Scarlet Cross

Seojoon & Grace | Place de Grève Circus, 5 gennaio 2024

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    Per Papà ho sempre avuto un gran problema. Me lo diceva da che ero solo una ragazzina di appena quattordici anni. E non erano gli occhioni scuri e i boccoli del medesimo colore. Avevo un problema. Solo che io pensavo fosse uno di quei problemi degli adolescenti. Quelle cose che ti turbano l'esistenza ma solo per un breve lasso di tempo. Giusto quel frangente di cui si ha bisogno per iniziare a fumare, a bevicchiare un po' e poi fingersi autolesionisti. E me lo diceva con un garbo che tutt'oggi mi spezza. Non mi faceva mai sedere sulle sue gambe, quasi come se avesse a sua volta paura del mio potenziale anzi, mi spingeva verso una delle seggiole colorate che tenevamo per i più piccoli. Mi indicava di sedere lì e di restare ad ascoltare. Questo perché ero sempre stata una grande oratrice e ogni domenica, prima del Place de Grève, finivo in ginocchio davanti a Cristo. All'epoca era mia nonna a pregarmi di ascoltare, poi le cose sono cambiate. Allora non ho più parlato ad un vecchio e a suo figlio appeso ad una croce, sono semplicemente passato ad un vecchio e basta.
    Papà non credo sia mai stato giovane, ma i modi di fare li ha un po' smussati negli anni.
    Forse si è ammorbidito quando al mio problema - che era l'essere troppo carina - ho risposto che non me ne fregava un cazzo.
    All'inizio era così: non mi interessava di piacere, non era quello il mio intento nella vita. Insomma, avevo compagne di classe che desideravano diventare veterinarie, scienziate, perché io mi sarei dovuta limitare ad essere semplicemente troppo carina?
    E mettiamola in questo modo: forse lui non l'ha mai accettata quella risposta.
    Così come non ha accettato la volontà di una transazione o la richiesta della mastectomia -insomma, quello era il mio desiderio e lui sa com'è che funziona qui. Le regole le ha fatte lui- però ecco, tutto questo per dire cosa? Ah, sì, che non è cambiato un cazzo da lì ad oggi.
    Niente, assolutamente nulla. Perché per Papà, evidentemente resterò sempre troppo piccola e carina. Per questo gli sta bene che là sotto io abbia ancora una figa. Perché la figa, che se ne dica, piace - anche se non a tutti, insomma - e se non piace, profuma comunque di sottomissione. Secondo me questo ha un suo senso: per un maschilista del cazzo come lui, gli ormoni devo proprio avere quel cazzo di odore. Lo so, è rivoltante, ma non ditelo a me. Insomma, io non mi occupo dell'ufficio reclami del circo: secondo loro il mio intelletto non arriva sino a quel punto: io mi occupo di intrattenimento e se non si parla di pet teraphy con la tigre, beh, il discorso finisce per scivolare sempre nello stesso identico punto, no? la f-i-g-a. Per questo mi hanno fatto fare la doccia e un corso accelerato di comegliinglesiservirebberoiltè, perché quando vivi in posti del cazzo come questi non puoi non apprenderne la cultura. Insomma, non che l'Inghilterra mi stia sul cazzo, sembra bella! È che non se la sta passando benissimo e, com'è che gira il mondo da che ne ho memoria, noi siamo arrivati proprio tra capo e collo della situazione. E ovviamente giriamo il dito nella piaga. Siamo in mezzo al cazzo perché Papà paga per starci e chi deve occuparsi dei buoni rapporti se non io? mh, io! Quindi indosso il mio miglior sorriso, la divisa del circo ben stirata e un profumo X rubato a Caleb: ve ne intendete voi di profumi, non io.

