova un dolore acuto, Joshua. Non posso pretendere che non lo provi o che non condizioni le sue scelte in questo momento. » Gli disse in un tono che, per quanto schietto, non mancava di morbidezza. Comprensione, persino. « Il mio unico dovere è trovare un rimedio. Evitare che diventi cronico e che possa divenire un elemento imprescindibile di ognuna di esse. » Queste, secondo Aslan, le inevitabili conseguenze del lasciare Eliphas a sé stesso. Se mi voltassi dall'altra parte adesso, per quanto forse più semplice, commetterei un peccato anche più grave di quello dei miei simili. « Non ti nego che sulle prime potrebbe non trovarsi d'accordo. C'è un punto, d'altra parte, dove il dolore diventa una sorta di culla. Una culla scomoda, certo, ma non per questo meno familiare. Quella che non spaventa. » Sperare può essere spaventoso, specialmente se queste speranze te le hanno tolte. Ma siamo tutti fatti per rialzarci. Specialmente Eliphas. « Magari ci dirà che non erano affari nostri. Che dovevamo lasciarlo stare. Ma a parti inverse, Eliphas starebbe ribaltando il mondo per fare qualcosa. Quindi in tutta franchezza non mi interessa se la prende male ora. La mia risposta è - mi fido di lui, mi fiderò sempre di lui. Ma la decisione deve prenderla perché lui vuole così. Non il suo dolore, non la delusione, ma lui. »


    Edited by haegeum - 8/2/2024, 14:16
     
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    In verità, neanche gli incursioni mi preoccupano così tanto. Quello che mi spaventa - se posso dire che qualcosa lo faccia, nel profondo - è deludere Remì. In qualche modo l'ho tirato fuori dallo schifo e dal fango, non vorrei mai che ci ritornasse solo perché io non posso rigare dritto.
    E, d'altra parte, che senso ha fare il cazzo di bravo ragazzo, quando poi basta essere ciò che sono per finire dritto in quella prigione. Dritto ad Azkaban.
    E' l'unica cosa che mi tiene giù, con i piedi per terra e decisamente molto più guardingo negli ultimi due anni. A volte mi dico che Mimì me l'ha portato Nilufar, che mi ha detto il suo cazzo di spirito dove trovarlo, così da non impazzire dal dolore.
    Per questo li conosco benissimo gli effetti collaterali per me, e per Eliphas. E per qualunque cazzo di cosa io possa trovare nei suoi sogni. Stringo i denti, prendo fiato spingendo l'aria nei polmoni.
    —Gli Sciamani d'Ombra finiscono ad Azkaban per direttissima, nessun processo. E' l'effetto più collaterale a cui posso pensare. Remì tornerebbe da solo ed io riceverei quel bacio che nessuno apprezza. Lo so perché la prima cosa che mi hanno insegnato solo leggi, così come i cazzi di paletti in cui rientrare per non disturbare nessuno. E questa cosa conta in ogni stupida nazione magica. Forse solo nella fottuta Siberia potrei stare tranquillo.

    —Se sbaglio qualcosa nel sogno di Els... neanche mi accorgo, nel mio parlarle, di chiamarlo come l'ho sempre chiamato - ma solo tra noi, non fuori dal mio cazzo di letto. —... la peggiore delle ipotesi è che se ne accorga. E penso tu sappia come andrebbe a finire in quel caso. Non c'è bisogno di dirsi che se mi scoprisse fare una cosa simile, solo perché chiedendo apertamente sbatterei contro un muro, si incrinerebbe tutto in un solo istante, e finirei a fanculo come ci è finito Aslan. Sola andata, oltretutto. —Invece, nella migliore delle ipotesi, sarà solo convinto di aver fatto un sogno assurdo, che posso comunque cancellargli dalla testa appena si sveglia. Perché l'oblio va a braccetto coi sogni, ed ho sempre trovato dannatamente perfetto l'indirizzo della mia stessa magia. —Ma non ho mai cancellato niente dalla sua testa, né vorrei farlo Aslan.
    Il problema è che per cancellare qualcosa, e mio padre lo sa bene, non posso provare nessuna emozione. Devo svuotarmi per non farlo con fretta o con rabbia, né con paura o per fottuto amore. Non posso o rischierei di sbagliare ancora.
    Ma tutto il cazzo di buonismo logico a cui Aslan si aggrappa, io non lo riesco a capire. Non posso accettare che pensi che Eliphas sia ancora lucido abbastanza da fare la scelta giusta. E, alla fine, quale sia il "giusto" non lo sa più nessuno qui dentro, neanche il supremo psichico che ho davanti.
    Tanto che non posso trovarmi d'accordo, e questa resterà una delle cose su cui - immagino - non lo saremo mai.

