Singing for the damned

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    | Cherry Pie & Beer - Londra



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    The blood runs over me, but not the cavalry
    I am alone in everything I see, do you believe?
    The thunder sounds and I hear the call
    The underground is the fire below


    Born Again arriva perfetta quando ne ho bisogno. Perché è la musica in parte è anche questo. Non sono solo le notti in cui Remì non vuole dormire, ed allora lo accompagno suonando per lui qualcosa di morbido. Gli piacciono le note più grevi, e così in braccio mio si lascia andare. E' vero che la musica è anche questo, ma quando sono su questi palchi di merda, quello che smuove me è ben altro.
    Io ho bisogno di sfogare quello che non mi calma, di buttar fuori ogni giorno di merda che passo, perché aggressivamente io possa mordere il microfono. A volte sono così preso, così dannatamente sul pezzo, che le gengive sanguinano. E questo piace, quando il cazzo di sangue cola piano dalle labbra, io lo lascio scendere, gocciolare lungo il pavimento, tanto Barry non si preoccupa mai di 'ste stronzate.
    Non so che cazzo ci sia su questo palco, non ci camminerei mai scalzo. Ma canto e basta, butto fuori strofa dopo strofa, ringhio ad occhi chiusi quando il ritornello sale, e sento Jack battere i piedi così forte che il mondo è ovatta adesso.

    E sono di nuovo a casa, in quella città del cazzo. Ho solo quindici anni e mi tremano le ginocchia. Nilufar si è truccata come me, in realtà lei ha truccato me. Ci ha messo impegno a farmi una riga decente sotto gli occhi, ricordandomi che Billie Joe ha iniziato così, più o meno. Ma lo vede che sono agitato, che non mi tengo niente nello stomaco e che Jack si è già ordinato un goccino di vodka per darsi coraggio. Siamo delle pippe, la mia voce non piaceva neanche alla maestra di canto, ma non importa, perché Nil crede in me. Ci crede anche per me.
    Mi stringe, mi dà una bacca sulla spalla eri giura che la nausea sparirà appena inizieremo a darci dentro, e se mai dovesse tornarmi a far male il diaframma dovrò solo guardare lei, in fondo alla sala, dritta davanti a me. Allora prendo fiato, mi dà quasi una testata da quanto è emozionata, ed in quello sento che ha la fronte bollente.
    Le chiedo perché non me l'abbia detto, perché non mi abbia detto che la trasformazione è vicina, che è un rischio, io avrei cambiato la data. Ma dice che va bene, che lei lo sa che può resistere e insomma, per il suo fratellino questo ed altro. Ma io ci penso quando salgo, e finché Jack non parte il mio mondo è paranoico: c'è lei sul tavolino, poi lei che si trasforma, poi la gente che mi spinge via e qualcuno la arresta.
    Ma non è vero, Nil è lì con papà. A lui non piace che io canti, dice che non serve a niente e la mia musica gli fa schifo, ma lei deve averlo convinto a sedersi e almeno "guardare cosa tuo figlio sa fare". So che canto per lui, per le volte in cui non mi ha dato neanche mezza possibilità. Canto per mamma che non c'è ma che invece mi accompagnava nelle scale armoniche, lei che mi ha iscritto a pianoforte perché duettassimo insieme. E canto per Nilufar, che è matta vera, e si è fatta una bandana con la scritta del mio gruppo. La indossa e sembra Rocky Balboa.

    Ed è istintivo, quattordici anni dopo, trovarmi qui, sfogare le note più grevi per il senso di mancanza che mi prende lo stomaco. Perché papà è un colabrodo, mamma è ancora morta, e Nil non ci sarà quando guarderò dritto davanti a me. E questo mi dà la fottuta carica di rabbia per essere ciò che sono: Joshua, il cantante dei Morgana. Il ragazzino che era e che sono ancora, che scrive le canzoni appuntandole nell'ennesimo taccuino e parlano di quel fottuto amore che mi viene ciclicamente strappato via in un modo o nell'altro. Io sono quello che rinasce sempre.

    Ed io sta canzone l'ho scritta per me, anche se a cantarla non sono da solo, li sento, qui vicino, che le parole un po' le conoscono. Non saremo famosi come sognavo, ma cazzo se qualcosa la smuoviamo. Poi - finalmente - riapro gli occhi in un ringhio.



     
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    Questa musica a me non piace. Questo posto, a voler essere sinceri, mi urta. Mi da fastidio l'acustica sballata e come il palco sia stato allestito alla rinfusa. Senza amore, senza alcuna cura nei particolari. Mi urta star seduto su di questo sgabello, anche quando Emily è qui con me, perché nessuno ha fatto problemi a lasciar entrare un cane della sua stazza in mezzo a questa bolgia. Forse non sopporto nemmeno l'odore di alcol. Il bancone pieno di bottiglie semi vuote che si staglia dinanzi ai miei occhi. Non sopporto nemmeno la tua voce, Çevik, ma da dove vengo io, una promessa è una promessa. Non sarei potuto mancare. Non sarei riuscito a trovare una scusa adatta a mettermi l'anima in pace. Io non so perdonare me stesso per non riuscire a fare ciò che mi sono prefissato. Ma questo tu non lo sai e, probabilmente, non lo saprai mai. Così come io fingerò di non sapere tante cose di te. Di non aver cercato i tuoi censimenti per poi scoprire che, casualmente, un obliviatore del tuo calibro ha un padre affetto da alzheimer atipico rinchiuso in una struttura per no mag. Non farò domande a riguardo, non sta sera almeno. Non quando guardandoti so darmi fin troppe conferme da solo. Non ti leggerò da qui, non è qualcosa che posso davvero fare e forse, anche se potessi, non credo che lo farei. Io credo di capirti, Joshua Çevik. Ti capisco anche quando mangi le parole a causa del tuo accento americano del cazzo. Capisco perché ringhi e perché potresti aver voluto un padre in quelle condizioni. Io, il mio, lo avrei semplicemente fatto fuori. Non sarei stato così crudele, in effetti, ma lo avrei strappato via al mondo. Perché, a giudizio personale, lui non merita di starci, non quando ha capito come toglierlo a me.
    Magari è anche per questo che sono qui. Perché nell'aver bisogno di una pista che sappia distrarmi dal mio impegno giornaliero, poi finisco per nutrire del sincero interesse per la tua storia. E anche se non farò domande, Josh, io non mi fermerò dal cercare di comprenderti. Perché questa è la mia deformazione e si frappone perfettamente tra le manie del controllo che il lavoro mi stimola e i miei hobby. Sono fatto così, accettami per queste poche ore che passeremo insieme. Perché non me ne andrò, non quando una mano la tengo sul bancone a diteggiare un pianoforte finto. Premo i medesimi tasti che sfiora il tuo tastierista. Suono le sue stesse note e poi, tra un sorso e l'altro, torno ad accarezzare la gola di Emily. Lei, che è forse l'unica ad apprezzarti tra i due, rimane seduta ai miei piedi. Ti sta fissando. Tanto che a volte mi sembra di aver davvero una qualche connessione telepatica con lei.

    — Apprezzi il damerino, Ems? lei scodinzola. Anche se sembra una tosta, anche se è stata addestrata per rispondere ai miei comandi, quando la tocco io scodinzola. Allora le orecchie le si abbassano appena e gli occhi - anche se per un solo istante - passano da te a me. Si concentra sui miei, del medesimo nocciola dei suoi.

