I don't wanna act like there's tomorrow

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    Sento il panico quando arriva. Come una morsa, un animale feroce. Lo sento come si fa forte quando attacca alla gola. Quando più mi viene voglia di respirare e più soffoco. Riconosco il buio dei miei sensi. Le luci che sfarfallano dinanzi agli occhi solo perché ho stretto così forte le palpebre da finir per alzare la pressione nell'occhio. Il cuore che accelera stupido. Le mani che affondano contro il tessuto del letto. Perché è un letto. Lo sento dalla morbidezza, dall'odore che hanno le stanze. Che sono diverse per chiunque le abiti, ma che, inevitabilmente, ricordano sempre quella in cui abbiamo vissuto noi. Non siamo a casa mia, non siamo a casa nostra è quel che mi sto ripetendo da che ho messo il culo qui. Anche se non apro gli occhi per accertarmene allora l'ansia è solo uno sbuffo di fiato che faccio scivolare tra le sue labbra.
    Un bacio.
    Il suo.
    Sul tuo collo.
    E il mondo si capovolge anche se resta sempre lo stesso. Marcisce solo sotto la presa che saldo contro le lenzuola. È solo una stanza come un'altra. Ho già scopato in posto come questi. Della stanza di Fitz non ho mai avuto paura, eppure è il non essermi aspettato di finire qui a spaventarti più del resto. Scalpitiamo perché incapaci di reagire diversamente. So a cosa pensavi quelle sere. Mi sforzo di credere che sia così solo per ritrovarmi a pensare alla stessa cosa.
    Al fatto che Joshua non sappia di papà. Che non l'abbia fatto di proposito a portarci qui. Che non c'è errore nelle sue scelte se non un'eccitazione che gli da alla testa. Davi la testa a tutti, quanto cazzo eri bello. E mi sforzo, sì, di non piangere. Quando lui fa per togliersi le scarpe e allora io lo sento. Quando mi fa salire la mano lungo la nuca e allora io piego il capo come un gatto. Voglio il sesso per poter dimenticare ma del sesso poi ho paura. I brividi, quelli che non so gestire. Quelli che mi sovrastano quando mi rendo conto di non sapere cos'è che voglio. Cosa posso fare, cosa posso, ecco.
    E non dico niente perché l'unica che so fare è ricambiare i baci. Stringere la presa per aver la parvenza di un controllo che non è davvero mio. E respirare nella sua pelle, quando ci spogliamo delle nostre vesti.
    Allora penso a quando ero solo un bruchino.
    E il mio compito era quello di andare a dormire.
    Di chiudere bene la porta.
    Di fare tutti i bisogni possibili proprio per non dovermi alzare la notte.
    Nascondo una lacrima nel suo collo quando mi struscio. Lo so che è stupido, ma esce spontaneo. E non tiro su col naso, piuttosto preferisco soffocare davvero. Stringere i denti. Mordere la pelle quando ho spazio di manovra. Quando strusciarsi mi fa così male e bene allo stesso tempo. Quando non ho altro se non questo.

    Dove sei, Des?
    È in camera sua, papà

    Che ti strappi la pelle di dosso. Che banchetti con le tue ossa. So che ti piace. So che ci piace. E le sue mani sono morbide. Le sue mani sono decise. Des. Sentilo come ti stringe. Lui ti vuole, ti vuole da morire. E io glielo permetto. Te lo permetto. È sempre stato così. Per questo nascondo i singhiozzi negli ansimi. Per questo cerco di baciarlo fino allo sfinimento. Perché a venderti - e io lo so, lo so, cazzo - sono sempre stato io.


     
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    Non ho mai voluto essere un mostro. Te lo giuro, Nil. Se l’avessi saputo non avrei insistito così tanto, non avrei cercato la sua pelle oltre i tessuti, slacciato ogni cintura, strappato quasi via ogni bottone. In una foga che mi ha visto predatore nel peggiore dei modi.
    Io non sono un mostro, Nil. Non mi sarei fatto un ragazzino in questo modo se avessi saputo che cosa si annidava in lui, che neanche era lui quello che avevo tra le mani.
    Ma i suoi baci, li ho voluti come si vuole l’ossigeno, li ho cercati appena ho capito che neanche aveva voglia di guardarsi attorno, che la sua disperazione era confondibile con la fame.
    Ho creduto fosse fame ed a quella ho risposto con ogni fibra del mio cazzo di corpo. E dio se l’ho divorato. Le spalle, le dita a percorrergli le scapole, gli ansimi a scavallare ogni argine.
    Ho cercato la mia presa non sapendo di avere davanti a me un agnello sacrificale, immolato nel suo altare di puro dolore.
    Non sapevo con chi avevo a che fare quando, nudi, l’ho sollevato contro di me tanto da strappargli quelle mani così salde alle mie lenzuola. L’ho voluto in ansimi sempre più pesanti fino a sentire il corpo tremare dalle fiamme vive che stavamo alimentando.
    Nil, anche se non mi crederai, ti giuro che non lo sapevo. Non sapevo di avere a che fare con un vaso spezzato, con un ragazzo infranto, fatto a pezzi da un passato di orrori che non era poi così diverso dal nostro, mh?
    Se l’avessi saputo non l’avrei desiderato con tutto me stesso, fino a ringhiargli all’orecchio ogni gemito che il suo corpo contro il mio sapeva provocare. Io questo ragazzino sento di averlo fatto a pezzi, con le dita di una mano salde contro le natiche e le ginocchia piegato per lasciargli almeno la schiena appoggiata al materasso. Solo perché così avrei affondato in lui in un moto che avrebbe fatto godere entrambi.
    Per questo non mi sono accorto di un cazzo nel primo affondo, solo dei brividi che strappavano a me dei gemiti mentre lui nascondeva singhiozzi di cui non sapevo niente. Non ci ho badato perché sono sempre così stupidamente affamato da non aver fatto i conti con un cazzo di essere umano.