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    Fingo di bussare alla tenda degli ospiti, un — Toc toc? che non lascia il tempo ad alcuna risposta: ho il vassoio con la ceramica e i biscotti in mano - Oswald ha detto che agli inglesi piace bere nelle tazzine di ceramica - non voglio rischiare di far cadere tutto per un po' di galanteria. — Papà Austin ci teneva a scusarsi per non essere qui personalmente, ma non si aspettava una vostra visita proprio oggi eh, insomma, gli impegni lo hanno trattenuto altrove. In realtà sì, ma lui vive nella convinzione che, pagati i suoi debiti, può considerarsi libero di fare un po' quel che vuole. Allora manda me, come avrebbe potuto mandare qualsiasi altra persona, a far buon viso a cattivo gioco. Alla fine, mi dico che potrebbe non essere male prendere un po' di tè con uno sconosciuto. Se poi questo è etero, tanto meglio: posso sedermi alla parte opposta del tavolo e restarmene a gambe accavallate. — Immagino gradirete del tè. Non è come il Calumet della pace, ma spero che verrà apprezzato lo stesso di solito parlo un po' a cazzo quando non so che dire e per oggi beh, non è che mi fossi preparato chissà quale copione. Vado a braccio, fintanto che nessuno venga a strapparmele tutte e due, s'intente. — Siete il Sig. Moon, giusto? ci provo a far un mezzo inchino. Forse sono persino troppo teatrale. — Io sono Grace Moore, l'uomo tigre. Vi piacciono le tigri Sig. Moon? canticchio la sigla giapponese dell'Uomo Tigre mentre dispongo la merenda - si chiama così? - sul tavolo. Non mi rendo conto di aver dato per scontato le origini del Signor Moon, spero gli stiano simpatici i giapponesi. — Perché in quel caso potremmo diventare ottimi amici. Sorrisone a trentadue denti et voilà!




