Inglourious Basterds

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    Autosabotaggio. Evasione. Si chiama così quell'improvvisa sensazione che ci coglie impreparati, paralizzando di colpo anche i muscoli che non sapevamo esistessero. Arriva come uno strisciate desiderio sopito, svilente, pronto a gettare in un fosso ogni sforzo, ogni sacrificio, ogni attimo di sofferenza subito fino a quel momento. Hai stretto i denti e atteso, e poi improvvisamente non ce la fai più, e così ti butti, ti abbandoni, dimentichi quanto hai raggiunto con lacrime di sangue, sfuggendo allo sforzo finale prima dell'alba; nel buio pesto appena prima dei raggi di un nuovo giorno, crolli e dimentichi anche com'è respirare. Forse avrebbe dovuto immaginare, Mia, che quella sera non sarebbe stata come le altre; un po' perché nella serra era rimasta da sola e un po' perché all'interno, la corrente era andata via all'improvviso. Era già successo. Erano strutture vecchie, quelle, e anche la magia faceva fatica a sorreggerne le sovrastrutture, specialmente quando non c'era nessuno predisposto alla manutenzione. Così, aveva agitato la sua bacchetta, muovendo passi svogliati verso il pannello elettrico. Ma poi, il suono dei suoi passi si era come sdoppiato. Uno, due, tre e altri tre; quattro, cinque, sei e altrettanti da qualche parte tra le aiuole. « Ehilà! Miles? Sei tu? » Nessuna risposta. « Théa? » Niente. Nella grande struttura tempestata da grandi vetrate, l'eco della sua voce viaggiò per diverse centinaia di metri in ogni direzione. Era inquietante. Così tanto che persino le piante più alte iniziavano a somigliare a ombre inquietanti. La serra era un bel posto di giorno, con tante persone nei paraggi, qualche risata e battute di spirito, le lamentele contro il petulante ispettore Douglas e i suoni acuti delle risate del piccolo Haru. Ora non lo era. Non lo era affatto. Non è divertente. I passi provengono da ogni dove; è disorientata, Mia, e per un istante la sua mente sembra scontrarsi con ricordi sopiti. Grigio, buio e freddo. E il buio arriva, con un colpo alla nuca. Fa male e poi tutto vortica. Si spegne. Almeno non sei vigliacco. Almeno hai usato le mani e non il tuo sottile stecchino. D'altronde, di quei tempi, i maghi sembravano piuttosto propensi ad assistere giochi meno eleganti della magia. Cercavano il sangue e la violenza. Di giorno signori, di notte padroni.

    Sembra il Burlesque ma non lo è davvero. D'altronde le vecchie costruzioni abbandonate al di fuori dell'ex contea di Londra sono tutte uguali. Anche il Burlesque era uguale a tanti altri posti - finché non lo è più stato. Ma per lei, in stato confusionale, quelle pareti sono famigliari pur non essendolo. Riconosce i mattoni a vista, le ringhiere metalliche, l'odore di polvere e muffa. Non si è mai più chiesta che fine avesse fatto quel posto. Dopo il rave di tre anni prima ha scelto di seppellire quei ricordi e tornare alla propria vita. Vorrebbe dire che dopo quella notte la sua vita è tornata alla normalità, ma la verità è che nulla più sarebbe tornato indietro. Dopo aver lasciato il Burlesque era finita in una piccola tavola calda da qualche parte a Londra. Lei, e tutti quelli che, per uno strano scherzo del destino, erano erano stati risucchiati in quella bislacca avventura dall' altra parte, ingurgitati dalle viscere del locale per andare altrove. Liberi dalle catene dell'inconsapevolezza, eppure, più che mai coscienti di essere ritornati a correre come topolini nel labirinto perverso delle Logge. Non vuole ricordare. Non il freddo, non il grigio. Non il pattern di quei mattoni a vista. Se chiudesse di nuovo gli occhi riassaporerebbe ogni istante di quella notte. Di tutte le notti passate dall'altra parte, di tutte le urla, dei ringhi delle ombre e delle creature oscure; i lamenti delle anime disperse nel buio. Riuscirebbe a percepire ancora il sapore dell'alcol annacquato, vedere le luci a neon fosforescenti, soffocare nel fumo denso della serata, tastare il pregiato tessuto delle tende rosse e tastare quelle mattonelle a scacchi dei lunghi corridoi scarlatti. Ora era tutto spento, seppur le luci dell'alba penetrino da alcune finestre in alto - quanto tempo è stata fuori gioco? Dove l'ha portata? Forse non ha importanza; la ferita inflitta da quella notte è più vivida che mai e sembra non essersi mai rimarginata. L'ennesimo evento che aveva creato uno squarcio nell'animo dei suoi amici e della sua comunità.
    Si agita, ma ha le mani legate. Non ce ne sarebbe bisogno perché qualunque cosa le abbia fatto, le fa girare la testa; non abbastanza, tuttavia, da non riuscire a mettere a fuoco la fonte dei suoi problemi. Kai Parker. L'ha drogata, oppure è solo quel posto a giocarle brutti scherzi? Lui la osserva con piccoli occhietti maligni mentre ride della sua incapacità di sfuggire al suo sguardo; ride della sua incapacità di sottrarsi all'umiliazione che le infligge. « Bentornata principessa. Ci hai messo un po'. Vedo che alla fine hai trovato un po' di tempo per me. » Si avvicina. L'alito di lui puzza di alcol e per sfuggirgli lei ruota il volto di lato in segno i protesta. « Voglio andare - andare a casa. » Ma dov'è casa? Non imporra, voglio andare a casa. È solo l'ennesima volta che lotta per tornare a casa. Kai scuote la testa e scocca la lingua contro il palato. « Non finché non mettiamo in chiaro alcune cose. » Alla fine la sua ora è giunta. E in effetti, le dita ruvide di lui si stringono sulla sua mascella obbligandola a guardarlo dritto negli occhi. Non si è mai resa conto della cicatrice che Kai ha sul viso. Forse perché non si è mai soffermata a guardarlo in faccia; ha sempre tenuto la testa bassa, tentando per quanto possibile di non provocarlo. In cuor suo, forse, ha sempre saputo che non era uno con cui immischiarsi; forse ha sempre saputo che fosse meglio starsene alla larga. Kai era stata la scelta facile; era comodo pensare che l'avrebbe protetta, che quei soldi sarebbero arrivati senza alcun pegno. « Mi hai fregato - piccola stronzetta. Continui a fregarmi. Dopo tutto ciò che ho fatto per te tu decidi di fare richieste al Ministero per orari serali? Sono stato gentile; ti ho dato modo di mantenere quel piccolo bastardo.. e dopo tutto questo tu mi ripaghi così? » Pausa. « Hai fatto il cazzo che ti pare; sei andata a zonzo a più non posso sulle mie spalle, e poi? Dov'è la tua riconoscenza? » Lo sputo di lui la colpisce in pieno viso, prima di assestarle uno schiaffo in pieno viso. Brucia. Non è il dolore a farle ribollire sangue nelle vene, a portarla a premere contro la fune che le incatena i polsi. È lo smacco morale, la vergogna, la violazione della sua dignità. Orgogliosa, Mia, non lo è mai stata, eppure in quel frangente accusa quel colpo in maniera talmente scardinante da aver voglia di disintegrarlo. Se avesse i polsi liberi gli caverebbe gli occhi a mani nude. Non è un desiderio. È una necessità. La sente premere contro il suo autocontrollo. « Ascoltami attentamente; d'ora in avanti i patti cambiano. Chiederai l'annullamento del cambio di orari, lascerai quel fottuto lavoro nelle serre, e il lavoro in mensa e per recuperare tutti i soldi che ci hai fatto perdere a Nocturn Alley ci verrai tutti gli weekend e altri di giorni in settimana. E se tanto tanto provi ad aprire quella fogna, ti prometto che tu, quel piccolo bastardo, la tua famiglia di falliti e ogni persona che respira anche nel raggio di cento metri da te, ve la passerete così male da pregare di finire a tre metri sotto terra. » Le assesta un'altro colpo, e questa volta Mia soffia talmente pesante da sentire gli occhi bruciare. La belva dentro di lei preme, graffia, si divincola. È arrabbiata. Talmente arrabbiata che non riesce nemmeno ad accorgersene di aver aperto il contatto graffiando contro ogni porta chiusa alla ricerca di ogni maledetta anima del branco, della loro rabbia e frustrazione, della sua rabbia. La sente? Raiden è lì? Inconsapevolmente lo cerca, anche se non vuole, anche se preferirebbe tenerlo fuori. Non dovrebbe assistere. Non dovrebbe essere lì. Ma Mia vuole andare a casa. Ecco dov'è la sua casa. « Hai capito? RISPONDI! »
    Dice tante altre cose; insulti e minacce. Ma è proprio quando le urla contro a una distanza talmente ravvicinata da sentire il soffio di lui sulla propria pelle che le assesta di rimando una testata sul naso con tutta la forza che ha nel corpo. Non riesce a sentire cosa lui dica. Sa solo che trova il tempo di raggiungere il piccolo coltello di emergenza che conserva nello stivaletto; un'incisione netta, quasi chirurgica che libera i suoi polsi dalla morsa che li incatenano. E allora fa giusto in tempo a frenare il braccio di lui prima che possa raggiungere la bacchetta. La decisione saggia sarebbe stata quella di acconsentire; dirgli di sì, tornare nel ghetto, fare i bagagli e scappare. Lasciare le cose esattamente come erano. Tenere la testa bassa come aveva sempre fatto. Ma non lì; non in quel momento. Non di fronte alle sue parole. Non dopo aver minacciato chiunque le stia a cuore. Sembra essere entrata in modalità pilota automatico. Non pensa, vuole solo fargli male; come era accaduto in passato. Le dita si stringono attorno al polso di lui, ruoteandogli il braccio di centottanta grandi fino al punto in cui sente un netto crack seguito dalle urla del miserabile che non si risparmia nel dirle di ogni. Mia raggiunge la bacchetta di Kai e la getta lontano, per poi assestargli un calcio all'altezza della cintura. In ginocchio, Kai Parker è paonazzo, perturbato dal rovesciamento della situazione. Un qualcosa che, forse avrebbe dovuto considerare; ma no, tu pensi che tutti ti diranno sempre di sì. Che tutto andrà sempre secondo le tue regole del cazzo. Perché tu hai il coltello dalla parte del manico. Se la prende con comoda, Mia; silenziosa come la morte si guarda in giro fino a individuare qualcosa che stuzzica la sua attenzione. È un semplice vecchio tubo metallico. Deve fare male, tanto. E in effetti raggiunta la sua nuova arma con pigrizia, se la trascina dietro con passi lenti, mentre la testa le gira vorticosamente. Gli assesta un colpo all'altezza dello stomaco e si sente libera. Non lo risparmia. Uno sul fianco, uno sulla schiena, un'altro all'altezza della cassa toracica. Gli gira attorno mentre ogni intoppo, ogni sgradevole incidente di percorso si materializza sotto i suoi occhi; il lockdown, il rave, il genocidio, il soffocamento del giovane soldato a Tokyo, lo scontro con gli Auror a Inverness. Kai Parker è tutte quelle cose mentre crolla su un fianco a terra, raggomitolandosi su se stesso. Ma Mia non sembra comunque contenta. La suola dell'anfibio premuta contro la sua testa. È a tanto così dal chiudere, schiacciarlo, ma sarebbe troppo facile. « Chiedi scusa. » Non lo farebbe in ogni cosa, ma sta di fatto che in quel momento non può. Fa fatica a respirare. Risparmia il fiato lottando per non soffocare. « CHIEDI SCUSA! » La suola si imprime ancora di più contro la sua scatola cranica. Ma lui blatera qualcosa di incomprensibile. E Mia non riesce a controllarsi. Non vuole farlo. Perché lui l'ha ingannata, perché gli Auror hanno distrutto la sua casa e mandato ad Azkaban i suoi amici, perché le hanno distrutto la famiglia e ora minacciano anche di terminarla. « Non ti ho sentito, maiale. Chiedi - scusa. » È autosabotaggio o evasione? O è fatta così la libertà? Non ne ha la più pallida idea. Ma se anche volesse fare diversamente, non riesce, trafitto forse dai troppi rospi ingoiato, dalle delusioni, dalla mancanza di casa. Mi manca casa. Voglio andare a casa.


