I don't wanna act like there's tomorrow

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    Non so se questo fottuto buonumore sia colpa tua, Chrys, ma aspettarti qua fuori con solo un Gin in corpo mi sembra perfetto stasera.
    Il Rouge è un locale di merda, imboscato nelle peggiori vie del cazzo di Nocturn, eppure so che lo troverai perché sono stato dannatamente preciso.
    Magari perché non voglio che ti sbagli o che tu, con quel muso innocente che ti ritrovi, finisca male.


    Così sto qui e ringhio ad ogni cazzo di anima viva, perché nessuno abbia la voglia di fermare Chrys. Perché il primo che può vedere qui fuori sia io. Con la mia giacca di pelle da stupido coglione ed un sorriso che tengo stretta tra l'ennesima sigaretta ed un bicchiere pieno. Il secondo della serata, cazzo se li fanno bene qui.
    So che gli ho dato appuntamento in questo posto, perché c'è gente che conosco, e perché mi piace stare in mezzo agli stronzi, con solo una luce rossa che impasta l'aria e la rende quasi irrespirabile. Mi piace che sia come la fottuta culla della vita, e che lui capisca che non sono qui per portargli dei fiori o fare il cazzo di romantico.
    Non è una cena, non è un ristorante, non è un giro mano nella mano per un parco a Londra. Non è nemmeno un incontro alla luce del sole. E' un appuntamento in un luogo umido, dove avremo caldo tanto in fretta e sarà perfetto per rinfrescarsi con il ghiaccio nei bicchieri.
    E sono un ossessivo, ma non ho fatto altro che pensarci, cazzo. Da quando mi ha scritto, il cazzo di brivido che mi ha fatto venire. So solo che è qualcosa di cui ho bisogno, e non sono il tipo che aspetta su un divano.

    Stasera Remì dorme da Jack stasera, anche se non sopporta le gemelle, tutto gli sembra meglio di Shonda. E domani ho promesso che vado a prenderlo presto e torniamo in libreria. Piccolo topino del cazzo che è. Ma così so che di lui non mi preoccupo stasera, gli ho già mandato la buonanotte con un messaggio vocale. Mi ha risposto in morse, e non so, quel bambino mi scioglie sempre il cuore cazzo.
    Magari è anche per lui che sorrido quando aspetto che Chrys entri nella mia visuale, mi tengo un ghigno aspirando il fumo. Lascio cadere il mozzicone a terra per pestarlo con il piede
    — Cazzo fai Jò, non entri? la voce languida di Timothy entra nel mio spettro, giusto perché vuole farsi scopare. Ci sono cascato un paio di volte, ma certo non me ne frega un cazzo stasera.
    — Dopo mormoro, tra un ringhio e uno sguardo che lascio sempre vagare lungo l'unico accesso al locale. Lui mi sorride, sbuffa, ci prova a farsi avanti un po' di più ma lo capisce da sé che non è aria. — Dopo quando? — Quando te lo dico io non gli piace mai come risposta, tanto che sbuffa, se ne lamenta, ma poi si fa trascinare dentro da chi ha più fame di me.

    Ma io ho fame, Chrys. Solo che non so averne di lui, dopo questi cazzo di messaggi. Non importa se non so come cazzo aiutarti con tuo fratello, vero? Tu vuoi qualcosa da me lo stesso.


     
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    Ho dovuto pensarci un attimo prima di indossare di nuovo la tua pelle. Mi sono dovuto guardare allo specchio con più serietà del solito e solo dopo aver convenuto che no, Joshua non mi ha conosciuto con la mia faccia, ho lasciato che il corpo cambiasse sotto la mia pelle. Abbracciarti, Daisy, sa darmi sempre il prurito. Forse lo faceva persino quando eravamo piccoli, allora chiudo gli occhi per immaginarmi indietro nel tempo: quando a quest'altezza sognavo solo di arrivarci e, all'apparenza, sembravo un soldo di cacio con una montagna di capelli a ricadermi sugli occhi. Ci penso sempre alla nostra vita insieme, Des. A quei momenti che uno è solito dare per scontati eppure, più ci penso, più mi rendo conto di non ricavarci niente. E magari è giusto così, normale così, sì, perché non sono un investigatore io e con i puzzle non sono mai stato paziente. Io vado fuori di testa in un lampo, mi deconcentro subito. Allora ho bisogno di battere i piedi a terra per stiracchiarmi le gambe. Per far ripartire i muscoli, come quando sono davanti allo specchio e allora mi agito per starci bene nella tua pelle. Che stupidamente mi sembra un abbraccio. Mi coccolo così. Con te riflesso nello specchio: come se mi fossi davanti e allora potessi abbracciarti da dietro. Mi stringo nelle braccia. Lascio che le mani scivolino lungo i fianchi.
    Ti voglio così bene che a volte mi sembra di poterne morire, ma, stupidamente, ne sopravvivo. E sono stufo, stufo marcio di sentirmi tanto solo. Di aprire gli occhi e rendermi conto di aver perso il mio migliore amico. Tu eri tutto, Des. Eri così importante che quasi mi sembra impossibile riuscire a riprendermi del tutto. Ma abbellisco il tuo ricordo come meglio mi riesce: con abiti che ti sarebbero piaciuti e profumi che avresti indossato solo tu. A volte devo trattenere le lacrime, perché respirarli mi riporta a te e se tu non ci sei, beh, a me sembra di fluttuare altrove. Di non essere più qui, ma in un posto in cui mi è impossibile ritrovare casa. E io non voglio perdermi. Non voglio dimenticare chi sono, nemmeno quando il corpo sono io a mutarlo e allora accetto la menzogna piuttosto che la dura verità. Un giorno dirò a Joshua che non è questo ciò che sono: che non posso auspicare di essere te. Non sono alla tua altezza e non ho alcun diritto di rubarti il posto. Quindi perdonami, perdonami se sto aspettando così tanto e se quel giorno, arrivando da lui, ho commesso più di un errore.