    — Stai facendo la puttanella, amore mio? ovviamente glielo dico a bassa voce affinché possa sentirmi solo lei. Affinché, presa dall'emozione, prenda a leccarmi una mano. Quanto ha bisogno di questo tipo di attenzioni, Josh. Ne ha bisogno quanto noi due. Che io lo so, lo so come queste nostre espressioni, in realtà, non ci servano a nulla. Come uno che canta questa roba, con la tua voce, deve aver tante cose da dire. E io ne ho a mia volta, certo, ma quel che mi resta adesso, è continuare a suonare in tua compagnia battendo per l'ennesima volta le dita della mano destra sul bancone in legno.
    Se mi concentro su voi due, potrei smetterla di far caso a tutto il resto. E magari ci provo, sì, a giocare a quel gioco per il quale ti chiedo - mentalmente - di guardare proprio in questa direzione. Perché voglio vedere che faccia farai da qui, anche se so di non farti alcuna sorpresa. Anche se non so, ecco, il vero motivo per il quale ti ho dato questo "appuntamento".
    Forse ho bisogno di ingaggiare qualcuno con le tue capacità. E me ne convinco, sì, soprattutto quando finisci per aprire gli occhi, allora alzo il bicchiere di whiskey in tua direzione. Un cin cin, giusto per annunciarti che sono qui dal momento in cui hanno aperto i cancelli. Giusto per dirti che questo è già il secondo bicchiere che bevo.



     
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    Il problema di quando apro gli occhi, è che la realtà arriva come una spada tra capo e collo. Nil è morta, e con lei se n'è andata la mia idea di famiglia per anni. Beh almeno fino a Remì, ma lui non è qui. Non lo porto quasi mai, se Shonda può darmi una mano a tenerlo lo lascio a le, ché di queste serate ho ancora bisogno. Un momento per essere il demone che sento dentro, senza che questo lo spaventi. La mia musica non gli piace, non è il suo genere, ma mi guarda come se fossi il cantante migliore del mondo solo perché sono suo padre. Quanto cazzo lo amo.
    Per questo il volume aumenta, per questo ringhio di più ed il sangue me lo lecco via dalle labbra.
    Non mi dà alcuna cazzo di speranza scandagliare le sedie piene e vuote davanti a noi, ma non sono loro a cui punto, quando la musica scema piano, in due colpi di grancassa, i miei occhi trovano Riley. Merda, credevo avresti mollato la presa, che cazzo ci fai qui?
    I miei occhi restano fissi nei suoi, incasso il colpo, in un attimo di pura attesa. Gli altri aspettano che io dica loro con che cosa chiuderemo la serata. Ma io mi prendo un secondo, per riprendere lo sguardo famelico che mi porta ad essere chi sono su un palco. Mi giro veloce, lo mimo a Jack, gli altri seguiranno. "Wake Up" l'ho scritta da poco, è ancora in rodaggio, ma cazzo se spinge. L'ho scritta dopo un incontro, uno che mi ha fatto capire che quello che sta facendo 'sto nuovo governo è una merda, ed Iron Garden è solo un modo per inneggiare alla paura.



    E la canto dall'inizio, il mio è un moto di rivoluzione che certo non andrà da nessuna parte, ma cazzo se fomenta chi sta qui per noi. E sì, dio se ti guardo Riley, perché non me l'hai spiegata bene il primo giorno e qualunque ragione tu abbia per essere qui, la farò mia appena scenderò. Per mia sfortuna non sono un codardo del cazzo, ma così non ho nemmeno un sintomo di autoconservazione. Mi fermo, certo, ma solo quando è tardi e solo perché mi ricordo che Remì non merita di perdere l'ennesimo genitore. Le sue ferite fanno ancora male, i suoi incubi sono ancora tremendi, lo tengono sveglio a sudare nel mio petto, avvolto perché ha caldo e freddo insieme. Glieli placo, ma questo mi incattivisce più della mancanza di sonno. — Wake up! —

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    Due colpi, gli applausi, qualche grido ed il faro che si spegne. Allora respiro, o forse smetto di respirare, non ho mai capito quale delle due vite mi piaccia davvero, ma so che ho un conto da saldare e qualcosa da spiegare meglio a quel Riley.
    — No, stasera devo fare una cosa vago, rispondo a Naomi che vorrebbe già andare a bere fino all'alba, anche se Jack deve correre a casa dai figli. Adam la segue, perso di lei, pronto a farsi guidare ovunque. Se gli dicessi di buttarsi da un ponte, lo farebbe. La passerei con loro la serata, ho detto che non pensavo Riley si presentasse, ma ora le cose sono diverse. Mi muovo verso di lui mantenendomi serio, anche se cantare mi ha sciolto i muscoli e quasi quasi un secondo round me lo potrei fare. Adesso non avrò Remì a fare da vaso comunicante, almeno mi girerà meno il cazzo. Dio, però ha un bel cane. Uno che guardo perché voglio evitare che abbia l'addestramento a spezzarmi un braccio se gli vado vicino. — Ti stai bevendo il mio drink?



     
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    L'ho detto, questa musica non mi piace. O almeno, non è il mio genere. Ma mi rendo conto di quanto questa sappia valere per lui. Joshua ha un modo di cantare tutto suo. Che non lo rende di certo speciale, diverso da tutti gli altri cantanti che sono venuti prima di lui, ma lo contraddistingue. E non è magari solo per il tono, quanto per l'espressione. Il suo volto, contratto nei punti in cui la nota deve essere più bassa, più profonda di tutte le altre, io non riesco a smettere di guardarlo. E mi immagino di premere i tasti dell'ottava più dura del pianoforte. Gli scatto una fotografia che è solo mentale. Solo musicale. Fino a che non mi ritrovo ad abbracciare la sua emozione. Però è solo un momento, uno di quelli che sa snudarmi i canini e spingere con più durezza la mano sotto il mento di Emily. Solo un istante, in cui mi sento bestia anche io allora la sua canzone gliela strappo via. La nascondo nel taschino della giacca. Decido di portarla con me anche se la odio. Ma ecco, c'è solo questo. Probabilmente non c'è altro se non questo: una curiosità che è dettata dall'amore per la medesima forma d'arte e poi la fottuta condanna di sentirmi comodo nei suoi stessi panni. Comodo, sì, nelle vesti di un potenziale criminale.

    Per questo non mi scollo da qui e ordino un altro giro di whisky non appena lo vedo arrivare. So che non cambierà strada perché il suo modo di muoversi e inghiottire lo spazio che lo circonda credo di averlo già compreso la prima volta che l'ho visto. E non è un segreto, per quelli come me, ritrovarsi a smascherare persone così. Come vi dicevo: Joshua non è speciale, ma sa come farsi ricordare. E io ho una memoria fin troppo buona. Una memoria fotografica del cazzo per poter dimenticare un incontro del genere.
    E non c'è stato niente di speciale, ovviamente. Il bello, credo sia arrivato subito dopo la prima indagine su di lui. Subito dopo aver cercato informazioni sulla sua famiglia. Una madre morta, un padre lasciato impazzire, un figlio che è stato adottato con la fortuna di chi, ragazzi della sua età, non hanno affatto. Joshua deve essere davvero il miglior candidato al successo. O quantomeno, alla sopravvivenza più sincera. Vera.

    Così sposto la mano dal collo di Emily quando lui si fa più vicino. Lo faccio lasciandola risalire lungo l'orecchio destro, del quale premo leggermente la punta tra pollice ed indice. Glielo massaggio, quasi come se da lì potessi massaggiarle tutti gli altri muscoli. Che la conosco, la mia piccola e so, sì, quanto le piaccia avere la libertà di cercar coccole da altri. Le basta solo un cenno, anche di quelli non pronunciati verbalmente.

