Hole in the sun

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    Tirò fuori il cellulare dalla tasca della giacca, accendendo lo schermo per controllare l'orario. Le quattro e quaranta di pomeriggio. Nessun messaggio o chiamata. Sospirò, scendendo dall'automobile per appoggiarsi con la schiena contro la vettura, le braccia conserte. Faceva freddo, sì, ma era sempre meglio della puzza di fumo mista ad arbre magique che impregnava l'abitacolo di un aroma nauseabondo. Quelle macchine che il capo metteva loro a disposizione, chiaramente condivise, erano vere e proprie fogne. Le prime volte, Raiden aveva sempre tentato di dargli una ripulita, rendendole quanto meno dignitose; aveva gettato presto la spugna, però, nel rendersi conto che ogni suo sforzo venisse puntualmente vanificato nel giro di ventiquattr'ore. Forse era meglio così: a giudicare da ciò che ci trovava dentro, limitare il contatto al solo volante era probabilmente la scelta più saggia. Jerome era in ritardo, il che era piuttosto in linea con la figura del cognato, ma non per questo meno preoccupante. In altri tempi la cosa lo avrebbe solo moderatamente infastidito, ma adesso i giochi erano cambiati e il ritardo ad un appuntamento poteva significare molto più della noncuranza - specialmente per un abitante del ghetto. Lo sguardo del giovane Yagami rimaneva puntato sulla stradina di fronte a sé, unico accesso al luogo di incontro prestabilito. Dietro di sé l'assordante rumore meccanico delle automobili che venivano demolite nella discarica di rottamazione. Aveva scelto quel posto perché piuttosto isolato, ma facilmente raggiungibile da Iron Garden. Si trovava poco fuori dalla zona industriale di Londra, vicina al club in cui Raiden lavorava. Ci andava abbastanza spesso: il gestore aveva un accordo col suo capo per distruggere quelle vetture che per un motivo o per un altro (di solito ragioni ben poco pulite) non potevano più utilizzare. Non faceva domande, non gli faceva compilare alcun documento, e si girava dall'altra parte se qualcuno dei loro si presentava per altri motivi. Le istruzioni che aveva dato a Jerome erano piuttosto chiare, sia per raggiungere il punto di ritrovo, sia per le precauzioni da adottare. Gli aveva chiesto esplicitamente di usare solo mezzi babbani per spostarsi - non che ci fosse bisogno di ribadirlo, ma era comunque bene farlo. Avrà scelto di venire a piedi? Sospirò, guardandosi solo brevemente alle spalle per accertarsi comunque di non essere osservato dal gestore, che se ne stava beatamente nella sua torretta con delle cuffie anti-rumore sulle orecchie. Con quel casino era davvero difficile sentire alcun suono più distante di un metro, ma le sue orecchie sembrarono comunque captare i passi in avvicinamento sul selciato. Si voltò, inquadrando la figura di Jerome in arrivo dalla stradina. Gli rivolse un cenno del capo, sollevando gli angoli delle labbra in un piccolo sorriso. Non aveva mai capito bene se gli stesse antipatico o meno, ma abituato com'era al carattere non dissimile di Eriko, la cosa non lo aveva mai eccessivamente turbato. In quelle circostanze, poi, sarebbe stato comunque l'ultimo dei problemi. « Hai avuto problemi per venire? » gli chiese quando fu abbastanza vicino. Non sufficientemente in confidenza per salutarlo con una pacca ma nemmeno abbastanza distanti da saltare ogni convenevole a pie' pari, il giapponese stese un sorriso più gentile. « Come stai, Jerome? Te la cavi? » Perché alla fine era un po' quella, la sorte più auspicabile ad Iron Garden: cavarsela. Ne era in grado? Riusciva a restarsene fuori dai guai? Intimamente lo sperava. Tirò un altro sospiro, scostandosi dalla vettura per aprire la portiera e sporgersi al suo interno, piegato per allungarsi verso il sedile del passeggero, dove aveva un'anonima busta bianca con i manici piegati tra loro a formare un nodo. « Ti ho portato qualcosa. Non so se riesci a farlo entrare. Ci stanno gli snack che mi ha chiesto Eriko, farmaci generici per Haru - dalli sempre ad Eriko, che così Mia non fa troppe domande - e per te sigarette. Mi pare siano quelle che fumi di solito. » Gli allungò la busta, sollevando velocemente gli angoli delle labbra. A quel punto, richiusa la portiera ed esauriti i convenevoli del caso, il giovane Yagami rimase per qualche istante in silenzio, incerto su come aprire il discorso. Non lo aveva invitato lì solo per dargli quella roba, ovviamente, né perché sentisse terribilmente la sua mancanza; lo scopo era ben preciso - più di uno, in realtà. « Senti.. Mia ti ha detto qualcosa ultimamente? Di quello che succede fuori, intendo. » Gli scoccò un'occhiata, cercando di capire come quelle parole potessero essere interpretate. Non sapeva bene in quali limiti potesse parlare dell'incontro con gli altri ricercati per coinvolgerlo senza rischiare di divulgare troppo. « Con gli altri ci siamo.. rimassi in contatto, diciamo. A lei ho già detto la situazione. Al momento non è che ci sia molto di pratico su cui lavorare, e abbiamo bisogno di appoggio da chi si trova ad Iron Garden. » Fece una pausa. « Ci hanno dato un po' di soldi, dei luoghi sicuri, contatti.. cose così. » Indicò la busta con un cenno del capo. « Nella scatola di mochi ci stanno un paio di telefoni usa e getta. Sono per te ed Eriko. Mia già ne ha uno. Vi ho messo qualche numero dei nostri, ma se non vuoi rischiare lo capisco. » Di certo non lo avrebbe colpevolizzato. I principi potevano essere qualcosa di nobile, ma anche qualcosa di estremamente pericoloso. « E poi volevo chiederti un'altra cosa. » Fece una pausa, cercando mentalmente il modo migliore per formulare ciò che aveva in testa e che lo teneva spesso sveglio la notte. « Mia te lo ha detto come fa ad entrare e uscire dal ghetto? Come compra le cose ad Haru? » Non era certo che Jerome ne fosse al corrente. Forse lo era e gli andava bene. Forse invece non sapeva nulla né aveva notato niente di diverso dalla norma in sua sorella. « Ti ha parlato del Pulse? » Fece un'altra pausa, scuotendo piano il capo e stringendosi nelle spalle. « Sono solo preoccupato, Jerome. Quelli non sono posti in cui puoi semplicemente scegliere cosa fare e cosa no. Adesso saranno solo incontri di lotta - e già questo non va bene -, ma non credo che Mia abbia ben capito quanto rischia con quella gente. Le ho fatto promettere di non tornarci più, ma.. beh, la conosci da più tempo di me. » Puoi capire la mia preoccupazione, immagino.

