Eat your young

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    Si stava meglio quando si stava peggio, pensò la giovane Yagami mentre misurava con lo sguardo i pochi avventori rimasti al Rusty Rose. Per amor di verità bisogna dire che la giapponese non fosse mai stata né particolarmente nostalgica né tantomeno una pessimista. Era arduo però discutere con la realtà dei fatti. Da quando il locale - se tale si poteva definire quella bettola - aveva finalmente ottenuto la licenza per servire gli alcolici (o comunque una triste sottospecie), trovava che la loro situazione fosse peggiorata. Certo, i clienti erano aumentati dal giorno in cui il succo d'arancia annacquato era la bevanda più trasgressiva presente sul menù, ma era diventato anche più difficoltoso chiudere in tempo. Certo, gli alcolici presenti erano scadenti quanto tristi - in perfetta linea con lo spirito del ghetto -, ma questo non significava che la gente non li bevesse. Per quanto fa schifo questa roba, sarebbe più logico pagassero loro noi per berla... e invece. Invece, nonostante la qualità scadente e il limite di consumazione scritto a chiare lettere nelle disposizioni emanate dal Ministero, spesso toccava anche litigare con quei poveracci per sbatterli fuori quando arrivava il momento di chiudere baracca. Era così, forse, che gli sfortunati abitanti di Iron Garden cercavano di fuggire da quel grigiore onnipresente, di venire incontro al proprio bisogno di evadere. Eriko aveva addirittura notato un pattern, nei più piegati dalle condizioni di vita del quartiere: si presentavano ad un'ora dalla chiusura, a stomaco vuoto scommetteva, e trangugiavano rapidamente tutto quel che potevano. Alcuni, tra i più temerari, tentavano anche di mischiare le gradazioni in maniera tale da uscirne ubriachi fradici. Un'impresa anche quella, visto che, prevedibilmente, al Rusty Rose non venivano commercializzati superalcolici. Sotto sotto un po' le dispiaceva vedere la gente così. Almeno finché non le toccava combatterci per potersene andare a casa a fine giornata, come quella sera. « Daaaai, Eriko! Solo un'altra birra, ti prego! » Tabitha Wright, diciott'anni appena compiuti, la guardava con occhioni imploranti, le guance arrossate per via del quantitativo di birra scadente già ingerita. Non lo reggeva, l'alcol, proprio per nulla. La prima volta che aveva messo piede lì dentro era riuscita a partire per la tangente con due birre. Eppure al Rusty Rose ci veniva religiosamente, ogni tre giorni, spendendoci quel poco che riusciva a guadagnare. Tra una cosa e l'altra, da brilla aveva raccontato ad Eriko di aver dovuto lasciare il college. Aveva sempre voluto fare Magingegneria, ma con quelle nuove disposizioni e lo stipendio da fame che si ritrovava, aveva dovuto lasciar perdere. « Alla fine che ti costa? Mica controllano davvero quanto viene consumato... ma nel caso va bene soltanto mezza. Ti prego, Eriko! » La giapponese la scrutò da dietro il bancone, le mani sui fianchi. Scosse il capo, perentoria.