     
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    Non so mai se ringraziare le mie abitudini del cazzo o se maledirmi per ciò che sono. Per l'incapacità di restarmene a casa quando il mondo non ha bisogno di me. E allora riprendere a respirare solo per conoscere meglio me stesso. E approfondire meglio le conoscenze che potrei avere della mia capacità polmonare o della tensione dei miei muscoli. Non so mai, sì, se ritenermi fortunato o meno. Di questa paranoia che lascio mi assalga ogni sera, quando potrei dormire ma gli occhi non li chiudo affatto. E poco importa se poi bruciano, se non ho più la cocaina a coadiuvare questo problema. L'insonnia diventa la mia migliore amica. Allora divengo detestabile: perché se non riesco ad avere un giudizio su me stesso allora lascio che siano gli altri a giudicarmi. Ad odiarmi nello stesso modo in cui dovrei farlo io o ad amarmi, sì, nel modo in cui dovrei imparare a farlo a mia volta.
    Per questo, anche sta sera, mi ritrovo senza pace. A vagare nei meandri della mia ossessione in un'Inghilterra che è tanto vasta quanto oscura. Mi sforzo, a volte, di ritrovar la luce laddove non c'è. O i lampioni arrivano a fatica, in un lampeggiare convulso che ricorda le volanti della polizia. Un locale dismesso. Le luci d'emergenza che portano alle scale di un palazzo grande e sperduto. Tra queste strade so sentirmi un granello di sabbia che, a modo proprio, già conosce la possibilità di divenire vetro.
    E il vetro è tagliente, come le parole, le ideologie a cui ci affidiamo ciecamente.
    Ma non chiudo gli occhi mentre cammino, non quando nel rispetto degli orari che sono riuscito ad appuntarmi, so che Mia Yagami, la compagna del mio amico Raiden, non è tornata a Iron Garden come avrebbe dovuto fare.
    Una deviazione di così tante ore è una deviazione ragionevole e in cuor mio già so qual è il punto della situazione. Magari è proprio per questo che il mio non è un viaggio di piacere. Non passeggio per il gusto di farlo, per sopperire i pensieri che mi affollano la mente ogni giorno. No, cazzo. Il mio passo è accelerato e ogni ticchettio sulla terra è un punto che fisso saldamente nel brainstorming mentale.
    Il Pulse certo. Il Pulse è un locale di merda. Un posto di merda gestito da gente di merda. E io ho pregato affinché lo affidassero totalmente a me, ciechi della fiducia che un auror in carriera da così tanto tempo potrebbe dar loro. Per fotterli meglio, certo. Dall'interno. Per far sì che il contributo di Mia e di tutta l'altra gente non fosse riassunto in mero scambio di carni e favori.
    Ma non ho ancora vinto. Non ancora, ecco.
    Magari il passo lo accelero anche per questo.
    Perché per Kai Parker non provo né fiducia né stima e so bene com'è che lavora una mente contorta come la sua. Come la possibilità di esercitare abuso di potere poi sappia prendere il sopravvento su tutto il resto. Il potere, sì, è quello che fotte gli uomini. È il modo in cui vi cediamo a scinderci dalle donne. E io so di poter arrivare a lui perché il potere acceca la sua ragione. Perché di precauzioni ne prende sempre troppo poche, borioso com'è.
    E a me basta rimbalzare da un pensiero all'altro per cercare di disegnare la mappa mentale da seguire. Una carezza alla testa di ognuno degli altri stronzi. Il naso che sanguina quando mi sforzo troppo. Come quando passavo parte del tempo a pippare. Un idiota. Lo so, sì, signori e signore della giuria.

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    Quello che poi vedo, quando la mia ricerca si interrompe e il frutto dei miei desideri è finalmente qui, ad un palmo dal mio muso, è tutto ciò che avrei già immaginato di vedere. La naturale risoluzione delle cose: la preda, che non è mai tale, che sovverte il suo carnefice. Allora sfrutta tutto ciò che è in proprio possesso per cambiare le cose. Si evolve in funzione del pericolo, mentre il predatore resta solo predatore: rimane fermo nella sua boriosità. Come Kai Parker. E questa è una gabbia dalle sbarre aperte. Non serve aver le chiavi per entrare, solo il coraggio. Bisogna munirsi di tanto, tanto sangue freddo. Soprattutto per la scena che si mostra dinanzi ai nostri occhi che gronda, sì, di una vendetta limacciosa. Terribilmente eccitante. — Che cazzo stai facendo, Mia? L'inflessione nella voce è dolce. Dolce è il movimento della bacchetta che punta verso Kai. Un incarceramus per tenerlo fermo, anche se dubito che dopo tutte quelle percosse riuscirà a muoversi. Dolce è lo schiantesimo, il modo in cui l'insaccato finisce contro il primo muro, lontano dalla donna. E lo sguardo, sì, che rivolgo alla ragazza. L'espressione di un padre che si sente colpevole di tale reazione. Che sente di essere arrivato tardi, sì e, allo stesso tempo, di essere orgoglioso per tanta rabbia.