     
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    8 gennaio

    Non era che avesse ritardato di proposito. I rapporti tra Jerome Wallace e il cognato non erano sufficientemente stretti da portarlo a poter affermare con convinzione di conoscerlo bene, e questa era una verità valida per ambe le parti – per quanto Raiden, di tanto in tanto, gli desse l'impressione di dimenticarselo, e lasciasse trapelare da alcuni atteggiamenti un qualche velato giudizio, o la sensazione che senz'altro ve ne fosse uno sotto gli strati di gesso di cui sembrava essere cosparso. Non lo conosceva troppo bene, dunque, un po' per un'innata mancanza di sinergia dovuta ai loro caratteri, forse, un po' per le circostanze, un po' per scelta, ma tanto sapeva da poter dire che difficilmente sarebbero diventati amici, che nessuno dei due probabilmente intendesse provarci, e che sicuramente ad uno come Raiden il ritardo agli appuntamenti dava fastidio. Non l'aveva fatto di proposito, dunque, ma neanche si era affaccendato a spegnere i macchinari che aveva utilizzato durante il turno in fabbrica, né si era preoccupato di interrompere le chiacchiere post-lavoro in modo che certamente sarebbe parso ineducato, persino per lui; e similmente non si era azzardato a superare i limiti di velocità imposti dalla strada nel procedere verso la direzione dell'incontro con il cognato a bordo della propria motocicletta. Un mezzo che Raiden aveva persino sentito il bisogno di istruirlo a scegliere, sempre per quella supponenza di cui prima, la convinzione che forse lui fosse troppo sprovveduto per arrivarci da solo? O che forse fosse un tipo troppo distratto? Qualunque fosse l'opinione del marito di sua sorella, di cui a lui interessava chiaramente fino a un certo punto, Jerome non aveva potuto trattenere una risatina incredula a leggere il messaggio in cui si raccomandava con lui di utilizzare soltanto mezzi babbani, scuotendo la testa e bisbigliando: «Cazzo di control freak.» Era un fuggitivo, senz'altro una condizione che portava con sé una certa quantità di paranoia, però, per cui avrebbe potuto abbonargli quella precisazione, per quanto un po' paternalistica; aveva cercato di farlo, concludendo che se proprio c'era una persona a cui la condizione di ricercato dal Ministero sarebbe stata scomoda allora quella persona, per come la vedeva lui, doveva essere un giapponese maniaco del controllo che suo malgrado abbia bisogno di delegare agli altri per poter avere notizie della propria moglie o figlio. Moglie o figlio. Gli ci era dovuto del tempo per farci l'abitudine, a quelle parole. Senz'altro aveva avuto bisogno di contattarlo per parlare di questo, comunque, per quanto poco a Jer andasse a genio l'idea che richieste di quel tipo potessero diventare per lui una routine, correndo il rischio di dover fare da messaggero o da tramite tra suo cognato e sua sorella, che comunque era un'altra persona con cui era facile né tantomeno piacevole avere a che fare la maggior parte del tempo. Ma perché non si parlano tra di loro, fu il pensiero che naturalmente sbocciò nella sua mente quando scese dalla sella della moto e si sfilò il casco dalla testa, i ricci castani ammaccati che ravvivò semplicemente scuotendo la testa. Poi uno si offende a buffo se ci si permette di mettere in discussione certi aspetti di 'sto matrimonio. Mah. Jerome non era propriamente contrario a quell'unione – osservava la scelta della sorella e la trovava significativa, tutto qui. Le scelte di Mia non erano mai state particolarmente sagge, comunque, ma finché lei era contenta, e Raiden non faceva il coglione, Jer si era ripromesso di starne fuori. Non dovevano essere una famiglia, dopotutto, e anche se questa fosse stata l'intenzione, non era scritto da nessuna parte che dovessero andare tutti d'accordo. Finché si poteva rimanere civili e non ficcare il naso in affari altrui per lui non c'erano particolari problemi.