    Ma poi, in lui, muovendomi come a reclamare uno spazio così concessomi, ho continuato a baciarlo. Finché non mi sono reso conto di una cosa. Una che vedo ora che riapro pianissimo gli occhi.
    Una che prima di tutto sento con il pollice che - nel bacio - finisce a premersi troppo contro la sua guancia, sfilandogli via una… lacrima?

    Cazzo ansimo ma rallento, la mano non ferma la sua corsa ma io un po' mi fermo. Gli occhi nei suoi, ancora lo sovrasto ma con una fottuta attenzione. Non pensavo di fargli male, non l'ho sentito rigido per.. insomma con qualcuno magari ci sono andato pesante ma, ma non così. Ehi, stai bene? avrò anche una fame che sa farsi cieca, ma non sono uno stronzo, e non sono una merda tale da insistere lo stesso se qualcosa non va. Scopare con me non dovrebbe far piangere. Mi sfilo con calma ma resto qui, qui a capire che cos'ha. Gli sfioro il viso come i gatti.




     
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    Senti quant'è bello? Quanto è bravo? Che belle mani ha. Che belle spinte da. Se stringi forte gli occhi puoi fingere di essere altrove. Come quando ti nascondevi con l'altro.
    Oh, sì. Ora so qual è il suo nome. Mi prude sul palato mentre lui spinge forte e allora nell'ansimo lascio scivolare una lacrima per tutti voi.
    Horace o, Horace, Dio mio. Dio mio perdonami.

    I'll protect you from the hooded claw
    Keep the vampires from your door

    Ma resto qui anche se dovrei essere altrove. Anche quando a casa nostra ho deciso di non voler tornare e magare oggi, più di altre sere, finirò per essere il vagabondo di un mondo che smetterai di ricordare ben presto. Allora smetterò di cercare te nella speranza di ritrovare me. E pregherò, anche se non so più com'è che si faccia, per la tua anima. Perché devo convincermi della realtà che tutti gli altri conoscono. Non posso più andare avanti così. Non quando non è la fame a muovermi ma il senso di colpa. Allora sono vulnerabile, trasparente, così tanto da risultare ben leggibile. E allora per Joshua smetto di essere un segreto, magari persino di essere interessante. Ed è così che si ferma. I riflettori tornano tutti su di te. Sulla maschera che mi fai scivolare dal volto. Sui muscoli che irrigidisci. Io ho paura, cazzo, Des. Ho paura dei fantasmi.

    — Io...no non posso mentire, l'ho fatto per troppo tempo. Mi sono sforzato così tanto da dimenticare com'è che era prima di tutto questo. E ora non mi capisco più. Non mi ritrovo più da nessuna parte. Non sotto la tua pelle. Né nel mio stesso sangue. Che potrei lasciar sgorgare ma inutilmente. Perché non c'è assassinio peggiore di questo. Lo ha detto anche papà al tuo funerale. Quello in cui abbiamo seppellito il vuoto. Una bara che profumava ancora di nuovo. Un feretro che di te non aveva nemmeno il ricordo. Solo il tuo nome inciso sulla lapide di un cimitero comune a tanti altri. Batto il pugno contro il letto. Le gambe ancora divaricate. Il busto rivolto verso Joshua.

    — Ho bisogno di farti vedere una cosa. Un sibilo che però è certezza. Una fermezza che mi si incastra in gola. Nello sforzo che faccio per alzare gli occhi e incastrarli nei suoi anche quando c'è solo la vergogna a vegliare su di me.

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    — Io non sono questo che mi spinga via. Che preferisca te a me. Che le cose vadano com'è che sono sempre andate. Senza cambiare mai. Senza migliorare mai. Che il mio cuore resti una porta chiusa. Che il mio corpo sia solo un involucro scartabile. Che io non valga niente, così com'è sempre stato per tutta la vita. Sotto gli occhi dei nostri genitori. Sotto i tuoi, che non hai mai avuto il coraggio di permettermi di salvarti.
    Non darmi la buonanotte, Chrys
    Non andartene al sonno, Des.
    Muto solo così davanti ai suoi occhi. Sotto le sue mani. Attraverso ogni suo dito. Con la schiena che si curva in avanti. Il capo che gli nasconde uno sguardo più felino. L'azzurro dei tuoi occhi si mischia al verde dei miei. Di questo dettaglio non ne ho mai fatto vanto. Non è mai servito.


     
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    Ho sempre pensato di saper riconoscere le anime spezzate. Di averlo affinato bene l'occhio per chi vive quella merda interiore che non ha eguali né alcun paragone. Ma qualcosa, mescolato così bene con il suo modo di fare e la sua fame disperata, mi ha deviato i radar.
    Così io non l'ho visto, così ho continuato a spingere, a fare mie delle prese su un corpo irregolare, di volere il suo scivolarmi contro così perfettamente da farmi andare in estasi.
    Ho pensato che per una scopata ogni tanto avrei anche potuto spegnere il cervello e smettere di chiedermi costantemente chi cazzo sia chi ho davanti. Per una volta potevo lasciar andare solo gli ansimi, permettere che diventassero gemiti, baciarlo più a fondo ed ignorare quelle lacrime che si è lasciato sfuggire.
    Mi chiedo solo - per un istante, o almeno finché non mi parla - che cazzo ho sbagliato. Mi chiedo se stia pensando ad un suo ex, se ci sia qualcosa nella sua testa che si ricollega al non dormire. Mi chiedo perché cazzo adesso sento la necessità di collegar i puntini.
    Ma placo ogni cosa, gli lascio spazio perché non senta la pressione violenta di questa cazzo di voglia che avevo fino ad un secondo fa e che, stupidamente ho ancora. Anche se la mia attenzione è altrove, ben oltre il suo corpo. L'avidità ora è per le sue parole.