    Ormai, l'unica cosa che sa rasserenarmi è la solitudine: mi piace camminare da solo per strada proprio per questo. Perché una parte di me sa di non poter avvicinare nessuno. Che sì, sarai anche bello, fratellino mio, ma nessuno ha il coraggio di farsi vicino: abbiamo sempre avuto, noi due, questa strana aria di repulsione. Forse è di famiglia. Forse è il male che proviamo a renderci distanti, pericolosi, ingestibili. E credo di esserlo tutt'ora, anche se un uomo mi ha invitato fuori ed io non ho esitato un secondo nel dargli conferma. Quasi accelero il passo per arrivare in tempo. Quasi mi scapicollo, sì, nella disperata ricerca di un'appartenenza. Che dipendesse da me, adesso apparterrei a qualcuno. A qualcuno che come Fitz sappia come prendermi e allora stringermi, sfruttarmi, amarmi, portarmi sino allo sfinimento. Affinché io possa smettere di pensare e magari, un giorno, di indossare maschere. So che Joshua finirebbe per piacerti da morire, ma è mio e io non so ancora come gestire questa cazzo di realtà. Io non so parlare di te senza sentirmi venir meno. Non so mostrare il mio volto, sai, senza sentirmi un cazzo di mostro.

    Ma quando lo vedo fuori dal locale sorrido. I denti so di lasciarli brillare nell'oscurità della notte. Il fatto che queste strade abbiano un non so che di soffocante mi piace. Vivo di questo, a volte: di nervi tesi, di respiri corti e non me ne pento: in realtà non so farlo. Sono forse, io, figlio della dannazione? Sono forse, io, la malattia? Non so rispondermi con certezza. So solo che sfilo la sigaretta tra le labbra e la tengo ben stretta tra le dita. Che il fumo mi esce dal naso e i tuoi occhi chiari, li lascio correre nei suoi.

    — Nocturn Alley apostrofo piano, alzando gli occhi al cielo per mero spettacolo. Osservo l'insegna del posto, osservo la gente che ci circonda. Non lo ricordavo così questo posto: suppongo non ci sia stato alcun momento utile, per noi, per far sì che i nostri piedi ne calpestassero il suolo. Un posto pericoloso in cui scopare. Ma lo sibilo, lo sussurro solo a lui, anche se poi mi viene da ridere, nella consapevolezza che, probabilmente, Joshua ed io non avremo altro se non questo. — Ciao Occhiblu.




     
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    Hai paura di farti vedere? E' un cazzo di sussurro si sfida, perché nel fottuto momento in cui mi si avvicina, sento già le mie mani cercarlo. Non so come cazzo altro si esprima quel "stanotte sei con me", che tendo di solito a ringhiare.
    E' che dalla paura partono i brividi migliori, dal non sapere come accadrà quella cosa ovvia che nemmeno serve dirsi. Che mi tira un ghigno sulle labbra appena mi distacco da lui, senza però tenerlo lontano. Oh no, io lo avvicino dalla schiena, lo studio, guardo come cazzo si è vestito, solo per capire come posso togliergli già tutte quelle cose di dosso, o scoparmelo che ne ha ancora mezze su. Ho voglia da quando ci siamo scritti, sono due giorni che incastro degli impegni per essere qui, e che prego Jack di farmi da balia ancora un pochino. Non che a lui servano le mie preghiere: ama Remì come fosse suo.

    Lascio che la mia mano corra lungo la sua schiena, e si infili piano in una delle tasche dei jeans. Non mi va per un cazzo di nascondere i miei interessi, e dio se mi va di sorridergli per una sera. Di mostrare quello che ero quando Nil era ancora viva e non avevo adottato un figlio.
    — Ciao Chrys che mi esce con lo stesso tono caldo con cui gli ho dato quella buonanotte. E mi piego piano su di lui, come se dovessi annusarlo, come se il suo collo non fosse qualcosa che già voglio. Ho bisogno del suo sangue come ne ha un vampiro per sopravvivere.
    Sento già come cazzo mi fa effetto averlo qui davanti, 'sto ragazzino del cazzo, quanto lo odio.

    E' che ho un cazzo di problema, a me non frega un cazzo di farmi vedere, e gli occhi non glieli stacco di dosso, come se dovessi valutare una cosa che già faccio. Come se mi servisse il permesso per prendermi le sue labbra, per sfiorarle con le mie mentre non smetto di sorridere, famelico. Forse più che una risata è davvero un modo per mostrare le zanne, un ringhio basso che avvisi quegli stronzi lì dentro che questo qui per stanotte è solo mio, è un territorio su cui nessuno dovrà allungare le mani.
    Tanto non sono nuovo di qui, sanno come cazzo mi diverto, sanno che bestia sono e che quando entro da solo significa che vado a caccia. Qualcuno per sfogarmi lo trovo, ma è diverso se questa persona entra con me, con una mano che non gli si stacca di dosso.
    Spingo questo bacio che è ossigeno, ricerca, forse racchiude più domande che risposte. Una mano trai capelli per tenermelo più vicino, il suo corpo stretto al mio. Ma sta uscendo con me, deve capire che cazzo significa. Voglio consumarlo.
    Almeno c'è più spazio che in magazzino mormoro, la lingua che scivola tra le labbra, resta ben puntata lungo i denti. — Prova a starmi vicino qua dentro, è una vasca di squali, hanno tutti fame tasto il terreno, per vedere se si divincola o se, da bravo, mi resta vicino. Potrei quasi essere rassicurante con questo sorriso, ma solo perché di questi stronzi sono il fottuto capo.


     
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    Non penso mai al modo in cui la gente tende a rispondere alle nostre provocazioni. Cos'è che lasciamo intendere e dov'è che sbagliamo ad approcciare. Non penso mai a cos'è che devi aver detto per averli irretiti tutti quanti. Quale tua qualità sapesse spiccare al punto da mandarli fuori di testa. Mi chiedo se con Joshua funziona proprio in questo modo. Se è il tuo viso, la tua delicatezza, a far più di tutto il resto o se semplicemente sono io, che da qualcuno devo pur aver ripreso queste capacità. Il fatto è che non mi conosco e forse, più vado avanti e più finisco per dimenticare chi potrei essere. Non so pensare al mio futuro e magari ho paura, sai, di guardare fin laggiù e scoprire di non poterci vedere niente. Per questo non capisco perché la gente reagisca così e ne rimango stupefatto, tanto da strabuzzare gli occhi e tirar su sorrisi stupidi in viso. Non so nemmeno com'è che dovrei rispondere, insomma, io questo tipo lo conosco a malapena. So solo che mi eccita, che se mi spinge le mani lungo il corpo allora vuol dire che io devo fare altrettanto.
    Allora lo cerco, in risolini che si fanno acuti dall'imbarazzo e chiudo gli occhi, sì, quando mi bacia e allora mi rendo conto che non me lo sarei mai aspettato. Almeno, non che accadesse qui, non in pubblico. E questo posto già lo odio, mi spaventa. Non capisco perché Josh abbia questa voglia di baciarmi in questo posto di merda. Ma lo accetto: a volte ho l'impressione di non esser preso così da una vita. Di non aver avuto le mani di Fitz a ricalcare i suoi stessi passaggi. A volte, invece, suppongo sia l'egoismo a far da padrone. A spingermi in avanti e a mostrarmi così accondiscendente perché accondiscendenza è ciò che voglio. Io voglio piacere, ma non so dirmelo sempre. Forse non so accettarlo nemmeno adesso che, nello strusciarmi contro di lui, mi ripeto di non star sbagliando nulla.
    Tu gli piaci, Des. Guarda come ti divora le labbra. Sentilo.
    E non ci conosce affatto. Che stupido