     
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    « Dici che ci darà problemi a lungo termine? » Lo sguardo di Seojoon si sollevò oltre la pila di scartoffie che aveva disposto ordinatamente alla propria sinistra - dalla data più vecchia a quella più nuova. Inarcò un sopracciglio. « Il Place de Grève dici? » Il collega annuì. Dal modo in cui aveva appoggiato entrambe le braccia conserte sulla scrivania, voltandosi totalmente col busto in direzione del giovane Moon, probabilmente non doveva avere molta voglia di lavorare e stava solo cercando un pretesto per far conversazione. In risposta il coreano si strinse nelle spalle. « Non conviene a loro in primis. Le leggi di Minerva stanno prendendo piede anche negli altri paesi. Si ritroverebbero alla stregua dei ricercati in men che non si dica. E se hanno una così lunga storia, dubito che siano degli sprovveduti. » Ma è sempre meglio tenerli d'occhio e farli sentire controllati. Ed era proprio qui che entrava in gioco Seojoon. Lui e altri suoi colleghi. Andare al circo era diventata ormai pressoché un abitudine per il giovane, che soffriva ben poco di quell'impegno lavorativo. Certo, dopo un po' di volte gli spettacoli si facevano piuttosto ripetitivi, ma li avrebbe sempre barattati volentieri con il pesante grigio di Azkaban. « Mh.. forse sì. Ma sono pur sempre creature. » « Beh da fidarsi non c'è mai. »
    E infatti, proprio perché da fidarsi non c'era mai, quel giorno Seojoon aveva deciso di fare una visita a sorpresa ad Austin Hill. Non è che avesse chissà cosa da dirgli in realtà, ma voleva comunque che la situazione fosse chiara al capo della baracca: il Ministero aveva dato la propria parola e l'avrebbe mantenuta, purché fosse stato lui il primo a rigare dritto secondo i patti. Al suo arrivo era stato subito accolto da un ragazzino - probabilmente una sorta di garzone - che non si era trattenuto dal fargli diverse domande con tono anche abbastanza informale prima di scortarlo verso una delle tende. « Aspetta qui. » Inarcò un sopracciglio. Che non gli facessero studiare l'etichetta lo immaginavo, ma hanno proprio dei modi singolari. Sospirò, misurando la tenda a passo lento, con le mani congiunte dietro la schiena. Di tanto in tanto si fermava di fronte a qualche oggetto o decoro, scrutandolo con una certa attenzione, solo per poi allungare una mano a sistemarne la posizione. Gli dava fastidio quando le cose non erano allineate perfettamente secondo una precisione geometrica. Ma affinché la sua ossessione venisse placata doveva fare tutto tre volte - il che allungava nettamente i tempi. Ce ne mette di tempo. Si mise a sedere, accavallando le gambe. « Toc toc? » Non aveva bussato, ma la sola onomatopea lo portò istintivamente a battere una volta le nocche sul tavolo di legno, così da rendere quei due toc tre toc. Altrettanto istintivo fu ritirare subito la mano colpevole, nascondendola nella tasca del cappotto: abitudine dovuta a tutte le bacchettate ricevute dal padre quando la sua patologia si mostrava. « Avanti. » Ma l'interlocutore era già entrato: un ragazzo, questa volta più grande di quello che l'aveva accolto. Arricciò le labbra in leggero disappunto, ma alla fine le stese comunque in un sorriso cortese. « Papà Austin ci teneva a scusarsi per non essere qui personalmente, ma non si aspettava una vostra visita proprio oggi eh, insomma, gli impegni lo hanno trattenuto altrove. » Sospirò. In fondo la sua era stata pur sempre una visita a sorpresa. Ma che impegni dovrebbe mai avere un circense fuori dal suo circo? Stirò un sorriso. « Non importa. Vorrà dire che sarà l'occasione per tornare di nuovo. » Gli occhi del moro scesero sul vassoio che l'altro teneva in mano. Sarebbe stato scortese rifiutare e d'altronde non era strettamente necessario che quel colloquio inutile fosse proprio con il capo del posto. Anzi, forse un sottoposto potrebbe rivelarsi anche migliore. In fondo il messaggio principale è stato comunicato, se Hill è stato avvertito della mia presenza. « Immagino gradirete del tè. Non è come il Calumet della pace, ma spero che verrà apprezzato lo stesso. » Inclinò cortesemente il capo. « Grazie mille, molto gentile. » Chissà cos'è il calumet della pace. Un tipo di bevanda esotica? « Siete il Sig. Moon, giusto? » Annuì. « Moon Seojoon. » Fece una pausa. « Ma sì, Moon è il cognome. » Faceva spesso confusione con quest'usanza occidentale di invertire l'ordine di nome e cognome. Sorrise, tuttavia, al suo tentativo di inchino. Beh almeno questo è educato. « Io sono Grace Moore, l'uomo tigre. Vi piacciono le tigri Sig. Moon? Perché in quel caso potremmo diventare ottimi amici. » Ridacchiò, allungando la mano verso il vassoio e sistemandolo appena prima di prendere la propria tazza e mandare giù un contenuto sorso di tè. Non era il massimo, ma era qualcosa. « Mh.. non posso dirmi fan delle tigri in sé, ma credo di aver visto qualche tuo pezzo. Sei molto bravo. » Fece una pausa. « Un maledictus, giusto? » Un'altra pausa. Gli occhi scuri del coreano soppesarono velocemente il proprio interlocutore, forse con una punta di confusione nello sguardo. « Perdonami l'invadenza, ma credevo che solo le donne fossero affette dalla maledizione. » E tu tutto mi sembri meno che una donna. Perché per uno come Seojoon, che viveva secondo una visione binaria estremamente ottusa della vita, vie di mezzo non ve ne erano. Quindi o sei un animagus che dice di essere un maledictus oppure sono ignorante io sulla vostra condizione. « Sei un uomo o sei un maledictus? » Lo chiese in maniera piuttosto genuina, senza malizia, sporgendosi pure un po' in avanti con un piccolo sorriso per aggiungere « Non lo dico in giro, tranquillo. Il mio lavoro comporta essere molto bravo a custodire i segreti. » E un trucco da circo non è qualcosa per cui mi rovinerei la reputazione.

