Paranoia purple

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    24 dicembre, ore 17

    «Ci vado io» era stata una confessione di necessità più che un favore. «Sei sicura? Non è vicina, la locanda» Galathéa annuì, il naso arrossito dal freddo e le guance parzialmente coperte dal colletto del pile, la cerniera tirata su fin sopra la bocca. «Mi farebbe bene allontanarmi un po'» confessò assottigliando lo sguardo, il campo periferico occupato dal gruppetto di Auror e funzionari ministeriali intenti a chiacchierare e ridere rumorosamente, poco lontano. «D'accordo, posso rimanere io qui. Tanto ormai la situazione è abbastanza morta.» Théa si guardò attorno. La maggior parte dei curiosi erano venuti al mattino – quando gli abitanti di Iron Garden che non erano impegnati a partecipare al mercatino organizzato dal Ministero erano intenti a lavorare; questo aveva significato che si erano riversati nella piazza principale verso ora di pranzo, approfittando di qualche ora libera per riempirsi lo stomaco con qualcosa di caldo, ma di prestare attenzione ai giocattoli o ai vestiti dismessi che le persone avevano donato loro non ce n'era stato il tempo. Qualcuno di loro, adesso, al crepuscolo, timidamente avanzava tra le bancarelle, i volontari seduti e provati dal freddo che sfumacchiavano e cercavano di riscaldarsi come potevano – almeno i più stanchi e coraggiosi di loro, che non si lasciavano intimidire dalla presenza degli Auror e dall'imperativo implicito di lavorare anche durante la Vigilia di Natale, “per la comunità dalla comunità!” Dal canto suo, Galathéa aveva cercato di far bere i funzionari più corruttibili quanto più possibile, servendoli con quell'ossequiosità che tanto gratifica gli insicuri e i cafoni. Avanti, ispettore, è pur sempre la Vigilia di Natale – bisogna festeggiare! «Quand'è che ci canti qualcosa, ninfa?» Aveva biascicato uno di loro, ad appena le 3 del pomeriggio, l'alito fetido di vin cotto. Era riuscita a scansarne il pesante braccio infagottato, tenuto ben caldo dal proprio capotto di lana, simulando la risata più cristallina che riuscì a produrre, gettando la testa all'indietro. «Quando mi pagherete per farlo» aveva risposto, semplicemente falsa, guardandolo per qualche secondo di troppo. Per qualche istante l'euforia etilica aveva lasciato i suoi occhietti gonfi, e forse quelli avevano letto il sarcasmo nei suoi, il che doveva averlo confuso, prima ancora di indisporlo. E così si era affrettata a sorridere un po' di più, a versargli dell'altro vino, ripromettendosi di tenere più a freno la lingua. Ciò si era rivelato efficace per farlo ripiombare nella propria bolla ovattata e opaca, rabbonito e offuscato; lo era stato meno, però, per le avances che aveva continuato a rivolgerle per il resto della giornata. Anche adesso – lo sapeva, Galathéa, in quel modo in cui tutte le donne sanno esattamente che cosa stia passando per la testa di un uomo del genere, e ne percepiscono contro la
    propria volontà la posizione spaziale – se si fosse voltata nella sua direzione, l'avrebbe colto a fissarla. «Ma lo conosci, quello lì?» Deglutì, immobile, preferendo non seguire la traiettoria dello sguardo di Miles, e chinò la testa, fissandosi la punta dei piedi. Non era intimidita, né spaventata – quel tipo di occhi addosso la facevano sentire invasa, e le facevano odiare quella natura incontrollabile che la forgiava, contemporaneamente donna e sirena; la facevano sentire debole. E laddove normalmente avrebbe potuto agire, o scegliere di non farlo, ad Iron Garden era vietato sia l'uno che l'altro, perché era debole davvero, in quella condizione. «No, ignoralo» «Ma non è un warlock anche lui?» Théa sollevò il capo, inclinandolo, la treccia scura ormai scompigliata che ricadeva di lato. Fu allora che si decise a voltarsi, decifrando la sagoma di un Aslan Lee che difficilmente l'aveva riempita di altrettanto piacere, prima di allora. «Ma perché non è andato via?» Lo guardava in modo sufficientemente insistente da sembrare maleducata, forse, agli occhi di qualcuno che non la conoscesse. Qualcuno che non fosse Aslan – ormai doveva esserci abituato. «Non doveva parlarti?» Appartato in un angolino, vicino all'albero di Natale, doveva essere rimasto in giro a dare una mano. Galathéa se n'era completamente dimenticata. Aggrottò la fronte, vagamente preoccupata. Esisteva questo particolare tipo di congiunzione astrale per cui quando si palesava la figura di Aslan Lee nella sua vita, difficilmente era un segnale di buone notizie. Una sorta di oracolo, e pure nell'aspetto si sarebbe detto presagio di qualcosa, la pelle diafana e i capelli nero corvino, così incredibilmente warlock. Théa annuì, mordicchiandosi le guance. «Vado. Ci vediamo dopo.» Gli si avvicinò accelerando il passo, le mani infilate