    — Sono il cazzo di trofeo da sbandierare in posti come questi? non lo dico con la crudeltà, piuttosto con un filo di orgoglio a puntellarmi il palato. La mano gliela faccio scivolare lungo una natica. Stringo appena i lembi dei suoi jeans. Voglio muovermi così come lui si muove con me. Perché forse è così che gli piace e non è davvero importante o utile star lì a contare quanti giorni sono passati dal nostro primo incontro. Mi sono fatto scopare da lui nemmeno un'ora dopo averlo conosciuto. Il tempo, per me, è un concetto più che relativo. Me ne sbatto il cazzo di tenerlo in considerazione se tanto sa mutare in base al mio umore. E se Josh finisce per prendermi così, allora io ho la sensazione di conoscerlo da tutta la vita.

    — Perché se non ti avessero fatto piacere i loro sguardi addosso, mi avresti portato altrove. Puntello, ma perché è così che mi piace trattare le persone. Rimarcare l'ovvio è il mio punto forte. O forse il tuo, che sei sempre stato maledettamente diretto e sincero con tutti. Ma in punta di piedi mi spingo per un altro bacio. Uno di quelli che gli do io tra mandibola e collo. Un morso, quasi, che sta di Chesterfield blu adesso. Così come blu sono gli occhi di Ash Chesterfield.

    — Quanto hai voglia di ballare? chiedo ascoltando la musica che proviene dall'interno. Mi stacco solo per un istante e giusto per non sembrare un fottuto idiota. A negargli gli occhi verdi truccati di nero. I lustrini lungo gli angoli brillano appena sotto i lampioni della via. Un tocco leggero. Ci è sempre piaciuto farci guardare e tu, Des, tu eri la meraviglia di questo mondo.




     
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    È un po' come respirare, Chrys. Sulle tue labbra, rubandoti l'ossigeno, ma respiro. E voglio che tu lo spinga meglio il tuo corpo contro il mio. Fammi sentire come sai diventare di creta per me, in risposta ad ogni mio tocco. Perché non sai che se tu - a tua volta - puoi toccare me è perché te lo concedo, perché ne ho bisogno. Che essere padre fa venire meno alcune cose, così io so solo diventare più represso, più affamato, sempre a caccia.
    Non te lo dico che se mi avessi dato buca avrei trovato qualcuno qui. È per questo che siamo qui, ragazzo del magazzino. Siamo qui perché è il mio piano B, il mio terreno di caccia e quella riserva di cui ogni tanto sento ancora la necessità.
    Ora ti tocca girare con me qui dentro, perché sei finito tra le mie mani, e significa che non ti libererò in fretta. Forse non lo farà affatto.


    Dio se mi diverte stare così, come se avessi ancora quindici anni. Nell'attesa di un corpo che richiami questi cazzo di sorrisi. Spingo il naso lungo mento, mentre ancora mi parli. — Sì ammetto, candidamente a denti stretti. — Anche se alcuni ti diranno che qui, il trofeo, sono io. Sento già quell'ansimo del cazzo che mi prende quando si alza in punta di piedi per raggiungermi di nuovo, e cazzo se non me lo faccio ripetere due volte. — Non ho problemi se ci guardano, che facciano il cazzo che gli pare, che si tocchino se sentono di volerlo mormoro, libero di vivere questa stupidità al freddo, fuori dal locale.
    Quindi, vuoi ballare Chrys?
    — Ne ho per tutta la cazzo di notte insisto, stringo di più la mia presa perché non si discosti troppo, perché mi va di parlargli muso a muso, come se ci fossero già tanti segreti solo tra noi. Ché qualcosa abbiamo finito per dircelo, ma è sempre diverso. A volte mi riesce di più quando le persone non le vedo. — Nessuna responsabilità stasera balle del cazzo, ci credo e basta.

    E lo vedo quel trucco, ne approfitto per allungare una mano lungo il suo collo, farla risalire perché il pollice sfiori quella scia senza rovinargliela. Carino. Forse l'ho portato nel locale giusto, dove sarà perfettamente a suo agio, fuori dagli schemi e fuori dal mondo.
    Faccio scivolare una mano più giù, per intrecciare le mie dita alle sue. — Quindi, hai ritardato la Cornovaglia per me? un discorso come un altro, che mi serve per staccarmi dal muro ed iniziare a muovermi portandolo con me dentro. Voglio che per me faccia ogni cazzo di cosa.

    E sono pronto ad aggirarmi tra gli squali, a scivolare tra corpi già pronti a darsi fuoco mentre la musica si alza tanto da offuscare i pensieri. Magari sono qui perché di parlare non ho voglia.



     
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    Inizio a concentrarmi sulla sua voce perché so bene come da adesso sarà l'unica cosa a cui potrò davvero stringermi. Anche se poi dal corpo non mi slego e finisco per rispondere coi baci ai baci e con le carezze alle carezze. I miei sono gesti automatici. Una conoscenza praticamente istintiva. E di domande extra non me ne faccio, anche se sono solito lasciarle pullulare nel cervello. Per oggi, per quel che so provare, cercherò di non essere così io da ritrovarmi incapace di muovermi. Voglio vivere, Des, di una vita che non ho mai conosciuto. Di quei momenti su cui non mi sono mai soffermato. Ho bisogno, credo, di sentirmi diverso da com'è che invece sono stato sino ad oggi. Sento di voler cambiare e allo stesso tempo, di non riuscire a farlo. Sei tutto ciò in cui so trovarmi bene. Il porto sicuro in cui so cullarmi. La mia stasi. Impediscimi di galleggiare ancora, fratellino.
    Anche quando dondolo verso Josh e lascio che una mano rimanga ben ancorata alla sua. Non stiamo insieme, non ci apparteniamo davvero, eppure già così sembriamo fatti per esserlo. Sembriamo unici, un solo prodotto anche quando mi suona chiaro, nelle orecchie, cos'è che non va in noi. E non so chiedermi con serietà se miglioreremo mai. Se c'è qualcosa che possiamo iniziare a fare già da oggi. Sorrido e basta. Lascio che le sue parole mi sfiorino il giusto ma che non arrivino, appunto, a cementificarsi laddove non saprei più come trovarle.