     
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    Mi piace fingere di poter prevedere il futuro. Di vedermi da spettatore esterno, pronto a prender posto dinanzi a lui per rispondere a quelle domande che so bene che mi farà. Nessuno mi ha preparato a questo incontro, Papà Austin a volte ha il coraggio di lasciare il circo in balia dei suoi figli. La chiama fiducia lui, ma so bene cos'è che esercita su di noi quando ci affida questi incarichi. Lui ci mette alla prova, dimenticando tutte quelle che, a nostra volta, siamo riusciti già a superare. Perché forse gli si resetta la memoria o semplicemente gode nel metterci sotto pressione. Ma io non ho paura. Certo, non sono pronto come si confà ad un messaggero come me, ma oltre a questo, so che non c'è nulla per il quale rischierei di fallire. Non è una missione questa, forse solo un momento di stallo in cui mi è permesso raccogliere informazioni sui nuovo "amici" di Papà. Quelle informazioni che di solito si ricavano ponendo e rispondendo a domande scomode.
    Io sono abituato a riceverne, la gente crede che essendo un artista io non abbia alcun problema a mostrarmi nudo dinanzi a tutti. Ma sbaglia. Di problemi forse ne ho troppi, ma, fortunatamente, è l'abitudine a vincere sul resto.
    Ed è proprio da quella che mi lascio cullare quando effettivamente prendo posto di fronte a lui, allora accavallo le gambe e lascio che si serva da solo. Potrei porgergli io la tazza, riempirgliela io non appena avrà finito i primi sorsi, ma voglio lasciargli la convinzione di avere un po' di potere su questo posto. Anche nelle parole che usa, che sono dirette, certo, ma non per queste figlie di chissà quale delicatezza. Non bastano modi gentili per far di un uomo un uomo garbato. Le delicatezze non sono nemmeno nelle parole che si usano. Forse, la dolcezza, risiede semplicemente nel silenzio. Magari solo lì, a dirla tutta.

    — Sono felice di essere riuscito ad allietare qualche vostra sera, Moon Seojoon.
    Si comincia sempre così: con un po' di finto garbo e gentilezza. Con un sorriso che non deve per alcun motivo spegnersi sul volto, nemmeno quando ci si finge veggenti e allora non c'è bisogno della presenza di Elliot per capire cos'è che il Signor Moon finirà per chiedermi da qui a poco. Mi chiedo, in effetti, perché Papà non abbia mandato lui a parlare con un ministeriale. Insomma, un veggente è migliore di un maledictus per certe cose. Anche se, beh, Elliot non è abituato a togliersi alcun vestito. Quel tipo di contratto cinematografico l'ho firmato solo io. Io, che mi sento un po' un Jacob di Twilight.

    — Già. qui mi lascio sfuggire un sorriso diverso. Quasi un risolo, sì, che si perde nello sterno in un rantolo leggero. Sto ridendo ma senza darlo troppo a vedere. Un po' per rispetto, un po' perché non c'è bisogno di mostrarsi tanto divertiti dinanzi al futuro certo. Sapevo che saremmo finiti a toccare questo punto prima che altri. E un po' mi mordo la lingua, perché effettivamente non sono sicuro del gioco che Papà ha intenzione di giocare con loro. Io so che la sincerità ripaga e che, mal che vada, ce ne andremo via da qui qualora le cose possano iniziare a farsi pericolose. Ma Moon Seojoon non deve essere pericoloso. Voglio fingere di saper leggere i movimenti del suo corpo per capire dove andrà a parare questo incontro. Fingo di essere come Elliot adesso, anche se per farlo dovrei bardarmi dell'oscurità della mia tenda e meditare, meditare, meditare sino allo sfinimento.

    — Avete detto bene: un uomo e un maledictus. Potete prendere appunti, se avete un taccuino a portata di mano, ovviamente. Ma, non per deludervi, il mio è un caso di facile comprensione. Non ho davvero la presunzione di affermare conoscenze che in realtà non posseggo del tutto. Ma ci provo, perché mostrarsi sicuri di sé è il primo passo per la vittoria. E noi dobbiamo vincere. Quantomeno una tregua che si basa sulla fiducia reciproca. E io lo so, lo so di dover dare un po' di me in cambio di un po' di lui. Sono scambi equivalenti che sanno funzionare solo e soltanto così.

    — Questa è la prova che la scienza dei no mag e la magia possono convivere perfettamente. E il maledictus, beh, non guarda in faccia alcuna disforia di genere. Altrimenti non la chiameremo maledizione, no? mi mordo il labbro inferiore, ma è istintivo. E il tè non lo tocco, anche se ne ho portato abbastanza per due. Piuttosto preferisco accendermi una sigaretta. Stringerne il filtro tra i denti, rilassare i muscoli facciali in questo piccolo gesto.