     
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    Far rispettare le regole di qualcun altro - giuste o sbagliate che fossero - sembrava essere il fil rouge nella vita di Raiden. Una costante ironica, quasi beffarda, che lo aveva portato a stare prima da un lato e poi dall'altro della legge; o forse, più semplicemente, ad incarnare concezioni molto diverse di legge. D'altronde il concetto in sé non era assoluto. Ogni contesto ha le proprie, di leggi, e tu puoi crederci o meno ma le devi comunque rispettare se hai intenzione di sopravvivere all'interno del contesto stesso. E Raiden, non meno di tanti altri, doveva fare proprio quello: sopravvivere. Sopravvivere in un sistema che lo disgustava, di cui doveva far valere le regole pur essendo lui il primo a trovarle deplorevoli. Provava un senso di repulsione nei confronti di quelle persone che lasciava passare oltre il cordone che conduceva ai privé, verso i soldi che gli mettevano in mano o la necessità di perquisirli per assicurarsi che la merce a cui avrebbero avuto accesso sarebbe stata formalmente sicura. Lo era? No. Poteva garantire ben poco a quelle ragazze una volta chiuse le porte; giuste che ne sarebbero uscite vive - come se ciò fosse sufficiente. Alla fine il suo lavoro era solo distinguere il pericolo dalla sete di divertimento, e forse intimidire quanto bastava ad assicurare che il secondo non sfociasse nel primo. Un uomo ancora in tenuta da lavoro - probabilmente un operaio di qualche fabbrica limitrofa - cercò di passare oltre, tirando dritto senza nemmeno guardarlo negli occhi, con un bicchiere mezzo vuoto stretto in pugno. Il braccio di Raiden si interpose, bloccandolo con una forza priva di fatica. « Abbiamo un problema? » disse con voce bassa, quanto bastava a farsi sentire, e un tono calmo. L'uomo esitò, passando lo sguardo da quello di Raiden al corridoio di stanze. « Mh.. cercavo il bagno. » Certo. Cercano tutti il bagno. Impassibile gli indicò un punto dall'altro capo del locale, senza proferire parola. Un indizio sufficiente a fargli girare i tacchi. « Ci provano sempre. È assurdo. » commentò, rivolgendosi brevemente al collega, che rispose con una risata arrochita dal troppo fumare. « Sono inglesi. Se non tentano la furbata non sono contenti. » Incurvò un angolo delle labbra, un mezzo sorriso steso più per convenzione sociale che altro prima che il suo sguardo si voltasse nuovamente di fronte a sé. Ma all'improvviso la pista non c'era più, né il rumore martellante di bassi o l'intensa puzza di sudore mista a fumo. C'era un ambiente più piccolo, più buio, c'era Mia e un altro uomo. E poi c'era un sentimento così opprimente di rabbia da comprimergli le interiora. « Mia? Dove sei? Che cazzo succede? » La sentiva quell'urgenza, dentro di sé. La consapevolezza che lei fosse in pericolo, chissà dove, alla mercé di chissà chi. Non era certo che riuscisse a vederlo o sentirlo; non gli rispose. Successe tutto troppo velocemente affinché Raiden potesse davvero rendersi conto della situazione, o esercitare qualunque tipo di logica nel decidere sul da farsi. Cercò tanto istintivamente quanto inutilmente di frapporsi tra i due quando l'uomo si fece troppo vicino, fremendo nella frustrazione di una rabbia impotente prima che Mia colpisse l'interlocutore con una testata in pieno naso. « MIA DIMMI DOVE SEI! » Ma il contatto si interruppe bruscamente, con la stessa velocità con cui si era aperto, catapultandolo nuovamente nella discoteca in uno stato di confusione e ansia. « Devo andare. » proferì, le parole morta in gola dal respiro strozzato mentre si allontanava dalla postazione senza dedicare nemmeno uno sguardo al collega. « DOVE CAZZO VAI? TORNA INDIETRO, STRONZO! » Non poteva allontanarsi prima del turno, non doveva farlo. Erano queste le regole. Ci sarebbero state conseguenze, e lui aveva già un cartellino giallo. Ogni sforzo per salire di grado sarebbe stato probabilmente vanificato da quella scelta. Se smaterializzarsi all'istante, davanti a tutti, non avrebbe comportato conseguenze catastrofiche per più di una persona, Raiden probabilmente lo avrebbe fatto senza battere ciglio. Non andò comunque molto lontano, affrettandosi verso l'uscita del locale e prendendo solo l'accortezza di raggiungere il primo vicolo buio a disposizione per visualizzare il luogo in cui aveva visto Mia, smaterializzandosi il più velocemente possibile per piombare proprio lì, di fronte a lei.
    La scena che si ritrovò davanti non fu molto diversa, eccezion fatta per l'uomo privo di conoscenza a terra e per la presenza di Riley con la bacchetta sfoderata in direzione dell'altro. Non si prese nemmeno il tempo di lanciare all'amico uno sguardo confuso, di chiedergli spiegazioni riguardo la sua presenza. Semplicemente colmò a grandi passi la distanza dalla moglie, tirandola a sé in un abbraccio a metà tra il sollievo e la disperazione. Le mani corsero al suo viso, esaminandolo, tentando di accertarsi che non fosse ferita. Non appena ne ebbe la certezza, impresse le labbra sulla sua fronte, stringendo le palpebre. « Va tutto bene. » Ne era certo? No. Ma il fatto che fosse tutta intera e non più sola era ciò che per lui contava al momento. Tutto il resto poteva essere affrontato. « Cosa è successo? Chi è? » chiese, indicando l'uomo privo di sensi con un cenno del capo, mentre lo sguardo passava tra Mia e Riley. Tutto il resto potevano spiegarglielo in seguito, ma innanzitutto era necessario sapere con chi e cosa avessero a che fare. « Dobbiamo andarcene il prima possibile e accertarci che non crei problemi. Non so dove cazzo ci troviamo. Ci sono delle uscite che non saltino all'occhio? » A conti fatti smaterializzarsi senza sapere di preciso dove non era stata una scelta chissà quanto saggia; Mia poteva essere ovunque, anche nel ghetto, o in un qualche distretto magico che avrebbe fatto scattare l'allarme alla sua sola presenza. Rischi, quelli, che nella consapevolezza di Raiden esistevano, ma che erano stati bypassati assieme alle conseguenze a cui sarebbe andato incontro nel luogo di lavoro. C'erano esigenze più pressanti, di cui si preoccupava - cose più importanti della sua personale salvaguardia.

     
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    Ho lasciato Remì con Shonda. Più o meno. Non riuscivo a toglierlo dal lettone, si era addormentato così profondamente che non ho avuto cuore di svegliarlo. Cristo se mi sarei addormentato tranquillamente con lui anche io. Ma qualcosa urge sotto pelle, un richiamo o anche solo la sensazione che le cose non stiano andando bene. Per questo l'ho chiamata, e lei - guardandomi - non ha fiatato.
    Lei ha il marito che bada ai suoi ragazzini, mi fa la grazia di restare in casa con Remi finché non torno. Se tutto va bene non dovrà fargli anche la colazione. Altrimenti le dovrò più di un favore. Per fortuna che è insonne, e che mio figlio le piace più di quanto lei piaci a lui.
    Scusami piccolino, giuro che non è colpa mia.
    Ma tutto questo non va un cazzo bene, non importa che sia Riley ad attirarmi fuori di casa, io ho un cazzo di ordine, ho una routine. Io ci provo a dargli un senso a sta vita con Remì. Non posso fare il ragazzino anche io, e correre solo perché Riley probabilmente è nella merda.
    Eppure lo faccio, almeno la prima volta gli do il beneficio del dubbio, e ci vado piano in quel posto isolato del cazzo dove mi ha indicato. L'ho cercato sulla mappa, è il posto dove andresti a nascondere un cadavere. È un posto del cazzo, perfetto se hai dei casini.
    Mi tengo le mani in tasca nel passare attraverso sti vicoli di merda. Gli occhi fissi davanti a me, dopo essermi guardato intorno. Non so mai se c'è qualcuno di troppo, e la paranoia non è mai eccessiva. Devo comunque dare l'impressione di uno che sa dove sta andando e che cazzo sta facendo, anche quando non è così.

    Mi avvicino al magazzino, un modo per entrare lo trovo, ma quello che non mi aspetto è trovare Riley in "compagnia". Cristo forse neanche so che cazzo mi aspettavo ma... osservo ogni cazzo di cosa con l'espressione che mi si indurisce in viso.
    Vederlo mi smuove qualcosa. Dovevamo vederci domani, c'era un'altra tabella di merda da rispettare. Anche se io l'avrei rivisto quella sera stessa. Non così, ovviamente.
    Non quando lo sguardo mi cade sull'uomo tumefatto e malconcio che non si muove qui a terra. E' la storia di un Auror che ha ucciso un uomo? E perché cazzo mi girano tanto i coglioni adesso?
    — È morto? È la prima cosa che chiedo a Riley, anche se guardarlo negli occhi mi fa tremare lo stomaco.
    Ma immagino che se sono qui sia proprio per quel tipo lì a terra.
    Poi però mi accorgo di lei, la vedo oltre il busto di Riley.
    — Mia? Che cazzo... il mio sguardo si alterna tra lei, il tipo che la stringe e Riley.— Sei stata tu? Non riesco a nascondere quella nota di ammirazione nel modulare il tono della mia voce. Le avevo detto di liberare la bestia, e beh, cazzo, sono quasi contento che qualcuno una volta tanto mi ascolti.
    Anche se lei sembra sconvolta, e probabilmente quello che se la stringe è il padre di Haru. Mi chiedo se gli abbia parlato di me oppure no. Ma quello che mi stranisce di più è Riley.
    Non capisco come si conoscano, non capisco perché lui non la stia arrestando, cazzo non è questo che fa un Auror?
    — Ehi- torno su Riley, abbasso appena il tono, sono un paranoico ormai lo sanno tutti. — Non mi prendo la colpa di questa merda. Che sia chiaro, molto chiaro. Non sono il capro espiatorio proprio di un cazzo. Neanche per tutti quei soldi sussurro. Nel mio sguardo però non c'è accusa, solo la paura di non avere un quadro chiaro di niente.
    Magari dovrei solo avere la fottuta pazienza di lasciarlo parlare, ma i nervi sono a fior di pelle.