    — Fortuna che io non abbia voglia di parlare con nessun altro a parte te ammicco stupidamente, con la facilità di chi i piedi a terra continua a non volerli. Allora me ne resto sospeso, fluttuo, perché a star a metà tra terra e cielo mi sembra di essere diversamente. Di non essere così pesante. Così - doloroso? — Sì? Vuoi che lo facciano, Josh? Forse la mia è una domanda retorica o un'esortazione, un modo per dire, anche se forse troppo velatamente, che ho una voglia matta di pisciargli addosso e marcare il territorio. Almeno per questa sera, s'intende.
    — Nessuna nessuna? Nemmeno la responsabilità delle tue spiccate doti carismatiche? gioco ancora, perché è così che so affrontare la vita. Alterno momenti di serietà a momenti di ironia. Per la questione della leggerezza e perché non so fluttuare diversamente. Anche quando mi lascio afferrare ancora un po' e gli concedo la libertà di far scivolare una mano lungo il mio viso. Che mi conosca così: che si renda conto di quale maschera sto indossando. Tanto che, nel sentirlo, comunque mi viene facile lasciar battere all'impazzata il mio stupido e fottuto cuore.

    — L'ho ritardata per me e per farmi dire da te che sono carino. Sghignazzo, allontanandomi solo per non sembrare troppo, troppo legato alla sua presenza. — Vieni a far divertire il tuo fiorellino, Josh. Così mi chiama Fitz. Così so sentirmi terribilmente bello. Stupidamente bello.



     
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    A lui piace giocare con me, ed io di giocare ho un fottuto bisogno adesso. Voglio lasciarmi indietro per una sera i miei problemi di merda, e spingere le dita alla costante ricerca un corpo caldo da fare mio.
    Oggi è il suo, e voglio dirmi che sia un caso, che non ci sia niente dietro solo il brillare di uno schermo che, una notte, mi ha fatto venire voglia di chiamarlo. Solo quella cazzo di battuta che ci siamo scambiati e che ha preso un punto dentro il mio sterno. Come chi non sa pescare. Ecco chi è Chrys: qualcuno che sbaglia mira, che tirando troppo indietro la canna, invece che puntare al lago davanti a sé, prende un cazzo di passante lì dietro. Io sono il passante.
    Gli è andata male che ho una voglia atroce che mi logora fino a rendermi ingestibile. E che tutte le romanticherie le mando a quel paese in baci che sanno di fame. Mi aprono lo stomaco.
    E se non vuole nessun altro a parte me, rende la via fottutamente facile. Perfettamente pulita, così posso trascinarlo via con me, lasciare che si perda nel fottuto buco in cui lo sto portando.
    Ho il cazzo di bisogno che si fidi di me, che si affidi al mio modo di gestirlo, come se per una volta io potessi avere il controllo su qualcosa. In questo caso, su Chrys.
    — Sì voglio che lo facciano. Voglio che ci guardino, che pensino a lui come un cazzo di trofeo, e che vogliano me quando non possono avermi, quando le mie attenzioni sono altrove.
    Sono un cazzo di egoista, sono uno narcisista voglio essere al centro del mio palco di merda, solo per poter dire che nessuno può avanzare le sue pretese. Solo chi dico io, solo una persona per questa notte. — Non leccarmi il culo mormoro in un morso che si trasforma in un bacio del cazzo, ché va bene ma io non voglio avere tutto pronto. Altrimenti so cosa succede.

    Ma il mio è un avvertimento che si perde quando si allontana di poco da me. Allora lo guardo di nuovo, è davvero un cazzo di fiore. E l'idea di farlo mio stanotte è la sola che mi spinge un ghigno in muso. Mi stacco dal muro per prenderlo ancora, per stringergli un polso e portarmelo dentro. Ché non mi importa del fumo che aleggia sul soffitto, o di come la luce viola sia soffusa, o di come poi scali lentamente in un gradiente di rossi.
    Fiorellino, mh? non lo guardo, me lo porto via come farebbe un cazzo di predatore. Trovo un fottuto sgabello all'angolo del bar, nella zona più buia, e lo tiro piano verso di me. Le gambe aperte perché ci si incastri, come in trappola. Le mani lo rincorrono, non so stargli lontano. Non so smettere.
    Una gli risale il collo, il pollice si trascina lungo il mento — A me non sembri un fiorellino del cazzo faccio solo in modo che mi senta, forse non ho neanche voglia di bere, voglio solo averlo qui. Non ha la fragilità di un fiore, è solo quello che vuole farmi credere, mh?


     
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    Inizio però a credere che il modo di fare di Joshua sia soffocante. Che quel bisogno che abbiamo di toccarci, in realtà, non sia altro che una morsa terribilmente stretta. E io non mi dimeno, perché ho capito com'è che funziona con le trappole per orsi: non c'è modo di uscirne se nessuno si fa vicino per disattivarla. Ed è così che muoiono: per la libertà. Perché lottano disperatamente per essa. Allora mi chiedo, ma è solo in questo barlume di speranza - o disperazione - se il mio intento primario sia quello di liberarmi o quello di restare qui. A lasciarmi fagocitare dalle luci e dalle sue parole. Parole alle quali non rispondo se prima non torniamo a farci vicini quanto basta per iniziare a percepirci diversamente. In un modo del tutto diverso da prima. Più profondo, quasi spirituale. E il locale, di per sé, nemmeno lo guardo. Non mi interessa sapere di che mura è fatto o cosa c'è ad abbellirlo. A me piace semplicemente la luce e il modo in cui gli taglia il viso in una striscia diretta. I suoi occhi, per quel che mi è dato notare, brillano anche qui. Per un istante, quindi, ho l'impressione di essere tornato in camera mia. Come quando eravamo piccoli, allora c'erano quelle stelle adesive appese al muro per far luce.
    Buonanotte Bruchino e si finiva ad ascoltare i singhiozzi tra le galassie. Ma di singhiozzi, qui, non ne sento affatto. Forse a padroneggiare sul resto c'è il senso dell'affanno. Un modo del tutto distante da me di comunicare qualcosa. Comunicavi così anche tu, Des. Da quel che so io: non eri affatto lontano da questo tipo di mondo. Mi chiedo se qualcuno, qui, abbia motivo di riconoscerti o se ci restano distanti, perché anche loro, di te, hanno paura.