    — Ti stavo aspettando, in realtà. I bicchieri che ho dinanzi a me sono vuoti. E sono solo due, com'è il numero perfetto del mio riscaldamento. Due shot di qualcosa di pesante per iniziare al meglio la serata. La presenza di Emily tra le mie gambe per sentirmi sicuro. E lei mi ama, mi venera. Perché non sono solo quel padrone che ad ogni compito portato a termine la premia. No, io sono il suo compagno. Una bestia così come lo è lei. Tanto che quando mollo la presa dall'orecchio lei si alza da dov'è seduta e si muove in direzione di Joshua. Non gli si fa vicino per bloccare, quanto per sedersi dalla sua parte affinché sia lui ad accarezzarla. Affinché possa sentire e memorizzare il suo odore.

    — Prima di farti i complimenti vorrei presentarti Emily e guardo il lupo cecoslovacco che ora gli da direttamente il culo. Vuole essere grattata sull'attaccatura della coda. — Joshua, Emily, Emily, Joshua. Non posso non avere un sorriso per la mia piccola. Così come non posso non aver le dita pronte ad arpionarsi all'ennesimo bicchiere pieno che sa finirmi tra le mani. Così respiro, probabilmente. Respiro solo quando tra le dita sento il vetro e allora inizio a percepire l'odore dell'alcol nelle narici. Come un cazzo di cane di Pavlov. Ecco, ecco cosa sono. Ecco perché Emily mi ama da impazzire.

    — Spero tu non abbia paura, perché le piaci. Potresti diventare il suo migliore amico se inizi a grattarle il culo. Così alzo il bicchiere in sua direzione. La luce del locale si riflette nel liquido trasparente. Ho già la bocca impastata di whisky e il whisky come questo, non disseta affatto: asciuga.

    — Ma bando alle ciance, cin cin a questo mio primo concerto dei Morgana. Sapevo fossi il loro leader perché, insomma, in posti come questi le voci girano, ma non avevo immaginato cantassi così. In realtà penso davvero che la sua voce sia bella, solo che è tutto il resto a non convincermi. Tutta quell'aurea da ragazzino ribelle mi da la nausea. Non siamo più ragazzini Josh, non siamo più ribelli, quindi raccontami quali motivi ti spingono ad essere così. Hai forse paura di crescere? Sei il nostro Peter Pan modello? Beh, io sono Wendy. Voglio raccontare una storia al mio piccolo bimbo sperduto. — Purtroppo la tastiera non mi convince, in alcune canzoni suonano meglio strumenti diversi, ma che dire, questo comunque non mi ha precluso la fruibilità di uno spettacolo davvero bello. Bevo, senza schierarmi tutto il contenuto. — I miei complimenti, ecco. Se solo sapessi quanto cazzo manca anche a me tutto questo. Quanto, in realtà, a me basterebbe un posto tranquillo per tornare a sognare. Per tornare a sentirmi bene.



     
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    Se solo sapessi a chi cazzo sto andando in contro, mi fermerei qui. Terrei i piedi fottutamente saldi in un punto sicuro, senza aprire niente di me di fronte a chi attraversa la strada solo sulle strisce.
    Se sapessi chi ho davanti, a chi mi sto avvicinando, devierei, ringraziare ed andrei via, il più lontano possibile da ogni contatto. Non ci vorrebbe molto, dovrei solo continuare dritto invece che sedermi.
    Ma io non so mai un cazzo, tanto che il mio scavare - dopo il cazzo di nodo che mi è rimasto in gola l'altro giorno - si è limitato alla sua pagina instagram. Niente di diverso da un padre di famiglia, il proprietario di questo cane che mi aspetta al mio posto, ed un pianista.
    Di Riley Cunningham io non so niente altro. E la colpa, anche in questo caso, è solo mia.
    E non mi sto facendo intenerire dal suo cane, per quanto lei sia incredibilmente bella. Tanto che va bene, mi siedo e lo faccio per non sembrare sempre così ostile, e perché voglio capire.
    Voglio capire se ha fatto la cazzata di denunciarmi agli Auror o agli Antimago per quello che non ho davvero fatto. Magari è qui per decenza, solo per dirmi che mi conviene fare i bagagli e togliermi dal cazzo, ed in quel caso... beh non sarei gentile neanche per il cazzo.

    Un cenno a Thomas, che serve stasera, per farmi portare la stessa cosa che Riley butta giù da quando è entrato qui dentro. — Emily , saluto prima lei di lui, mentre accenno a sedermi, consapevole delle troppe cazzate che riesco a fare in questi giorni. Faccio scendere i grattini dove vedo che le piace, concentrandomi solo sul suo abbassare le orecchio in segno di godimento. Almeno sono nella lista dei buoni abbastanza da farmi annusare una mano senza che mi venga staccata dal braccio. Questi sgabelli li conosco fin troppo bene, con il braccio arrivo al bancone tanto da poggiarmici.
    Annuso il bicchiere che mi è appena arrivato, e stavolta Riley lo guardo un po' meglio. Non so smettere di essere un cane neanche adesso, che mantengo il muso di chi morde.
    — Non ho paura , ma non specifico i dettagli di questa menzogna. Non ho paura di Emily, che è un cane. Ma tutte le cose di cui ho paura sono scritte nero su bianco nei miei testi, le esprimo solo buttando fuori l'aria dai polmoni e modulando la voce, poi tornano chiuse in un baule senza chiavi. Uno che ho sigillato con l'occlumanzia, come deve essere.

    — Che io cantassi "così" come? alludo, lasciando tintinnate il bicchierino con il suo. Dio se odio il whiskey e questo dev'essere uno di quelli utili giusto a riscaldare i motori delle auto. E' benzina già dall'odore. Però ho imparato che un drink non si rifiuta mai. Come invece rifiuterei ogni commento che mi lascia adesso. Lo so che ci sono cose che vanno sistemate, ma noi funzioniamo così ed io... non sono bravo neanche con le critiche costruttive.
    Ho solo le barriere così alte da quando ha scavato nella testa di Remì. Magari sta solo facendo il padre che cerca un altro padre, ma io ste stronzate non le ho mai capite.
    — Sai che non credo neanche per il cazzo che tu sia qui per farmi i complimenti e goderti lo spettacolo? Lo lascio andare con tranquillità anche se in fondo alle mia parole c'è sempre un ringhio. Non lo so, non so un cazzo con certezza, ma non credo mai a niente a prima vista.

    Mando giù il fuoco vivo che brucia nei polmoni, con una smorfia di fastidio che mi fa stringere i denti. Cristoddio, tu bevi questa roba? stringo gli occhi per riaprili due secondi dopo.



     
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    Non sono il tipo da pub. In realtà non sono il tipo che ama fermarsi fuori a bere in compagnia di altri e le motivazioni sono molteplici, così come c'è un motivo per il quale parto sempre con il bere qualcosa di pesante e liscio. Perché non bevo per il piacere di farlo e forse nemmeno per una questione sociale. Non sono un tipo socievole, sono un tipo che fa il proprio lavoro e anche quando non sono in servizio, beh, il modus operandi resta quello.
    Anche adesso, che a conti fatti sono qui solo per una questione personale. Un tornaconto che riguarda me soltanto. E gli sorrido, mentre mi parla, conscio di come stia iniziando a piacermi il modo in cui la gente sembra essere intimorita da me. Non sono il poliziotto cattivo, non lo sono affatto, ma non serve a nulla ripeterlo solo a me stesso. Non servirebbe nemmeno dirlo apertamente. Insomma, conosco bene l'impressione che inconsciamente finisco per dare. E che sia involontaria o meno, comunque non cambia le carte in tavola

    — Non sono qui per farti i complimenti lo specifico, perché serve comunque ad avvalorare il motivo per il quale non mi spertico a spiegargli "com'è che canta". Non sono un local coach, né ho interesse per questo tipo di discorsi. Certo, la musica mi piace. L'arte, di per sé, mi eccita, ma questo non significa che io debba star lì a tenere trattati sulla questione. La sua voce non mi dispiace. Mi piace il suo grattato, ma il discorso finisce qui. Non sono una ragazzina, né una groupie del cazzo.