     
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    C'erano state poche volte in cui si era sentita così; completamente in balia delle proprie emozioni, scossa dalle fondamenta da quel desiderio viscerale di farla finita, in un modo o nell'altro. Tutto ciò che scorreva nelle vene di lei era odio e sconforto, e tutto ciò che voleva era eliminare la fonte di quell'umiliazione. Schiacciarlo come un verme, ecco cosa avrebbe fatto; più Kai urlava e più Mia desiderava rendere quel dolore persistente. Lo avrebbe fatto, senza esitazione alcuna, se solo di colpo la voce di Riley Cunningham non avesse interrotto quella dolce tortura. Avrebbe dovuto essergli riconoscente, provare almeno in parte una forma di sollievo di fronte a quell'incursione. Sapeva fosse vagamente un volto amico, o almeno qualcuno di cui potesse anche solo lontanamente fidarsi. Ma se così era, in quel momento sembrò tutto fuorché incline a perdonare quello smacco. « Che cazzo stai facendo, Mia? » « Non ti riguarda. » Ringhiò lapidaria stringendo il tubo di metallo tra le mani; la sua controparte animale grondava di insoddisfazione, interrotta da quel bislacco tentativo di fare - cosa? Lo stai proteggendo? Sei dalla sua parte? Sei con lui? Era ben percettibile quel formicolio precedente alla trasformazione; Mia, che ancora riusciva a ricordare con estrema precisione gli effetti dell'ultima volta, sapeva perfettamente ciò che sarebbe accaduto di lì a poco. « Vattene! Lui è mio! » Soffiava pesantemente faticando a rimanere in sé, come se ogni momento in cui pensava a quanto accaduto, il desiderio di cadere, di liberarsi da quelle spoglie, tentasse di portarla sempre più vicina a sostituire alla ragione l'istinto, all'umano la bestia. Lo era - suo. Kai Parker era diventato una sua proprietà nell'esatto momento in cui aveva tentato di rivendicare diritti su di lei. Quando l'aveva trattata con condiscendenza, quando aveva finto di essere dalla sua parte solo per disporre della sua persona in qualunque modo gli piacesse. Kai era diventato suo nell'esatto momento in cui aveva minacciato i suoi cari. Suo figlio. E sarebbe accaduto; Kai Parker sarebbe stato ridotto in brandelli a qualunque costo se solo di colpo nella sua sfera emotiva non fosse comparsa una sensazione del tutto nuova. Paura e sollievo, un misto micidiale che cozzava terribilmente con il suo stato d'animo. Poi le sue braccia; non ne sentiva l'abbraccio da settimane. Mesi. Era passato così tanto tempo. E in effetti, non appena la abbracciò provò un senso di smarrimento, misto alla vergogna; l'arma del delitto scivolò automaticamente via dalle sue mani. Con Raiden presente, Mia non voleva essere così; non voleva mostrargli questo. Non voleva che lui potesse vedere quel lato corroso dalle circostanze, dalla sua incapacità di stringere i denti e mostrarsi funzionale. « Va tutto bene. » No. Non andava tutto bene. E i suoi peggiori incubi si erano avverati. Un forte senso di panico la portò a scuotere la testa osservandolo attentamente.
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    « Raiden. Non dovresti essere qui.. tu - » Scosse la testa, osservandolo con attenzione. Poi, aperto il contatto, parlò solo a lui con un'espressione dilaniata. « Ti prego vai via.. non so dove siamo. Non puoi stare qui. Sto bene - » Deglutì mordendosi l'interno delle guance, stringendo i pugni contro il tessuto della sua giacca. Qui non è sicuro. « Cosa è successo? Chi è? Dobbiamo andarcene il prima possibile e accertarci che non crei problemi. Non so dove cazzo ci troviamo. Ci sono delle uscite che non saltino all'occhio? » « Kai Parker.. » Sussurra appena. « ..è - è quello del Pulse. » Nel dirlo prova un senso di disgusto e rabbia. E proprio per questo Raiden aveva ragione. Dovevano andare via. Ma le visite sul luogo del delitto non erano terminate. Dapprima l'ombra che si palesò all'interno del capannone la portò a frapporsi quasi automatica tra il nuovo intruso e Raiden; l'avrebbero portato via passando sopra il suo cadavere. Poi un barlume di ragione - lo conosceva e i suoi muscoli si rilassarono quasi automaticamente nel vedere Joshua. « Mia? Che cazzo.. Sei stata tu? » In altre circostanze la situazione sarebbe risultata quasi comica. Non era il momento di chiedersi chi avesse chiamato chi, o - peggio ancora - chi aveva seguito chi, ma la situazione era comunque alquanto bislacca. Il meme dei tre Spiderman. « Ehi! Non mi prendo la colpa di questa merda. Neanche per tutti quei soldi. » Riley e Joshua si conoscono; non sa in quale misura, né se effettivamente i due sono dalla loro parte, ma in quel momento si sente di interrompere quel leggero momento di tensione intercedendo la conversazione, abbassandosi per tirare fuori dall'interno dello stivaletto il cellulare di emergenza. Lo accende velocemente e cerca la propria posizione. « Siamo appena fuori Fyfield, a circa quindici chilometri da Londra. » E con questo la lezione di geografia poteva concludersi. Passò il cellulare a Raiden dandogli modo di orientarsi nello spazio; Kai si era allontanato parecchio dal ghetto. Si trattava di un villaggio di meno di mille anime, completamente assente dalla cartina geografica del Mondo Magico. I capannoni in cui si trovavano erano di una vecchia fabbrica di birra che un tempo rappresentavano l'intera economica degli abitanti della zona. E allora, la domanda che sorgeva spontanea era perché? Cosa aveva in mente? Sarebbe mai più tornata ad Iron Garden, oppure di lei non si sarebbe più saputo niente come era già successo con qualcun altro? Era già accaduto. Un certo Jonas Grayson - un ragazzone mannaro un po' impertinente che lavorava sul molo di Iron Garden era scomparso diverse settimane prima senza alcuna traccia. Era ovviamente finito sui manifesti e tutti avevano dato per scontato che avesse trovato il modo di scappare. Ma era davvero scappato? « Ero di turno nelle serre di Iron Garden. Ha tagliato la corrente e mi ha preso alla sprovvista. Poi non lo so.. mi sono svegliata qui. » Spiega velocemente osservando tutti i presenti, passando uno sguardo vigile prima su Joshua e poi su Riley. La situazione in cui si era trovata era alquanto inaspettata. Sapeva di doversi guardare le spalle, ma non pensava che Kai si sarebbe spinto a così tanto. « Questo stronzo è il figlioccio del gestore del Pulse. Non ha proprio voluto accettare un no come risposta. Mi sta col fiato sul collo da prima di Natale. » Non appena torna a guardare la figura accasciata a terra la voglia di prenderlo nuovamente a calci è forte. « E tu ti sei messo in mezzo! » Asserisce di scatto ringhiando, mentre lascia andare la presa sulla giacca della dolce metà pronta a scagliarsi contro Riley. « Che cos'hai fatto fino ad ora per metterti in mezzo proprio adesso? » Niente. Ve ne state tutti là a guardare. Guardate tutto lo schifo e ve ne fregate. « Solo perché gli hai salvato la vita, non pensare che torna ad Iron Garden. » Non pensare che la scamperà. « Se ci torna, dopo questa sera - ad Iron Garden si scatena il panico. » E non è detto che non si scateni in ogni caso. Cosa succede se scompare? Cosa faranno gli altri. Lo sanno che mi ha portato qui? Di colpo abbassa lo sguardo, provando un senso di terrore. « E se non ci torna, il panico si scatena al Pulse. » Un sussurro dettato dalla realizzazione.


     
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    Faccio un passio indietro alla sua rabbia. Ringhio di rimando ai suoi fastidi. Le premure di Raiden mi fanno tenerezza. Smuovono i mari e i monti del mio petto. Avvicinano la luna alle mie acque. Agitano la marea. Le sue strette le sento mie, perché in Mia rivedo qualcuno che devo aver amato. Qualcuno che potrei amare. Ma che oggi mi costringe all'attenti. Perché non so abbassare mai del tutto le difese ed il mio resta un ringhio, seppur più sommesso del suo. Uno stringer di denti che non gioverà a nessuno se non al mio dentista. Una parcella salata che sono disposto a pagare ad occhi chiusi. E non perché i soldi trabocchino dal mio portafogli, quanto perché questo è ciò che sono. Un uomo che resta ai margini anche quando sente di poter possedere la scena. Allora resto a guardare per una manciata di secondi che mi sembra interminabile, concedendo a Raiden un cenno d'assenso. Forse, in realtà, non si tratta nemmeno di quello, ma di un modo come un altro per dirgli che sono qui. Che come lui c'è per Mia, io ci sono per entrambi. Anche se negli angoli del magazzino. Anche quando gli do le spalle per scrivere a Joshua. E di star tranquillo non ne sono capace, perché in me risiede la frenesia della scoperta. L'eccitazione che si fomenta col caos e che non si placa, in effetti, quando mi ritrovo a ricercarne una soluzione. Perché sono figlio delle rivolte interiori, quelle che mi bruciano lo sterno e che non placo nemmeno con gli antiacidi.
    Sono fottuto, me ne rendo conto sin da subito.
    Sin dall'esatto momento in cui, metaforicamente, sento le mani prudere. Allora mi convinco di poter agguantare l'opportunità della buona riuscita, quella che non deve servirmi per far sì che il mondo mi veda brillare, ma che, a modo suo, so che può aggiustare le cose. Riequilibrare il mondo, rimettere al proprio posto tutti i tasselli.
    Così fremo perché penso alla risonanza che Kai Parker possiede e al modo secondo cui alcune leggi si piegano all'energia che emana. Ed esiste, così come ancora risulta essere il centro di un mondo che dovrebbe essere distrutto. Andare al diavolo, bruciare nell'inferno stesso. Allora una parte di me pregusta la sua sconfitta. Il modo in cui, idealmente, se ne resterà rivolto all'angolo di questo sudicio buco di culo.

    — Non è morto, fortunatamente.
    Do alle parole il peso di cui hanno bisogno. Alle pause, il peso di cui necessitano per pesare in un certo modo. Affinché ci rimanga impresso quale sia il focus in istanti come questi. Affinché la mente inizi, già da ora, a lavorare.
    Ed è così che accolto Joshua, che rimango stupito, sì, quando mi rendo conto che lui e Mia si conoscono. Immagino sia un bene. Mi dico, sì, che sia un bene. Rende questo momento più privato. Intimo, per un certo verso.
    Così capace di crear atmosfera da rendere piacevole persino la visione di Parker.
    Lo osservo, sì, inerme come un bambino. Messo KO da una ragazzina come lei. La piccola e dolce Mia.
    — Sei simpatico, Joshua. Un ghigno a colorarmi il viso quando mi dice di non volersi prendere la colpa di quanto accaduto. Mi sembra stupido, sì, pensare che io possa volerlo incastrare in un qualche modo. Non abbiamo bisogno di qualcuno che si prenda la colpa della cosa. No. Abbiamo bisogno di riflettere sul da farsi. Riflettere su come approfittare di questa opportunità prima che qualcuno possa insospettirsi troppo e venire a cercarlo. — Ho bisogno che al suo risveglio non ricordi chi l'ha conciato così. Non di un colpevole. Alzo gli occhi nei suoi. Ne cerco il chiarore nella speranza di scorgervi un punto d'accordo. Un ancora che entrambi possiamo sfruttare per sentirci stabili in una situazione che, beh, per ora ancora non sa esserlo. Mi avvicino a lui per lasciargli scivolare una mano al centro della schiena. Un cenno che serve a salutarlo. Che serve a me per creare un contatto. Ma è appena lo sfioro che mi fermo. Che lascio che le parole della ragazzina mi colpiscano in pieno. E in realtà non so nemmeno che tipo di effetto facciano. Forse ho l'età giusta per non sentir più niente. Per abbracciare le parole e scrollare semplicemente le spalle. Respirare piano, tornare a concentrarmi solo ed unicamente su un unico pensiero.