    — No? ma torno di qua. Mi incastro tra le sue gambe perché è così che vuole. In piedi, come se ciò possa servirgli a mantener ben salda la presa sul mio corpo. Che mi stringa, che mi rimodelli. Potrei smettere di sentirlo a mio piacimento. Mi basterebbe mutare. Mutare chiudendo gli occhi. E penso a te, Fitz, lo faccio con lo stupito intendo di chiederti cos'è che ne pensi di questa sua affermazione. — E cosa ti sembro? qualcosa l'avrà pure in testa. Un concetto qualsiasi o, in alternativa, un'immagine. Io, nel guardarlo, so solo vedere un muro di mattoni dall'aspetto rustico. Nel sentirlo, percepisco lo stridere di lamiere. Le case industriali. Un postaccio di periferia senza tetto dove all'interno, appunto, piove sempre.

    Poi oso sporgermi verso il bancone. Curvare la schiena affinché possa afferrarmi per una gamba, una natica e tirarmi a se. Che mi accarezzi come meglio gli riesce. In tutti i modi in cui ha voglia di farlo. — Ehi! Che me lo farebbe un vodka lemon? urlo al barista, con i gomiti issati contro il bancone umidiccio. Vorrei che Joshua mi spingesse qui a volte penso a cose davvero strane. — Tu cosa bevi, tesoro? mi volto per guardarlo.


     
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    Me lo ricordo quello che ci siamo detti, e forse è il cazzo di motivo per cui sono qui. Per cui lo trascino verso di me solo per sentire come ci si accomoda, tra le mie gambe. Potrebbe andarsene, ribellarsi, dirmi di tenere le mie cazzo di mani lontane da lui. Ma non lo fa, e mi illudo sia perché non scherzava quando mi stava parlando l'altra volta.
    Credo di averlo sentito in quel preciso istante, il tono della disperazione, di chi è perso e nel cercare di trovare una guida si imbatte nelle persone sbagliate. Io sono una persona sbagliata. Ma non mi scuserò mai questo, sono cazzi suoi se continua a girarmi attorno e, a me, uno così piace. Mi piace pensare di potergli sfiorare la schiena con la stessa intensità con cui lo aggancerei davvero ad un muro.
    Qualunque cosa lui mi sembri, comunque, non credo sia una cosa che vuole davvero sapere. Quindi tengo fermo un ghigno sulle labbra, mi ordino con un cenno la stessa cosa che ha preso lui, ma fermo il mio sguardo nel suo.
    — Cristo, mi parli come se fossi la mia puttana... scuoto piano il muso, non so perché lo faccia, magari è abituato che molti si divertono così, magari sì averglielo succhiato in quel cazzo di modo la prima volta non avrà dato nemmeno una bella impressione di me, ma siamo già al punto in cui io sono "tesoro" e lui è "fiorellino"? Un cliente con la crisi di mezza età ed un ragazzino neanche maggiorenne?
    — Che io sappia, i fiorellini si spezzano se li agganci ad un muro, senz'acqua, senza luce, senza terra. Voglio vedere che cazzo ha da dire, anche quando la mia presa non lo lascia davvero andare via. Vorrei capire la differenza tra il ragazzino che mi parlava di suo fratello dopo l'orgasmo, e questo ragazzo che si ordina un vodka lemon e m chiama tesoro come una donna di malaffare. Mi avvicino al suo collo per lasciargli un morso lento, un richiamo alla sua attenzione. — Non sono un cazzo di tesoro. Fremo. E nessuno mi chiamava così da...

    Non so neanche che cazzo voglio io, magari ci volevo uscire e basta, magari se avessi solo voluto scoparmelo avrei trovato un modo di infilarmi nel suo letto o di spingerlo direttamente nel mio. Magari ne sto facendo una cazzo di questione, ma ci ho visto qualcosa in quella telefonata. Io, comunque, quello che nascondo nel sesso, quando scopo come un fottuto animale, lo so. Ma tu, Chrys? Tu che cazzo sai di te? Di che cosa hai voglia? Di quello che vogliono gli altri? — Mi sembri... glielo sto davvero per dire, e nel farlo non so fare a meno di sentirmi un coglione per quello che sto per fare. Così non scoperò mai stasera, ma in qualche modo non è la sola cosa che voglio. Non lo è affatto. — ... perso. Alla ricerca di una nuova rotta, non sei un cazzo di fiorellino in balia delle stagioni. Te lo sei dato tu questo soprannome?





    Edited by Jossshua - 8/2/2024, 16:59
     
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    Mi fa sorridere quando parla di fiorellini agganciati ai muri, come se per lui il giardinaggio fosse un concetto puramente astratto. Qualcosa di cui deve aver sentito parlare ma che non ha mai visto con i propri occhi. Ma è sulla paura "agganciato" che mi soffermo quando, sorridendo al barista, torno indietro con la schiena e spingo il culo contro una sua gamba. Non per strusciarmici, quando per trovarvi l'equilibrio. Quasi sedendoci sopra, d'altronde so bene come Daisy sia sempre stato molto più leggero di me. Così leggero che a volte sembrava non esserci affatto.
    Lo ascolto davvero mentre mi parla, anche se non tutte le cose che dice finiscono per suonare giuste alle mie orecchie. Come questa storia della puttana, che riesce a tirar su solo un millimetro di labbra. Nemmeno li scopro i denti quando ci provo. Magari, per quanto possa piacermi l'idea che da di sé e tutto il resto che, nel mistero, finisco per costruire da me, poi finisco per rendermi conto di non essere poi così felice. Non adesso almeno, o almeno, non in questo preciso istante. Ma nemmeno mi lascio trascinare via dalla tristezza, insomma, se c'è una cosa in cui sono bravo è il nuoto. Io galleggio alla perfezione. Come quando andavano in vacanza al lago e allora con Daisyderum ci stringevamo le mani a pelo d'acqua. Guardavamo il cielo, sì, quando la luce del sole non era così forte da accecarci entrambi. E fingevamo di voler morire proprio in quel modo. Perché così reclamava la posizione e perché quella, per un certo verso, riusciva a tramutarsi nella nostra pace.
    Pace che non sento da forse troppo tempo. Nemmeno quando mi ci forzo e allora cerco qualsiasi cosa possa coadiuvare questo bisogno. Come adesso, in effetti. Che ho bisogno di lui per sentirmi bene.