    Resto immobile nel suo volermi mostrare qualcosa, mi sposto a fianco solo per dargli spazio, farlo respirare. Immagino che ora tutto cambierà in un modo o nell'altro. Ma aspetto, aspetto anche quando il suo corpo cambia. Del ragazzino con il viso affilato e gli occhi chiari resta ben poco davanti a me. I capelli si arricciano, la pelle cambia ancora, le labbra diventano più carnose. E' una cazzo di metamorfosi, davanti a me.
    Questo io non- non me lo aspettavo e per un cazzo di minuto ci resto secco. Come un idiota colto completamente alla sprovvista. So che non è polisucco questa, ne riconosco i confini. Chrys è un metamorfo. Non c'è bisogno di dirlo a voce alta.

    A permanere è quel tatuaggio, e sono gli occhi che diventano di un verde impossibile, meglio di quel barlume che ho visto poco fa in mezzo ai fumi ed alle luci sparate.
    Non capisco però. Non capisco perché scopare con me con altre sembianze, perché non ricordo il suo volto trai ricercati, né tra le persone di spicco. Non credo sia un cazzo di reale o qualcuno che ha bisogno di nascondere la sua identità. Allora resta la prima stoccata, la sola domanda che gli faccio, quando i miei occhi tornano seri nei suoi.

    — Perché? Voglio sapere perché mentirmi, e può andarmi bene qualunque cosa, perché adesso non sto capendo, non riesco a ricollegare. Non mi ha fatto entrare nella sua testa quella sera, mi chiedo di che cazzo avesse paura.
    Eppure anche se aspetto che mi risponda, due dita le faccio correre lungo il suo fianco, lascio che risalgano la spalla, non smetto quei contatti che abbiamo avuto, non resto scottato finché non capisco tutto fino in fondo. Le dita poi si ancorano piano lungo il suo collo, il pollice sfiora la pelle della guancia. — Che senso ha venire da me così? Così la tua bellezza è un'altra storia.



     
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    Quello che posso permettermi di sapere sono solo le composizioni astratte che emergono dai pezzi di questi puzzle. È la mia mente che si frantuma e poi pretende di essere rimessa al proprio posto. Nella stessa forma con cui si è sentita venire al mondo. Senza alcuna cicatrice, né graffio. Incolume, come se non soffrisse alcun danno, alcuna conseguenza. Quello che so io è che il processo è ancora troppo lungo. Che pur sforzandomi non so come uscirne e magari non ne uscirò affatto. Non finché non l'avrò trovato e se non lui l'uomo che l'ha posseduto quando non c'era Oleander a tirarne le briglie. Quel suo morso per cavalli incastrato tra le labbra. Porto ancora i segni dei suoi morsi sulle mani. Me le guardo, mentre ne parliamo, quasi a ricercarne ogni dettagli. Quasi a sperare che non spariscano mai. Che restino cicatrici indelebili. Ma non so nulla oltre a questo. O almeno, quello che so io lo rifiuto. A volte fingo di non sapere per poter tenere gli occhi aperti senza però vedere. Ma adesso che ogni velo s'è infranto al suolo come una lastra di cristallo, io sono nudo dinanzi alla verità e mi scruto, mi giudico. Perché di me vedo una persona distante. Che non ha vissuto quando gli è stato chiesto di farlo. Non è stata partecipativa, non una spalla sulla quale potersi piegare nei momenti peggiori. No. Io sono colui che sa restare al margine. Un angolo buio di una stanza. Angusto, soffocante. Limitato al proprio posto. In piedi al centro esatto di una mattonella. Costretto a lì da sé stesso. Sono stato invisibile, schivo ed è stato chiudendomi al mondo che l'ho perso. Che li ho persi tutti. Che li ho lasciati cadere uno ad uno. Prima Daisy, poi Fitzwilliam e poi tutti gli altri. Sì, gli altri, volti dei quali nemmeno ricordo il nome. Uno svago carico di bisogno che li ha visti ammassarsi in casa mia. Sento ancora l'odore dell'alcol quando ci penso. Quando lascio che i sensi di colpa mi sovrastino e allora divento te.
    Mi figuro perfetto per salvaguardarmi. Per non dovermi guardare allo specchio e, probabilmente, ritrovarmi dinanzi al mostro che tanto detesto. Colui che è sempre rimasto all'angolo quando lui entrava in camera tua. Quello che fingeva di dormire, perché così gli dicevano, quando lui, sfiorandoti la schiena e poi il collo ti ripeteva quale fosse il tuo compito a questo mondo.
    Di essere migliore di me.
    Perché questo è ciò che eri.
    Quando ti ribellavi e non lasciavi che qualcuno potesse metterti i piedi in testa.
    Per lui eri un guerriero anche quando te ne stavi zitto.
    Ti abbiamo organizzato un funerale posticcio per questo: perché nonostante tutte le violenze che hanno chiuso casa Gillies al mondo che ci circondava, tu non hai mai smesso di morderlo. Di stringere i denti.
    Ma io ti ho lasciato così come ti ho accolto.
    In silenzio.
    Agli angoli di una bara vuota. Con il capo chino alla terra e la sua mano ferma sulla mia spalla.
    Prima o poi tutti se ne vanno
    Ma non tu, non tu, Des e lui questo non lo ha mai compreso a dovere. Così come non deve esserci riuscito l'uomo dagli occhi di notte. Linee sottili oltre i riflessi nello specchio. Una figura che ti ha accompagnato per tutta la decorrenza della tua follia.
    Hai mai creduto agli angeli custodi?

    — Perché ho paura di dimenticare chi fosse.
    Perché sono sempre stato troppo distante. Troppo all'oscuro. Con gli occhi sempre rivolti altrove. Un omertoso. Vergognoso. Un bastardo. Il boia che ti ha strappato via. Che ti ha spinto alla fuga. Non ti ho mai amato come meritavi. Non sono mai stato capace di tali sentimenti. Per uno come me è sempre stato facile vivere dei tuoi piaceri. Della gioia che suscitavi. Dei tuoi cazzo di ansimi soppressi sotto cuscini, lenzuola, una stanza chiusa. Le mura di casa nostra.