    Aveva parcheggiato un po' distante rispetto all'effettivo punto di incontro, giusto per ulteriore precauzione, ché se poi fosse stato proprio lui a far finire nei casini Raiden per qualunque tipo di motivo poi la matassa da sbrogliare sarebbe stata fin troppo tediosa, sia per il giapponese che per lui. Avanzava con la solita calma, le mani infilate nelle tasche dei pantaloni morbidi, i sassolini quasi trascinati dalla pianta dei suoi piedi mentre si sporgeva ora da un lato ora dall'altro del vasto spiazzale, dominato da una ditta di autodemolizione talmente rumorosa da domandarsi se sarebbero stati capaci di parlarsi, con quel baccano. Il casco tenuto per la cinghia, inquadrò Raiden poco distante da una vettura babbana, e distrattamente si domandò dove se la fosse procurata: cos'è che faceva, al momento, poi? Gliel'avevano detto? Avrebbe dovuto saperlo? Spostò lo sguardo dalla macchina al cognato, mentre si avvicinava, e ne ricambiò il cenno di saluto con uno altrettanto asciutto. «Scusa il ritardo», non volevo venire, fece a gran voce, il volume dell'intermittente clangore meccanico che sovrastava il suo. «Hai avuto problemi per venire?» Jer sorrise per il messaggio implicito che lesse in quella parole, la sensazione che la spiegazione per quella mancata puntualità dovesse stare in un qualche tipo di problema. Sbuffò dal naso prima di riuscire a fermarsi, quindi si strinse nelle spalle. «No, no.» Lo divertiva, quel lato del cognato. Si chiedeva se fosse una di quelle persone che a casa tiene la biancheria piegata nei cassetti in pile perfettamente ordinate, e che cosa sarebbe successo se qualcuno gli avesse disfatto il letto di nascosto. «Come stai, Jerome? Te la cavi?» Jer gli girò intorno, in modo da potersi poggiare al cofano della sua auto, le gambe distese incrociate davanti a sé. «Tutto bene, tutto bene. Fumi?» Fece, il filtro di una sigaretta da rollare tra le labbra che distorceva l'articolazione delle parole. Probabilmente no, ma è buona educazione chiedere. Non ricevette risposta, però, Raiden evidentemente volendo soprassedere di fronte a quel suo ovvio tentativo di non soffermarsi a parlare di sé. Non siamo qui per questo, del resto. Rimase così in ascolto mentre il tabacco umido gli rimaneva appiccicato ai polpastrelli caldi, e lo dispose lungo la cartina con la testa china. Il giapponese fece il giro della macchina, recuperando qualcosa all'interno. «Ti ho portato qualcosa. Non so se riesci a farlo entrare. Ci stanno gli snack che mi ha chiesto Eriko, farmaci generici per Haru - dalli sempre ad Eriko, che così Mia non fa troppe domande - e per te sigarette. Mi pare siano quelle che fumi di solito.» Jerome sollevò le sopracciglia, accettando il sacchetto dalle mani dell'altro. Si limitò a prendere la sigaretta che teneva tra le labbra tra indice e medio, e a sollevare appena il mento, come a dire sono già a posto, il solito sorrisetto un po' beffardo. «Ho un collega in fabbrica – è riuscito a metter su una specie di contrabbando di trinciato. Credo se lo procuri tramite la moglie, che sta fuori dal ghetto, qualcosa del genere.» Fece, prendendosi una piccola pausa per far scattare l'interruttore dell'accendino e avvicinarlo alla punta della cicca. Sbuffò una nuvoletta grigia. «Se le fa pagare una fortuna, però, per cui sono sempre ben accette»anche se probabilmente mi consideri un tossico. Era stato un gesto gentile, alla fine, non era giusto metterlo in croce anche per questo. Così frugò all'interno del sacchetto, sbirciando qui e lì. Avrebbe voluto chiedergli maggiori chiarimenti su quel «così Mia non fa troppe domande», ma soppesò l'idea troppo a lungo, e dopo un breve silenzio Raiden riprese a parlare. «Senti.. Mia ti ha detto qualcosa ultimamente? Di quello che succede fuori, intendo.» Si chinò per infilare momentaneamente la busta nell'incavo del casco, poggiato a terra. «No, praticamente niente. Io e tua moglie non ci parliamo granché, Raiden» ridacchiò, grattandosi la nuca. «Però ho una vaga idea. Ho visto dei movimenti su wiztagram...» Inclinò la testa, facendo cadere la cenere dalla cicca con un colpetto del pollice. «L'ho trovata una mossa buffa, e non so quanto efficace» fece schietto, aggrottando la fronte. Non so, io farei le cose un po' diversamente rispetto a limitarmi a tirare fuori la lingua e urlare “gne, gne” a Minerva e a quella pagliacciata di “Messia” che si sono inventati. «Però deduco che ci sia una qualche rete» continuò, guardandolo un po' più serio, osservandone le espressioni facciali che chiaramente parevano esitanti. «Con gli altri ci siamo.. rimessi in contatto, diciamo. A lei ho già detto la situazione.» Io sempre l'ultimo a sapere le cose. Non che ci fosse niente di rivelatorio in quell'informazione, in fondo: chiunque si immaginava che il piccolo gruppo di persone ricercate
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    più eminenti, quantomeno, avrebbero fatto fronte comune. Aveva senso, e sinceramente Jer si domandò quale fosse la strategia, se ce n'era un – quantomeno per il benessere del cognato, che senza un qualche tipo di piano, probabilmente, sarebbe imploso. «Al momento non è che ci sia molto di pratico su cui lavorare, e abbiamo bisogno di appoggio da chi si trova ad Iron Garden» Ahia, quindi no, niente strategia. «Ci hanno dato un po' di soldi, dei luoghi sicuri, contatti.. cose così. Nella scatola di mochi ci stanno un paio di telefoni usa e getta. Sono per te ed Eriko. Mia già ne ha uno. Vi ho messo qualche numero dei nostri, ma se non vuoi rischiare lo capisco.» Gli chiedeva aiuto, a nome degli altri fuggitivi – uno al quale Jer non si sarebbe certamente sottratto, per quanto divergessero le loro prospettive sul modo migliore per combattere, anche perché sostanzialmente non si trattava ancora di questo, ma di nascondersi, e ragionare. E tuttavia ne fu perplesso, confuso dall'estrema rapidità con cui passò sopra informazioni che sarebbero state fondamentali da condividere, nel renderlo partecipe di quanto