    — Sono le fotografie quelle che appendi al muro. Poi mi sfugge, con uno sguardo a ricercare il mio cocktail. Con una mano a scivolare contro il suo ginocchio. Glielo accarezzo, noncurante di quale messaggio possa tramandare. — Ai fiori, al massimo, ci pisci sopra. Poi li calpesti. Ma qui lascio che il sorriso sfugga per un istante. Che i denti in bella mostra vadano a colorare le frasi. Che il marciume e l'animo più sporco e impuro riemerga. Che ci avvolga o si frapponi tra noi. Andrebbe bene qualsiasi cosa.

    - No, è ovvio. Che non me lo sia dato io questo soprannome. Non è cosa comune darseli da soli. Non è esattamente così che funziona il concetto di possesso. Non all'inizio, almeno. Non quando non ha altre sfumature alle quali aggrapparsi tanto saldamente. Né la ragione dalla propria parte. Ma il possesso non è mai raziocinante: non prenderebbe così forte allo stomaco, in quel caso. — Diamo un nome a ciò che ci appartiene. Funziona così, a quanto ho capito. E Fiorellino appartiene a Fitz come la mia puttana, almeno per ora, appartiene a Josh. Anche quando le cose provano a convergere e allora si spostano di nuovo verso il bancone e insieme tendiamo la mano a quel briciolo di coraggio liquido. Perché i discorsi difficili non sfuggono davvero dalla mia attenzione. Mi accorgo quando ci sono. Quando si spingono oltre ogni barriera e nel farlo nemmeno chiedono il permesso.

    — E non mi sono perso. Poi torno a guardarlo. — Di solito, me ne resto sempre qui. Più che essermi perso, io sto aspettando. Tu non aspetti qualcuno, Josh? Stringo la mano sul suo ginocchio. — O qualcosa...




    Edited by Chrysalide - 13/2/2024, 11:38
     
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    Però sto ragazzino è bello. Ancora di più quando scava più a fondo alla fottuta superficie. Che io non ne voglio sapere delle moine che si fanno per scoparsi qualcuno. Lo so che, se volessi, potrei portarlo in un bagno qualunque con un minimo di decenza e Cristo se ci daremmo dentro.
    Ma non mi basta. Non sono più un ragazzino del cazzo tutto ringhi e spinte contro i muri. Che magari questo è ciò che vuole Chrys. Me lo chiedo mentre gli lascio spazio, quanto basta per dargli almeno l'idea di una scelta che non gli sto lasciando. Forse non ha modo di andarsene subito, ma forse potrei fermarlo se azzardasse.
    È che quando si siede mi diventa stupidamente normale tenermelo vicino. Aumentare il contatto, spingerli una mano lungo la schiena, farla risalire piano, si è giù come se servisse a calmare me. Come se io potessi usarlo, quando non voglio.
    O almeno, Cristo se voglio, ma non così. Non voglio sentirmi quel tipo che deve per forza piegare qualcuno per essere felice. Posso dominarlo in qualunque modo, ma alle mie fottute condizioni.
    E stavolta - in questa specie di appuntamento - voglio lasciarmi andare a modo mio. Voglio guardare i suoi trattati sfilarmi davanti agli occhi.
    Cosa c'è nella tua testa? Come sogni le notti in cui riesci a dormire?
    Ma quello che dice mi fa drizzare la schiena, i miei occhi fiammeggiano piano quando in gola sale un piccolo ringhio.
    È così c'è qualcuno che lo chiama fiorellino, magari qualcuno a cui piace pisciare sui fiori. Qualcuno che pensa di pretendere qualcosa in più da Chrys.

    — Mh, e chi cazzo è questo qualcuno di cui sei il fiorellino? snudo le zanne portandomi il bicchiere alle labbra per un sorso di ghiaccio. Lo stesso ghiaccio che gela le labbra. In tempo per scostargli la maglia dalla spalla e lasciare un bacio lungo la pelle tiepida. — E' un tipo che ti piace, ci piscia bene sui suoi fiori? abbasso la voce, gli accarezzo quel polso che resta sul mio ginocchio, fermo lì a chiedermi qualcosa. — Gli appartieni?
    Non capisco se tu mi voglia zitto, o fermo, o costantemente sovreccitato. E' vero che sono stato un ragazzino in quel magazzino, ma non è quello che sono ogni cazzo di giorno.
    Solo che tu non lo sai. Non lo sai, e vieni qui a chiedermi che cosa aspetto. Allora ti guardo.


    — Io... io sono solo brutalmente onesto oggi. Mi bastano questi occhi nei miei per tirar fiato. La mia non è una bella storia, ed è il cazzo di motivo per cui siamo qui, perché non è bella neanche la sua. — Tutto quello che potevo aspettare, so già che non arriverà. Non aspetto nessuno, a me non è rimasto nessuno. Mento, ma solo in parte, è qualcosa che sento dentro anche quando non capisco come funziona la realtà.
    Allungo io il suo polso perché la sua mano vada appena più a fondo. — Però so cosa voglio. Sospendo le labbra in un sorriso, gli occhi non sanno staccarsi dai suoi. — Così è troppo facile.


     
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    Mi piace quando ci tocchiamo, Des. Quando si sforza di essere gentile nei modi e allora le sue diventano carezze. Momenti in cui potrei benissimo chiudere gli occhi e fingere di essere in camera nostra. Sotto le coperte, stretti l'uno all'altro. Un fiorellino colto e ripiantato in un vaso dal bell'aspetto. Mi sento così bello tra queste mani e questa pelle, da far fatica a ricordare chi sono. Cos'è che so fare. Perdo la mia unicità ma in virtù di sensazioni che sanno sembrarmi sempre nuove. Anche quando effettivamente non lo sono. Perché come Joshua chiunque può fare questo. Può farlo Fitz se lo volesse. Potrebbe farlo chiunque è qui a circondarci. E mi va bene se ancora ci guardano. Se negli occhi finiscono per nascondere la legittimazione delle nostre gesta. Perché adesso esistiamo in una maniera diversa da come abbiamo fatto fino ad ora. Esistiamo stretti come fossimo una cosa sola anche quando forse nessuno dei due c'entra con l'altro. Ma perché dovrei fargliene un appunto? Oggi sto bene: sento la testa già leggera dai sensi di colpa e per star male, beh, lascio che giunga domani. Aspetto di risvegliarmi in camera mia. Di sentire in lontananza la voce di nostro padre darmi il buongiorno senza entrare in camera.
    Bruchino, così come Fiorellino non è mai solo un nome. Non credo lo sia mai stato. Ma ho la fortuna di non essermelo lasciato sfuggire questa sera. Nemmeno nei sorrisi che non gli concedo del tutto, quando alzando appena lo sguardo, lascio scivolare l'attenzione sulle su mani, sulle sue braccia. Come vorrei essere stretto più di così. Braccato per i polsi. Costretto ad espiare non so cosa.