    — Lui piaceva da morire alle persone. Sei piaciuto anche a Joshua. Io lo so.




     
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    Io non sono un cazzo di psicologo, Nil, e tu per prima insistevi che fossi io ad averne bisogno, ricordi?
    Cazzo io mi ricordo quando parlavamo e mi facevi girare il cazzo così tanto che poi speravo di non vederti per giorni. Ma alla fine ogni volta che grattavi con le unghie alla mia porta sapevi di trovarla aperta. E non valeva ad un cazzo il dirmi che eri la sorella maggiore, che stavi “badando a me” perché io mi sarei dovuto preparare prima che tu diventassi per l’ultima volta la tua maledizione.
    La pantera che si arrampica tatuata lungo il mio braccio, nascosta da mille altre stronzate che negli anni ho accumulato.
    Ma il dolore è qualcosa che ognuno deve viversi per i propri cazzi, ed il mio è ancora la rabbia con cui prendo a morsi il mondo.
    Magari è in questi momento che mi rivedo. Quelli in cui mi fermo davanti ai bisogni di qualcun altro. Di Chrys, oggi. Ma di Remì ogni giorno.
    Il fermarsi della mia carezza non è brusco, non mi freno per quello che dice, ma perché capisco quando le cose cambiano registro e quando non è più il momento di scopare.
    Non che adesso mi si alzi se la cosa scende tanto nel profondo, sarà anche un fottuta animale ma non sono così perverso, lo so che cazzo vuol dire soffrire.

    Ho sofferto per te, Nil. Ho sofferto ogni cazzo di giorno e non passa una volta in cui non sappia dirmi che non ho fatto un cazzo per salvarti. Se non mi perdono io, non cambia un cazzo ciò che pensi tu. E poi eri sempre troppo buona con me.

    —Ok, prendo fiato. Non sarebbe ok un cazzo, ma va bene. Va bene se mi guarda così. Va bene e basta. Va bene se mi ha mentito.
    Ma non è solo una questione di autostima del cazzo. Ma non mi pento di averlo chiesto, anche quando credo di leggere una risposta prima ancora che la esprima.
    So che è altrove dal momento in cui il suo sguardo un po’ lo perdo di vista. Il suo corpo mi piace, come mi piace il modo in cui si era modellato prima. Ma cristo speravo in qualcosa di diverso da questo.
    Eppure non muovo un arto, non respiro quasi nel temere ciò che starà per dirmi. Lui. Lui è quel fratello, mh? Quello che hai perso.
    — A me non frega un cazzo di scopare con tuo fratello. Lo spingo piano fuori dai denti, ma non mi allontano da lui, lascio solo scivolare via la mano. Non sono un cazzo di animale, ho quasi bisogno di ripetermelo. Magari non gliene fregava abbastanza per mostrarmi chi era davvero, e questo mi rompe il cazzo. Non lo dico, lo tengo per me. Ché va bene così, non sono nessuno io.



     
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    Ora, ovviamente, sono a disagio. Questo posto non è qualcosa che riconosco. Non mi da conforto, non mi spinge a credermi al sicuro. Non lo sono mai, non quando resto nudo dinanzi ai suoi occhi e lui, comunque, resta un estraneo. Qualcuno che può ferirmi e che se ne fregherebbe della mia sofferenza. D'altronde perché empatizzarla? Non gli converrebbe. Non c'è rientro in questo. Nulla al quale aggrapparsi con la sicurezza di muoversi nel giusto. Ora, in effetti, io non so come dovrei muovermi. So che potrei scappare, ma ciò che potrei fare è smaterializzarmi senza sapere dove riapparire. Sperare di non spezzarmi nell'incertezza. Sperare di non finire in una situazione peggiore di questa. E nel dolore ci annaspo. Smetto di respirare quando la vergogna mi travolge e allora l'unica cosa che riesco a credere di me è che sono un fallito del cazzo. Un perdente. Così debole da non riuscire nemmeno a scegliere. Ed io continuo ad essere combattuto. A non sapere quanto posso spingermi e quanto invece vorrei strapparti via dalla mia testa come fossi un cerotto. Uno strappo netto. Cerco le sue mani.

    — No? Ma la domanda mi esce così. Cristallina, spontanea, quasi sporcata da una nota di stupore. Possibile che tu, Des, non gli sia piaciuto al punto da renderti desiderabile? Eppure il corpo che ha accarezzato in quel magazzino era tuo. Eppure l'orgasmo, quello che ha fatto suo con tanta forza era - era mio?

    — Io credevo che se mi fossi presentato diversamente dalla prima volta tu non mi avresti più... ma allontano le mani quando la frase finisce per formularsi sulle mie labbra. Mi tiro indietro sul letto e cerco di mettere giù i piedi, per così alzarmi e smetterla di essere la cazzo di vittima della situazione. Quello incompreso. L'unico che ne soffrirà. Quello che se è possibile, andrebbe protetto. Proteggetemi, vi prego. Salvatemi, per favore.

    — Cristo, è un discorso di merda. Ho rovinato tutto. E lo vedo sì, che di eccitato qui non c'è più niente. Nemmeno l'idea di cosa potremmo riprendere. Perché la voglia è scemata ad entrambi e per quanto il suo corpo mi piaccia non riesco a fingere che sia tutto così ok da riprendere laddove abbiamo lasciato. Forse non voglio che mi tocchi. Non deve toccarmi, cazzo.

    — Potessi ricambiare il favore ti priverei del ricordo di questo floop. Sorrido, ma le labbra tremano, si incrinano piano. Non so cos'è che speravo. Cos'è che mi aspettassi da una situazione del genere. Non saremmo mai durati nemmeno un secondo in questa menzogna del cazzo in cui ci ho trascinati.