nelle tasche della giacca che non la teneva sufficientemente al caldo. «Ehi» fece infine, con un cenno del mento verso l'alto. «Scusami – non ho avuto un attimo libero.» Il modo in cui Aslan andava e veniva dal quartiere delle creature nonostante, per quanto ne sapesse Théa, risiedesse a Londra, la lasciava un po' perplessa. Avrebbe voluto chiedergli perché non faceva più attenzione di così a non destare sospetti, ma per quanto poco conoscesse lo psichico sapeva che fosse una persona fondamentalmente in gamba – per quanto poco vicini fossero. Avrà fatto i suoi calcoli. La mia situazione deve parergli altrettanto paradossale. «Ti dispiace accompagnarmi alla locanda, su per la collina? Dovrei recuperare delle altre cose che non sono riusciti a trasportare stamattina. Coperte, piumoni, qualche litro di whiskey. Cose così», provò a ironizzare, stringendo le labbra. «Parliamo e camminiamo» gli spiegò, cominciando ad avviarsi, avanzando all'indietro mentre lui decideva se seguirla. La nebbia cominciava a scendere con l'umidità della sera – era il momento della giornata che le piaceva di meno. Tracciò col dito la superficie del ditale, e la foschia umida si sollevò dalle loro sagome in penombra, quantomeno dandogli tregua dall'ulteriore fastidio della strada ottenebrata. «Uhm... Volevi parlarmi di qualcosa nello specifico?» Era sempre difficile, quando si presentava Aslan. Il motivo fondamentale risiedeva nell'assoluta praticità di ognuna di quelle visite: non esisteva la cortesia, esisteva l'utilità. Aveva detto di aver bisogno di lei un secondo – qualunque cosa significasse, richiedeva di essere affrontata. E questo significava un vuoto alla bocca dello stomaco, perché voleva dire parlare, un richiamo a ciò da cui cercava di evadere mattina e sera, che inesorabilmente la raggiungeva poi la notte. Non si sarebbe sottratta, comunque, per quanto complesso fosse. «Mi sembrava che avessi detto che avevi bisogno di me per qualcosa». O magari no, magari era lì per qualcos'altro, magari non doveva leggerci troppe dietrologie. Aveva una qualche minuta richiesta da farle, proprio a lei, per qualche motivo, le avrebbe dato una mano a recuperare quanto necessario e le loro strade si sarebbero nuovamente separate – con suo sommo sollievo.
     
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    Aslan era lì, a campeggiare, da ore ormai. Più di una volta aveva ponderato di levare le tende - dopotutto né il suo stato d'animo, né tantomeno lo spirito che Iron Garden gli trasmetteva lo invogliavano particolarmente a restare. Dubitava, in realtà, avrebbero invogliato chiunque a farlo. Ci hanno provato, per carità. L'avevano fatto - con l'iniziativa di quel mercatino, o qualunque cosa fosse. Possibile che possa addirittura risollevare temporaneamente gli animi, tutta questa cosa, ma non cambierebbe il fatto che tutto questo nemmeno dovrebbe esistere. L'esistenza stessa di un ghetto all'interno del quale relegare persone che fino al giorno prima erano state libere, adducendo motivazioni che stavano e non stavano in piedi, era, agli occhi di lui, un abominio. Gran bella grana che deve essere per il Ministero un bambino di cinque anni, aveva pensato ad un certo punto. Ma la questione è sempre quella, non è vero? C'è sempre bisogno del capro espiatorio. Era sull'onda di quel pensiero, per amor di verità, che aveva deciso di aspettare Galathéa. Con ogni probabilità, se non ci avesse pensato lei a raggiungerlo, entro breve le si sarebbe avvicinato lui stesso. L'aveva tuttavia vista impegnata, con degli auror a giudicare dalle divise, e se n'era rimasto in disparte. Di certo non voleva crearle più problemi di quanti la giovane elementale già non avesse. In fondo bastava guardarsi attorno per rendersi conto che la sola associazione con la persona sbagliata poteva costare caro. Lo stregone, d'altro canto, era ben consapevole di cosa la società magica pensasse della sua gente. Ci aveva riso su così tante volte da non poterle neanche contare. Eppure, in quel periodo, se pensava alla congrega, qualcosa gli strideva. Qualcosa di grosso e fastidioso. Non poteva fare a meno di domandarsi, Aslan, se fosse stato lui così ingenuo da non percepire lo stridio, riducendolo inconsciamente ad un rumore bianco, o se ad un certo punto fosse semplicemente andato storto qualcosa. Se la loro società fosse sempre stata fondamentalmente marcia o se qualcosa si fosse putrefatto nel tempo. Questo senso di superiorità e per cosa, se non sappiamo nemmeno seguire i nostri stessi principi? «Ehi» L'aveva percepita avvicinarsi, certo - ma attese che fosse lei a rivolgergli la parola per distendere le labbra in un accenno di sorriso. Nonostante tutto era contento di vederla tutta intera. Potevano aver avuto i loro screzi, certo, e Lee era più che