    — Anche se, ti dirò, lo spettacolo per un certo verso me lo son goduto. Il che è vero: non è stato spiacevole. Certo, tante cose non le ho apprezzate, ma sono pensieri che restano miei e basta. Magari tornerò una seconda volta, che comunque dieci stelline li investo pure per un ragazzino che da spettacolo in questo modo. Non è un problema, insomma, passare la serata diversamente da come mi ritroverei a passarla.
    E starei persino per spiegargli quale motivo mi ha spinto qui. O almeno, quale dei tanti motivi che giornalmente concorrono alle mie scelte, ma non lo faccio, non quando vedergli quella smorfia in viso finisce per strapparmi un sorriso stupido.
    Joshua non beve questa roba ed è un appunto che mi faccio volentieri. Magari nonostante l'aria da duro è più il tipo da cocktail fruttati. Non mi stupirei: a volte la loro è solo una facciata. Un modo che anche Joshua potrebbe avere per non dover star ad ammettere che la sua vita è una merda. D'altronde un obliviatore non può 0bliviare se stesso. Non ci riuscirebbe nemmeno osservando i proprio occhi riflessi nello specchio. La mente entrerebbe in auto conservazione. Il corpo richiamerebbe la sopravvivenza.

    — Diciamo che la mando giù e basta. Decido di cominciare da me. Di aggiungere dettagli sul mio conto per far sì che lui possa ammorbidirsi ulteriormente. Ha il mio nome, il mio cognome, il mio cane che gli scodinzola tra le gambe e ora, beh, la mia storia.
    Che non è solo mia: non ho la presunzione di ritenermi un ex tossicodipendente speciale. Ho avuto una dipendenza come tanti altri. Me la cavo, ecco, come tanti altri. Cambia solo la sostanza, solo la motivazione, ma nulla in più di questo.

    — Mi serve per far spazio ad altro che alcol di questo tipo hanno una gradazione ragionevole e anestetizzano, uccidendo un po' i sapori e solleticando la gola. Quando ordinerò un boccale di birra le cose cambieranno tono: io sarò più morbido, magari più piacevole e il sapore della birra inizierà, pian piano a strapparmi via la stasi dalla gola.

    — Non è perché l'appetito vien mangiando. La sete non viene bevendo, è una cazzata o almeno, una cazzata ben confettata, s'intende. — A me serve per passare alla birra e non sembrarti tanto un palo in culo. Sorrido, stupidamente. Per gioco, sì, mentre una mano in direzione del barista la tiro su.
    — Tu ordina quello che ti pare. Offro io, da bravo fan. Ovviamente, sa che l'ultima parola non è vera. Anche se, insomma, potrei diventarlo presto.
    — Così iniziamo a parlare di lavoro col piede giusto.



     
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    Non dico di essere bravo con le persone, ultimamente non sono bravo neanche con me stesso.
    Ma un po' per mestiere le indago, cerco il motivi di ciò che vorranno dirmi prima che davvero lo facciano. Mi fanno credere che obliviare da dieci anni abbia fruttato almeno qualcosa nelle mie capacità.
    E di Riley so ancora troppo poco, più lo guardo e meno riesco a spingermi nella sua mente. Ho conosciuto diverse persone, ho conosciuto anche Auror che - vittime di una corruzione palese - hanno cercato la rimozione dei loro stessi crimini dalla testa, così da risultate fottutamente innocenti davanti alla legge.
    Ovviamente sotto minaccia - sorrido, spingendo il bicchiere vuoto verso la fine del bancone - chiaramente gli stronzi sanno i punti in cui minacciarmi.
    Penso a loro solo perché il modo in cui Riley mi si è avvicinato, ha finito per darmi quegli stessi brividi, anche se diversi. Non so che cazzo ho, ma di nuovo sento questa strana eccitazione crescere, come se fossi portato a stargli più vicino di così. In contrasto con quella parte di me che vorrebbe uscire dal locale, pensando di non avere più nulla da dirci.
    Io ogni volta che lo guardo negli occhi, resto qui dove sono, seduto e con una mano a chiedere il mio "solito" ( un gin tonici) al bar.

    — Così va molto meglio parlarsi chiaro è il cazzo di essenziale, anche perché io sono stanco di stare sempre in allarme, anche se per natura sembra che io non riesca a fare altro. Ovunque mi giri c'è qualcuno pronto a portarmi via qualcosa. Che sia una serata in un locale o mio figlio, non fa differenza. Ci sono abituato, conto i giorni di calma dalla morte di Nil e sono troppi.
    — L'ho sempre trovata benzina, più che altro non so nemmeno perché continuo su questo filo, come se pur di parlare io dovessi dire qualunque cosa, anche se poi sto ben attento a mantenere il mio sguardo solo sul suo viso. Scivola appena lungo il collo, ma mi fermo lì, al brivido che mi dà. Neanche fossi un cazzo di vampiro.
    Ed io lo sguardo non so mai abbassarlo, neanche davanti alla merda, devo vedere con fottuta precisione cosa mi si sta avvicinando. — Le mie corde vocali hanno bisogno di qualcosa di più fresco dopo i loro sfor- anche questo probabilmente non serve ad un cazzo dirlo, ma resto qui. Mi faccio appena più avanti nel momento in cui cita il lavoro. Un ginocchio a sfiorare il suo.
    E' probabilmente una scusa - la mia - ma non me ne preoccupo adesso. Ma lui ha tutta la mia attenzione.

    — Lavoro mastico, scuoto la testa, tamburello con le dita in attesa del mio gin. Di solito io non chiedo mai niente a nessuno, non chiedo che famiglia hanno i traditori, né che lavoro fanno i criminali, non mi interrogo sui sadici assassini perché in caso sento che posso ancora appenderli al muro. Il mio lavoro è anche una cazzo di minaccia, con quello mi faccio sempre scudo.
    Ma con Riley ringhio, non sono docile, mi ha solo ammansito dalla promessa di essermi meritato almeno un drink. Però il mio volto resta duro, soldi anche a differenza di occhi che scavano in cerca di qualcosa. — Dimmi che cazzo hai letto nella testa di mio figlio. A cui non do un nome, voglio capire fin dove ha scavato, se gli ha letto i ricordi, che cazzo sa dell'adozione e quanto a fondo la mia paranoia vuole andare.
    Ti avevo detto di non leggergli la mente, l'hai fatto lo stesso, ora voglio sapere. Ora voglio...





    Edited by Jossshua - 15/1/2024, 12:01
     
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    Non gli ho chiesto quali fossero i suoi gusti. Il fatto che io sia qui, seduto, a dargli informazioni futili sul mio conto, non sta a significare che poi abbia voglia di sentire le sue. Ed è un punto stupido che resta fermo nel mio cervello. Qualcosa per la quale non dovrei stranirmi ma che finisce per farmi tirar su un ghigno diverso dai soliti sorrisi. Sarà che le informazioni mi piace ritrovarle da me, anche se di solito la facilità con la quale affiorano mi annoia. Sono un controsenso, ma è solo così che so trovare un po' di brio nel mio lavoro. È solo così che mi fingo vigile ed interessato a determinate questioni. E sì, magari terrò conto del fatto che post canto ha bisogno di qualcosa di più "fresco", anche se non è detto che tornerò qui ad aspettare ogni fine concerto. Questa potrebbe essere forse la seconda e ultima volta che ci incontriamo. Tutto dipende dalle sue risposte.