    — Non volevo mentirti, però. Non era mia intenzione. Cerco solo - forse cerco solo di dirmi che non sono uno dei colpevoli della sua m-morte scrollo le spalle. — In caso è ancora valida la proposta di quella sera? Mi trema la voce, mi viene da lacrimare di nuovo. — C-con mille sterline mi strapperesti il ricordo della sua presenza? Lo so che è da codardi, ma io non ce la faccio più a star così male.





     
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    Il mio è uno slancio lento, non ho la sua stessa fretta di uscire dal mio letto, e non volevo andasse così. Non quando avrei voluto scopare stasera, e non perché somigliava a suo fratello - anche se era bello - ma per quello che mi ha scritto. Non so che cazzo avessi in testa quando ho pensato di leggerci qualcosa in quello che ci siamo scritto.
    Forse solo una fottuta compassione per chi poteva pensarla come me, una connessione di chi era un fratello, una volta, prima che quel titolo gli venisse portato via.
    Ma mi alzo. Capito Nil? Non lo lascio disperarsi qui da solo o rasentare la follia. Shhh, piano che i muri sono sottili. E la gente in questo palazzo non dorme mai.
    E che, più che altro, Remì ora sta dormendo sopra la nostra testa. Anche gemendo avrei soffocato gli ansimi, seppur lui sappia che padre si ritrova. Ma faccio il giro mente Chrys parla, mi avvicino tenendomi a distanza, che si rivesta se è quello che vuole, io mi limito a tirare su i boxer perché mi coprano o nessun cazzo di discorso potrà mai essere serio

    — Senti, ci avrei scopato perché era bello ok? Ma non sono una merda, e a me interessavi tu, sennò non ti chiedevo di uscire e cercavo un tipo del cazzo su Tinder.

    Ma forse nella sua vita ha incontrato più stronzi così che altro. Forse il problema sono io che cerco qualcosa dove non posso trovarla. Io che mi comporto come un ragazzino ma che non lo sono, che sono pessimo a stare con qualcuno che non mi tenga testa. Io che non voglio stare con nessuno eppure voglio qualcuno con cui stare. Qualcuno che non sia ambiguo cazzo, qualcuno che non scappi se ho un figlio.

    La mia proposta per lui — È sempre valida. Torno serio. Compio qualche altro passo, giusto perché fino a prima stavamo scopando, e adesso per quanto qualcosa continui a muoversi in me, il discorso è diventato serio. Profondamente serio come può esserlo cancellarsi il dolore dalla memoria. Era venuto da me per quello, e verrà da me sempre per questo probabilmente.
    Espiro lentamente. Mille sterline sono tante, ma la sua cazzo di disperazione non è qualcosa che intendo cavalcare come uno stronzo. Non ci riesco.

    — Ma devi dirmi quello che non mi hai detto la prima vota, e non voglio così tanti soldi. Ne bastavano cento, stasera va bene anche se non mi dai niente. Mi ritrovo di fronte a lui, non allungo alcuna mano per toccarlo, lo vedo da me che non sta bene.
    Nell'essere serio, adesso ho un moto di rabbia che piano piano mi logora dentro. Stringo i pugni contro il fianco, ma poi rilascio la presa. Che cazzo mi aspettassi lo so solo io. Le cose sbagliate dalle persone sbagliate.

    — Se vuoi farlo, facciamolo. Dammi qualche minuto che... lo sguardo mi cade tra le gambe, ancora in bilico tra eccitazione e rabbia, o forse è proprio la rabbia che mi eccita.






     
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    Per quante volte mi si possa dire, continuerò a credere di non poter piacere davvero a qualcuno. Di non poter essere interessante, non quando ho passato tutta la mia vita ad interpretare un soprammobile. È un'idea tossica, sì. Un'idea che mi affossa ma che non riesco a smettere di ripetermi. Non ci penso nemmeno: non c'è una vera e propria riflessione a riguardo, ma solo una presa di coscienza che non porta mai all'interiorizzazione. Non credo di avere gli strumenti adatti per accettare di essere stato un inetto. Uno scarto della società per la quale avrei potuto fare qualcosa. Mi chiedo, in quei momenti di finto coraggio, se sarei riuscito a fare qualcosa fiancheggiando Fitz. Mi chiedo se mostrandomi utile, se schierandomi, avrebbe potuto in un qualche modo cambiare questo futuro. Certo, magari Daisyderum sarebbe morto lo stesso, ma io avrei probabilmente acquisito i mezzi per accettarlo. Perché non sarebbe stato l'unico ad abbandonarmi. Allora l'abitudine mi avrebbe annichilito e solo in quel modo, magari, sarei riuscito a tirarmi meschinamente su.
    Ma ecco, questo è uno dei motivi per i quali non sento di essere interessante. Magari attraente sì, ma quello è un concetto che nella maggior parte dei casi esula la testa. Potrei esserlo anche senza pensare, anche senza espormi. Solo perché ho questi occhi verdi e la sfacciataggine di provarci con chiunque respiri.
    Solo per non sentirmi solo.
    Solo per non finire solo.
    Maledettamente solo, com'è che deve essere la croce che i Gillies hanno intagliato e inchiodato sulle spalle della nostra famiglia. Non siamo fatti per essere amati davvero: mio padre è circondato solo da chi crede di poter trarre qualcosa da lui. Lo stesso vale per mia madre.
    Ma io che non ho nulla da offrire se non un animo così dilaniato, non ho nessuno che ha davvero la voglia di farsi carico della mia miseria. Non li biasimo. D'altronde non ne avrei il coraggio nemmeno io. Per questo, ecco, quando mi dice che gli interessavo mi viene da sorridere. Perché sono un ragazzino del cazzo e a volte ho bisogno anche di questo. Di sentirmi desiderato laddove continuo a vivere tra l'incertezza di essere o meno una persona.