consapevole di non essere la persona preferita della ragazza, ma questo non significava che lui non provasse comunque una punta di affetto nei suoi confronti. «Scusami – non ho avuto un attimo libero.» Scosse appena il capo, Aslan. « Ho notato, tranquilla. Tanto più che è stata un'improvvisata. » Si strinse nelle spalle a rafforzare quel concetto. In fondo, se ci pensava, non sapeva nemmeno dove collocare con esattezza il loro rapporto. Non erano certamente amici, ma non erano neppure estranei. Forse lui era soltanto un punto di contatto con qualcuno di a lei più caro, momentaneamente irreperibile per cause di forza maggiore. Parlando di capri espiatori - quello per eccellenza. «Ti dispiace accompagnarmi alla locanda, su per la collina? Dovrei recuperare delle altre cose che non sono riusciti a trasportare stamattina. Coperte, piumoni, qualche litro di whiskey. Cose così. Parliamo e camminiamo. » Si era già avviato con lei, ma non poté far altro che arricciare le labbra in un sorriso divertito, sbuffando poi una risata dal naso. « Ah, quindi avevi solo bisogno di un paio di braccia in più. » Alzò gli occhi al cielo, fintamente contrariato da quell'immenso sgarbo, nonostante fosse ben lontano dall'esserlo. In realtà, in qualche strano modo, da quando Théa aveva messo piede nel suo spazio personale, quel giorno, si sentiva appena un po' meglio. Compreso, probabilmente, a livello subconscio. Alla fine, per quanto non avesse ancora deciso quanto avrebbe condiviso con lei - troppo presto per deliberarlo - restava comunque una figura familiare. Qualcuno che poteva capire come si sentisse in quel frangente della sua vita, pure senza bisogno di condividerlo. «Uhm... Volevi parlarmi di qualcosa nello specifico? Mi sembrava che avessi detto che avevi bisogno di me per qualcosa. » Il giovane annuì, serio, reprimendo un grosso sospiro.
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    « L'ultima volta mi hai chiesto di recapitare per conto tuo un messaggio per la Congrega, se ricordi. » In busta, che sapeva di ufficiale, ma che aveva permesso alla warlock di mantenere un minimo di privacy. Dopotutto dubitava, Aslan, che la giovane volesse necessariamente renderlo partecipe delle sue questioni private. « L'ho fatto. Prima di venire qui oggi ho provato a mettermici in contatto, anche - già che c'ero, ho pensato di ottimizzare i tempi. » Non è stato possibile ottimizzarli. Puntò lo sguardo onice negli occhioni di lei, scuotendo appena la testa. « Mi hanno sostanzialmente liquidato con un 'le faremo sapere noi'. Non so se perché non volevano dire nulla a me nello specifico o se perché vogliono tirare la corda con te. » Pausa. « Dall'aria che tirava - se me lo chiedi - la seconda. » O forse entrambe. Dipende fortemente da cosa gli hai chiesto. In fondo, per quanto non avesse fatto una piega, esternamente, era chiaro che il periodo in cui lo maneggiavano con particolare cautela, Aslan, non fosse terminato. Aspettavano probabilmente che esplodesse come una bomba ad orologeria, attendevano solo di coglierlo in fallo mezza volta. Magari per sbattere fuori anche me. Ma non sono così ingenuo. Aslan era paziente; era il genere di persona che, tra predisposizione naturale e skill affinata, sapeva meglio di chiunque aspettare un cadavere in riva al fiume. Il che voleva dire che quello stallo si sarebbe prolungato finché una delle due parti non avesse ceduto, e lo psichico aveva la presunzione di credere che a cedere non sarebbe stato lui. « Poi ci sono due questioni. Una riguardante la nostra vecchia conoscenza in comune. L'altra una più nuova, diciamo - mi ha contattato con la scusa che siete state colleghe. Sto lavorando al suo caso, se hai avuto modo di aiutarla in qualche maniera, un tuo feedback mi farebbe molto comodo. Se ti andasse di aiutarmi per quel che puoi, ovviamente. »


    Edited by haegeum - 6/1/2024, 14:18
     
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    «Ho notato, tranquilla. Tanto più che è stata un'improvvisata.» Mentre Théa avanzava, accanto ad Aslan, teneva la testa bassa, la fronte appena corrugata. Era rimasto lì tutta la giornata per aspettare lei? Di tutte le cose che probabilmente Aslan aveva da fare, sicuramente parlare con Théa non poteva essere la più importante, a meno che non portasse notizie di una certa gravità. Non potevano esserci motivazioni personali, sebbene il ruolo che il warlock rivestiva in sedi come quella, nella vita di Galathéa, non potesse neanche prettamente definirsi professionale. Faceva parte di quelle mansioni saltuarie di cui farsi carico per conto della Congrega, il prodotto del far parte di una comunità così solida – un'enorme seccatura. Eppure Aslan adempieva ai propri doveri, le sembrava, senza protestare più di tanto. Si era fatta l'idea che