    — Da Remì? dire il nome di suo figlio mi serve ad incollarlo alla sedia. Ho bisogno che resti, anche se con la scusante dell'odio. Deve restarmi vicino ed ascoltare tutto ciò che ho intenzione di dirgli. Perché di solito non parlo molto, di solito agisco e basta e lui, questa sera, ha la fortuna di conoscere quella parte di me che non mostro a tutti. Sarà che leggere nella testa di suo figlio mi ha aiutato ad ammorbidirmi. Sarà proprio per quel ragazzino che oggi mi ritrovo qui. Che c'è una parte di me che è davvero intenzionata a fidarsi di un estraneo d'altronde, se si è fidato di lui un orfano, possono farlo un po' tutti.

    — Ho letto quelle cose che si leggono nella testa di bambini tanto piccoli: che sta bene, che ti ama e che apprezza la musica che fai anche se non lo porti ai concerti. Non ho capito se questa cosa possa pesargli o meno, ma non sono uno specialista di psicoterapia infantile lo dico con tutta la calma di questo modo. Non oso insinuare nulla, tanto da modulare il tono affinché possa risultare tutto il più neutro possibile. Non sono qui per giudicare: questa sera non sono giudice, no. Questa sera sono solo l'investigatore del cazzo che, se preso alla lunga, può diventare fastidioso. Ma nulla in più di questo.

    — Però possiamo ringraziare Remì per essere qui, insieme. Non specifico dell'impressione positiva che, nonostante l'inconveniente del nostro incontro, mi ha fatto. Non sono qui per fargli i complimenti, l'ho già detto: sono qui solo per mostrare dei fatti e capire com'è che ha intenzione di muoversi a riguardo.

    — Sicuramente sai meglio di me che praticare un servizio come il tuo non è semplice, ma non sono qui per indagare su quelle circostanze che ti hanno portato a risoluzioni spiacevoli. Il sistema babbano, in qualsiasi senso si possa intendere, è fallace. L'archiviazione dei loro documenti è fallace e così come tu puoi permetterti di obliviare le loro menti, io posso permettermi di far facilmente due conti, se tengo in considerazione cosa so di te. Prendo fiato solo quando ci arrivano sia la birra che il suo gin tonic. Segno mentalmente anche questo: il gin tonici saprei persino prepararlo, anche se in casa tendo a conservare solo una bottiglia di whisky. Una sola, perché so com'è che funziona la mia mente a riguardo. È fallace anche lei.

    — E so che sei un obliviatore con i controfiocchi: non posso chiedere delle recensioni più approfondite perché auspicare ad un Tripadvisor magico sarebbe pura follia, soprattutto di questi tempi - Mi sento simpatico nel dirlo, perché di base, recensire attività illegali come queste sarebbe la fine per ogni cosa: per noi Auror che smetteremo di indagare, avendo la pappa pronta e per loro, che non sentirebbero più di essere quegli eroi che combattono il sistema dall'interno. — Ma a giudicare sapendo della struttura per malati di Alzheimer e dell'orfanotrofio mi viene facile.
    Lo guardo, trattengo l'ennesimo sorso.

    — Il punto a cui voglio arrivare è che non sono qui per accusarti di qualcosa. Non ti denuncerò alle autorità: tutti hanno i loro segreti. Li ho anche io e poi ridacchio piano. — Dovrei denunciarti a me stesso, diciamo. Perché rappresento la giustizia. Perché è a lei a cui rispondo e perché Joshua, gira che rigira, è un criminale. Anche se un tipo di criminale molto, molto comodo.



     
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    Remì. Io ho già capito. Speravo solo che non fosse così fottutamente facile risalire a me. Riley sa tutto, e quello che non si è preso da mio figlio, se l'è trovato unendo i puntini. Cristo.
    So già che a Remì dispiace non venire sempre via con me, lo so che Shonda la tollera ma non è come stare con me. Quel ragazzino è la mia piccola sanguisuga e questo non è che un vanto per me. Dovrei insegnargli un po' di distacco - anche se poi i suoi spazi se li prende - ma nessuno dei due lo vuole per davvero.
    Noi ci vogliamo a vicenda, io per il mio bisogno di fare almeno qualcosa di buono nella vita e l'atavico desiderio di proteggerlo a costo della mia. Lui, beh, Riley l'avrà visto da sé quanta paura ha di sbagliare, di fare qualcosa che mi convinca a riportarlo a Las Palmas, come se fosse possibile. E' ancora un suo incubo, è ancora parte delle mie notti insonni. Credo sia il vero lavoro di un padre questo, accudire il figlio che non riesce a dormire perché è tormentato dagli incubi.
    Ed io, che sono il fottuto Re delle paranoie, ho imparato in questi anni a governarli sotto ogni forma, ed in questo modo anche a frenarli.

    E ci provo, a dire qualcosa, anche solo un — Neanche questi sono cazzi t- tuoi, sì, ma mi fermo quando va avanti, dopo solo un sorso di gin. Adesso il fresco non rende piacevole un cazzo di quello che dice. Stringo i denti, perché cazzo io lo sapevo! Lo sapevo che la mia sensazione era quella giusta, non dovevo neanche sedermi a questo tavolo di merda.
    Le cose che sa di me. Sa che il mio sguardo si indurisce, perché divento mortalmente serio, tanto che respirare mi resta molto difficile. Sarebbe più facile poter ringhiare, ma Aslan una lezione me l'ha già data e non posso fare più casini di quanti non sia solito farne. Ma il mio essere amichevole anche se di merda, finisce velocemente. Finisce quando le sue parole sovrastano i miei pensieri, quando io faccio i calcoli di tutte le cose che ha già trovato, così da capire se ne ha persa qualcuna.
    Forse in Remì non ha visto ancora tutto, ma trattengo il fiato lo stesso. Suppongo, sì, che avrei potuto nascondere meglio le mie tracce, ma cristo nessuno di preoccupa di un vecchio turco con un problema di memoria, ancora meno se è babbano. Per fortuna non ho mai conosciuto sbirri tanto interessati da scavare anche nei doppi registri.

    — Ti sei fatto parecchi conti in soli tre giorni sibilo, gli occhi fermi nei suoi, anche se le iridi vacillano e le pupille si dilatano piano piano. Sei bravo, Riley, ma allora perché cazzo non mi arresti? Perché ti servono prove? Perché non hai un mandato per indagarmi. — Ah ecco perché sei bravo, sei un fottuto dello Stato anche tu.
    Scuoto il muso, chiudo gli occhi in una risata che si spezza, uno scherno che rivolgo a me, con la lingua che passa piano trai canini e gli occhi che si riaprono sul drink.
    — Di solito farmi fottere è un po' più piacevole di così, almeno aspettano che io finisca di bere ma nella risata che lascio scivolare ora c'è comunque una cazzo di punta di tensione. Io sono quello che fotte. Io sono quello che spinge la gente con le spalle al muro, che fa scendere il pollice lungo la gola, io che ringhio e scopro i denti affinché almeno un po' scivoli in loro il brivido della paura. La paura che io possa sbagliare, spingere tanto a fondo da cancellare qualcosa di importante, di vitale.
    Paura che io per ripicca abbia da solo il controllo di tutto, che nel mio scavare scopra quello che neanche loro sanno.
    Chè la mia ricerca ha dei confini, limiti che solo un legilimens può varcare. Porte che Riley saprebbe aprire ma che io chiudo al mondo.
    Non voglio pensare a mio figlio come un punto debole, ma non posso fargli vivere ogni momento con me, se qualcuno può leggerli così facilmente.