    — Sei bravo ad ammorbidire lo schifo. Mi sfugge un risolino triste quando raccogliendo i pantaloni li indosso per cercar meglio nelle tasche il pacchetto di sigarette quasi finito. Me ne porto una tra le labbra, poi gli faccio cenno con lo sguardo se posso fumare in camera. Ovviamente alla finestra, anche se non ho voglia di indossare la maglia e fuori fa freddo.

    — Io...mi dispiace lasciarti così. Un altro cenno serve per indicare l'erezione. Quella che da me è scomparsa e che dubito tornerà presente in tempi brevi. Non sono nel mood e forse è già tanto se riesco a parlargli senza ritrovarmi ad arrossire ogni due secondi. Insomma, mi vergogno, ma posso provare a cacciar via questa sensazione del cazzo stringendomi semplicemente nelle spalle.

    — Comunque ok. Deglutisco. Non sono propriamente sicuro di volerlo fare. Non so nemmeno se conviene farlo con uno strappo così netto o se rifletterci su quanto basta per arrivare da Joshua con la mente lucida. — Dovevo concentrarmi su un'immagine - vero? Non ricordo bene cos'è che ci siamo detti quella sera, non quando abbiamo effettivamente passato il nostro tempo ansimando più che parlando. A ripensarci così, di Joshua non so nulla. Motivo in più per chiudermi in me stesso.

    — Io... Poi lo guardo e un pensiero sciocco mi attraversa la mente. — Ti dispiace se fumo mentre tu... e imito il movimento di una sega. Non che gliela faccia io in contemporanea, ma che se la faccia lui, dinanzi a me, nella speranza di ritirar un po' su questo momento. — Ci stavo pensando quella volta che ci siamo sentiti per telefono. Un morso al labbro inferiore. L'inadeguatezza che ormai è grande come questa casa.
    — E non voglio non darti nulla. Il dolore al petto se ne resta sempre lì, in agguato. A tagliar fiato laddove ne ho più bisogno. Cerco solo di combatterlo con lucidità. Di fissarmi sul suo corpo per capire dov'è che sono. Per riconoscermi in un posto diverso da casa mia. So che a dirlo così non ha senso: magari non lo capirà nemmeno lui, ma io non ho altro mantra. — Stupidamente, vorrei provare a darti tutto - ogni cosa. Anche se siamo solo due estranei.




     
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    Sì va bene, può fumare aprendo la finestra ché forse c'è bisogno di aria qui. Di respirare in qualche modo un'atmosfera che non sia quella che mi è appena sfuggita dalle mani.
    Io di fumare non ho voglia, non sono appagato da un orgasmo mancato, e questo si vede. Ma non è un peso, perché alleggerire la merda è esattamente quello che faccio per vivere. Alleggerisco quella degli altri, mentre la mia macera finché non diventa una bestia disumana contro cui combattere. Mi creo un nemico, Chrys, perché senza uno scopo io non esisto.

    — E' una cosa che posso risolvere, lascia stare la mia erezione è un problema mio a questo punto, ci penserò quando non sarà qui, non intendo andare in bagno adesso, si abbasserà comunque appena inizierò a fare ciò che devo. Perché l'oblio richiede un pegno anche da me: la mia più totale attenzione. Non è un campo difficile, se fossi un cazzo di macellaio ridurrei a brandelli chiunque senza stare attento a niente, né ai ricordi concatenati, né ai vuoti che lascerei.
    Dimenticare un fratello è una pratica più dolorosa di altre, così come per i membri della famiglia. Non è come chiedermi di cancellare una notte mandata a puttane o quando, per sbaglio, hai investito un ragazzino in auto. Qui si tratta di anni - nel caso di Chrys di tutta una vita - da erodere piano senza che questo leda ad un rapporto che si è creato con il resto della famiglia. Se cancello le radici sbagliate, rimarrà solo. Più solo di quanto non sia.
    E di solito sti cazzo di scrupoli non me li faccio mai, ma con lui, beh io me ne faccio troppi.
    — N-no nessuna immagine, ho ben presente come è fatto lui nei tuoi ricordi perché ci ho scopato e questo adesso inizia a sembrarmi così sbagliato sotto troppe luci. Non ce n'è in realtà una che si salvi. Ma mi avvicino, lascio che fumi guardando fuori da questa finestra, solo per arrivargli piano piano alle spalle. Non lo tocco, il mio fiato è condensa dietro di lui. — Sto per troncare una delle tue radici, e non ti farei questa domanda due volte se non fossi tu: sei sicuro?
    Ho bisogno di saperlo, mi serve un annuire anche leggero perché io mi senta legittimato a farlo a pezzi - non sarà certo una passeggiata, ma c'è anche un motivo per cui la gente si sottopone a questo, ed io lo so. Chrys sta impazzendo, non vorrei che accadesse, ma non so che cazzo altro fare. Un'anima così spezzata mi vede già arrivare in ritardo al suo capezzale.

    Ma una mano la lascio scendere tra le mie gambe, ho detto che non l'avrei fatto, ma il suo invito è bello, ed io ho bisogno di scaricarmi adesso, ma di farlo piano, possibilmente senza farmi vedere, senza che mi guardi e pensi a quanto cazzo sono patetico. Tra gli ansimi so ancora parlare.