fosse una persona con un forte senso del dovere, un'etica comportamentale piuttosto serrata – similmente alla propria, quindi, e a quella di molti loro compagni, completata da un carattere tendenzialmente piuttosto docile e accondiscendente. Era uno che tendeva a farsi i fatti propri, tipicamente; il problema, per lei, era emerso soltanto quando nei “fatti propri” erano stati inclusi i fatti di Galathéa – non tanto perché improvvisamente l'interesse di Aslan fosse stato rivolto nella sua direzione in virtù di aspetti personali, immaginava, ma piuttosto perché doveva aver avvertito un qualche senso di dovere nei confronti di lei, ad un certo punto, ed era stato proprio quel fatto a indispettirla, in passato. Forse, paradossalmente, se avesse provato ad avvicinarla senza sentire di dover assolvere a un qualche obbligo, retaggio della cultura in cui erano cresciuti e di aspetti di personalità di Aslan stesso, ma piuttosto per una sincera curiosità personale, un'affinità che spiegasse quell'occhio di riguardo, allora Théa si sarebbe mostrata più duttile, più ben disposta. Sentirsi come una questione di cui occuparsi non le era mai piaciuto più di tanto. Persino quando le si era avvicinato dopo la separazione da Eliphas non era riuscita ad esimersi dall'avvertirlo come un modo per colmare un vuoto, cercare di calarsi nella parte di una qualche specie di punto di riferimento sostitutivo all'originale, forse avendola vista particolarmente in difficoltà, forse soltanto perché aveva cercato di fare la cosa giusta, quella più gentile. Era in questo nodo che si racchiudeva il leggero disagio che percepiva ogni volta che interagiva con Aslan, come se vi fosse sempre un implicito istinto di controllo in nome di qualcos'altro che li univa, qualcosa al di fuori della naturale organicità di un rapporto personale. Quella volta, però, non si era trattato di un dovere sovraordinato o arbitrariamente avvertito dal ragazzo, nei suoi confronti; Galathéa sapeva che tipo di informazione le avrebbe dato, avendo approfittato per la prima volta in prima persona del canale comunicativo che lui offriva tra lei e la Congrega – tra un po' tutti, a dire la verità, sparsi com'erano in giro. Una sorta di emissario discreto ed estremamente professionale, questa era l'impressione che Aslan le dava, persino in quel momento, le mani infilate nelle tasche, l'espressione seria. «L'ultima volta mi hai chiesto di recapitare per conto tuo un messaggio per la Congrega, se ti ricordi.» Non voleva saperlo, ma allo stesso tempo non poteva sottrarsi alla curiosità morbosa, come quando cadendo sai di esserti ferito, e che il taglio sia profondo, e non di meno desideri guardarlo, pur sapendo che ti sconvolgerà. «Lo ricordo» disse con un sorriso accennato un po' amaro. Era stata una richiesta di qualche mese prima, a quel punto, poco dopo essere arrivata nel ghetto, dove aveva accettato di venire rinchiusa nella speranza di non rimanerci a lungo, auspicando una qualche intercessione – questo si era raccontata, almeno – che però, chiaramente, non sarebbe arrivata. «L'ho fatto. Prima di venire qui oggi ho provato a mettermici in contatto, anche - già che c'ero, ho pensato di ottimizzare i tempi.» Sentì il bisogno di fermarsi, raggiunta la fine della salita che stavano percorrendo, e per qualche istante poggiò la schiena contro il muro di un edificio, le braccia conserte, mentre riprendeva un po' il fiato e ascoltava Aslan parlare. Il messaggio da recapitare era stato semplice quanto ingenuo, lei lo sapeva bene, ma per qualche motivo aveva sentito il bisogno di scriverlo lo stesso, forse per convincersi che avesse le mani legate come si era detta, e che quella fosse stata davvero l'unica scelta che aveva potuto compiere. Sarei potuta fuggire, e nessuno mi avrebbe coperto le spalle. Non sapeva se Aslan l'avesse letta, la lettera che aveva scritto. Avrebbe potuto farlo, comunque – era il minimo, sapere che messaggio stai recapitando per conto di una persona che al momento non ha la possibilità di incontrare la Congrega personalmente. O meglio, avrebbe potuto, se non le avessero
    jGY72R7