    — Dipende se glielo permetto di essere bravo a pisciarci sopra, intendo. Che il suo nome non lo pronuncerò qui. Perché è così che funzionano le cose: non ho bisogno di avvalorare una possessione. Io, questa sera, se devo appartenere a qualcuno, allora sarò solo di Joshua. Solo suo, non di mio padre, non tuo, Des, né di Fitz.
    — Ma non questa sera. Ora cerco il suo sguardo. Non voglio chiedergli chissà cosa, né spingerlo a far sì che si smuova positivamente verso di me. Forse quello di cui ho bisogno è evitare di rimarcare concetti che già ad averli pensati fanno parte del passato. E mi stringo contro il suo petto. Una spalla a premere contro la sua. Lascio che spinga la mia mano più a fondo, affinché io possa stringerne la carne con delicatezza e risalire, laddove so che si nasconde il nostro tesoro. Ma mi fermo prima, sento debba andare in questo modo.

    — Beh, allora non dovresti nemmeno aspettare di chiedermi di ballare. Un sussurro alle orecchie. Il naso che gli sfiora i capelli. L'ennesimo vagare altrove, parlare di altro, cercare appigli differenti. Un po' di gioia o semplicemente una stabilità terrena. Che sappia tenermi con i piedi giù, ben ancorati al pavimento. E l'anima via, un po' più leggera. Meno opprimente.
    — Voglio spegnerti i pensieri Un bacio sull'orecchio. Uno schiocco leggero. La mano che cerca le sue grazie resta lì mentre l'altra afferra saldamente il bicchiere. Mi porto un sorso alle labbra. È l'unica cosa che so fare un sibilo



     
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    Di queste cose ne so abbastanza da trattenere uno sbuffo ironico quando me ne parla. Quindi le hai tu le redini, ragazzino? Cazzo questo sì che è interessante sul serio.
    Così ti resto vicino, con le mani che non si fermano dal trattenere sempre un lembo di pelle diversa. Ché mi guardo intorno ma poco mi importa di chi mi guarda, io non ho nessuna reputazione da mantenere. Non sono di buona famiglia, né ho chissà qualche ruolo o potere.
    Potrebbero minacciarmi per tante altre cose, ma non certo per i gusti che ho. Né per le persone che me lo tirano di marmo, questa non è mai un problema per me.
    Allora lo so che giocare mi piace, che bere mi interessa poco quando la conversazione si fa più interessante ed i miei occhi si illuminano, sinistri.
    — Ma davvero è un commento che si muove leggerlo sulle labbra, quando le uso per parlargli lungo la pelle.
    Trovo che sia fottutamente più efficace così, che magari se le mie labbra se le sente muoversi saranno i suoi brividi a leggermi il labiale. E quando si fa avanti dove lo voglio io, i miei occhi tornano nei suoi. Se è uno sguardo che vuole, uno sguardo avrà, e cazzo se voglio scavarci dentro. — I tuoi occhi ringhio qualcosa di a malapena udibile, ma solo perché so che fastidio mi dà farmi piacere qualcuno in questo modo. — racchiudono la cazzo di foresta nera.

    E neanche so come mi esce, non mi interessa, sono serio abbastanza da intendere ogni sillaba. Lo so come è fatto quel posto, piace da morire a Remì, che si studia la geografia senza che neanche io glielo chieda. Per me non gli servirà mai ad un cazzo, ma lui è così, e va bene se studia già come un matto. Lo amo per tutto quello che gli passa nella testolina.
    Ma torno a Chrys in uno schiocco di lingua, la sua in un bacio che scivola tra le parole. Usa i miei stessi modi, comunica come un cazzo di esperto, oppure è il suo profumo. Io non lo so cosa sia, ma il bicchiere non mi interessa più, gli prendo la gamba con cui faceva leva sulla mia, per portarlo a cavalcioni su di me.
    Non scoperemo su questo sgabello cigolante, né in un pub nonostante qui la gente sia già così accaldata da non badare a noi. Questo posto a breve puzzerà di feromoni da morire.
    — I miei pensieri sono fuoco adesso... bruciano, Chrys, bruciano perché sono rivolti a te e basta. Come le mie mani che ti risalgono piano la nuca, dita che si incastrano trai capelli e ci giocano piano. Lo so che se sarai bravo a fare quello che stai promettendo, io poi non vorrò che ci sia nessun cazzo di fiorellino. — ... fai il cazzo che senti un ansimo che gli risalga la gola, muso a muso, quando i brividi mi prendono anche la schiena, ed allora giocano con le vertebre, danzano con me. Mi spingo a baciarlo, forse più a divorarlo. — Io non ballo, mordo.