    — Quando l'avrò fatto, perderai i sensi soffio, arranco piano con la mano, mi do un tempo che crei un orgasmo dolce e non violento, gentile, forse fottutamente triste. — Per qualche giorno sentirai un vuoto in petto senza capirne la ragione, ma qualche Gin tapperà i buchi: l'essere umano è fatto per andare avanti ad ogni costo. E tu andrai avanti. Potrebbe mancarti qualche ricordo se ne condividete in famiglia, a volte non capirai cosa stanno dicendo, ma pian piano non ci farai più caso. Ma non riesco a toccarmi cos' senza chiudere gli occhi, senza pensare a Chrys, a quello che è adesso, a questo ragazzino spezzato davanti a me. Cazzo mi sfugge un gemito a denti stretti, il calore che si irradia piano, stringo di più, accelero guardandolo il muso, ha un viso del cazzo che mi piace da morire. — Non è reversibile e non sei un cazzo di estraneo




     
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    Giusto, è ovvio: Daisy lui lo conosce. Gli ho dato modo di conoscerlo così come l'ho lasciato in pasto a mio padre. E più continuo a pensarci più mi rendo conto di non riuscire a darmi pace. Che non esiste momento per me in cui mi sarà possibile tornare felice. Stabile o almeno con il cuore in pace. Perché la pace, appunto, per me non esiste. Non so nemmeno che aspetto abbia, che tipo di sensazione sia. So solo che è una parola che è parte del nostro dizionario. Un'accozzaglia di poche lettere che messe insieme dovrebbero mandare un messaggio. Ma qui, beh, che se ne dica, non arriva proprio niente. Ma sorrido. Soprattutto quando apro la finestra e seppur mi sporgo fuori per fumare un occhio lo tengo comunque nella casa. Ma questo perché non so parlare con qualcuno senza guardarlo negli occhi. E mi è inevitabile, ecco, vederlo assecondare le mie proposte, quasi come se questa giornata fosse in un qualche modo votata al soddisfacimento dei miei bisogni. Lo guardo con la coda dell'occhio, cerco di non sembrare troppo invadente.

    — No, non lo sono. Lo dico semplicemente. Cercando di essere quanto più raziocinante sulla questione. Perché di piangersi addosso non c'è più tempo. Non è utile nemmeno a sfogare la voragine che sento in petto. Quella, forse, potrò richiuderla solo strappando via ciò che la dilata così tanto. Solo ignorando del tutto il problema, fingendo che niente di tutto questo sia mai esistito.

    — Ma non so come uscirne... sto chiedendo aiuto. Magari non direttamente a lui, quanto al cosmo, al caos, a tutte quelle entità benevole che dovrebbero convogliare in un buon auspicio. Che ho bisogno di fortuna, solo per una volta, solo per qualcosa che per una volta riguarda me soltanto. Che se non posso cambiare il destino delle cose. Se non posso stravolgere gli eventi, quantomeno voglio finire per stravolgere il mio modo di vederli. Ne ho tremendamente bisogno, cazzo.

    — Le cose sarebbero diverse se mio padre non lo avesse... La sigaretta pende leggera tra le labbra. Il fumo, ora che continuo a consumarla solo respirando, si perde piano nella stanza per poi gettarsi oltre la finestra. Non ce la faccio a finire la frase. Immagino che certe cose arrivino comunque. Anche se non sempre in maniera diretta. E non so se posso spingermi oltre o almeno se so farlo. Perché ora mi sento inerme, distrutto da questa serata fallimentare.

    — Mi parli come se non mi sentissi morire ogni cazzo di giorno. Prendo un'altra boccata di fumo e con la mano libera mi faccio vicino alla sua erezione. So che non sono in vena per del sesso, ma questo non significa che io non voglia ricambiare tutti i cazzo di favori che mi sta facendo. Lo guardo negli occhi mentre lo sego, anche quando avvampo perché conscio di essere fuori posto. — Averti così, dinanzi a me, è come leccarti il gin via dalla pelle... mi lascio sfuggire un ansimo, anche quando so che dovrei essere serio, serissimo. — Si dice che alla violenza si risponde con altra violenza, secondo te è vero? Accelero il movimento della mano. — Per questo ci siamo convinti di voler concedere il nostro corpo a tutti: perché non volevamo fosse solo suo. Digrigno i denti, reprimo altri luccichii nei miei occhi. La mano accelera il suo moto. Il pollice ne accarezza l'estremità più evidente.
    — ...allora che cazzo sono?




     
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    Lo so che non lo sei Chrys, perché cosa cazzo pensi che te lo chieda? Se insisto è perché il modo in cui tu ti sei spezzato, lo conosco anche troppo bene. Lo so che non mi convince per niente il tuo slancio e forse non sono io quello di cui hai bisogno. Chissà perché cazzo mi viene in mente Aslan adesso.
    Come se io e lui non avessimo già i nostri problemi e le nostre… cose. Qualunque queste siano, ché al momento non hanno un capo e una coda ed io voglio già stringerle per la gola.
    Ma ansimo, Chrys, perché non me le puoi dire così queste cose, non puoi farlo spingendoti con la mano verso di me, perché allora io lascio la presa della mia, arranco appoggiando i palmi accanto a te, quasi incastrandoti qui, ad un palmo dal mio naso. Come se ogni cosa che ci diciamo adesso sia un segreto.
    Tutto quello che entra in questa camera finisce per essere un segreto, ci penso troppo spesso.
    Te l’ho già detto che so cosa si prova, e cazzo se ringhio quando accenni a tuo padre. Non so che cosa gli abbia fatto, ma se ti può consolare anche io odio il mio. In qualche modo una parte di me si è vendicata per l’inettitudine con cui
    — Va bene non sapere che cazzo fare… Ansimo, irrigidisco piano i muscoli mentre mi sforzo a tenere su un respiro che mi permetta almeno di parlare. Anche se nel farlo ti vengo più vicino, le mie sono fusa, forse. — Tuo padre cosa? Ringhio.