    risposto negativamente ad ogni richiesta di ricevimento – preferivano le convocazioni, si vedeva. «Mi hanno sostanzialmente liquidato con un 'le faremo sapere noi'. Non so se perché non volevano dire nulla a me nello specifico o se perché vogliono tirare la corda con te.» La seconda. Galathéa sospirò. «Dall'aria che tirava - se me lo chiedi - la seconda.» Annuì, lentamente, stringendo le labbra rosee. «Non vogliono prendere una posizione» disse con voce fredda, lo sguardo puntato sull'asfalto, mentre si passava la lingua sui denti. Era in gabbia e ci si era messa da sola, sapendo che nessuno sarebbe venuto ad aprirla. L'aveva fatto per non dover partire di nuovo, non doversi allontanare di nuovo, non doverlo perdere di nuovo. Ma naturalmente non puoi tenere stretto qualcosa che non ti appartiene – come sabbia tra le dita, scivolerà, polvere alla polvere. Deglutì, ingoiando il rospo, affondando gli incisivi nella carne del labbro inferiore. Aslan doveva aver capito di cosa si trattasse, in fondo: cos'altro una persona che aveva perso tutto poteva chiedere alla propria Congrega, se non di aiutarla? Di tutelarla? Una richiesta mortificante, un compromesso con il proprio orgoglio che era costato talmente tanta fatica da imporle una scrittura asciutta e priva di sbavature; ma come poteva tenere una maschera di freddezza quando aveva compiuto una scelta così stupida? Con quale credibilità cercava di recuperare un po' di dignità, quando si era consegnata a quel modo alle mani di Minerva, come un'ingenua, una qualunque strega ignara della realtà dei fatti? Avrebbe dovuto fuggire, pensare a sé stessa, a nient'altro – questo è quello che succede quando non sei egoista. Eppure ci provava, strenuamente ci provava, ad essere migliore. «Non è un segreto per nessuno, purtroppo, che io abbia commesso un errore madornale a consegnarmi ad Iron Garden» fece con la testa ancora un po' abbassata, la voce ridotta ad un sussurro, le pareti del ghetto che sembravano essere munite di orecchie. Si passò una mano sul viso, i letti delle unghie sporchi di terra. «Perché l'ho fatto?» Fu quasi inaudibile, le labbra premute contro i palmi freddi. Solo qualche istante dopo scostò la mano dal viso, ravviandosi i capelli, le palpebre che si riaprivano lentamente. «Ho sbagliato quando sono venuta in Scozia, purtroppo. Potevo farmi assegnare altrove, ma ho scelto proprio di venire qui.» Alzò lo sguardo, finalmente puntandolo in quello di Aslan, per qualche motivo predisposta a certe confessioni personali, di cui certamente si sarebbe pentita. Sappiamo entrambi perché. «Potevo rimanermene a Lione, eh?» Piegò un angolo della bocca verso l'alto, ricordando il breve periodo che aveva trascorso lì, quando anche Aslan era stato assegnato alla stessa città. «Ho sempre pensato di esserci rimasta per troppo poco.» Continuò, annuendo distrattamente, volgendo leggermente il capo verso un punto indistinto alla loro destra.
    «Poi ci sono due questioni. Una riguardante la nostra vecchia conoscenza in comune.» Corrugò nuovamente la fronte, tornando a guardare lo psichico. Sperava che Aslan non ne avrebbe fatto menzione. Esiste quel sottotesto onnipresente, ogni qualvolta ci si incontri con amici di persone che amiamo, per cui non desidereremmo fare altro che chiedere di loro, e contemporaneamente ci tratteniamo dal farlo, la paura di avvicinare troppo la mano alla fiamma ardente, e si preferisce rimanere sospesi in quel limbo in cui speri che nessuno dei due cederà e ne farà parola. Fortunatamente, Aslan continuò a parlare. «L'altra una più nuova, diciamo - mi ha contattato con la scusa che siete state colleghe. Sto lavorando al suo caso, se hai avuto modo di aiutarla in qualche maniera, un tuo feedback mi farebbe molto comodo. Se ti andasse di aiutarmi per quel che puoi, ovviamente.» Inspirò profondamente, facendogli cenno con la testa di seguirla per riprendere a camminare verso la locanda. «Uhm... Parli di Juniper? Perché si è rivolta a te?» Non la sento da una vita. Non sapeva neanche se fosse viva o morta, se ne rendeva conto adesso. Niente di strano, per lei, a quel punto quasi un modus operandi, comparire e scomparire dalla vita delle persone senza preoccuparsi di tenerne traccia; non era che non le interessasse, era solo sempre stato molto difficile legarsi davvero a qualcuno. Aveva viaggiato tanto, nella sua vita. Non era mai stata brava, a tenere i contatti, a forgiare le amicizie. Who you are is someone who leaves. «Lavorando al suo caso che significa?» Fece ancora, inclinando la testa. «La stai aiutando come psichico La domanda suonava retorica, ma non lo era. Galathéa guardò Aslan varcare la soglia della locanda, tenendogli la porta aperta, per poi fargli strada verso le scale che conducevano al piano inferiore. Non riusciva ad immaginare perché a Juniper servisse un aiuto da parte di un warlock psichico – e si domandava anche quanto fosse appropriato che Aslan ne facesse menzione con lei. «Io l'ho aiutata per qualche settimana ad attivare alcune potenzialità inespresse, diciamo», disse, a voce bassa. «Ma non è un lavoro che io ho mai dovuto fare, per cui non sono mai riuscita ad aiutare granché.» Si avvicinò a qualche candela, sistemata lungo il bordo della mensola disposto al di sopra di un piccolo camino, e sembrò accarezzare l'aria sovrastante, le fiammelle che guizzarono verso l'alto, brillanti e calde. Si voltò verso Aslan, stringendosi nelle spalle. «Che tipo di feedback ti serve?»