    — Sono semplicemente al posto giusto al momento giusto. Signorina Yagami. Non so che altro aggiungere, non quando sento di aver bisognon di un cenno d'assenso da parte di Raiden. Non sono qui con l'intento di star a spiegare cos'è che smuove le mie scelte. Posso però dirmi di sentirmi fortunato o almeno, ad un passo dalla botta di culo: dopo tanto tempo passato a ficcare il naso al Pulse, adesso ho il figlioccio dello stronzo che lo gestisce sotto il muso. Mi sento affamato come una cazzo di belva.
    — Forse sarebbe meglio non farlo tornare da nessuna parte, allora. Inizio a parlare perché è così che rifletto meglio. Così che riesco a trovare il giusto accordo con i pensieri degli altri. Penso infatti che sarebbe utile, sì, trattenere Kai Parker qui. Sfruttare in un qualche modo il suo potere a nostro favore. Affinché sia favorevole a tutti. Affinché sistemi come questi crollino dalle proprie fondamenta.
    — Indicativamente quante persone potrebbero avervi visti? Mi sembrano quelle domande semplici che servono a rompere un po' il ghiaccio. Che mi spingono la mano lontano da Joshua ma che mi forzano nello girargli attorno. Come un avvoltoio che è però pronto ad avventarsi sulla sua dote. E penso ad Esmeralda. Penso al modo in cui saprebbe approfittarsi di questa situazione. Come sarebbe perfetto, adesso, il suo contributo. — Vorrei capire quante persone sarebbe meglio costringere all'oblio ed in un tempo più celere rispetto al recuperare i turni di tutti.






     
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    « Kai Parker.. ..è - è quello del Pulse. » Un nome, un cognome e anche un volto. Tre cose essenziali nella loro semplicità, che Raiden non aveva avuto prima di quel momento. Non aveva potuto dare nessuna forma di tangibilità a quell'uomo che sapeva solo di odiare e per cui provava il più profondo disgusto. E quei sentimenti li provava per più di un motivo. Mia, di certo, era la ragione principale. Ma anche il semplice fatto che proprio qualcuno come lui - qualcuno che aveva giurato di proteggere i cittadini maghi a prescindere dalla razza, dallo stato di sangue o qualunque altra cosa - avesse scelto per avidità di porsi come minaccia alla sicurezza di quelle persone, approfittandosi proprio della posizione che ricopriva.. quello era qualcosa che Raiden non riusciva a giustificare. Sapeva quanto rischioso e malleabile fosse il concetto di legge, e quanto l'equazione tra tale concetto e quello di bene non fosse poi così semplice, ma tra tutti quei bordi grigi della moralità esistevano anche delle linee nette. E tu sei nettamente uno dei peggiori pezzi di merda. Gli rivolse un'occhiata di disgusto, poco utile visto che l'altro non poteva di certo recepirla. Stava anche messo troppo bene per i suoi gusti; si sarebbe meritato solo di essere sbranato dalla stessa creatura che aveva cercato di usare. « È morto? » Istintivamente la mano di Raiden corse alla bacchetta nel sentire quella voce sconosciuta. « Mia? Che cazzo.. Sei stata tu? » « Lo conosci? » Lanciò un'occhiata confusa a Mia, come a chiederle conferma. Se poteva in qualche modo comprendere la presenza di Riley, quella di una persona che per lui era un completo estraneo sfuggiva alla sua cognizione. « Ehi. Non mi prendo la colpa di questa merda. » Lo sguardo sempre più confuso si spostò su Riley. A giudicare dalla colloquialità, doveva conoscerlo anche lui. Sicuramente persona amabilissima ma.. chi cazzo è questo? Poteva fidarsi? Non voleva mettere in dubbio il giudizio di Mia o Riley a riguardo, ma nessuno dei due era nella posizione in cui si trovava lui. Raiden non era un tipo qualunque, né un ricercato qualunque, e il Ministero offriva tanti soldi per la sua consegna. « Sei simpatico, Joshua. » Joshua. No non suona nessuna campana. Lo sguardo del giapponese si spostò sullo sconosciuto, un po' guardingo, senza tuttavia dire nulla. La mano stretta intorno al manico della bacchetta ancora nella fondina si alleggerì, ma non si mosse. « Siamo appena fuori Fyfield, a circa quindici chilometri da Londra. Ero di turno nelle serre di Iron Garden. Ha tagliato la corrente e mi ha preso alla sprovvista. Poi non lo so.. mi sono svegliata qui. » Vigliacco. Non sapeva se l'odio e il disgusto che sentiva montargli in maniera costante nel petto fossero completamente propri, ma non si sarebbe stupito se lo fossero stati. « Questo stronzo è il figlioccio del gestore del Pulse. Non ha proprio voluto accettare un no come risposta. Mi sta col fiato sul collo da prima di Natale. » Lo sguardo di Raiden si illuminò appena nel sentire la prima frase. Anche quel Kai Parker, dunque, non era uno qualunque. Questo cambia un po' di cose. Ma prima che il giapponese potesse dal voce ai propri pensieri, la rabbia di Mia sembrò indirizzarsi proprio a Riley - colpevole di essersi intromesso. « Mia.. » Cercò di fermarla, senza imporsi. Le poggiò una mano sulla spalla, sperando che quel poco potesse bastare a frenarla dallo scaricare tutta la propria frustrazione sulla persona sbagliata - qualcuno che, a modo suo, voleva solamente aiutarla. Perché qualunque fosse il motivo per cui Riley si trovava lì, Raiden ne era certo: non avrebbe messo Mia nei guai, né ce l'avrebbe lasciata. « Sono semplicemente al posto giusto al momento giusto. Signorina Yagami. » Abbozzò un piccolo sorriso in direzione dell'ex collega. « Ed è andata bene così. » Non una cosa detta tanto per dire, ma perché aveva sufficiente esperienza da sapere quanto più tragicamente sarebbero potute andare le cose se Riley non fosse stato lì. « Forse sarebbe meglio non farlo tornare da nessuna parte, allora. » Mentre Riley si rivolgeva a Mia, cercando di comprendere le prossime mosse, il giovane Yagami si avvicinò al corpo di Parker, piegandosi sulle ginocchia per osservarne lo stato a palpebre assottigliate. Più lo guardava in volto e più avrebbe voluto fargli del male, ma nonostante ciò non disse né fece nulla oltre a perquisire velocemente la sua giacca. Un pacchetto di sigarette, il distintivo, il portafogli, le chiavi (di casa, immaginava), il cellulare e poco altro. Il telefono era bloccato dal pin. 1234? Nulla. Guardò la carta d'identità. Aveva altri due tentativi. Provò giorno e mese. Sbloccato. Più sono in alto e più sono stupidi. Diede solo un'occhiata veloce, cercando informazioni di base. Aveva una famiglia? Aveva parlato a qualcuno di quella sera? Aveva piani concordati? Sembrava di no. « È geolocalizzato. » disse dunque, dopo quel silenzio, alzandosi in piedi per lanciare il telefono a Riley. « Quindi capiamo presto cosa fare di lui. » Incrociò le braccia al petto, indicando l'auror steso con un cenno del capo. « A noi serve per.. farci una chiacchierata, diciamo. Ma sarebbe bene che qualcuno prendesse il suo posto al più presto, prima che comincino a salire sospetti. » Fece una pausa. « E io non posso farlo. » Per ragioni che non erano tutte ovvie.

     
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    Quindi, lo stronzo che non è morto - fortunato del cazzo - non è che l'ennesimo figlio di puttana. Uno che ha tentato di approfittare di Mia, o del suo fottuto potere per prendersi chissà quale vittoria di merda. Eccolo qui, un Kai Parker qualunque, e non mi interessa sapere con fottuta precisione chi cazzo sia, basta e avanza quello che sto sentendo per farmi stringere i pugni.
    Così, a maggior ragione, quello che Mia ha fatto è stato giusto. Ed io so che, se l'avessi vista agire in prima persona, non l'avrei mai fermata. Vorrei capire se ha frenato i muscoli ed i ringhi solo perché era convinta che fosse morto, o se la lucidità l'ha colta prima di tutto questo, ma riesco solo a fissare lo sguardo in quello di suo... marito? Non ricordo se mi ha detto di essere sposata o se il suo è solo il padre del bambino, in ogni caso non muovo un muscolo quando si muove lui. Ma so bene che la mia sicurezza nasce altrove, nasce dall'aver affiancato Riley. Non so come cazzo faccia un Auror come lui a scuotermi così.
    Calamita la mia cazzo di attenzione come una moneta d'argento in una fontana, non so come cristo ci riesca, ma gli basta un passo perché io mi deconcentri. Dopo aver degnato lo stronzo a terra di un minuto sguardo, i miei occhi si rialzano su Riley. Non mi posso fidare.

    E' vero, Parker non è morto, ma non sono sicuro che sia una fortuna per noi, o per chiunque in questa stanza. Da vivo farà solo danni, a meno che io non trovi il gancio giusto per togliergli solo la sensazione di aver ricevuto un trattamento aggressivo dalla sua ragazzina.
    — Ho ca... capito, sì. Ho capito che la sua mano scivola al centro della mia schiena, ed il mio corpo reagisce modellandosi lungo le cinque dita che mi sfiorano. Raddrizzo la colonna vertebrale, un fremito attraversa gli occhi. A metà tra un ringhio e qualcosa che risuona come una moneta gettata in un pozzo profondo. E' lavoro, è un cristo di lavoro come aveva promesso. E sono i soldi di altri due mesi di affitto e di spesa per me e Remì. Ma, beh... ma so cose che è bene che ora non gli dica, so già come cazzo andrà a finire tutto questo, e mi sto odiando.