    Non so se voglio saperlo, ma voglio che tu stia calmo, cazzo, non ti voglio in crisi in camera mia, dopo che stava quasi andando tutto bene. Neanche io mi aspettavo questo, è una cazzo di scoperta che non so come prendere.
    — Non lo so, io ho sempre risposto con quella. Ansimo con te, che so che cazzo stai facendo. Ma non ho tutte le risposte di cui hai bisogno, sono un fottuto paranoico, non sono un mentalista, non voglio neanche stare troppo vicino agli psichici perché non voglio mi dicano cosa sistemare della mia esistenza. Mi piace essere il cane che sono e non ho la minima intenzione di cambiare. Neanche grazie a questo gemito roco che sfuma nelle mie parole. Trattenere il fiato è faticoso.
    — V-vai piano cazzo, vai piano con tutto Chrys! Non puoi controllarti così. Devi- devi andarci piano.
    E’ un rimprovero che non sa uscirmi come tale, è più lento, più dolce quando io arrivo al mio limite. Finisce che mi spingo a baciarti. In uno slancio fottutamente naturale, con un braccio a correrti dietro la schiena, quasi dolce, cazzo.




     
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    Se papà non lo avesse toccato. Come prima cosa, ecco.
    Se papà non lo avesse ricercato così tanto.
    Se papà non lo avesse amato come non si ama un figlio.
    Se papà non l'avesse lasciato in pace. A dormire per conto suo. Nella sua stanza che doveva necessariamente solo sua. Non anche mia, perché eravamo grandi già da bambini, perché non doveva esserci modo di stringere più di così: di diventare una cosa sola, di darsi conforto a vicenda quando le cose sarebbero andate diversamente dai nostri piani. Se papà avesse fatto il papà, le cose suppongo sarebbero diverse. Ma suppongo, ecco, perché non ho la risposta ad ogni domanda e se tu sei nudo dinanzi a me allora io non so nemmeno com'è che dovrebbero essere formulate. — Lascia stare... non posso dirtelo.
    So solo che l'unica cosa che so fare è accelerare il movimento, saldare la presa, farti più vicino anche se così poi la sigaretta cade dalla labbra. E per fortuna lo fa sul cornicione della finestra. Che a bruciare sei tu, non le tende di casa tua. E continuo, anche se poi mi sporchi il ventre e sei così tiepido da farmi venire i brividi. Che i baci li ricambio, invece, senza nemmeno pensarci. In un moto che è più naturale di prima. Meno rabbioso, meno bisognoso e alla cieca. Che capisco cos'è che sto ottenendo adesso e per te ho le mani che ti risalgono la schiena. Tanto che sembra quasi un abbraccio. Una stretta di quelle familiari, sincere. Che se posso, per un secondo solo, ti tengo qui con me. Con il vero me. Con quello che gli occhi verdi smette di tuffarli nei tuoi nel momento esatto in cui lo cerchi. Che li tengo chiusi per sentirti meglio, per comprenderti al meglio. Che fino ad ora sono stato superficiale e, nella superficialità, mi sono sempre difeso da ogni cosa. E magari ho ancora da proteggermi da te. Perché mi conosco e comprendo quanto possa esser facile far diventare importante uno così. Ma tu non vuoi diventare importante per me, non è così? Nemmeno quando continuiamo a baciarci e io finisco per sentirmi un ragazzino come tanti altri. Con le stesse speranze degli altri, ecco e un po' più di leggerezza in più sulle spalle.

    — Perché mi baci ancora? magari non è una vera e propria domanda. Magari non ho bisogno di avere conferme da parte tua. Magari, ecco, mi esce solo spontaneo chiedere. Per capire, sai, se sono io quello a sbagliare. A gettarmi a capofitto nelle cose senza capire. Andando sempre oltre. Sbagliando sempre mira o traiettoria. — Sono forse la cosa meno stabile qui. E sposto i baci sul tuo viso, verso l'orecchio, il lobo. Sono solo coccole le mie: non andremo altrove, non adesso, non ora che mi sento brutto, orripilante, un mostro.




     
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    f4aa1af4738bec2cce912f760f880202

    Ti bacio ancora. Perché i tuoi baci sono diversi, ragazzino. I tuoi baci mi tengono qui, sei arrendevole ma non sei arreso. Non chiedi niente e questo scatena la sensazione di doverti dare comunque tutto quello che posso. In ringhi, quando venire è imprescindibile e tu non ti sposti, non te ne vai, ti prendi già che ho da dare ed al mio bacio continui a rispondere. Tu ti fai più dolce, io mi faccio più dolce, come a se a calmarti fossero questi movimenti.
    Non voglio dirti che ho appreso questo da Remì. Da mio figlio ho imparato come si calma qualcuno, quali gesti rendono più docile un tormento. Tu che cazzo sei, Chrys?
    E penso già di sapere che cazzo ha fatto tuo padre, ma se non vuoi dirmelo va bene lo stesso. La voglia che ho di restare qui, appeso ad un fottuto cornicione, non scende in ogni caso.

    Non so se ho voglia di risponderti, Chrys. Non voglio che fermi le coccole, i baci, i tuoi modi. Qualunque cosa finisce per tenermi qui fermo con te, come se sapessi quali cinghie tirare per tenere a bada la bestia. Solo momentaneamente, sia chiaro, ma resta il fatto che io non so muovermi contro di te. Accesso i tuoi baci, chiudo gli occhi, godo quasi delle tue attenzioni per me.
    Non mi importa cosa sia. Mi esce di bocca che è un sussurro, la pelle bollente che baci riaccende una parte di me che doveva morire troppi anni fa.
    Il mio respiro finisce per calmarsi, le mie mani continuano a cercarti ma solo per tracciare i contorni del tuo corpo così esile. Dai fianchi alle spalle, fino ai capelli trai quali finisco a lasciare gli stessi baci che pensi mi meriti io adesso.
    Ti preferisco così. Tuo fratello era bello, Chrys, non sono stato cieco, me lo sarei scopato e me lo sono scopato in un certo senso qui con te. Ma tu non hai imparato a guardarti bene allo specchio, non sai di cosa parli quando credi di non essergli eguale. E non puoi chiedermi di mandarti via se non è quello che voglio fare.

    — Dormi qui? che è tardi, Remì andrà a scuola con Shonda — Ho solo questo letto, ma posso tenere le mani a posto se me lo chiedi ché ho capito un po' come andrà stanotte. Però, resta.



     
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