     
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    «Non vogliono prendere una posizione» Ma ne hanno già presa una, dico bene? Un pensiero amaro dello psichico mentre, in silenzio, per rispettarne gli spazi forse, posava lo sguardo sulla giovane Durand. Ne hanno presa una dal momento in cui ti hanno lasciata qui, a te stessa, dopo averti fatto credere per anni che facessi parte di una comunità che ti avrebbe tutelata. Aslan non avrebbe saputo dire fino a che punto Galathéa si fosse sentita effettivamente parte di quel qualcosa, di quell'insieme che la loro società aveva sempre promosso. Gli era sempre sembrata molto sulle sue, guardinga quasi, difficile da avvicinare. Ad un certo punto aveva semplicemente accettato la cosa e, non volendo risultare invadente, lasciato perdere ogni tentativo di approfondire. Non perché il comportamento di lei l'avesse in qualche maniera indispettito, quanto perché riteneva giusto rispettare gli spazi altrui. Soprattutto nel momento in cui gli veniva fatto intendere che non vi fosse gradito. Tuttavia, nel calcare quella strada accanto a lei, non poté fare a meno di sentirsi stringere il cuore. Non perché provasse pena per lei, quanto perché, qualsivoglia fosse il grado di attaccamento di lei ai principi warlock, l'avevano comunque tradita in una delle maniere più indegne possibili. Forse non era stata esiliata formalmente - le avevano risparmiato almeno quell'umiliazione - restava che però avessero ugualmente nullificato anni ed anni di insegnamenti impartiti in un solo gesto. Forse era presuntuoso da parte sua collocarsi al suo stesso livello... però. Però il dolore di ogni certezza che crolla lo conosco. E guardarlo per una seconda volta è... Cos'era, esattamente? Frustrante? Devastante? Un qualcosa che si collocava perfettamente a metà tra quei due sentimenti? Era complicato. Un qualcosa che, per il momento, non aveva ancora avuto il tempo o il modo di analizzare. O anche soltanto sfogare. Forse, per quanto stupido potesse essere, in minima parte non si sentiva nella posizione. Non ancora, almeno, non con tutti quei problemi irrisolti, non con tutte quelle cose da fare. E poi... con chi? Lee era sempre stato molto lento a formare legami già di suo; gli era sempre risultato più semplice ascoltare che non parlare. Gli era sempre venuto più spontaneo adoperarsi per risolvere un problema anziché piangersi addosso. In quel contesto, dove la sua fiducia era stata tanto barbaramente minata, quella caratteristica era andata esacerbandosi. Il suo punto di riferimento solito, il migliore amico, non avrebbe potuto cercarlo. Di certo non poteva lamentarsene con Inanna, la propria madre, né tantomeno poteva cercare appoggio dalla mamma di Eliphas. Altra gente con cui fosse sufficientemente a suo agio non ce n'era. E dire che gli sarebbe bastato poco. In una realtà parallela dove uno sfogo gli era accessibile, probabilmente lo stregone nemmeno avrebbe sentito il bisogno di approfondire chissà quanto la questione. Gli sarebbe stato sufficiente sedersi davanti ad un pasto caldo, sapendo in fondo al cuore che, se proprio avesse voluto, avrebbe potuto farlo. Ma quella possibilità lui non sentiva di averla; sentiva invece, distintamente, un dolore cronico ma sorprendentemente acuto, quasi si stesse abituando a camminare sui cocci delle proprie certezze. «Non è un segreto per nessuno, purtroppo, che io abbia commesso un errore madornale a consegnarmi ad Iron Garden. Perché l'ho fatto? Ho sbagliato quando sono venuta in Scozia, purtroppo. Potevo farmi assegnare altrove, ma ho scelto proprio di venire qui. Potevo rimanermene a Lione, eh? Ho sempre pensato di esserci rimasta per troppo poco.» Ne incontrò lo sguardo, Aslan, osservandola con attenzione. « Potevi veramente saperlo? » Le chiese a bassa voce, sincero. Non c'era pietà nel suo tono, non c'era quella melliflua morbidezza atta a consolare qualcuno come una malriuscita pacca sulla spalla. « Che tu l'abbia fatto perché ti sembrava la cosa più giusta o perché semplicemente desideravi farlo, qual è la tua colpa in tutto questo? » Gli appariva stanca, la giovane, ma di una stanchezza differente da quella fisica. C'era qualcosa nei suoi occhi, o forse se lo stava soltanto immaginando. Forse era la propria, quella stanchezza che vedeva. « In tutta franchezza, da qualsiasi prospettiva io guardi questa situazione, quella in torto non mi sembri tu. » Freddo e deciso nel dirlo, quasi un po' della rabbia che provava - un po' di quel camminare sui cocci - stesse pian piano risalendo in superficie. Aslan era sempre stato piuttosto pacato - un po' per indole, un po' perché il suo lavoro l'aveva reso così - ma era pur vero che anche lui avesse un punto di saturazione. Preferiva non arrivarci di solito. Era il tipo di persona, il giovane, che colpiva una volta e basta. E colpiva con l'intenzione che il primo colpo fosse anche quello di grazia. « Non mi piace per niente la piega che tutta questa storia ha preso. Il comportamento dei nostri nei confronti dei nostri stessi simili. » Scosse la testa, infastidito all'idea. Era per questo che era venuto ad Iron Garden. Era una presa di posizione anche quella. Se fosse stato più avventato, probabilmente, per lo smacco che aveva sentito, avrebbe cominciato a fare piani per andarsene. Ma non aveva alternative solide e c'erano troppe questioni irrisolte al momento. Di una cosa era certo, però: non avrebbe dimenticato quel comportamento. E di certo non l'avrebbe mandato giù sul serio. Comunque aveva seguito Galathéa alla volta della locanda, guardandosi attorno per carpirne l'atmosfera. «Uhm... Parli di Juniper? Perché si è rivolta a te? Lavorando al suo caso che significa? La stai aiutando come psichico L'altro, che l'aveva seguita silenziosamente, le scoccò un'occhiata nell'ambiente semibuio. « Si è rivolta a me, presumo, perché non aveva molte alternative. Per quanto non faccia certamente bene al mio ego dire una cosa simile. » Lo disse con una punta d'ironia, l'angolo della bocca che scattava verso l'alto a sottolineare la cosa. « Presumo che tu le abbia accidentalmente fatto il mio nome o qualcosa del genere. Diciamo che, tutto sommato, non ha bussato alla porta sbagliata. » Si strinse nelle spalle, quasi avesse detto un'ovvietà. Poteva beccare qualcuno che semplicemente le avrebbe detto di no. O peggio, vista la situazione attuale tra i nostri.