stesse accadendo: chi erano queste altre persone che da dentro davano loro una mano – e quindi con chi Jer poteva parlarne – quali erano questi posti sicuri... Di nuovo, ebbe la sensazione latente di essere stato chiamato lì per qualche altro motivo, e che quella fosse come una faccenda su cui Raiden desiderava rimanere il minimo tempo possibile, prima di passare alle questioni importanti. Il che tipicamente significava sua sorella. «E poi volevo chiederti un'altra cosa» Eh, sì, l'avevamo capito. Jer si passò stancamente una mano sul volto, stropicciandosi gli occhi che pizzicavano, lucidi dalle poche ore di sonno. «Ma non mi dire» fece a quel punto, scuotendo appena la testa. Carta conosciuta. «Mia te lo ha detto come fa ad entrare e uscire dal ghetto? Come compra le cose ad Haru?» «No» fece, trattenendo un sospiro, irritato dalla necessità di sottolineare ulteriormente quanto poco comunicasse con sua sorella, il sottile strato di giudizio che sentiva sarebbe provenuto dall'altra parte. «Non è compito mio interessarmi a quello che combina mia sorella» continuò, stringendosi nelle spalle. Né incontrare suo marito perché possa controllare cosa fa tramite me. Perché di questo si trattava, no? Faticava a ricordarsi perché si fosse presentato all'incontro, la scusa che avrebbe potuto sfottere un po' il cognato e la curiosità di sapere cosa stesse facendo, lì fuori, che lasciavano il posto al fastidio nel sentirsi una sorta di pedina tra i due. «Ti ha parlato del Pulse?» Sbuffò più rumorosamente, stavolta, tirando su il sacchetto dal casco e appallottolandolo nello zaino. «Raiden – mollami. Preferisco starne fuori, qualunque siano le vostre dinamiche» gesticolò con le mani aperte, come a muovere delle masse d'aria invisibili. «Le vostre evidenti difficoltà comunicative... Non mi riguardano. So che tu hai questa cosa che vuoi proteggerla, tenerla d'occhio...» Whatever this thing you're doing is «... Forse è una cosa da soldato, non so... Comunque, mi spiace, non posso aiutarti». Incastrò lo zaino tra i piedi, lancinado via il mozzicone di sigaretta. «Sono solo preoccupato, Jerome» Ma quando mai non sei preoccupato in vita tua, Raiden? «Sapevi chi hai sposato quando l'hai sposata» lo rimbeccò, scrollando nuovamente le spalle e incrociando le braccia al petto. Si sposa una sgallettata che non ragiona e poi si sorprende che si comporti da sgallettata che non ragiona – perché sicuramente, qualunque cosa fosse questo Pulse, era un posto in cui si era cacciata senza pensare. «Quelli non sono posti in cui puoi semplicemente scegliere cosa fare e cosa no. Adesso saranno solo incontri di lotta - e già questo non va bene -, ma non credo che Mia abbia ben capito quanto rischia con quella gente. Le ho fatto promettere di non tornarci più, ma.. beh, la conosci da più tempo di me.» «Cioè, Mia va in un posto dove deve lottare con altre persone?» L'espressione era più disturbata che non confusa. «E per quale motivo uno farebbe una cosa del genere?» Che ci guadagnava? Soldi? Certo, le gare di lotta esistevano dalla notte dei tempi, ma nella scala dei lavori remunerativi che uno che a stento riesce a sfamare se stesso e suo figlio scelga di intraprendere, quello doveva essere al terzultimo posto se non proprio alla base. Era una scelta così profondamente priva di senso logico che doveva essere quella che aveva compiuto Mia. «Va be', domanda inutile – stiamo parlando di Mia.» Altro sospiro, mentre si prendeva qualche secondo per soppesare quell'informazione, e sopratutto decidere quanto renderlo un problema proprio. «Andiamo per gradi, Raiden. Che già mi fai venire qui, mi dici che c'è una rete di ricercati che arriva fino a dentro il ghetto, mi chiedi di aiutarvi e non mi dici praticamente un cazzo» snocciolò, una mano infilata tra i capelli ricci, mentre ragionava. «Ora mi parli di un posto dove la gente si mena – e forse fa anche altro – e mi dici che hai fatto una cosa così cretina come chiedere a mia sorella di non andarci più, il che matematicamente ci assicura che ci tornerà a cadenza settimanale. Dai per scontato che io ti segua ma non è così. Per cui: spiegami meglio tutto quanto, per lo meno La confusione pervade la vita di 'sti due. Se agire o non agire sarebbe stata una decisione del Jerome del futuro, ma andarsene da lì senza un minimo afferrare il punto della situazione l'avrebbe soltanto frustrato inutilmente. Se ne sarebbe pentito, di aver chiesto? Molto, molto probabile.


    Edited by superstarshit - 6/1/2024, 10:19
     
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    « Le vostre evidenti difficoltà comunicative... Non mi riguardano. So che tu hai questa cosa che vuoi proteggerla, tenerla d'occhio... Forse è una cosa da soldato, non so... Comunque, mi spiace, non posso aiutarti. » Aveva sempre percepito da Jerome quel giudizio latente, malcelato al punto da fargli chiedere se a lui stesso in primis interessasse non mostrarlo al diretto interessato. Probabilmente no. Probabilmente l'apparente noncuranza di Jerome verso qualunque cosa altro non era se non una forma di alibi. E per lo più a Raiden non interessava: se lo faceva scivolare addosso, come tante altre cose che non gli facevano piacere ma che non erano nemmeno una sua responsabilità. D'altronde una cosa o due a riguardo l'aveva imparata, avendo una sorella come Eriko. Tuttavia, se l'idea poco lusinghiera che il cognato si era fatto di lui poteva lasciarlo indifferente, il discorso cambiava quando nell'occhio del ciclone c'era Mia. Cazzo, sto cercando di dirti che tua sorella si è cacciata in una situazione di merda e per te è più importante lanciarmi le frecce? Sul serio? Decise tuttavia di mordersi la lingua, appellandosi alla propria ormai proverbiale pazienza per proseguire nel dargli più informazioni di contesto, sperando che in questa maniera Jerome avrebbe capito che la sua non era una preoccupazione infondata. « Cioè, Mia va in un posto dove deve lottare con altre persone? » Già. È quello che sto cercando di