     
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    Le reazioni altrui mi interessano solo come mezzo per comprendere le distanze. Il modo in cui imparo a destreggiarmi nella vita. Skills che dovrebbero servire solo e soltanto a me per non inciampare in qualsivoglia situazione carina mi reclami a sé. Mi interessa sapere cos'è che il tuo corpo suscita in lui solo per essere certo di quanto possa spingermi. E allora ad ogni azione ne reclama un'altra. E se lui mi stringe io lascio che tu lo stringa di rimando. Che le nostre bocche si incontrino per l'ennesima volta. Che si tengano occupate. Che la smettano di dare troppe informazioni.
    Mi getto nel sesso perché tu possiedi le abilità giuste per piacere.
    Perché sei sempre stato affabile e di bella presenza.
    La tua pelle, poi, ha sempre attratto gli uomini come fossero api col miele.
    Un fiorellino, sì, considerato tale solo da chi ti ha cresciuto e inserito al mondo. Provo a non pensarci. Anche se in cuor mio so che questo non va bene. Che nel portarti con me poi abuso della tua memoria.
    E proprio dall'abuso, ecco, cerco di distaccarmi. Lo faccio aggrappandomi a Josh per l'ennesimo bacio. Un mordersi divertito che dovrebbe risvegliarci in men che non si dica. Basterebbe qualche secondo in più, in effetti, per far sì che tutto venga riassunto come in quel magazzino. Non abbiamo bisogno di una vera e propria serata per noi e, per un certo verso, sono quasi contento che le cose stiano andando in questo modo. Che siano veloci, indolori, anche se di tornare a casa non ne ho mai voglia. E allora, mal che vada, finirò per vagare per Londra. Tra un locale e l'altro. Tra un sogno e un altro.
    Adesso, però, fingo che i miei desideri, tutti quanti, vadano a centrarsi su questo. Che l'unica cosa di cui io abbia bisogno sia proprio questo. E che, proprio per questo motivo, io sia felice.
    Tu lo saresti, fratellino?
    È così, vero, che riusciresti a non pensare più a tutto il resto? Ad aggrapparti alla vita? A tornare indietro? Mi chiedo quali passi tu abbia percorso prima di scomparire del tutto. Quale messaggio hai voluto lasciarci. Cosa mai ci avresti potuto dire.
    A volte, mi rendo conto, di non sapere più niente.
    Di non esistere davvero se non in questo modo. Solo attraverso i tuoi ricordi. Quelli che ancora ci legano e mi rendono burattino di una vita che mi piace sempre meno.

    — Allora trovaci un bagno. Che ci guardino, sì, ma che non lo facciano fino in fondo. Che ci sognino, sì, ma che si limitino a toccarsi e basta. Che ci prendano da esempio e allora inizino a baciarsi a loro volta. A strusciarsi così come mi struscio io su di te. Che sulle tue gambe quasi siedo totalmente. Il busto a premere contro il tuo. Il respiro a fondersi con bisogno al tuo. Non voglio più avere dei polmoni miei. Non un corpo da gestire. Non una vita da tener ben salda tra le mani. Dacci la perdizione. Un motivo per pensare ad altro. Lasciaci dissociare. Volteggiare via. Dacci il sesso affinché riscriva il passato. Affinché spogliarci possa non sortirci più alcun effetto. Affinché ci sia possibile essere liberi in un mondo che non è più accogliente. Che nemmeno conosciamo. E che nell'ignoranza ci fa una paura fottuta.

    — Se non puoi togliermi la merda nel cervello allora insegnami a combatterla. Perché non ti chiederò di provarci di nuovo, Josh. Non ti chiederò di ricominciare da zero. Di partire dal principio. Di capirmi meglio. Dammi solo il potere di accettarlo. Di andare avanti. Di spogliarmi per te tutte le volte che vorrai. Perché so solo rispondere a dei comandi. E se tu chiedi io do. Sono magnanimo. Non so fare nient'altro di meglio.

    Chi sei? ansimo sulle sue labbra, in un morso che prendo per me, che mi spinge a tirar in mia direzione il suo labbro inferiore. Io sono il tuo migliore amico.


     
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    Ho detto che non scoperemo in questo bar, ma non ho detto che non ho voglia di scopare. Anzi. Io voglio sentirlo meglio di come è stata quella sveltila del cazzo in magazzino, e forse una cosa la posso fare. Cristo so già che la farò dal momento in cui mi parla, da quando capisco che siamo tutti dei cani disperati, che non siamo bravi a farci andare bene una conoscenza superficiale, magari solo dei cazzo di baci mentre ci spingiamo tra la gente. No, non ci basta. Noi non ci riusciamo, ed io meno di lui, che sento già spingere il desiderio di ritrovare la sua pelle nuda a contatto con la mia.
    Andarci piano anche in questo caso sembra una stronzata, e allora i baci li ricambio ancora, gli lascio il modo di giocare un po' con me, quello che basta perché io possa sentirlo parlare, ed anche, al contempo, sfilarmi qualche dollaro dalla tasca per spingere le banconote a casaccio sul bancone. Forse sono più del necessario, non me ne frega un cazzo ora.
    Non se poi nei baci ritrovo un animo, e poi un suo morso che scava più a fondo.
    — No, niente bagni del cazzo è solo un anticipo, nel mio cozzare contro di lui, riprenderlo con entrambe le mani lungo il collo, ridere quasi del suo morso. Non sei il mio migliore amico.

    Ma non so pensare ad Eliphas adesso, se non in quel piccolo moto di rabbia. Chiudi gli occhi, te lo dico dopo chi cazzo sono io. Io che in questo sgabello non mi faccio più vedere. Ci sparisco, con Chrys. Me lo porto dietro in uno strappo preciso, quasi fottutamente concentrato. Uno schiocco che non ci spezzi in due, ma aumenti quel cazzo di brivido allo stomaco. Almeno finché - due secondi dopo - lo strappo si chiude con noi sempre seduti. Solo che adesso io sono alla fine del mio letto, nella mia cazzo di camera, la luce quasi soffusa come so sempre lasciarla. Remì al piano di sopra finché non vado a prenderlo.
    Può guardarsi intorno anche se i miei baci scendono lungo il suo collo, e la mia fame non ha nessun punto in cui incepparsi. Questa è casa mia, ma ha già detto che non ha paura di me, no? Bene, perché vorrei sapere se ne ha adesso.
    Affondo con i denti, mentre lo lascio ambientarsi con me, capire chi cazzo sono anche solo da una stanza un po' spoglia, e molto scura. Le lenzuola grigie, i mobili neri e metallici, qualche piccola foto che ritragga me e Remì, ma quelle sono al muro.
    Non ho fiori in questa stanza, né in tutta la casa, non so curarli, e so giusto che da qualche parte Lucifer sta dormendo, ma non viene mai a rompermi il cazzo. Quel gatto sparisce ogni volta che non c'è Remì e riemerge solo quando il ragazzino torna a mettere piede in casa.

    Ma io non smetto, mi sfilo le scarpe, le mani che gli risalgono la nuca, quasi con lentezza, anche se adesso vorrei essere già nudo, già morirci in lui. Me la prendo con la calma di una fame più profonda e non solo quella di un cazzo di adolescente - che poi è ciò che sono. Chi sono Chrys? Sono un ragazzino. Sono un padre. Sono stato un figlio, e sicuramente ero un fratello orribile.


     
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