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    « Guarda che chiudiamo tra dieci minuti. E poi non ti reggi in piedi già così, Wright, non mi sembra il caso di tornare a casa carponi. Forza, finisci quel che hai nel bicchiere e avviati verso casa. » Anche perché io ho di meglio da fare che non riportartici e ho bisogno che tu sappia tornarci per non averti sulla coscienza. L'altra le fece labbruccio, i grandi occhi scuri ridotti a fessure. « Mamma mia che stronza che sei! Jer non è così cattivo - lui capirebbe. Anzi, chiamalo! » Sbatté il pugno sul legno del bancone per rimarcare il concetto, Tabitha, mentre Eriko la misurava con uno sguardo scettico. « Non c'è. Mi dispiace. » Le rispose secca. « Stronza e pure bugiarda, Yagami! L'ho visto che andava nel retrobottega prima. Chiamalo! » « Se non lo vedi qui è perché ha da fare. » « Digli che ci sono io! CHIAMALO! » La coppia seduta all'unico tavolo ancora occupato a quell'ora si voltò verso il duo, le espressioni tra il confuso ed il dispiaciuto. Ma guarda tu questa se deve farmi fare pure figure di merda. Strinse le labbra in una linea sottile, Eriko, prima di ribattere: « Te lo chiamo. Ma vedi di smetterla di strillare, Tabitha. » Poi si rivolse agli altri due presenti. « Tenetemela d'occhio mezzo minuto, per piacere. Torno subito. » E fu così che la Yagami sparì alla volta del retrobottega. Si socchiuse la porta alle spalle, solo poi, una volta individuata la figura del ragazzo, gli si rivolse a bassa voce. « Jer, ti reclamano di là. Tabitha. Oggi sei bravissimo e bellissimo, e secondo lei le darai la mezza birra che io le ho negato. » Sollevò gli occhi al cielo, sarcastica, scuotendo appena la testa. « Vedi un po' di darle al massimo un calcio in culo, per cortesia. Non la reggo più. E nemmeno lei a quanto pare. » Pausa in cui schioccò la lingua contro il palato. « Dato che sei bravissimo e bellissimo, spiegaglielo che se beve altro esce orizzontale. Grazie. »


    Edited by masterm#nd - 23/1/2024, 12:33
     
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    «Allora, io pensavo di sistemarle in questo modo, seguimi» Jerome, le mani infilate nelle tasche, ce la stava mettendo tutta per seguirlo. Pius fuori da Iron Garden faceva il barman in qualche postaccio di Notturn Alley, e si diceva che fosse stato pure dentro, per qualche tempo – non ad Azkaban, un carcere minore, roba di una notte o due, niente che lo rendesse una vaga minaccia persino per un tipo che non faceva troppo domande come Jer. Sfiorava il limite della criminalità quel tanto che bastava per renderlo il perfetto candidato per un posto da manager assieme a Rohan. Appena possibile, il più piccolo di casa Wallace si era lavato le mani di quella responsabilità, una volta conclusi i lavori iniziali per mettere in piedi il locale; sia perché non aveva materialmente il tempo, riuscendo a presentarsi a lavoro al Rusty Rose soltanto nei weekend o nei pomeriggi liberi in fabbrica, sia perché non era il tipo su cui fare affidamento, e lui questo lo riconosceva perfettamente, per cui avrebbe fatto un favore a tutti togliendosi di mezzo. Un concetto con cui Pius non riusciva a scendere a patti, un omaccione di un metro e novanta per quasi cento chili che non voleva arrendersi, avrebbe ripetuto lo stesso concetto sessanta volte se necessario pur di farlo entrare nella testa di Jerome. Apprezzava gli sforzi, il lycan, e ce la metteva tutta per non prendere come un gioco il fatto che si trovassero nello sgabuzzino sul retrobottega da quindici minuti per imparare dove andassero sistemati i barattoli di sottaceti. «Devono stare lontane dalla luce, altrimenti mi si altera tutto il sottovuoto. Quelli aperti vanno in frigo, okay? Col tappo, Jer, col tappo» «E se perdo il tappo?» Pius faceva del proprio meglio per rimanere paziente, e ancor di più Jerome si divertiva a fargli domande cretine come quella, trattenendo a stento quel sorrisetto da schiaffi. «Se perdi il tappo usi l'alluminio» Seh, e io vado a prendere l'alluminio ogni volta che devo chiudere un barattolo di cetriolini. Che cazzo, Pì, ci hai lavorato veramente in un bar? «Va be', fa niente, va'. Fai come ti pare» «Grande Pì, hai capito già» fece sornione, assestandogli una pacca sull'enorme schiena – non troppo forte, le mani di Pius potevano essere ferro o potevano essere piuma, ci voleva sempre una certa dose di rispetto. «Senti, piuttosto, volevo chiederti una cosa, se c'hai un attimo...»