dirti. « Lottare è quasi un termine dignitoso, visto che da quanto mi ha detto va letteralmente a farsi riempire di botte per due lire. » Forse in quei termini, Jerome avrebbe compreso meglio la situazione. « E per quale motivo uno farebbe una cosa del genere? Va be', domanda inutile – stiamo parlando di Mia. » Inarcò le sopracciglia, piuttosto sorpreso da quella reazione che si aspettava solo in parte. Conoscendo a grandi linee il carattere di Jerome, di certo non si era presentato lì con l'idea che quell'informazione lo scaldasse tanto quanto aveva scaldato lui. Ma non so.. almeno qualcosa? È tua sorella, cazzo! Fa scelte stupide, è vero. Ma non puoi sorvolare una cosa simile con un "meh.. è fatta così, che ci vuoi fare?". « Domanda inutile? » lo citò, abbassando il mento per osservarlo come ad accertarsi che non lo stesse prendendo in giro. « Ti ho appena detto che va a farsele suonare a cadenza regolare, non che mangia la cioccolata dopo essersi lavata i denti. Non so.. ritenere che non sia normale è anche questa una cosa da soldato? » In una certa misura Raiden sapeva di aver per Mia dei parametri diversi da quelli che utilizzava con chiunque altro. Sapeva di essere protettivo, di volerla risparmiare da qualunque pericolo o situazione spiacevole, ma non riusciva a vedere quella sua inclinazione come qualcosa di negativo. Per quanto bislacche fossero state le premesse del loro matrimonio, avevano comunque fatto dei giuramenti l'uno all'altra, e Raiden non era il tipo da prendere cose del genere sottogamba. Forse si sarebbe comportato così anche senza il vincolo di quei giuramenti, ma di certo la loro esistenza poneva su di lui un senso di responsabilità maggiore. È davvero così biasimabile, secondo te, volersi prendere cura di qualcun altro? Mi apprezzeresti di più se non me ne fregasse nulla? Mi renderebbe meno retrogrado? « Andiamo per gradi, Raiden. Che già mi fai venire qui, mi dici che c'è una rete di ricercati che arriva fino a dentro il ghetto, mi chiedi di aiutarvi e non mi dici praticamente un cazzo. » Sospirò, incrociando le braccia al petto. « Ora mi parli di un posto dove la gente si mena – e forse fa anche altro – e mi dici che hai fatto una cosa così cretina come chiedere a mia sorella di non andarci più, il che matematicamente ci assicura che ci tornerà a cadenza settimanale. Dai per scontato che io ti segua ma non è così. Per cui: spiegami meglio tutto quanto, per lo meno. » Se la pazienza
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    era la virtù dei forti, Raiden Yagami poteva tranquillamente essere chiamato Maciste. Inspirò, stendendo le labbra in un sorriso calmo e annuendo. Va bene, facciamo un passo indietro. Un po' come quando si trovava in quelle grosse aule del college, piene di studenti alle prime armi che della sua materia sapevano a malapena il titolo dei libri di testo. « Hai ragione. Perdonami la leggerezza. » introdusse cortesemente, inclinando il capo da un lato come a concedergli metaforicamente quel punto. « Di recente siamo stati contattati da Albus Potter. Per noi intendo i ricercati. Lui e sua moglie hanno costruito - o forse è meglio dire perfezionato - una rete d'appoggio per tutti quelli che sono sgraditi al Ministero. Ciò comprende una rete di comunicazione, contatti con persone libere che non approvano l'operato di Minerva, luoghi in cui incontrarci o nasconderci momentaneamente e via così. » Fin qui ci siamo? Tutto chiaro? Si fermò un istante per accertarsene. « Chiaramente questa non è la soluzione, ma una base da cui partire. Siamo in pochi al momento, e possiamo fare ben poco con tutto il mondo magico contro di noi. Quindi ci servono alleati e informazioni. A partire da Iron Garden, dove si trova la maggior parte delle persone più colpite da tutta questa faccenda. Ed è qui che entra in gioco anche il Pulse. » Fece un'altra breve pausa, scrociando le gambe per appoggiare il gomito sul tetto della vettura, così da rivolgersi più direttamente a Jerome. « Quel locale è l'anello di congiunzione tra gli affari sporchi del Ministero e la vostra realtà. Dubito che vi si svolgano solo incontri di lotta. Ma anche se fosse, rappresenta comunque la faccia nascosta del Messia. Ci portano le creature di Iron Garden, le fanno combattere tra loro. Auror e ministeriali corrotti si godono lo spettacolo e scommettono. A volte pagano profumatamente per la possibilità di pestare a sangue uno di noi. E mi ci posso giocare le palle che non è nemmeno il servizio peggiore offerto sul listino. » Una consapevolezza dettata dall'esperienza. Non solo quella guadagnata dal luogo in cui attualmente lavorava, ma anche dal proprio passato. Quando faceva ancora parte attiva dell'esercito giapponese, Raiden le aveva viste quelle realtà, aveva visto tutto lo sporco che si nascondeva dietro un governo che giustificava le proprie violenze con la creazione ad hoc di un nemico facilmente identificabile. Dove c'è disperazione, c'è sempre qualcuno disposto ad approfittarsene dietro la maschera della magnanimità. « In cambio danno soldi e piccole libertà precluse agli altri abitanti di Iron Garden. Ma tu non sei uno stupido, vero Jerome? Non hai bisogno che sia io a dirti che una volta entrato, da questi giri ne esci in una sola maniera. » E alla luce di ciò, dimmi, secondo te sono un pazzo? Sono un maniaco del controllo? Puntò lo sguardo in quello del cognato, serio, sperando di vedervi almeno adesso una scintilla di comprensione - un naturale senso di urgenza. « Il Pulse va smantellato. E ci serve tutto l'aiuto possibile per farlo. Tutte le informazioni che possiamo trarne. E sono disposto a fare da puntaspilli per tutte le tue battute di spirito se mi aiuti a tenere Mia al sicuro da quello schifo. Ridimi in faccia, fai quello che ti pare, non mi interessa. Non te lo sto chiedendo gentilmente, ti sto implorando. » Non mi piace chiedere aiuto, ma tu sei lì dentro insieme a lei. Puoi girare a faccia scoperta. Puoi andare pressoché ovunque entro certi limiti. Io invece no.