    — E il maledictus è una tigre e una tigre, beh, è una tigre e basta. Niente che un buon domatore non possa tenere a bada. E spero risuoni come una buona consolazione: non gli farei del male nemmeno se mi trasformassi qui, in questo preciso istante. Perché sì, il maledictus è subdolo, non aspetta nessuno, ma il mio temperamento è quello che è: Froy e Caleb ci hanno lavorato bene sopra.

    — Allora! Com'è andato il vostro viaggio? So che avete le coordinate di questo posto e che questo, beh, vi facilità un po' le cose. D'altronde il Circo appare dove prima non c'era e adesso è un po' come se noi, due, restando qui, non esistessimo affatto.




     
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    « Avete detto bene: un uomo e un maledictus. Potete prendere appunti, se avete un taccuino a portata di mano, ovviamente. Ma, non per deludervi, il mio è un caso di facile comprensione. » Lo guardò, senza nascondere del tutto la propria confusione. Beh no, o sei uomo o sei maledictus. È l'una o l'altra, non esistono molte vie di mezzo. Quanto meno non dalla prospettiva di uno come Seojoon, che guardava al mondo in dogmi. « Questa è la prova che la scienza dei no mag e la magia possono convivere perfettamente. E il maledictus, beh, non guarda in faccia alcuna disforia di genere. Altrimenti non la chiameremo maledizione, no? » Disfo-che? Avrebbe forse preferito rimanere confuso, ma per quanto poco familiare fosse con certi termini, nominare la scienza babbana e questioni di genere fu sufficiente affinché potesse fare due più due e tirare le proprie somme. Ah.. quindi sei uno di quelli. Si portò la tazza alle labbra, prendendone un sorso in silenzio forse per coprire l'arricciarsi delle sue labbra in un'espressione a metà tra il disagio e il dissenso. Seojoon era cresciuto in una società particolarmente conservatrice, e la realtà in cui era venuto al mondo lo era ancor di più. Incapace di contravvenire persino alle regole di suo padre, poteva vedere solo come scellerata la sola idea di contravvenire a quelle della biologia o del Creatore. Ma d'altronde è una maledictus, poverina. Magari avrà creduto di poter sfuggire alla propria condizione tramite simili trucchetti. Uno le proverebbe tutte, no? Non posso nemmeno immaginare che tipo di dolore possa provare e quanti danni a livello psicologico possa causare una maledizione del genere. « E il maledictus è una tigre e una tigre, beh, è una tigre e basta. Niente che un buon domatore non possa tenere a bada. » Stirò un piccolo sorriso cordiale, sbuffando una risata leggera dalle narici. « Beh sì, immagino che quello non possa cambiarlo nemmeno la scienza. » Anche ad Icaro si sciolsero le ali ad un certo punto, no? Avrebbe avuto tante domande, tanti dubbi a cui dare risposta per pura curiosità quasi scientifica - come se la persona che aveva di fronte fosse per l'appunto un animale raro da studiare, vicino all'uomo ma non a sufficienza da essere considerato suo pari. Tuttavia decise che, almeno per il momento, fosse più saggio tenersi tutto per sé. D'altronde era lì per lavoro, e non voleva rischiare di creare problemi che avrebbero reso i suoi affari futuri più complicati da svolgere. « Allora! Com'è andato il vostro viaggio? So che avete le coordinate di questo posto e che questo, beh, vi facilità un po' le cose. D'altronde il Circo appare dove prima non c'era e adesso è un po' come se noi, due, restando qui, non esistessimo affatto. » Si esprimeva in maniera peculiare, Grace. Un modo di parlare che Seojoon non era certo di afferrare fino in fondo, ma che nondimeno lo incuriosiva, creando un'alternativa alla noia costante da cui era afflitto nel proprio, di mondo. Poggiò la tazza di tè dopo un sorso moderato, lisciandosi i pantaloni scuri sulle gambe. « Non sono certo di poterlo chiamare viaggio. Forse è stato più un banale tragitto. » Fece svolazzare leggera la mano, come a sottolineare la trivialità della cosa. « Ho le coordinate, come hai sottolineato. » Grace sapeva chi fosse, oltre al suo nome? Sapeva per quale ufficio lavorasse? Non ne era certo, ma forse non era nemmeno così importante. Si guardò un po' intorno, come ad osservare per la prima volta quell'ambiente che in realtà aveva già memorizzato nell'attesa; un intercalare silenzioso. « Ma mi piace come definizione. » Fece una pausa. « Viaggio, intendo. Sembra di trovarsi un po' in un altro mondo qui. » Si riavvicinò la tazza alle labbra, prendendosi qualche istante di più per ripassare gli occhi su quel decoro, tornando poi al viso del giovane di fronte a lui. « È una definizione che mi ricorda un po' il passato. Sai, non so se tu eri già qui ai tempi.. o se semplicemente sono io a non riconoscerti. » Inarcò un sopracciglio - un movimento appena percettibile, batti le palpebre e te lo perdi. « Ho avuto l'opportunità di viaggiare molto, da bambino. Con mio padre, per lo più. E ogni qualvolta capitassimo dove vi trovavate anche voi, compravamo il biglietto. » Era quasi una tradizione, qualcosa che Seojoon aveva imparato a vedere come una pausa dalla propria vita; l'unica cosa che il padre condivideva con lui per svago, senza un secondo fine, e l'unico momento in cui sentiva di non essere lui l'animale da circo. Era bello non sentirsi guardato, rivedere in qualcun altro lo specchio delle proprie frustrazioni e fare un passo indietro, consolandosi nel mezzo gaudio di sentirsi una scimmia ammaestrata un po' più al di sopra di quelle per cui pagava il biglietto. « Ho sempre amato i vostri spettacoli. Per fascino, sì, ma anche per rispetto. » A modo suo. Se rispetto si poteva chiamare. « Immagino che richiedano molta disciplina. » Un punto che Seojoon, suo malgrado, conosceva piuttosto bene. « È Austin Hill a impartirla direttamente? Oppure delega il compito a qualche buon domatore come dicevi prima? »