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    « La sto aiutando come psichico, sì. Ed in realtà il suo è un caso particolare, dove sto cercando di essere il più delicato possibile. » Non voleva ammorbare Galathéa con dettagli inutili circa equilibri complessi da lasciare intatti o tecnicismi di sorta - seppure non si sarebbe indietro dall'essere più specifico, qualora lei gli avesse posto domande dirette. « Ed è qui che mi serve il tuo feedback. Ed un aiuto, anche, perché tra i due l'elementale che sa il fatto suo non sono certamente io. » Le stese un mezzo sorriso, seppure il tono usato fosse stato abbastanza fattuale. Che Galathéa fosse competente, al di là delle loro incompatibilità personali, non era un qualcosa che avrebbe mai messo in discussione. « Posso chiederti se ricordi quanto riusciva a fare con te, in termini di magia di quel tipo? Sarebbe ottimo, anche, se riuscissi a consigliarmi qualcosa da farle fare che per lei sia potenzialmente accessibile, ma che a tuo avviso è meno semplice di quanto non sembri. Voglio che trovi l'asticella del suo limite prima di, beh, fare lo psichico. » Non era un mistero per nessuno dei due, d'altra parte, che la magia praticata dagli psichici fosse sì potente, ma pure pericolosa. E se con una persona diversa, in una situazione diversa, avrebbe potuto permettersi di esercitare meno cautela, non era certamente quello il caso. Il problema è che questo non è un lavoro normale. E devo ottimizzare tempi e risultati quanto più riesco. Fu una scelta quella di non toccare la questione di Eliphas, per il momento. Non voleva ficcargliela giù per la gola, seppure avesse notato che la ragazza non gli avesse fatto domande. Decise, piuttosto, di attendere.


    Edited by haegeum - 18/1/2024, 11:07
     
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    «Potevi veramente saperlo?» Il tono con cui Aslan pronunciò quella frase la prese alla sprovvista per qualche secondo, così si girò a guardarlo, pensierosa. «Che tu l'abbia fatto perché ti sembrava la cosa più giusta o perché semplicemente desideravi farlo, qual è la tua colpa in tutto questo?» La mia colpa è essermi comportata in modo stupido e illogico. E il peso di questa mossa irrazionale me lo devo piangere solo io. Non espresse quel pensiero, naturalmente, limitandosi a infilare le mani nelle tasche e chinare il capo, senza reagire. Il modo in cui aveva gestito quell'intera situazione non riusciva a spiegarselo, era come guardare il playback di una partita di scacchi assistendo a tutti i modi in cui aveva giocato male, o ancora di più, in cui si era autosabotata. Ma adesso era lì, e non c'era tempo o spazio per piangersi addosso o chiedere compassione. Era stata stupida e ne avrebbe pagato lo scotto. Del resto, era questo che succedeva quando si lasciava che le emozioni governassero il comportamento invece della ragione. Avrebbe dovuto impararlo, a quel punto della propria vita. «In tutta franchezza, da qualsiasi prospettiva io guardi questa situazione, quella in torto non mi sembri tu.» Capiva bene a cosa si riferisse Aslan, ma non potè convenire con lui fino in fondo. «Non mi piace per niente la piega che tutta questa storia ha preso. Il comportamento dei nostri nei confronti dei nostri stessi simili.» Fece passare qualche secondo prima di rispondergli, un sospiro pesante che le sfuggì dalle labbra. «No, è chiaro che alle nostre spalle c'è un sistema marcio e fallace», un pensiero che aveva sempre portato dentro di sé da quando era adolescente, l'unica voce fuori dal coro dell'idillio felice che la comunità warlock rappresentava per tutti gli altri. «Ma se tu non ti giochi bene le tue carte non puoi prendertela con il gioco e le sue regole, capisci che voglio dire? La verità è che a me di questa guerra non è mai importato niente», fece a voce più bassa, corrugando la fronte, domandandosi se ciò che aveva appena detto fosse vero, e sopratutto se fosse saggio rivelarlo al warlock. Un'inconfessabile verità che cominciava a risalire dalle profondità sempre di più, sfiorando la superficie, concedendosi di fare capolino nella mente di Théa di tanto in tanto. Era un'egoista? La storia della warlock era fatta di negoziazioni e sacrifici in nome della comunità; quando da più piccola non riusciva a esimersi dal mettere in discussione certe regole, a sentirsi fino in fondo parte di qualcosa, aveva reagito con una ribellione aperta e smodata, complice quella sua duplice natura, che le permetteva di rimanere sempre un passo fuori. Non era stata una studentessa brillante, non aveva saputo creare buoni rapporti con nessuno dei suoi compagni o insegnanti. Aveva pericolosamente accarezzato il confine del peccato peggiore, l'individualismo, prima di rientrare nei ranghi