     
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    «Domanda inutile?» Jerome sbuffò lentamente, mentre Raiden sembrava lottare contro tutto quel perverso autocontrollo che lo rendeva superiore a chiunque altro, migliore sicuramente di lui, un fratello degenere. Al secondo più piccolo del clan dei Wallace quel latente giudizio appariva lampante, era sempre stato così: non soltanto non lo reputava un fratello che avesse a cuore la sorella – visto il rapporto morboso che intratteneva con la propria, non c'era troppo da stupirsi – ma senz'altro non lo riteneva neanche una persona che, a paragone con lui, reggesse il confronto. Non era qualcosa di cui Jer si preoccupava più di tanto, anche perché quando cresci con un padre che è praticamente l'idolo della comunità e cinque fratelli più grandi tutti incredibilmente più eccellenti di te, impari che esisterà sempre qualcuno nel mondo che ha più doti di te; e lui quelle di Raiden le vedeva, in fondo, ma a suo parere era proprio quella convinzione che esse lo rendessero una persona qualitativamente migliore di lui – lo leggeva ora, in quel modo in cui piegava la testa leggermente in avanti – a fregarlo. Potresti essere così piacevole se solo non guardassi il mondo da un piedistallo, se non cercassi di fare l'eroe. Era un discorso più ampio, quello, che gettava radici in paradigmi consolidati che strutturavano le personalità dei due ragazzi, ma quel momento parve emblematico a modo suo. Jer si strinse nelle spalle. «Ti ho appena detto che va a farsele suonare a cadenza regolare, non che mangia la cioccolata dopo essersi lavata i denti. Non so.. ritenere che non sia normale è anche questa una cosa da soldato?» E perché te la prendi con me, mica sono io quello che si fa menare per soldi? «No, hai ragione, è solo una cosa stupida. La conosci, Mia, solo uno stupido guarderebbe una macchina accelerare verso un muro e rimarrebbe sorpreso quando si schianta.» Caustico, lapidario, sicuramente la poca conoscenza che Raiden aveva di lui l'avrebbe potuto far apparire come un insensibile, e non sarebbe certo stata una novità; la verità era che, per quanto poco al cognato sarebbe piaciuto doverlo ammettere, lui non conosceva Mia quanto Jerome. Non aveva assistito, crescendo, agli spericolati tentativi di Mia di ficcarsi nei guai – di farlo quasi di proposito, quasi mettendoci l'intenzione. Non era una persona che reputava incapace di prendersi cura di sé stessa, anche perché difficilmente avrebbe permesso a qualcun altro di farlo, o sicuramente non l'avrebbe concesso a Jer, se mai fosse impazzito e avesse voluto provarci; era semplicemente una ragazzina spregiudicata, poco giudiziosa, esattamente come Jerome, solo che lui, poi, i propri casini se li ripuliva da solo. Era quello il tacito accordo tra i due, per come l'aveva sempre vista lui, ed era chiaro che ad un esterno come Raiden questo poteva apparire come menefreghismo o noncuranza, fraintendendo quello che invece era semplice equilibrio. Se le parti fossero state invertite, se la ragazza di Jerome fosse andata da Mia a chiederle di intervenire perché lui stava compiendo una scelta cretina, lei sarebbe stata ugualmente tenuta a rimanerne fuori; se avesse dovuto intervenire ogni qual volta la sorella minore si ficcava nei pasticci, o prendeva una decisione che Jer non approvava, allora tanto valeva farsi congiungere all'anca, farsi ammanettare direttamente al suo braccio – probabilmente Raiden non avrebbe neanche potuto trovarsi lì adesso, se quello fosse stato il caso. C'erano cose che semplicemente lui non poteva capire, dall'alto della sua sovrastante e incensurata moralità. «Hai ragione. Perdonami la leggerezza.» Il cambio di atteggiamento lo divertì in un modo che a fatica riuscì a celare, emettendo uno sbuffo dal naso e scuotendo appena la testa. Cazzo, e quello senza emozioni qui sarei io? Ma lo vedi che sei un automa? «Di recente siamo stati contattati da Albus Potter. Per noi intendo i ricercati. Lui e sua moglie hanno costruito - o forse è meglio dire perfezionato - una rete d'appoggio per tutti quelli che sono sgraditi al Ministero. Ciò comprende una rete di comunicazione, contatti con persone libere che non approvano l'operato di Minerva, luoghi in cui incontrarci o nasconderci momentaneamente e via così.» Jerome lo fissava in silenzio, battendo le palpebre ripetutamente, un'espressione compiaciuta, gli angoli della bocca piegati verso il basso. Ascoltò tutto quanto, e per qualche secondo soppesò il pensiero che forse, Raiden, fosse davvero un po' bacato. «Raiden, non mi serve un disegnino, ma grazie per l'alta considerazione che hai di me» ridacchiò, quando l'altro prese a guardarlo come a sincerarsi che comprendesse la lingua che stava parlando – la solita tendenza del giapponese a ritenerlo forse analfabeta, forse soltanto un po' lento. Avrebbe sfidato chiunque a dire che se l'era immaginato, che come al solito faceva tutto lui. «Ma continui a non dirmi niente di concreto, non so se mi comprendi» fece, inarcando le sopracciglia in un'espressione quasi un po' preoccupata. «Ti rendi conto che io con “contatti con persone libere” e “luoghi in cui incontrarci o nasconderci” non capisco né chi, né dove, e quindi non mi serve a molto questa informazione?» Scendi sulla terra, un secondo, e rendi partecipi noialtri di che cosa succede? Aveva parlato piano, quasi scimmiottando il modo in cui gli si era rivolto l'altro, inclinando appena la testa. «Ma va bene lo stesso, per carità, andiamo avanti, non vorrei farti perdere il filo» fece, gesticolando con la mano e volgendo il palmo verso l'alto come a dire prego. Sono io? Cioè, mi viene il dubbio, a un certo punto, perché non può essere un concetto così complicato da capire. «Chiaramente questa non è la soluzione, ma una base da cui partire. Siamo in pochi al
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    momento, e possiamo fare ben poco con tutto il mondo magico contro di noi. Quindi ci servono alleati e informazioni. A partire da Iron Garden, dove si trova la maggior parte delle persone più colpite da tutta questa faccenda. Ed è qui che entra in gioco anche il Pulse.»