    —Lo conosco quel punto. Serio, mi scosto abbastanza perché Remì ci raggiunga adesso. —Ma credo che al momento lui ed il suo dolore non siano entità distinte, te lo saprò dire meglio quando vedrò a cosa crede quando spegne la ragione e smette di pensare. Perché è una cosa che farò. Se io fossi una cazzo di persona normale, preferirei che Eliphas smettesse di fidarsi di me, piuttosto che dover smettere io di fidarmi di lui. Ma nella mia cazzo di esistenza, se non sono in grado di proteggere qualcuno, il problema sono io. Io che lo legherei ad un cazzo di palo fino ad essere sicuro che farà quello che io riterrò buono per lui. Finché non tornerà in sé.
    Siamo due persone così diverse, Aslan, che non so come cazzo finirà questo accordo. Però esiste, ne abbiamo uno, e intendo onorarlo finché ci riesco. Così come so che farai tu.

    —Buon compleanno, Aslan. \\ Grazie dei cioccolatini \\ —Ti ringrazia dei cioccolatini.


     
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    « Se sbaglio qualcosa nel sogno di Els... la peggiore delle ipotesi è che se ne accorga. E penso tu sappia come andrebbe a finire in quel caso. » Aslan annuì. Non disse niente, tuttavia, rispetto all'importanza che per lui aveva quella conseguenza - ossia l'idea che Eliphas potesse prendersela con Joshua. Riconosceva sarebbe stata un'esternazione poco empatica da parte sua, che avrebbe soltanto dato vita ad una discussione inutile. Eppure, in cuor suo, un litigio con il demonologo non era una collaterale degna di tale nome. Tanto comunque vada, dal momento che non sembra voler essere aiutato, che si incazzerà comunque è un dato di fatto a questo punto. Si tratta soltanto di rimandare il momento. Ciò che per lo psichico rappresentava un rischio vero, invece, era l'idea che il migliore amico potesse sfuggire loro prima che i due riuscissero a raccogliere sufficienti informazioni circa quanto gli stava accadendo. Quell'eventualità avrebbe rappresentato un problema vero, ben lontano dai sentimentalismi, ai quali Lee riusciva a dare un'importanza soltanto marginale in quel contesto. Era un po' lo stesso principio che applicava a come il migliore amico aveva deciso di chiudere il loro incontro, alla fine: non era tanto importante che l'avesse tagliato fuori o fatto sentire invadente - cosa che sì, gli aveva dato comunque fastidio - quanto il contesto nel quale tale cosa era avvenuta. Dal momento che la seconda lo preoccupava ben più della prima, lo stregone proprio non riusciva a mettere a mettere in cima alla lista delle proprie priorità i sentimenti feriti. Lasciò perciò che l'obliviatore continuasse a parlare senza interromperlo: « Invece, nella migliore delle ipotesi, sarà solo convinto di aver fatto un sogno assurdo, che posso comunque cancellargli dalla testa appena si sveglia. Ma non ho mai cancellato niente dalla sua testa, né vorrei farlo Aslan. » Lo psichico emise un sospiro. « E allora non farlo. » Una risposta breve, nello stile di Aslan. « Tanto non penso sarà un discorso da tirare per le lunghe. » Si riferiva, ovviamente, alla questione di tenere d'occhio Eliphas. Nona aveva mentito quando aveva detto a Joshua che non l'entusiasmasse l'idea di agire alle spalle dell'amico d'infanzia, né intendeva farlo per un tempo più lungo dello strettamente necessario. Quella parentesi, quella collaborazione serviva soltanto per avere le idee più chiare circa la situazione del demonologo, che entrambi desideravano aiutare, ma non per questo doveva degenerare in una missione di spionaggio. « Lo conosco quel punto. Ma credo che al momento lui ed il suo dolore non siano entità distinte, te lo saprò dire meglio quando vedrò a cosa crede quando spegne la ragione e smette di pensare. » Lee inarcò un sopracciglio con fare amaramente divertito a quelle parole. « Se lo fossero non staremmo qui a parlarne, Josh. » Asserì con franchezza. « Ciò che stavo cercando di dirti è una cosa un po' diversa, ma non ha importanza a questo punto. » Parole dette senza particolare astio mentre inclinava il capo appena di lato e proseguiva dopo una breve pausa. « Teniamoci in contatto. Vederci ogni volta non è fattibile, per cui scambiamoci i numeri. » Pescò il cellulare dalla tasca, facendolo poi scivolare sul tavolo fino all'altro, di modo che potesse segnarvi il proprio contatto. « Chiaramente aggiornami sulle cose importanti. Magari fammi anche sapere quando lo vedi così mi tengo libero, nel qual caso ci dovesse essere qualche problema. » D'altra parte non sarebbe stato possibile, per lui, prendere ed andare da un momento all'altro - tra il lavoro e gli impegni con la Rosier, che comunque doveva organizzare sempre con largo anticipo, aveva bisogno di un anticipo almeno minimo perché potesse essere realmente reperibile per intervenire.
    « Buon compleanno, Aslan. Ti ringrazia dei cioccolatini. » Aslan abbozzò un sorriso. « Grazie a voi. E beh, buon anno, visto che non penso ci vedremo prima.»

     
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