     
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    Comunque, questo té è acqua sporca. E non cambia di gusto solo perché sto cercando di impilare nella tazzina una zolletta di zucchero sull'altra. Non aspetto nemmeno che la prima si possa sciogliere, non spicco decisamente per la mia pazienza. Ma suppongo vada bene così: d'altronde mi hanno insegnato a non mollare l'osso quando questo mi finisce tra i denti e, per un certo verso, Papà Austin questo tipo me l'ha dato in pasto. Non so cos'è che s'aspettasse da me, ma non sono quello che deve domandarsi queste cose. Di solito sono quello che deve eseguirle e basta. Che deve impegnarsi perché della famiglia ci si prende cura e che deve ringraziare, sì, perché ad un favore ne corrisponde sempre un altro e Papà è stato terribilmente gentile con me. Davvero il miglior genitore di cui si può aver bisogno.
    Ovviamente sono ironico.
    Ovviamente cerco di nascondere sorrisi troppo ampi che, insomma, sia mai che il Sig. Moon possa interpretarli malamente. Mi viene, ovviamente, da sorridere per i suoi strani modi, ma suppongo di essere anche io quello strano. Lo straniero che adesso preferirebbe bere del caffè nero piuttosto che il tè, ma che, ecco, alla fin fine si accontenta.
    A pensarci bene, in effetti, finisco sempre per accontentarmi di ogni cosa. Per dover cedere tutto in funzione di un unico cazzo di desiderio. Roba che non uscirà dalla mia bocca, ovviamente, non qui. Non quando ho l'impressione che il giovane ministeriale - o com'è che funzionano le cose - possa leggermi nella mente. Per questo assottiglio lo sguardo quando lo ascolto. Quando stringere gli occhi mi da l'impressione di potermi celare al mondo. E sì, c'è un momento in cui uno sbuffo o due mi escono dal naso. Assomiglio forse a un bollitore in accensione piuttosto che ad un uomo, ma poi mi contengo. Mi dico che non tutti debbano necessariamente entrare in empatia con me e che, in altrettanto modo, non devo farlo nemmeno io. Poi sparisco col viso nella tazza da te, con la punta del naso che intruppa piano contro le zollette di zucchero. Rimango ad ascoltare, anche se non tutto ciò che dice mi interessa. Anche se, alla fine dei giochi, a tirarmi su un sorriso sincero, è il racconto di suo padre.
    Per quanto Austin sia per noi qualcosa di simile, quando si parla di genitori a me viene da pensare a Declan.
    L'uomo che mi ha cresciuto prima che fosse Austin a prendermi. L'uomo che, quando la tigre arrivava, era pronto a tirar fuori il kennel su misura di cucciolo che, qualche giorno prima, avevamo decorato insieme. E mi piace, sì, restar ad ascoltare dei loro ricordi. Perché anche i miei, per un certo verso, erano ricordi speciali. Lo sono tutt'ora. Ci penso sempre, sì, quando la febbre tende a salire e allora il corpo cerca di far spazio alla bestia. Ripenso a Declan che correva verso il mio letto. Ricordo il modo in cui mi teneva stretto tra le braccia mentre la belva scalpitava. Persino il ricordo della cantina resta per me un bel ricordo. La luce soffusa lasciata accesa per non permettere a nessun mostro di spaventarmi. Il cuscino rosso, su cui lasciava che sua figlia avesse la sua mutazione.