    Incrocio le braccia al petto non appena Riley smette di toccarmi, la situazione non è chiara neanche per il cazzo. Ci sono cose che non so e che dovrò sapere se voglio aiutare o fare il mio cazzo di lavoro come si deve. Non posso lasciare tracce in uno che avrà pure chi gli controlla la testa. Non si deve vedere la traccia di un oblivio, andrà tutto camuffato con una bevuta di troppo. Dovrà avere più alcool che sangue nelle vene, per aiutare un cazzo di alibi.
    — Ha tagliato la corrente, era premeditato. Sorvolo su quello che non conosco, ma solo per centrare il punto. Non muovo un passo da dove sono, come se non volessi lasciare impronte qui dentro, né toccare nulla. Un cazzo di chirurgo, devo essere solo questo. — Se gli tolgo stasera, non gli tolgo la voglia che l'ha portato a farlo, lo rifarà. Se gli tolgo te dalla testa... guardo Mia, ignoro lo sguardo del suo ragazzo. — ... alle persone con cui ha parlato sembrerà sospetto che non ti conosca. Almeno questo lo so fare, ogni parola sfiora le mie labbra senza che io smetta di ringhiare quanto nella merda siano riusciti a mettersi tutti quanti. Riley compreso, che è un cazzo di Auror eppure è qui a ripulire casini che gravano sulla sua posizione.

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    So da me che, in casi del cazzo come questo, la fretta è un problema, e che forse qui l'unico che può capire come tirare le somme, è Riley. Sperando che almeno lui abbia la visione complessiva. — E dove vuoi tenerlo finché il suo posto lo prende qualcun altro, mh? Forse adesso ringhio di nuovo, magari perché mi gira il cazzo, magari perché sento che 'sta cosa non finisce stasera, e non è più una questione di spillar più soldi a Riley. — Deve tornare a fare le sue cose come prima, solo con qualche cazzo di ricordo in meno, ma devo sapere... guardo Riley solo ora, un momento, un accordo come quello di prima. — ... chi altri sa del suo interesse. Tu puoi? Assottiglio la voce sul finire, perché mi senta solo Riley. Ché non so se gli altri sanno. Poi torno a loro. — Vedetemi come un cazzo di chirurgo, più posso essere preciso e meno impronte lascio, e nessuno finisce nella merda. Dovrò farlo con lui e con tutti i coinvolti. Voi compresi, se serve. Se serve che dimentichino mi porto il peso del sapere tutto questo solo io. Non sarebbe la prima volta, dopotutto.
    Magari anche Riley avrà bisogno di un trattamento simile, come mi fa rimuovere la sua beneficenza, mi farà rimuovere questo? Il ragazzo, comunque, lascia impronte ovunque.


     
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    « Mia.. » Soffiò pesante, l'ex Serpeverde, volgendo lo sguardo al marito con un'espressione colma di frustrazione. Per quanto volesse dare sfogo a quella rabbia, decise di ascoltarlo, e cosìsi morse l'interno delle guance indietreggiando appena. « Indicativamente quante persone potrebbero avervi visti? Vorrei capire quante persone sarebbe meglio costringere all'oblio ed in un tempo più celere rispetto al recuperare i turni di tutti. » Tentò quindi di concentrarsi su quelle domande facendo mente locale per essere il più specifica possibile, il tutto mentre Raiden si avvicinava al corpo dell'Auror per ispezionarlo più da vicino. « Era già scattato il coprifuoco. Sapeva che avevo iniziato a fare turni serali nella serra. » Una richiesta che Mia aveva fatto ai suoi superiori proprio per evitarlo e per avere una scusa ufficiale per non lasciare il ghetto di sera. « Non so se qualcuno lo ha visto, ma se siamo qui e non al Pulse, immagino che non volesse essere visto. » Le aveva dato l'impressione di uno a cui piaceva esercitare un certo possesso sulle cose che pensava gli appartenessero, non a caso, Mia non si era mai interfacciata con nessun altro. Sapeva che Kai non era l'unico, ma non aveva la più pallida idea di chi potessero essere gli altri. Alcuni li aveva visti vagamente al locale, ma potevano essere lì come aiutanti del suo aguzzino, così come semplici clienti. « Lungo le recinzioni di Iron Garden ci sono diversi punti ciechi. Chi va al Pulse sa che per uscire deve utilizzare quello che gli viene indicato. Io ne conosco uno, ma non tutti escono da lì. Uno è nord del quartiere, vicino al piccolo molo dove organizzano una specie di mercato nero. » Fa davvero strano parlare di tutte quelle cose di fronte a un Auror. « Da lì entrano tutti i mercanti. » Una bella storia quella; in molti parlavano di come così tante cose entravano dentro il ghetto. La verità era che i mercanti pagavano una tassa cospicua per fare in modo che gli Auror guardassero dall'altra parte ed evitassero di pattugliare la zona. Ogni tanto delle verifiche venivano effettivamente anche fatte, ma ogni volta la soffiata arrivava a chi di dovere in anticipo, e quindi nessuno era lì per farsi cogliere impreparato. « Gli incantesimi di protezione sono stati completamente interrotti lungo una piccola area, ma se non sai esattamente dove si trova e tocchi il punto sbagliato nelle ore del coprifuoco, ti ritrovi con tutto il Quartier Generale appresso. » Ecco come si entrava e si usciva dal ghetto. Mia era certa che erano in molti ad approfittarsene, e a dire il vero agli Auror non sembrava nemmeno importare. Certo, in fondo se succede qualcosa, racconteranno che una creatura è scappata e sta facendo danni. Riuscirebbero a ritorcere contro di noi anche la loro incompetenza. O la loro disonetà. « A noi serve per.. farci una chiacchierata, diciamo. Ma sarebbe bene che qualcuno prendesse il suo posto al più presto, prima che comincino a salire sospetti. » « E dove vuoi tenerlo finché il suo posto lo prende qualcun altro, mh? » « La Chiesa di Greensted. » Comprese ben presto che quella voce e la figura dell'alfa dei lycan era visibile solo a Raiden e Mia.
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    « Ci troverete Charlotte Bloomswood assieme al fratello. Si nascondono lì da qualche settimana. Gale è ricercato, ma forse potrebbe prendere il suo posto. In fondo è un ex Auror e con il contatto potremmo avere sempre una fonte diretta. Se riuscite a estrapolargli sufficienti informazioni, potremmo avere un uomo all'interno. » Poi il contatto si interruppe e Mia osservò Raiden con un'espressione eloquente, prima di tornare a guardare Joshua ascoltando la sua ultima parte del discorso. « Non serve a niente lasciarlo libero. » Asserì di colpo, conoscendo sin troppo bene il giro del Pulse. Era anche probabile che potessero accorgersene prima che fossero in grado di ottenere qualunque cosa da quel vantaggio. « Prendi il suo posto. » Disse di colpo rivolgendosi direttamente a Joshua. « Aspetta, ascoltami, non dire niente, dammi un attimo. » Era una richiesta enorme. Ma cosa aveva da perdere, in fondo? Al massimo le avrebbe ringhiato contro o se ne sarebbe andata. « Solo per un po'. Qualche - giorno.. settimana. Il tempo di iniziare a muoverci. Faremo girare la voce tra i lycan e sarai sempre ben protetto, te lo posso garantire. Vero? » Chiese conferma a Raiden, cercando di fargli capire che lei di Joshua si fidava. « Puoi farli dimenticare se qualche errore dovesse essere commesso e - con te dentro avremmo un grosso vantaggio. I lycan non sono un popolo ingrato, Joshua. Diglielo anche tu! » E questa volta osservò con un certo fervore Riley, che tra i Ribelli e a Inverness aveva passato sufficiente tempo da sapere che al di là di tutto, la fedeltà del Credo era un dono senza prezzo. « Hai detto che vuoi aiutarci. » Eri disposto ad andare da questo schifoso anche senza chiedere nulla in cambio. « Aiutaci! Per favore.. » Abbassò lo sguardo deglutendo. « Non possiamo più vivere così. Ti prego. »


     
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    "Aspetta, ascoltami"— No. Sibilo.
    Quando dicevo che non mi prendo la colpa di questa stronzata, Riley, mi riferivo anche a cose come quelle che suggerisce Mia. Per questo ti guardo per un secondo nell'irrigidirmi al tuo fianco.
    Davvero per i primi trenta secondi non ho capito se fosse seria, se ci fosse un briciolo di lume. Che cazzo?!
    No, in ogni caso già i primi accenni di proposta diventano un frammento che si incastra nel mio cervello. Io che serro i pugni e stringo i denti, io che ringhio dentro di me per la stupida idea che mi ha convinto a venire fin qui trascinandomi sui miei stessi piedi.
    Cristo ho dovuto pregare Shonda per una sera extra, figuriamoci per —Giorni... Settimane? IO? Mia che cazzo stai dicendo? Ti ho detto che ti avrei aiutato, ma non che non ho una vita!
    O che darei la mia per loro, e lo so che adesso ingigantisco, ma la fatica che faccio per nascondere quello che sono non può andare in fumo solo perché c'è chi ha bisogno di me? Che poi non hanno bisogno di me per davvero, sono solo nel posto sbagliato al momento sbagliato. E non guardo Riley, non guardo Raiden, non guardo Kai a terra, guardo solo lei.
    Mi sto già pentendo di quel momento di debolezza, di quel numero che le ho lasciato, ma cristo era per obliviare non per drogarmi di polisucco per giorni, o settimane, e giocare alla spia.
    Con la certezza che sia un passo verso i miei fottuti incubi, e la sicurezza che se faccio una stronzata non perdo solo qualcosa io.