    Picchietto con le dita lungo il vetro, la condensa scivola giù. — Antimago o Auror? O sei di una squadra speciale? Ho perso il conto di quante se ne inventano per gareggiare tra ego e cazzo sputo, sarcastico, butto già un altro sorso, e mi faccio più vicino a lui. Più vicino al pericolo, perché la fottuta adrenalina mi chiede questo adesso, che io resti qui a vedere quanto nella merda sono davvero, quanto pericolo corro e quanto invece è innocuo Riley.
    — Cosa cazzo vuoi? inclino piano il capo, studio, chiedo sapendo di avere una mente sigillata.



     
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    Lo so, lo so bene come nemmeno questi siano cazzi miei. Niente lo è davvero, non quando i cazzi altrui me li faccio solo per mantener ben stretto il lavoro. Penso siano finiti i momenti in cui poter auspicare di sentir gli altri parlarmi di loro perché vogliono farlo: non sono il confidente di turno. Solitamente e magari proprio per questo, la gente non ha questa gran voglia di aprirsi con me.
    Sono io che li apro.
    E questo, di base, non sa andare bene a nessuno. Ed è giusto, giustissimo dire, anche se sentirmi dire per l'ennesima volta delle ovvietà poi finisce per annoiarmi un altro po'. Giusto un pochino. Ovviamente non glielo do a vedere: il sorriso lo mantengo su come se mi si fosse calcificato il viso e non perché abbia chissà quale intenzione di mentirgli, quanto perché, non so, ci sto bene così. Non posso dire di sentirmi divertito o in un qualche modo sollazzato dalla situazione, ma devo ammettere che Joshua è curioso. Che c'è qualcosa in lui che mi affascina e non parlo degli occhi chiari o dell'aspetto da ragazzino ribelle: non sono quel tipo di persona. Dopo Nate credo di non essere il tipo di persona per niente, in realtà. Quello che intendo, comunque, è che al di là della bellezza oggettiva, a trattenermi qui è più la curiosità che altro. Forse del suo disagio io non so far altro che nutrirmi. Come una sanguisuga. Come se in me, in effetti, ci fosse un pizzico di gelosia. Che ad esser rancoroso lo sono come tuti. Che ad esser padre, lo sono come lui.
    Forse a mancarmi è mio mio figlio. Forse in lui sto cercando un insegnamento più che delle risposte. Magari sto cercando di capire, guardandolo, com'è che si faccia a prendersi cura di Nicholas. E non perché io non sia presente, non è nemmeno questo il punto. Magari, semplicemente, non so spiegarlo e basta.

    — Ho avuto del tempo libero scivolo nell'ironia perché a volte è così che mi piace approcciare agli altri. Mi piace non essere tanto duro anche se il volto tradisce un certo tipo di serietà. Magari è la mia carica a rendermi ciò che non sono o chissà quale altro dettaglio che a me, in primis, sa sfuggire. — e un'informazione ha tirato l'altra e qui un sorriso più ampio mi si apre sul volto. Non so nemmeno io perché mi viene spontaneo mostrare i denti. Ma quando allude al sesso un risolino mi sfugge. Sfugge persino lo sguardo, che prontamente porto in avanti. Non lo guardo più negli occhi, ma solo perché mi limito a stringere una mano intorno al boccale. Anche Nate sapeva lanciare frecciatine così e se ora sono tentato dal leggergli la mente, poi mi forzo a desistere. Non è così che dovrebbe sempre e solo funzionare la mia vita. Vorrei essere preso alla sprovvista una volta tanto.
    Non so perché lo sto pensando proprio adesso.

    — Un auror.
    Torno coi piedi per terra e solo così riesco a guardarlo. Io non mi vergogno di ciò che sono, nemmeno a discapito degli alti e bassi che costellano la mia vita. Io non mi vergogno del lavoro che mi sono scelto, anche se ha preso strade del cazzo, strade che non mi piacciono affatto. Il fatto è che non sono ancora del tutto convinto di votarmi ad una causa al punto da soverchiare tutto ciò che sono stato sino ad oggi. Sono un auror da che ero ragazzino. Ogni cosa, da dopo Hogwarts, si è basata su questo.

    — Che ha bisogno di qualcuno che lo oblivi di quelle informazioni che non possono per nessun motivo al mondo uscir fuori. Non sono l'unico legilimens del dipartimento, né immune al veritaserum. Presupponendo che io sia andato sul cazzo a qualcuno, tu saresti la mia via di fuga per eccellenza. Gli sto dicendo troppo? Sicuramente sì. Ma cos'ho da perdere oltre al lavoro della mia vita? Sono certo che non verrò fottuto da lui, perché chi è fottuto non fotte a sua volta. Perché tra cani ci si capisce e perché in cuor suo Joshua sa, che tradendomi, verrebbe a sua volta tradito. Certi favori vengono elargiti solo in un unico fottutissimo modo. — Da parte mia, potrei aiutarti a coprire meglio le tue tracce. Sarebbe utile ad entrambi non far sapere chi cazzo è Joshua Çevik. Non sono l'unico sveglio del dipartimento, lo capirai anche tu.
    Prendo un momento di pausa. Sento l'arsura. Vorrei bere, ma smetto di ordinare altro alcol.

    — Ti suona meglio come una penetrazione con consenso questa? Ammicco.




     
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    Mi chiedo se sia sempre la solita cazzo di storia. Sempre un agente che - stanco di stare dietro alla legalità come a camminare con un palo in culo - fa qualcosa di sbagliato.
    I suoi sbagli vengono percepiti, la fiducia viene tradita e si cerca un obliviatore regolare. Non lo si paga, perché certo se si scopre che faccio anche la parte irregolare di tutta questa merda, il mio compenso diventa "oggi non ti arresto".
    E finisce che mi brucia a sangue, che torno a casa povero più di prima, con la sensazione che me l'abbiano spinto in culo senza alcuna grazia ed un ringhio che mi porta ad un passo da Azkaban.
    Potrei aver tolto un po' troppo a qualche canzone che con me ha osato, che ha deciso di calcare troppo la mano con il distintivo, e io non sono proprio di primo pelo su questo.
    La mano anche mio padre la spingeva troppo oltre, con una lama nella maggior parte dei casi. L'ultima è questa bella cicatrice che scivola piano oltre la maglia, ora che la sfioro con le dita gelide.
    La mia, nei suoi confronti, non è stata una vendetta appagante, no. Quando gli ho portato via noi e nostra madre, l'ho liberato di un peso: uno di cui nessuno libererà me.

    — Un auror ripeto più lentamente, scandisco le sillabe misurandole mentre lo osservo meglio. Certo che è un auror. Non è un antimago tolto al traffico per puro caso, né uno delle squadre speciali, sarei già in manette in entrambi i casi. Nel primo perché gli antimago sono stupidi e non sanno bene le loro stesse procedure. Nel secondo, perché avrebbero già le prove che Riley non è andato a cercarsi.
    Magari perché ha avuto solo tre giorni ed il culo - a quanto pare - di imbattersi in me esattamente quando gli servivo. Anzi, peggio, si è imbattuto in Remì.
    Grazie dio non ha scavato abbastanza da raggiungere Eliphas e tutto quello che vorrei riuscire a fare prima di finire dietro in cunicolo di eterna pioggia e miseria, baciato solo da chi ha fame di anime e senno.