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    «Jer, ti reclamano di là. Tabitha. Oggi sei bravissimo e bellissimo, e secondo lei le darai la mezza birra che io le ho negato» A metà della conversazione concitata con Pius, che totalizzava la sua attenzione, Jerome neanche si accorse, in un primo momento, dell'arrivo di Eriko. Con le braccia conserte, poggiato ad uno degli scaffali, gesticolava con la mano destra, e rimase immobile, voltando solo il capo verso la giapponese. «E tu dagliela» fece, sollevando le sopracciglia e sorridendole divertito. Eriko aveva tutta una serie di regole che per quanto assolutamente corrette, in situazioni come quella, non si adattavano alla perfezione alla praticità delle cose. So' cazzi suoi se vuole bersi la merda. «Vedi un po' di darle al massimo un calcio in culo, per cortesia.» Jerome scoppiò a ridere, mentre faceva segno a Pius che ne avrebbero riparlato in un altro momento, e spostava tutto il corpo verso la collega-sorella-del-cognato, continuando a poggiarsi allo scaffale con le braccia al petto. «Oggi male» la istigò, masticando la gomma che aveva in bocca energicamente. Non era la regina dell'ottimismo, Eriko Yagami – questo di lei lo divertiva moltissimo. Per questo scegliersi un lavoro come quello, a costante contatto col pubblico, e tra i più molesti dei pubblici, era stata una scelta che continuava a metterla in posizioni per lei snervanti, per lui estremamente buffe. Si vede che non hai mai lavorato in certi buchi. «Non la reggo più. E nemmeno lei a quanto pare.» Inclinò la testa, continuando a sorriderle ironico. Rimase così per qualche secondo, prima di scogliere le braccia e espirare rumorosamente. «Non posso sempre fare da paciere tra voi due, 'Rick.» L'americanizzazione più becera che esiste del nome Eriko. «Dovete lavorare sui vostri problemi, e tu devi smetterla di incazzarti con tutti i clienti» fece, superandola, ma sporgendosi appena per parlarle in modo ravvicinato all'orecchio. Benzina sul fuoco. «Non fa bene agli affari «Dato che sei bravissimo e bellissimo, spiegaglielo che se beve altro esce orizzontale. Grazie». E perché questo fosse un problema suo, o di Eriko, o di chiunque il quel locale, purtroppo a lui continuava a sfuggire. Doveva essere qualcosa che aveva a che fare con lo spirito di responsabilità verso l'altro della cultura giapponese, forse, qualcosa del genere. «Taaaabitha!» La canzonò Jer, sbucando dalla porta malmessa al lato del bancone. «Facciamo annegare i pensieri nell'acqua sporca di birra? Che ci succede?»

    «E quindi alla fine avevi ragione tu» fece una mezz'ora dopo, la testa ricciola che faceva capolino dall'uscio della porta sullo sgabuzzino, dove Eriko stava probabilmente prendendo una pausa. Ho la sensazione che adori sentirtelo dire, ahimè. Per quanto gli costasse, doveva ammettere che a volte, per quanto lei peccasse di eccesso di zelo, la strafottenza di Jerome sortiva qualche danno. «Le hanno fatto l'alcol test, quando è uscita» fece, spingendo via il proprio corpo ciondolante con entrambe le mani contro lo stipite. «Noi eravamo a posto, con i quantitativi di consumazioni... Ma vallo a spiegare a una guardia che la trova lercia marcia dopo... quanto? Una birra? Che tu non c'entri niente». Tese gli angoli della bocca verso il basso come a dire ahia, mentre recuperava una cassa vuota per sedercisi sopra. «Se l'è cavata con una multa.» Si strinse nelle spalle, amareggiato. «Però non c'ha senso, sta cosa di farti vendere gli alcolici ma non permettere alle persone di sbronzarsi. Ma poi che colpa ne abbiamo noi se la gente non regge? Che stronzata». Succhiò l'aria tra i denti, per poi prendere a girarsi una sigaretta. «Senti, uhm» si schiarì la voce, insolitamente esitante. Tirò su col naso, prima di finire la frase. «Ti volevo chiedere un fatto. Sai, prima, che stavo parlando con Pius, no?» Annuì tra sé e sé, leccando la colla sulla cartina con la punta della lingua. «Gli chiedevo del Pulse. Tu...» La fronte corrugata, sollevò lo sguardo, l'atteggiamento leggermente forzato nella propria nonchalance. Lasciò scivolare la sigaretta tra indice e pollice, picchiettando il filtro sulla superficie di legno tra le sue gambe. «Tu sai niente della faccenda?»