    Scuoto la testa, nervoso, faccio mezzo passo indietro, ma solo per trovare spazio di manovra, perché lo so che adesso me la prendo in culo, è palese. Lo so che farà leva su quello stupido buon cuore che crede di aver visto per quel giochetto da maghi di strada con cui le ho fatto vivere mezz'ora di normalità.
    Ma quella era mezz'ora, con mio figlio, non giorni distanti da Remì in cui non posso dire niente ad un cazzo di nessuno. Ma poi dai, IO protetto dai Lycan? Sento già Rohan ridere da qualche parte di questo mondo di merda, anche quello immaginario nella mia testa.
    E se prima ero serio, ora sono serissimo. Anche se mi si spezza qualcosa dentro con l'ultima preghiera, e vorrei inveire, dio se vorrei.
    Mi muovo verso di lei. — Con me dentro avresti un cazzo di problema in più. Credi che io non veda l'ora di entrare al Ministero a vedere come giocano con le bambole ai piani alti, mh?
    E questo non è nemmeno un riferimento casuale, quando è così che il Ministero aveva chiamato mia madre prima di capire che la mia era una denuncia seria.
    E non me ne frega un cazzo se ora Riley mi sente, penso che non cambi, lo so che è un Auror, e che probabilmente non mollerebbe la baracca perché i suoi traffici segreti li conosco anche io, sono nella mia testa quando non sono nella sua.
    Ma non è la protezione il mio problema, è che nessuno di loro - neanche i fottuti Lycan - può proteggermi da quello che sono.
    Ti sembro un eroe? Ti sembro uno stupido paladino che si sacrifica, o una cazzo di pedina senza un minimo di addestramento da mandare in pasto alla legge di questo Paese di merda? E sono serio in questo ringhio che si abbassa, gioca con le corde vocali più roche che mi ritrovo. — Non lo sono. secco, lapidario, anche se mi irrigidisco di più quando mi prega. Chiudo gli occhi lasciando che ogni scelta di merda della mia vita mi si pari davanti.
    Lo so che Nilufar mi starebbe spingendo a farlo, ma so anche che se mi tengo lontano da quei giri, pur fottendoli sotto sotto è perché il mio sangue è corrotto, ne basterebbe una goccia per finire rinchiuso dove neanche Riley potrebbe accedere, forse, ma che cazzo ne so ci volevo solo uscire a cena io. Soppeso le mie parole in un tentativo di silenzio. Che cazzo devo fare?

    Dio, smettila di guardarmi così, Mia. O di non farlo affatto. Non sono il vostro uomo in questo.

    — Tre giorni. Farò questa stronzata per tre giorni. Dopodiché andrete tutti a farvi fottere. È il massimo che posso chiedere alla babysitter e non accetto un cazzo di suggerimento su dove lasciare mio figlio o con chi.
    E' un sì, ma dio se mi brucia anche l'anima adesso, e se vorrei stare lontano da loro il più possibile. Incastrato nella merda, ecco cosa sono ed ecco come mi sento. E se le viene mezza idea di ringraziarmi, la mangio viva. Spero si capisca dallo sguardo con cui l'apostrofo sul finire. I Lycan tenetemeli fuori dal cazzo. Neanche mi si devono avvicinare. — Se mi fanno saltare il cazzo gli oblivio anche la colazione del battesimo. Penso di essere stato chiaro.


     
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    Mi sto sforzando di mettere insieme i punti senza sembrare un complottista qualunque che sa vedere il marcio ovunque, anche laddove non c'è. Mi sto sforzando di mantenere la calma anche quando questa non fa parte di me, allora nell'animo mi monta un sentimento di gioia che pompa tutta l'eccitazione con sé. E mastico l'interno della guancia quando passeggio. Quando non so stare fermo perché i miei occhi saettano ovunque. Allora guardo Raiden, guardo Mia e poi mi soffermo un secondo in più su Joshua. L'idea della polisucco non è male, ma non mi piace l'immagine che vede Remì lontano da suo padre. Per Nico la situazione è diversa, forse non è mai stato abituato nell'avermi vicino. Forse, se le parti fossero inverse, non ci sarebbe alcun problema a lasciarlo con sua madre mentre io, beh, me ne resterei qui. Ma i nostri sono equilibri diversi, disponibilità economiche diverse tanto che, quando Mia lo propone e Joshua sembra intenzionato a concederle qualche giorno del suo tempo, a me viene da dissentire.

    — È da pazzi. Inizio così. Lo faccio piantando i piedi a terra. Gli occhi ora fissi su tutti e tre, come se fossi in grado di tenerli sotto scacco. — L'idea della polisucco è geniale, ma non possiamo lasciare che sia Joshua a vestirne i panni. Non perché io diffidi dei Lycan sai bene, Signorina Yagami, che non è questo il punto. Io spero vivamente che nella compagnia di Raiden ci sia un briciolo di razionalità. Quella che non devo star lì a spiegare con fare saccente. Bisogna solo prendere un respiro e riflettere. Un secondo in più anche se il tempo ho l'impressione che stia scarseggiando.
    E non vorrei tirar in mezzo Esmeralda, anche se è l'unica idea sana che mi viene alla mente. Giuro, non vorrei, ma non conosco nessun'altro a cui possa venirmi semplice aggrapparmi. Saldarmi così perfettamente. E l'espressione da ragazzino dubbioso non la perdo. La bocca la sformo a forza di mordicchiarmi lingua e guancia, ma perché è così che rifletto. Così che ho l'impressione di aver le cose stupidamente sotto controllo.

    — Il fatto è che Joshua non ha le conoscenze adatte per sembrar veritiero nei panni di Kai. Non credo possegga un addestramento utile a queste cose. Lo guardo, cerco conferma dal suo sguardo, nella speranza che non sia quel tipo di persona che quando si getta a capofitto in qualcosa, poi lì vi resta a vita. Incastrato, braccato da sé stesso. — Inoltre la situazione è più complicata di così. Dovremmo innanzi tutto evitare di tappezzare di impronte questo posto, poi recuperare i turni di Kai, andare da chi lo ha visto e cercar di cavar loro informazioni. Per questo è bene che la polisucco passi a tutti e, all'inizio, magari nel medesimo momento. Io posso raccogliere ciò che ci serve, Joshua può obliviarle e forse è bene che voi torniate a casa a riposare.
    Non voglio sembrare quello che esclude gli altri dai giochi, ma spesso è così che funziona la vita: non si può stare dentro a tutto, c'è bisogno di studiarsi la cosa, di non muoversi solo in virtù del divertimento.
    — Contatterò Esme. E qui guardo Raiden e Mia. Se ci muoviamo tutti insieme, in maniera coordinata, potremmo tornare qui quanto prima e magari... approfittarci di quello stronzo senza aver rogne. Penso che questo piano possa funzionare: che se ci muoviamo già da ora, sia Joshua che io potremmo tornare al Pulse e Iron Garden senza dar troppo nell'occhio e ottenendo le giuste informazioni. Intanto Esme potrebbe entrare al Pulse nei panni di Kai e Kai, bhe, Kai potrebbe essere spostato come suggerito. — Abbiamo bisogno di polisucco dal mercato nero e di una passaporta illegale. Nessuno deve poter tracciare la smaterializzazione di Kai da qui al posto x...perché ora ci impegniamo a trovare anche quello. Serro la mascella, torno vicino a Joshua. È una questione di controllo. Uno spalleggiarlo che serve a me per tener sotto scacco la situazione. — Non lasci Remì da solo Sibilo, ma per puro istinto, non per nascondere la cosa agli altri.