    Ascolto ogni cazzo di condizione, non emetto un fiato, stringo i denti e basta, da bravo cane del cazzo che sono. Alzo il mento un po' di più, anche solo per dare l'idea che non ci sia nessun attrito tra noi. Così nessuno dei miei si farà vicino, penseranno che sia giusto lasciarmi stare, in pace con la mia conquista. Mi suona meglio come penetrazione? Ho un brivido, scende lento lungo il fianco, mi fa socchiudere gli occhi per poi permettermi di riaprirli, interdetto solo dalla gola riarsa che mi ritrovo ora.
    — Se questi sono i tuoi preliminari... sospendo la frase, — ... posso farmeli andare bene torno a guardarlo. Rasento quel briciolo di falsa insoddisfazione, perché le parole non mi appagano, anche se le sue mi hanno dato i brividi.
    — Intendi anche pagarmi, o devo farlo per l'orgasmo e per la gloria di non finire in manette davanti ai miei amici? stavolta lo scherzo è sottile, molto sottile, al limite da diventare una lama tagliente. Me l'ha già detto, voglio che lo ripeta. — Tienimi lontano i tuoi, ed io li terrò lontani da te che detto io le condizioni. — Non mi pieghi a novanta su un tavolo, Agente Riley sussurro.


     
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    Lo ascolto osservando Emily che si è appisolata ai suoi piedi. Lei è in pace e se è tranquilla, beh, non posso che rasserenarmi anche io. Se Joshua è davvero pericoloso come sembra, la cagna starebbe sull'attenti, non smetterebbe un secondo di annusarlo e invece ora dorme. Dorme con un orecchio a premergli contro la punta delle sue scarpe. Magari sì, sarà pronta a scattare in piedi quando lo sentirà scendere dallo sgabello, ma fino ad allora, per quanto le riguarda, la situazione è più che sotto controllo. Non che sospettassi del contrario, in effetti. Anche se bisogna star sempre attenti, per una questione di sicurezza personale e perché a questo mondo non c'è effettivamente motivo di abbassare tanto la guardia. Mai, se non con le persone di cui ci si fida e per ora, per quanto io stia decidendo di mettere la mia testa in mano a Joshua, di lui ancora non mi fido così tanto. Sto sicuramente facendo un azzardo. Qualcosa per cui potrei pentirmene. Ma non mi interessa o almeno, non ho così paura da spingermi con un passo indietro. Ormai ci sono dentro e nella merda, per quel che ne so, ho imparato a nuotare con una certa dimestichezza. Magari lui non lo saprà mai. Magari, ecco, per restar sul sicuro dovrei concentrarmi su un voto infrangibile.
    Ma ci penso, sì. Ci penso soltanto.

    — Ovvio che ti pagherò: non ti avrei lasciato nudo e insoddisfatto e quel ragazzino, per quanto ne sappia io di figli - che è un modo per metterci entrambi sullo stesso piano, anche se questo finisce per mettermi molto allo scoperto. Molto in pericolo. - ha bisogno di cibo e libri. Che sì, è anche il motivo per il quale mi ritrovo qui. Non ho così tanti soldi da sperperare a dir la verità: i Cunningham saranno benestanti, il lavoro che ho avrà una paga buona, ma per il resto, non posso davvero permettermi una spesa del genere per lungo periodo. Aanche se, beh, c'è sempre quella parte meno razionale di me che la vuole a tutti i costi. Voglio la follia, probabilmente. Perché sto invecchiando e i vecchi impazziscono.
    I vecchi diventano folli.

    — Se non vuoi che lo faccia, non lo farò. Lungi da me forzarti fuori dal mio turno di lavoro. Non sto dicendo che le forze dell'ordine magiche siano così ma...ma sì, la battuta diciamo che me la lascio sfuggire. Anche se a volte è così amara da sformarmi il viso.

    — 500 galeoni a seduta e ci vediamo almeno una volta al mese dov'è che fai le tue cose. Non offro di più, per ora, perché in realtà non so bene come bilanciare la cosa. A primo impatto mi sembra di star dando troppo. Forse, persino tutto.

    — Per ora mi faccio bastare la tua parola. Aspetterei almeno il terzo appuntamento per passare in terza base e proporti il Voto Infrangibile che è come dirgli che ha un'opportunità sola per far le cose bene. Un'opportunità sola per fidarsi e darmi modo di fare altrettanto. — Magari non ce ne sarà nemmeno bisogno, mi sembri ok. Che è un complimento, qualcosa che avevo detto di non voler fare. Mi mordo la lingua.

    — Quindi, collega, Remì come sta? Ha iniziato a leggere Zanna Bianca? non sto sviando il discorso perché abbiamo finito qui. Passo a qualcos'altro di apparentemente diverso per continuare ad insinuare il mio seme. Lo spingo giù, mi faccio largo nella sua vita e gli impedisco, così, di obiettare alla mia proposta. Da Çevik voglio un sì e basta. Sì, perché voglio continuare a prendermi cura di mio figlio così come si sforza di farlo lui con il suo.




     
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    È tutto facile al punto che mi sembra di essere stato lasciato qui, veramente nudo al bancone. Tanto che la voglia che ho di giocarci finisce con un nodo che mi si stringe in gola.
    Abbasso lo sguardo quando insiste sui bisogni di Remì. Dovrei dirgli che non sa un cazzo di ciò di cui ha bisogno mio figlio, ma lui l'ha visto. Glielo ha letto e mentire non ha un cazzo di senso. Non voglio essere quel padre di merda che consente al figlio la vita minima per respirare e star in forze, e sto stringendo con tutte le unghie ogni cazzo di possibilità perché non sono più da solo.
    Altrimenti potrei stare senza cena per giorni, o trovarmi qualcuno da sfruttare per vivere. Ma non sono cose che voglio insegnare a mio figlio. Vorrei che - nonostante il mondo che lo ha generato - Remì potesse avere una vita migliore della mia.
    È sveglio, lo so che appena avrà modo si prenderà il suo posto nel mondo e cazzo se sarò fiero di lui. Vorrei solo poterne vedere ogni passo, e se per questa ragione dovrò mordere e dissanguare, beh: morderò e dissanguerò.
    E questo non salverà neanche te, Riley. Lo vedi da solo come il volto si trasfigura quando parli di Remì.
    Non sono tranquillo, ho solo capito che abbiamo raggiunto una stasi, che magari è vero che non vuoi fottermi, ma io starò molto più attento di così.

    — Va bene, il primo di ogni mese. Se ti fai trovare qui, magari hai la fortuna di sentirci suonare ancora. Per lavorare ho il mio posto, ma te lo toglierò dalla testa ogni volta. Insisto su questo punto, che dai miei cazzo di errori ho imparato, soprattuto dal braccio rotto dell'ultima cazzo di volta. Dio se dopo gli ho spaccato il culo.
    Anche se penso che questo non ti interessi, no?
    — E non ho un pensatoio, quello che cancello svanisce per sempre, lo ricorderò solo io, a malapena. Devi sapere che... di questo dovrà fidarsi.—... se non starai completamente fermo o non ti fiderai della mia mano, le cose potranno andare male, ed io voglio una cazzo di garanzia che se così fosse, non mi ritroverei a baciare Dissennatori per la vita. Finirà che saprò cose che non devo sapere. — Per il resto, come avrai sentito venendomi dietro, la mia mente è chiusa abbastanza da impedire a te e i tuoi amici di scavare, se dovessero vederti con me conta anche questo, no?