    — Andrà tutto bene, Gree Gree.
    Mi ripeteva fino all'esaurimento di ogni pazienza e forza.
    — Papà ti aspetta qui, papà ti aspetta seduto sulla poltrona.
    C'era davvero una poltrona vicino alla gabbia, ma quando la tigre mi lasciava stare e allora mi risvegliavo nuda tra le sbarre e le coperte, guardando in quella direzione spesso finivo per non trovarcelo. E non ho mai capito il motivo per il quale un padre fosse così incapace nel mantenere le promesse. Alla consapevolezza del dolore ci sono arrivato solo dopo.

    Magari è per questo che sorrido e forse lascio che gli occhi si illuminino di emozione: perché i ricordi più belli che conservo di mio padre, quello vero, sono quelli che ci hanno fatto soffrire come matti. Sorrido e mando giù così tanta saliva da far rumore.
    — Dipende di quanto tempo fa stiamo parlando. Mi chiedo se questo serva in un qualche modo a tener traccia della mia cronistoria. — Ma ne sono felice, significa che l'amore, a modo suo, arriva anche agli spettatori. A volte non credo nemmeno si parli direttamente di amore, ma è quello a cui cerchiamo di pensare quando i contratti che Papà Austin stipula si fanno stringenti. Quasi soffocanti.
    — La disciplina dice? È una bella domanda, in effetti sfoglio velocemente qualche nozione sociologica che potrebbe essermi rimasta in testa da quelle sere passate a svarionare davanti al fuoco. Oswald saprebbe rispondere a questa domanda. Cerco di pensare come penserebbe Oswald giusto per non sembrare un vero idiota. — Diciamo che qui vige l'anarchia e che a modo nostro ci autogestiamo. Anche se il concetto stesso di Anarchia, vicino a quello di autogestione è fuorviante: per gestirci, abbiamo bisogno di rispettare delle regole suppongo che al Ministero piacciano tantissimo queste cose — Per una questione di anzianità, è Austin a stipularne per noi. Ad insegnarci com'è che si debba stare in un mondo come questo. Poi i domatori ne fanno le veci, almeno per quelle creature che, come me, perdono la ragione in virtù dell'istinto. Ma continuo a guardarlo mentre parlo e, più lo faccio, più mi rendo conto di non saper con precisione dov'è che vogliamo arrivare. — Dovrebbe tornare a vederci. Do per scontato che non lo abbia più fatto da tempo. Forse perché, per me, ciò che ci stiamo dicendo non avrebbe senso in una circostanza diversa da questa. Frugo nella tasca dei pantaloni e tiro fuori due biglietti argentati. Gli stessi che, tra quattro giorni, lasceremo cadere su tutta Londra. — Venga con suo padre, così può vedere con i suoi occhi e chiederlo direttamente ai domatori.





     
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