    Annuì, guardando verso il basso, mentre finalmente le parole di Raiden cominciavano ad acquisire una parvenza di senso compiuto. «Ci portano le creature di Iron Garden, le fanno combattere tra loro. Auror e ministeriali corrotti si godono lo spettacolo e scommettono. A volte pagano profumatamente per la possibilità di pestare a sangue uno di noi. E mi ci posso giocare le palle che non è nemmeno il servizio peggiore offerto sul listino.» Assimilò quella realtà, passandosi distrattamente il dorso dell'unghia del pollice sulle labbra. «Si parla di prostituzione? Traffico di creature?» Fu la domanda retorica che rivolse più a se stesso che non all'altro, annuendo, finalmente avendo ricevuto uno straccio di chiarezza e cominciando a inquadrare la situazione. E non potevi dirlo subito, invece di fare tutto 'sto panegirico. «In cambio danno soldi e piccole libertà precluse agli altri abitanti di Iron Garden. Ma tu non sei uno stupido, vero Jerome?» Io no – mia sorella sicuramente. «Non hai bisogno che sia io a dirti che una volta entrato, da questi giri ne esci in una sola maniera». Si passò una mano sul viso, resistendo all'istinto di ribattere mordendosi la lingua, e fece schioccare la lingua. «Questa è proprio cretina.» «Il Pulse va smantellato. E ci serve tutto l'aiuto possibile per farlo. Tutte le informazioni che possiamo trarne. E sono disposto a fare da puntaspilli per tutte le tue battute di spirito se mi aiuti a tenere Mia al sicuro da quello schifo. Ridimi in faccia, fai quello che ti pare, non mi interessa. Non te lo sto chiedendo gentilmente, ti sto implorando.» Jerome corrugò la fronte, guardando il cognato sinceramente perplesso. «Va be', non serve che fai tutto questo...» Gesticolò con le mani aperte, come a tastare l'aria invisibile che li separava. «...Questo.» Si passò la lingua sui denti, riflettendo. «Però, Raiden, prima di tutto ti devi calmare, perché già la situazione è quella che è, se ti ci metti pure tu...» Disse, guardandolo in faccia. Era davvero la prima volta che lei finiva nei guai da quando stavano insieme? Non era davvero mai successo prima? «Già il fatto che lei ti abbia detto che ci va è buono – non è che si possa sempre contare sulla sincerità di Mia. Poi, sicuramente se ti ha promesso che non ci andrà più ti ha detto una cazzata, ma questo perché avrai sicuramente fatto il matto e quindi ora ci va di nascosto.» La cosa più strana era che lui non ne avesse mai sentito parlare, di un posto del genere, specie se ormai aveva preso piede l'usanza di portarci le creature del ghetto. Estrasse un'altra sigaretta, dal pacchetto-neo-regalo del cognato, e la accese, soprappensiero. «Io di questa storia non ne sapevo niente, il che è un po' strano, forse la gente si vergogna di dire che ci va. Va be', comunque sia posso provare a chiedere in giro, capire se qualcuno che conosco ci vada, e chiedere a loro se hanno visto Mia nell'ultimo periodo. Ho anche...» Esitò, lanciando un'occhiata a Raiden con la coda dell'occhio, soppesando l'idea di accollarsi il suo ennesimo giudizio o tacere. «L'ispettore ministeriale che ci supervisiona, in fabbrica. Ha un debole per me, diciamo.» Tirò un'altra boccata dalla sigaretta, in imbarazzo per una storia che normalmente non l'avrebbe fatto vergognare. Era così difficile parlare con quell'ingessato di Raiden – la capiva, la sorella. «Diciamo che ci scambiamo favori, un minimo. Non so quanto posso spingermi oltre, ma il massimo che posso fare è saggiare un po' il limite, capire se frequenta anche lui il Pulse, e capire se si riesce a risalire a Mia, a concordare un modo per toglierla dai cazzi». Non era un piano chiaro, ma era qualcosa. «Che sia chiaro, Raiden, Mia 'sta cosa difficilmente se la toglierà di dosso finché al governo ci sta Minerva. Non è realistico pensare che ne uscirà del tutto, eh» fece semplicemente alla fine, stringendosi nelle spalle. «Io al massimo ci posso passare un paio di volte, capire un po' come stanno le cose». Sospirò, pronunciando quelle parole a malincuore, perché lui di infilarsi fisicamente in mezzo a quell'intera faccenda e spiare la sorella non aveva alcuna intenzione; specie quando era incaricato dal cognato, poi. Se o meno si sarebbe deciso a farlo sarebbe stata una scelta sua, ad ogni modo, e non era manco troppo necessario rendere Raiden partecipe del processo. «Ma non è che posso farle da guardia del corpo. Ci vorrebbe una gabbia di contenimento». Fece cadere la cenere della sigaretta con un colpetto dell'indice. «Ma scusa, Eriko?» La senti già, probabilmente, la malaparata se vai a chiedere a tua sorella invece che a tuo cognato, e per questo vieni da me, che sono troppo cretino per stare al passo con te però vado benissimo per spiare mia sorella.
     
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    « Raiden, non mi serve un disegnino, ma grazie per l'alta considerazione che hai di me. Ma continui a non dirmi niente di concreto, non so se mi comprendi. Ti rendi conto che io con “contatti con persone libere” e “luoghi in cui incontrarci o nasconderci” non capisco né chi, né dove, e quindi non mi serve a molto questa informazione? » Inarcò un sopracciglio, vagamente seccato dall'interruzione. Raiden non era mai riuscito a capire Jerome fino in fondo - o meglio, lo aveva inquadrato solo a grandi linee. Il loro rapporto non aveva mai ingranato, e in tutta onestà il giovane Yagami non riusciva a spiegarsi del tutto il perché della cosa. Sulle prime si era interrogato, chiedendosi se non avesse forse detto qualcosa di sbagliato o se il suo comportamento potesse essere stato in qualche maniera travisato, ma dopo essersi consultato anche con Mia a riguardo e aver ricevuto come risposta poco più che un sospiro e un'alzata di spalle, Raiden aveva lasciato perdere. Jerome è fatto così. Era questa la spiegazione, per quanto assurda potesse apparire ad uno come lui. Ma aveva senso crucciarsene? Certo, poteva provare del moderato dispiacere, ma quello di non poter piacere a tutti era un concetto con cui il giapponese aveva già fatto pace da tempo. Resta il fatto che, a prescindere che io ti piaccia o meno, sei comunque un cafone - e questo non me lo so spiegare, visto la santa che ti ritrovi come madre. « Se mi dai il tempo di finire, Jerome.. » disse pacato, sull'orlo di un sorriso cordiale che non si risparmiava comunque una vena di sarcasmo. « Ma va bene lo stesso, per carità, andiamo avanti, non vorrei farti perdere il filo. » « Ti ringrazio. » chiuse così quella parentesi, facendo quindi schioccare la lingua sul palato prima di riprendere da dove aveva lasciato, spiegando ciò che poteva con le informazioni che era certo di poter dare senza incorrere in qualche guaio. « Si parla di prostituzione? Traffico di creature? » Sollevò le sopracciglia, annuendo eloquentemente. Bingo. Non erano molte le informazioni pratiche e certe che Raiden aveva sul Pulse. Mia gli aveva dato un'idea, ma era certo che ciò che lei sapeva e potesse vedere lì dentro fosse solo la punta dell'iceberg. Perché queste cose non si fermano mai a ciò che il pubblico più vasto può vedere. Ci sta sempre dell'altro, sempre un sommerso. Perché se esiste qualcuno abbastanza disperato da piegarsi al ricatto a cui si è piegata Mia, esiste anche chi è disposto a fare molto di più. « Va be', non serve che fai tutto questo... » Aggrottò le sopracciglia, piegando leggermente il capo di lato in un'espressione confusa. Questo cosa? « ...Questo. » « Perdonami ma adesso sono io a non seguirti. » Lo disse in totale sincerità, incerto su ciò a cui il cognato potesse far riferimento. « Però, Raiden, prima di tutto ti devi calmare, perché già la situazione è quella che è, se ti ci metti pure tu... » Rimase in silenzio, a guardarlo, come se stesse cercando di risolvere un'equazione ingarbugliata. Jerome io davvero non so quale mix divino ti abbia creato, ma quando dico che proprio non ti capisco, lo dico dal cuore. Si sarebbe potuto pensare che l'appartenenza alla stessa razza - per giunta quella lycan - facilitasse non poco la comunicazione tra i due, la reciproca comprensione.. insomma, cose così. Ma ogni volta che il giapponese si trovasse a parlare col cognato, ne usciva più confuso di prima. « Già il fatto che lei ti abbia detto che ci va è buono – non è che si possa sempre contare sulla sincerità di Mia. Poi, sicuramente se ti ha promesso che non ci andrà più ti ha detto una cazzata, ma questo perché avrai sicuramente fatto il matto e quindi ora ci va di nascosto. » Sospirò, scegliendo di sorvolare anche in quel caso.