della comunità, il suo bisogno di individuazione accolto dall'incontro con punti di riferimento veri, che sapevano colpirla e ispirarla – come Eliphas. L'aveva preso a modello e aveva cerchiato in rosso tutti i propri imperdonabili difetti, tutte le storture che lui invece sapeva domare, lisciare, correggere. L'unico modo per nobilitare quella sua sporca natura era il lavoro, duro e instancabile, anche quando non ci credi davvero, anche quando è solo una questione di disciplina. Che lui credesse a principi come quelli contava poco: per lei era questo ciò che rappresentava, era quella la strada per l'assoluzione. Senza di lui al suo fianco quell'intero castello di sabbia cominciava a crollare – non si può fingere per sempre di essere chi non siamo. Qualcosa dentro di lei scalpitava per poter essere lasciato libero di uscire. «Di schierarmi in questo modo, rinunciare a tutto quanto così... Non l'ho mai fatto in nome di una missione o di un qualche obiettivo superiore, di armonia o equilibrio.» Aveva colpe, era determinata a dimostrarlo. Soffocò una risatina amara, schioccando la lingua. «Sinceramente, credo di aver ricevuto in cambio esattamente lo stesso trattamento che ho sempre riservato io alla congrega. Non posso biasimarli più di tanto».
    All'interno della locanda faceva appena più caldo. Si mise a sedere su una delle cassapanche del piano interrato, per ascoltare quanto Aslan avesse da chiederle, e per finalmente riposare un po' le gambe. Le stese di fronte a sé, poggiando la testa al muro per qualche istante, reclinandola all'indietro. «Si è rivolta a me, presumo, perché non aveva molte alternative. Per quanto non faccia certamente bene al mio ego dire una cosa simile. Presumo che tu le abbia accidentalmente fatto il mio nome o qualcosa del genere. Diciamo che, tutto sommato, non ha bussato alla porta sbagliata. [...] Posso chiederti se ricordi quanto riusciva a fare con te, in termini di magia di quel tipo? Sarebbe ottimo, anche, se riuscissi a consigliarmi qualcosa da farle fare che per lei sia potenzialmente accessibile, ma che a tuo avviso è meno
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    semplice di quanto non sembri. Voglio che trovi l'asticella del suo limite prima di, beh, fare lo psichico
    E a te cosa ti torna indietro? Théa sollevò un sopracciglio, riaprendo gli occhi che aveva chiuso automaticamente appena si era messa seduta. Avvicinò le ginocchia al petto, cingendosele con le braccia, prima spostare lo sguardo sulla piccola stufetta a legna nell'angolo della stanza, che d'improvviso fu illuminata da piccole fiamme che divampavano all'interno, evocate silenziosamente da Galathéa. Poggiò quindi il mento tra le ginocchia, ragionando. «Quindi tipo la aiuti a sbloccare i suoi poteri» fece, sottolineando l'ovvio. «Non immaginavo che rientrasse nelle competenze di uno psichico.» Doveva rientrare in faccende personali, favori che Aslan doveva sentirsi incline, per qualche oscuro motivo, a elargire nei confronti di chi glielo chiedesse. Probabilmente aveva fatto il nome dello stregone inavvertitamente, perché difficilmente le sarebbe venuto a mente di collegare il problema di Juniper con qualcosa che Aslan avrebbe potuto fare per lei. E invece, a quanto pareva, Lee era proprio un buon samaritano. Piegò gli angoli della bocca verso il basso, vagamente colpita. «È un bel gesto, da parte tua. Che ci guadagni?» Fu molto diretta nel chiedere, inclinando appena la testa. Théa l'aveva aiutata in minima parte, e comunque tra loro c'era un rapporto più personale, amicale; in più, la magia degli psichici, per quanto altrettanto potente, era senza alcun dubbio immensamente più dispendiosa di quella di un elementale, per cui se fare da coach a Juniper per lei era stata una questione più esplicativa, uno sforzo quasi più pedagogico, per Aslan si sarebbe trattata di una partecipazione attiva e discretamente faticosa, immaginò. Sempre questo prodigarsi tanto per gli altri. «Io ricordo basilari capacità di evocazione, ma per me è diverso, perché io sono cresciuta warlock prima che ondina. Le due cose sono intrecciate per me.» Corrugò la fronte, cercando di sforzarsi per riportare alla memoria quanto la avesse visto fare. «La maggior parte dei poteri di un'ondina sono legati alla sua voce, comunque, che per esempio è una cosa con cui io lavoro pochissimo, usando più magia nera». Si strinse nelle spalle, serrando le labbra. «Forse in primis dovreste proprio definire quali sono gli obiettivi. C'è chi è più ferrato sulla manipolazione dell'elemento, chi sulle doti divinatorie, chi su quelle persuasive... No? Io mi sono sempre concentrata più sulla prima, forse June deve trovare il suo canale.»
     
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