     
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    «E tu dagliela» A quelle parole Eriko si limitò a squadrare Jerome con un sopracciglio inarcato. Certo, perché ho tantissima voglia di passare una brutta mezz'ora per colpa di una ragazzina che non regge nemmeno il succo di frutta. Lo sguardo della giapponese passò tra i due colleghi mentre, stizzita, incrociava le braccia al petto. Piuttosto evidente a quel punto, che tra lei e l'americano, quella più incline a chiudere un occhio non fosse lei. Per amor di verità, Eriko sapeva inoltre di non essere neppure la più simpatica. Però era certamente la più previdente, ed aveva la presunzione di pensare che fosse soprattutto merito suo se potevano stare relativamente tranquilli. « Certo, Jer. Così se a casa non ci arriva per qualunque motivo - di cui uno potrebbero essere proprio gli stronzi che dettano le regole - avrò la consapevolezza di averla almeno fatta contenta. Come no. » Ribadì in tono scettico, ma senza particolare astio. D'altra parte anche quel punzecchiarsi continuo era parte integrante della sua dinamica col giovane Wallace. Non per questo, però, la Yagami prendeva sul serio quei loro battibecchi. «Oggi male» L'altra, che non si era mossa da dove si trovava anche quando lui si era sporto nella sua direzione, sollevò appena il mento con fare ironico. « Dovresti saperlo ormai che mi specializzo nel prosciugare la gioia dall'ambiente circostante, Jer. » Fece in tutta risposta, un sorrisetto sardonico che le si dipingeva sulle labbra. « Mi stupisce che non ti sia mai giunta voce. » La lycan, d'altra parte, era ben cosciente di come molti la considerassero una persona a dir poco difficile. E chi sono io per smentirli, no? «Non posso sempre fare da paciere tra voi due, 'Rick.» Ah, no? Una domanda muta, espressa più dal luccichio divertito nello sguardo della mora e dall'angolo della bocca rivolto verso l'alto che da altro. Si limitò, infatti, a scrollare le spalle a quelle sue parole, consapevole di starsi quantomeno avvicinando al proprio obiettivo di partenza: levarsi di torno Tabitha. «Dovete lavorare sui vostri problemi, e tu devi smetterla di incazzarti con tutti i clienti. Non fa bene agli affari! » In tutta risposta, Eriko si trovò a sollevare lo sguardo nella sua direzione.
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    « Ma infatti tu stai qui per far bene agli affari, io sto qui perché ci siano degli affari da far andare bene. » Gli disse con il tono di chi non solo sapeva di avere ragione, ma anche di saperla lunga, un sorrisetto beffardo sulle labbra. « Su, bello bellissimo - muoviti. Tabitha vuole la sua dose di attenzioni. » D'altronde che la ragazza avesse una cotta gigantesca per lui non era un segreto per nessuno - a quel punto l'avevano capito anche i sassi - ed Eriko cominciava a pensare che ci fosse un motivo ben preciso, diverso da un problema latente con l'alcol, per cui si presentava in maniera così puntuale al Rusty Rose. « Mi raccomando, Jer: sguardo che conquista. » Queste le ultime parole della giapponese, prima di lasciarlo andare in direzione della piaga.