    « Sì, il mio timore è che possa andarci comunque. Ma non perché io le abbia detto di non farlo. Per quanto Mia sappia essere bastian contrario quando ci si mette, non sono queste le cose su cui si impunta per puro principio. Mi preoccupa più il fatto che possa ritrovarsi senza una vera e propria scelta. » E il punto era proprio quello: Mia si era cacciata in una situazione di merda con la leggerezza che la contraddistingueva, e adesso che ci era dentro con tutte le scarpe non era detto che le venisse consentito di fare retromarcia. « Io di questa storia non ne sapevo niente, il che è un po' strano, forse la gente si vergogna di dire che ci va. Va be', comunque sia posso provare a chiedere in giro, capire se qualcuno che conosco ci vada, e chiedere a loro se hanno visto Mia nell'ultimo periodo. Ho anche... L'ispettore ministeriale che ci supervisiona, in fabbrica. Ha un debole per me, diciamo. Diciamo che ci scambiamo favori, un minimo. Non so quanto posso spingermi oltre, ma il massimo che posso fare è saggiare un po' il limite, capire se frequenta anche lui il Pulse, e capire se si riesce a risalire a Mia, a concordare un modo per toglierla dai cazzi. » Annuì. Non voleva indagare. Non erano fatti suoi e se pure lo fossero stati, non aveva intenzione di saperne più del dovuto. « Grazie. Sarebbe un buon punto di inizio. Non è detto che sia coinvolto, ma immagino che il ghetto sia una realtà piccola in cui lavorare - le voci corrono, e potrebbe sapere qualcosa. » Se poi ha "un debole per te" - qualunque cosa ciò significhi -, tanto meglio. Puoi sfruttarlo come ti pare. « Che sia chiaro, Raiden, Mia 'sta cosa difficilmente se la toglierà di dosso finché al governo ci sta Minerva. Non è realistico pensare che ne uscirà del tutto, eh. Io al massimo ci posso passare un paio di volte, capire un po' come stanno le cose. Ma non è che posso farle da guardia del corpo. Ci vorrebbe una gabbia di contenimento. » Scosse veloce il capo, in un cenno leggero come l'incurvarsi apatico delle sue labbra all'insù. « E infatti non te l'ho chiesto. » Non ne ha bisogno. E se pure fosse, sarebbe solo più sospetto e finirebbe per cacciare nei casini una persona in più. No. Non è quello il mio obiettivo. « A noi servono principalmente informazioni al momento. Nomi e cognomi, innanzitutto. Capire come funzioni questo meccanismo di scambio che sta alla base del Pulse - chi sa, chi è coinvolto, quali sono le modalità pratiche di tutto ciò. Sono i presupposti necessari per capire come muoverci, e da lì non è tanto questione di tirarne fuori Mia, ma di risolvere il problema alla radice. Smantellarlo - come ti dicevo. » Per me Mia sarà sempre la priorità. Non lo nascondo, non l'ho mai fatto. Ma non è l'unica lì dentro. E di certo il fatto che lei sia entrata in quella realtà non è neanche il solo problema che ci troviamo ad affrontare. « Ma scusa, Eriko? » « Ne ho già parlato anche con lei. Ciò che sai tu, lo sa anche Eriko. Da quanto mi ha detto, la voce del Pulse gira anche al campus, quindi cercherà di approfondire la questione partendo da lì per arrivare alle informazioni che ti dicevo. Ma chiaramente più mani in pasta abbiamo e meglio è. » Si strinse piano nelle spalle, indicandolo poi con un cenno leggero della mano. « E poi Mia è tua sorella. » Incurvò un angolo delle labbra in un mezzo sorriso, dai tratti forse un po' amari. « Tra fratelli se ne dicono tante. Ci diciamo che siamo stupidi, che abbiamo battuto la testa cadendo dal seggiolone.. ma l'affetto non cambia. So che posso fidarmi e che non la lasceresti in una situazione di merda. » Quando sei qui, davanti a me, puoi fare il grosso quanto vuoi, Jerome. Non mi interessa che tu mi dia soddisfazione o che mi dica quello che voglio sentirmi dire, perché delle parole non me ne sono mai fatto niente. Preferisco uno che mi insulta ma poi effettivamente dei risultati li porta, rispetto a chi sa darmi solo un astratto supporto emotivo. « Quindi ecco.. questo è quanto. Sentiti libero di agire come ti pare, di coordinarti con Eriko e di sfruttare i contatti che trovi salvati sul cellulare che ti ho dato. » Gli fece cenno col mento in direzione della busta di plastica. « Dentro ci stanno tutti quelli che Albus e Amunet ci hanno fornito. Quindi potresti trovare dei nomi un po' sconosciuti o improbabili, ma sono tutte persone che ci appoggiano e che possono darti una mano fuori dal ghetto all'occorrenza. » Fece una pausa, umettandosi veloce le labbra. « Non so chi altro di Iron Garden sia stato messo al corrente di queste situazioni, ma sarebbe auspicabile che creaste una sorta di nucleo compatto - così che sia anche più semplice coordinare il dentro e il fuori. Conosci qualcuno di fidato che potrebbe essere interessato? »

     
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