    Ma questa cazzo di attrazione non smette di mozzarmi il fiato, la sola idea che tu possa spingerti talmente a fondo da non farmi più respirare annebbia la mia mente, al punto che restare concentrato è un fottuto problema adesso. Tuttavia, ci provo.
    — Conto questo come secondo appuntamento affermo, facendo tornare un piccolo ghigno che si tende tra le labbra. Non vorrei essere così fottutamente legato a quello che sento, ma una parte di me è in costante allerta, e Cristo è la stessa che si eccita se Riley fa mezza mossa verso di me. Ringhio contro me stesso, perché non sono più un ragazzino. Vorrei almeno non comportarmi come tale.
    Lascio passare una mano trai capelli, non vorrei essere così stanco questi giorni, ma a volte non ho tregua.

    — Dimmi una cosa. Glisso sulle domande che riguardano Remì, non voglio parlargli di lui adesso, come non parlo di lui alle persone di cui ancora non mi fido. Non è ancora quel momento, Riley. Ed i momenti li decido io. — Hai usato qualche filtro del cazzo, o sei tu così?



     
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    Non mi pesa smezzarci così gli ordini. Non mi pesa star sotto a qualcuno seppur solo parzialmente, né concedermi al punto da avere potere su me stesso solo per metà. Non mi pesa cedergli parte del mio consenso. Ritrovarmi ad annuire con una tranquillità che solitamente destabilizza chiunque. Mi va bene così, perché so bene come avrò comunque modo di destreggiarmi a modo mio. Lui parla della mancanza di un pensatoio e io finisco per pensare ai modi che avrei per preservare la mia mente qualora lui finisse per fottermela del tutto.
    Alla fine è qualcosa che già faceva implicitamente parte delle mie equazioni: non sarei andato giù di troppa fiducia, non del tutto almeno, anche se il suo lo trovo un aiuto più che necessario. Più che gradito, certo. Per questo comunque gli concedo il beneficio della mia attenzione e lo ascolto, sì, con una mano a tamburellare piano sul legno del bancone. Non batto forte, premo solo le dita al tempo di una canzone immaginaria.

    — So bene a cosa vado incontro, forse è per questo che mi sto sforzando così tanto di conoscerti meglio per fidarmi, ovviamente, che sì, leggere sui figlio è stato d'aiuto, ma non è bastato a darmi un quadro più completo della situazione. Non lo hanno fatto nemmeno le mie ricerche, non quelle che mi hanno portato qui oggi, almeno.

    — Per ora potrebbe non essere un problema farmi vedere con te. Soprattutto se inizio già da oggi a coprire meglio le tue tracce. Sto riflettendo, in realtà. Il mio, già da un po', non è più un modo per spaventarlo ulteriormente. Non voglio che possa sentirsi tanto a disagio. E apprezzo il modo in cui riesce a cogliere le mie parole: questo è il nostro secondo appuntamento, fa bene a non tirar la corda che gli ho concesso così tanto e così a lungo. È da domani che le cose inizieranno a cambiare. Anzi, cambieranno dall'esatto momento in cui metterò piede fuori da questo posto. Solo che non mi va di alzarmi adesso. Sono ancora troppo stanco per smaterializzarmi a casa assieme ad Emily.

    — Nessun filtro, Çevik. E so bene a cosa si riferisce. Lo noto dalla postura del suo corpo. Del modo in cui le sue ginocchia sbattono contro le mie. Dallo sguardo che non ci togliamo di dosso dall'inizio della serata. So bene, sì, di esercitare un potere su di lui che però non sto ostentando. Non voglio far leva su questo, nemmeno quando l'idea mi sollazza e allora l'espressione mi si fa più tronfia. C'è orgoglio, un orgoglio di cui, con Nate, non ho potuto farmene un cazzo.

    — Dimmi come sancite un accordo da queste parti così me ne vado e scivolo con una mano sul suo ginocchio. Lo so, me ne sto approfittando bellamente adesso. Ma è a carte scoperte, non avrei fatto nulla se lui non avesse tirato fuori il discorso. Mi muovo così solo perché lui mi ha scoperto. Perché il suo sudore tradisce un'eccitazione crescente. — Non voglio metterti a disagio, d'altronde siamo solo al secondo appuntamento.





     
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    Conoscermi meglio è una merda, Riley. Tu non vuoi sapere davvero chi sono, cosa faccio e con chi, perché arriveresti al limite. Ed io non voglio che tu possa scavare solo perché "puoi". Solo perché se volessi entreresti nella mente di chi hai visto vicino a me stasera, cercheresti me. Le immagini ed i ricordi che hanno, i discorsi che facciamo. Non avrei scampo, sarei un cazzo di cane braccato al muro.
    E cristo, è la stessa cosa che farei anche io con te. Se avessi questa cazzo di possibilità io andrei avanti fino a sbatterci la testa. E cazzo, almeno una cosa buona riuscirei a trovarla.
    Tu in me non troverai niente di buono e per questo mi hai già spinto contro il muro che mi immagino adesso. Quando il tuo profumo è qualcosa che distrae terribilmente, e tu non hai fatto nulla per alterarlo.


    Capisco che cazzo vuole allora, anche se non sono tanto bravo da capire che cosa sia. Almeno so che non è solo per i miei fottuti ormoni che si muovono incontrollati. E 'l'adrenalina di fine concerto, lo spasmo muscolare che mi prende quando gli mostro meglio i denti in un ghigno. Soppeso le sue parole, e mi stanno ancora sul cazzo. Ne parla come se le mie tracce fossero tanto visibili da rendermi un miracolato il non essere già dentro.
    Ma forse di questa merda ne sa meno di me, perché non ci è cresciuto nello schifo che ho passato io e non starà qui a difendere le mie azioni. il fine giustifica i mezzi, perché sono tante un coglione che le conseguenze non le temo finché non arrivano.
    In qualche modo è stata mia madre a dirmi che c'è sempre una soluzione a tutto, cazzo è colpa di quella stronza se sono finito in capo al mondo per sopravvivere. Finisco il fondo del gin.

    Da queste parti lo canzono, mi passo la lingua lungo i canini, sento il calore delle sue dita infilarsi svelte nello spazio stracciato dei jeans. Un contatto che mi fa vibrare e non mi preoccupo neanche per il cazzo di nasconderlo. Sto giocando, per una cazzo di volta anche io. Quelle dita finisco per guardarle, per spingere meglio ginocchio sotto la loro presa.
    C'è una fottuta vocina nella testa che mi dice che potrei anche non scopare sul serio con ogni persona con cui stringo un patto. Ché l'ultima volta ho finito per non guadagnarci un cazzo, e non mi piace dare l'impressione di essere così una puttana anche io. — Non ci vieni mai, mh? soffio, torno a guardarlo e lo so. Non c'è bisogno che lui legga niente di me per capire che probabilmente adesso vogliamo la stessa cosa, gli stessi ansimi, le stesse spinte.
    Ma il gioco è anche questo, è anche dargli un motivo per non fottermi subito metaforicamente.

    — Questa è l'unica cazzo di cosa che non mi mette a disagio il suo cercare un contatto è solo un brivido collegato a tutti gli altri, e si, cristo se ne avrei bisogno, ma deglutisco e basta, la gola è di nuovo secca. — Pagami questo e siamo d'accordo gioco con le dita attorno al suo polso, non glielo dico quello che già sa, non gli faccio sapere niente di ciò che è palese. Uso l'altra mano per tagliar fuori lo stupido bigliettino da visita che mi hanno fatto fare al Ministero, quello che tratta le parti legali, con il mio numero e basta, su un cartoncino nero. — Visto che il primo del mese è già passato, scegli il giorno che preferisci. Gli picchietto il polso lentamente, in morse.
    ( °°Hai voglia?)




     
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