    Il resto della serata passò in relativa tranquillità, ed Eriko era nel pieno della propria meritatissima pausa, seduta su uno sgabello nello sgabuzzino, quando Jer fece nuovamente capofitto nel suo spazio personale: «E quindi alla fine avevi ragione tu» Lo sguardo della giapponese scattò rapido sulla figura di lui, un sorrisetto soddisfatto che cominciava a far capolino sulle sue labbra. Avevi dubbi?, pareva comunicare. . «Le hanno fatto l'alcol test, quando è uscita. Noi eravamo a posto, con i quantitativi di consumazioni... Ma vallo a spiegare a una guardia che la trova lercia marcia dopo... quanto? Una birra? Che tu non c'entri niente. Se l'è cavata con una multa. » A quelle parole di lui, Eriko strinse le labbra in una linea sottile. Un gesto abituale, quello di quando era sul punto di esprimere la propria irritazione, che venne infatti subito seguito dallo scoccare la lingua contro il palato. « Non l'hai ancora capito che hanno quasi certamente un gioco a punti, dove per vincere devi semplicemente beccare l'infrazione più grossa? » Di questo Eriko era sicura. Aveva frequentato gli ambienti dell'esercito, d'altra parte, ed aveva un'idea piuttosto precisa di come potesse comportarsi l'idiota medio che ne faceva parte unicamente per noia. Per quanto fare di tutta l'erba un fascio non fosse un comportamento del tutto lusinghiero, inoltre, da dove si trovava, le risultava piuttosto difficile immaginare che chiunque si fosse schierato col Ministero e che si prodigasse così tanto per farne rispettare le norme, avesse non solo una bussola morale, ma anche solo una coscienza. Mi rifiuto di credere che chiunque abbia consapevolezza di cosa sia giusto e di cosa non lo è, si metta ad attaccarsi alle piccolezze ad Iron Garden. Deve essere perché credi nel sistema. E per credere nel sistema, in quel sistema tra tutti, qualcosa di marcio in chi lo faceva doveva necessariamente esserci, secondo Eriko. «Però non c'ha senso, sta cosa di farti vendere gli alcolici ma non permettere alle persone di sbronzarsi. Ma poi che colpa ne abbiamo noi se la gente non regge? Che stronzata». La lycan inclinò il capo appena di lato, osservando il proprio interlocutore con aria indecifrabile. « Nessuna, infatti. Ma non penso sia un gioco di colpe. » Gli disse infine. « Tutta la gente che sta qui lo è potenzialmente - colpevole dico - ai loro occhi. Non si tratta di essere innocenti fino a prova contraria, ma dell'opposto. Quindi, immagino, si tratta soltanto di incoronare quello del giorno. » Poi lo sguardo della giapponese parve farsi appena più morbido. « Senti, ma non le puoi proprio dire che non ti interessa? » Gli chiese. « Cioè, secondo me muore dentro e come minimo risparmia per un mese. A meno che, ovviamente, non ti piaccia. E allora boh, diglielo? Basta che non mi finisce a quattro zampe tre volte a settimana. » Si riferiva a Tabitha, ovviamente. Jerome Wallace non era uno stupido, d'altra parte, doveva averlo notato che la ragazzina lo guardasse con gli occhi a cuore. Si strinse nelle spalle a rafforzare quel concetto, seguendo con lo sguardo i movimenti del ragazzo. «Senti, uhm» Sì? A quel pensiero lo sguardo vigile della giapponese saettò in quello di Jer, mentre si raddrizzava istintivamente sullo sgabello. « Ti volevo chiedere un fatto. Sai, prima, che stavo parlando con Pius, no? Gli chiedevo del Pulse. Tu... Tu sai niente della faccenda?» La soglia dell'attenzione di Eriko schizzò alle stelle alle parole del collega. Il Pulse. Il discorso che aveva affrontato anche con Raiden. Era riuscito a vederlo, a quel punto? « Qualcosa. » Cominciò annuendo piano. « Ne ho sentito parlare maggiormente al campus - per caso, da colleghi che pensavano non stessi ascoltando - ma adesso mi sto mobilitando in maniera più attiva. Ad oggi so che è un locale clandestino, a Londra, dove fanno lottare le creature. Però intanto sto tastando il terreno in merito. » Immaginava, Eriko, che a quel punto Jerome potesse aver parlato con suo fratello - che le aveva già anticipato la propria intenzione di coinvolgerlo. Decise, tuttavia, di non dare nulla per scontato. Un po' perché era una mossa stupida ed un po' perché voleva la conferma del proprio interlocutore in merito. « Me lo chiedi perché...?» Gli domandò, prima di portare la propria attenzione sulla sigaretta che l'altro si era appena girato. « Che fai, comunque, non offri? » Gli chiese, indicandola. Dai, non fare il cafone.


    Edited by masterm#nd - 2/3/2024, 01:48
     
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