     
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    « La Chiesa di Greensted. Ci troverete Charlotte Bloomswood assieme al fratello. Si nascondono lì da qualche settimana. Gale è ricercato, ma forse potrebbe prendere il suo posto. In fondo è un ex Auror e con il contatto potremmo avere sempre una fonte diretta. Se riuscite a estrapolargli sufficienti informazioni, potremmo avere un uomo all'interno. » Annuì. Forse sarebbe sembrato strano a Riley e Joshua, che non potevano vedere Beatrice o sentire i suoi suggerimenti, ma sembrare pazzo ai loro occhi era l'ultima delle attuali preoccupazioni di Raiden. « Non serve a niente lasciarlo libero. » No, Kai Parker era una risorsa preziosa per l'Ordine della Fenice; una che era cascata loro dal cielo nella peggiore delle maniere, ma che poteva comunque rivelarsi un asso nella manica non indifferente. Era l'arte di fare di necessità virtù. « Prendi il suo posto. » Lo sguardo corse a Mia, sbigottito e confuso. « Mia cosa cazzo stai dicendo? » Parole che le rivolse tramite il legame della loro razza, perché non si fidava a sufficienza dell'altro da poterle dire ad alta voce. « Solo per un po'. Qualche - giorno.. settimana. Il tempo di iniziare a muoverci. Faremo girare la voce tra i lycan e sarai sempre ben protetto, te lo posso garantire. Vero? [..] Aiutaci! Per favore.. Non possiamo più vivere così. Ti prego. » La richiesta della moglie lo lasciò talmente atterrito, che in quegli istanti non riuscì nemmeno a proferire parola, trattenendo lo sguardo sulla figura di lei come in attesa che qualcosa mutasse - che all'improvviso scoppiasse a ridere e gli dicesse che tutta quella storia altro non era se non un elaborato scherzo per prenderlo in giro. La conosci, Mia, solo uno stupido guarderebbe una macchina accelerare verso un muro e rimarrebbe sorpreso quando si schianta. Le parole di Jerome riemersero a galla quasi automaticamente dalle profondità della sua memoria, ripetendosi in un eco beffardo all'interno della sua testa. Raiden aveva sempre avuto fiducia in Mia, anche quando forse non avrebbe dovuto; l'aveva sempre ritenuta sì un po' impulsiva, ma mai sciocca. Eppure in quel momento gli sembrava di aver di fronte l'esatta immagine descritta da Jerome, la prova evidente che quello ad aver sbagliato i conti era proprio lui stesso. « No. » La risposta negativa sembrò portargli aria nei polmoni, quanto necessario a fargli sperare che almeno una delle due teste parlanti fosse in funzione, ma non abbastanza da cancellare il sapore amaro. « [..] Tre giorni. Farò questa stronzata per tre giorni. Dopodiché andrete tutti a farvi fottere. È il massimo che posso chiedere alla babysitter e non accetto un cazzo di suggerimento su dove lasciare mio figlio o con chi. » Come non detto. Fece un passo avanti, aprendo bocca per intervenire nel tentativo di mettere un freno all'assurdità della situazione, ma non fece in tempo. « I Lycan tenetemeli fuori dal cazzo. Se mi fanno saltare il cazzo gli oblivio anche la colazione del battesimo. » Per una qualche ragione che forse nemmeno Raiden stesso riusciva a comprendere, l'ennesimo schiaffo in faccia che quelle parole simboleggiavano portò le sue labbra ad incurvarsi. Un sorriso divertito nella più amara delle maniere, mentre lo sguardo tornava a Mia, puntandosi silenzioso nei suoi occhi per alcuni istanti - la delusione scritta nelle iridi scure che non riflettevano l'ilarità dipinta sulle labbra. Poi, altrettanto silenziosamente, si voltò di nuovo, dandole le spalle per seguire il discorso di Riley. « [..] Il fatto è che Joshua non ha le conoscenze adatte per sembrar veritiero nei panni di Kai. Non credo possegga un addestramento utile a queste cose. Inoltre la situazione è più complicata di così. Dovremmo innanzi tutto evitare di tappezzare di impronte questo posto, poi recuperare i turni di Kai, andare da chi lo ha visto e cercar di cavar loro informazioni. » Inspirò profondamente, annuendo piano. Ok allora qualcuno ha deciso di accendere il cervello stamani, buono a sapersi. Attese che Riley finisse di parlare per riprendere parola. « Concordo sul dividerci. Ma credo sia meglio coprire più aree diverse contemporaneamente. La mia situazione non mi permette di rischiare con una polisucco, e non voglio nemmeno che Parker rimanga da solo: non possiamo essere completamente certi che nessuno sappia di questo suo teatrino. » Fece una pausa. « Per voi due - » indicò con un cenno del mento Riley e Joshua « - immagino che sarà più semplice muovervi a Londra e reperire velocemente polisucco e informazioni. Io e Mia possiamo portarlo in un altro luogo. Abbiamo qualcuno che può prendere il suo posto, quindi ci metteremo in contatto subito e non appena voi avrete finito il lavoro possiamo ritrovarci per ultimare il tutto. » Fece passare velocemente lo sguardo tra tutti. « Se non ci sono altri temi su cui fare salotto direi di muoverci. Riley, tu hai il mio contatto: ci aggiorneremo per telefono, ok? »

     
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    È stato un errore, fatto sulla scia dell'emotività e di un barlume di speranza che ha visto nelle azioni di Joshua. Ignorare la guida della sua alfa, tuttavia, avrebbe scoperto presto, si sarebbe trasformata non solo in una punizione esemplare, ma anche nella più amara delle delusioni. Le persone non si schierano, non senza ricevere nulla in cambio. E questo, Mia avrebbe dovuto capirlo prima o poi. Fare la piccola rivoluzionaria, affidandosi ad ogni persona che incontrava, era la cosa più sciocca incontro alla quale potesse andare. Joshua aveva sbraitato parecchio anche durante il loro primo incontro, e questo poteva accettarlo. Ma l'ultima parte del discorso di lui - quella -, la portò a indietreggiare di un passo come se realizzasse per la prima volta di trovarsi di fronte a un completo estraneo. « Tre giorni. Farò questa stronzata per tre giorni. Dopodiché andrete tutti a farvi fottere. È il massimo che posso chiedere alla babysitter e non accetto un cazzo di suggerimento su dove lasciare mio figlio o con chi. Se mi fanno saltare il cazzo gli oblivio anche la colazione del battesimo. » Sbalordita. Era completamente sbalordita. Non capiva per quale ragione fosse diventato di colpo così brusco e categorico. Violento. Mia aveva tanti difetti; era certamente molto ingenua, e a tratti decisamente istintiva. Era una persona sin troppo buona per il suo stesso bene, e c'erano ben poche cose che non sapesse proprio mandare giù. Tuttavia, le minacce nei confronti della sua gente era forse in cima alle questioni che meno sopportava, non a caso, la sua espressione mutò di colpo, stringendo i pugni fino al punto in cui percepì le unghie conficcarsi nei palmi. Considerata la situazione in cui si era trovata fino a poco prima, faceva fatica a mantenere il controllo, e i suoi occhi davano segni evidenti di voler reindirizzare la rabbia sfogata prima su Kai e Riley, su Joshua. L'obliviatore sembrava una persona completamente diversa; non solo sbraitava, ma mostrava un aperto rifiuto nei confronti della sua stirpe. Il che, alla luce del fatto che ne aveva ben due davanti, e aveva assicurato tutto l'aiuto che potesse dare a una di loro - Mia, nello specifico - la portava a giungere a due sole due ipotesi: o non credeva a nulla di ciò che le aveva detto, oppure, peggio ancora, l'aveva ingannata. Davanti a tuo figlio, per giunta. Sei proprio un pezzo di merda. Evitò di farglielo notare sul momento, o di discuterci. Finché Raiden era lì, era meglio non tirare la corda più del dovuto. Ma la voglia di prendere Joshua da parte e urlargli contro fino a rimanere senza voce, meglio ancora - riempirlo di botte, era tanta. Avrebbe dovuto fermarsi, finché era ancora in tempo. Ascoltare Raiden quando l'aveva avvertita, tenere a mente le istruzioni di Beatrice - ma aveva deciso di rimettere la sua fiducia ancora una volta nella persona sbagliata. E tutto ciò, sotto gli stratti di rabbia e frustrazione, faceva molto male. « È da pazzi. » Per una volta dovette ammettere che Riley aveva ragione. Era stato stupido proporre la partecipazione di Joshua nelle vesti di Kai. Forse in cuor suo pensava che un obliviatore dalla loro parte potesse fare comodo a tutta la comunità, che allo stesso Joshua avrebbe giovato fare parte di qualcosa alla luce di ciò che le aveva confessato. Ma era stata una pretesa stupida, e l'intervento di Cunningham gliene dà una chiara dimensione. « Infatti. È da pazzi. » Ricalca quelle parole con il retrogusto della vergogna in bocca, mentre scruta con un'espressione ostile Joshua, lasciandogli intendere che quel discorso non resta così, né i termini della loro conoscenza l'avrebbero portata a sbilanciarsi ulteriormente nei suoi confronti una seconda volta. « Come non detto. Facciamo diversamente. » L'ho seriamente pregato e implorato e la sua risposta è stata "statemi lontano". Come se questa fosse una cosa sua. Come se questa fosse diventata la sua battaglia. Vaffanculo, Joshua. Vaffanculo a me per essermi fidata delle quattro parole cretine che mi hai detto. Sei uguale a tutti gli altri. « D'altronde è ovvio che non sei qui per buon cuore. Ho capito male io. » Non l'ha chiamato Mia e Raiden non lo conosce, quindi qualunque accordo o legame ci sia tra lui e l'Auror Cunningham è evidente non sia dovuto a un'improvvisa voglia di fare la rivoluzione dell'obliviatore. « Concordo sul dividerci. Ma credo sia meglio coprire più aree diverse contemporaneamente. La mia situazione non mi permette di rischiare con una polisucco, e non voglio nemmeno che Parker rimanga da solo: non possiamo essere completamente certi che nessuno sappia di questo suo teatrino. Per voi due - immagino che sarà più semplice muovervi a Londra e reperire velocemente polisucco e informazioni. Io e Mia possiamo portarlo in un altro luogo. Abbiamo qualcuno che può prendere il suo posto, quindi ci metteremo in contatto subito e non appena voi avrete finito il lavoro possiamo ritrovarci per ultimare il tutto. » Mia annuisce e non aggiunge altro. Forse è meglio non dire niente in merito al piano. Si sente solo di aggiungere « Se ci sono problemi con il reperimento della polisucco a lungo termine, abbiamo un'ottima pozionista, ma ci servono gli ingredienti. » Guarda Kai con un'espressione fredda, ma evita di aggiungere altro. Forse non è il caso di fare anche il nome di Veronica in questa sede, un po' perché non sa più cosa sia giusto, e un po' perché forse è meglio mantenere la sua identità segreta per il momento. Nessuno sa quali sono le sue attività, e non è certa che Cunningham sia disposto ad accettare proprio tutto ciò che fanno una volta scoperto. « Se non ci sono altri temi su cui fare salotto direi di muoverci. Riley, tu hai il mio contatto: ci aggiorneremo per telefono, ok? » « Ripuliamo prima di andare. » Asserisce in direzione di Raiden, osservandolo con un'espressione cauta. « C'è il suo sangue qui - e il mio. E se per caso si è smaterializzato.. » Il Ministero potrebbe trovare il posto. « Non usate troppo la magia finché ci troviamo qui, specialmente per smaterializzarvi. Se il Ministero può tracciarci attraverso le bacchette - potrebbero avere anche altri mezzi per distinguere la traccia di un mago da quella di un altro. » Meno diamo nell'occhio, meno esistiamo. Letteralmente. E detto ciò decide di non aggiungere altro, dandosi da fare per fare quanto si sono detti, tentando con tutta se stessa di ignorare la voglia di urlare e prendere a calci ogni pezzo di cemento di quel capannone. Una volta Raiden le aveva insegnato come chiudere tutto fuori. Come controllare tutte le emozioni, chiuderle in un cassetto e ignorarle. Ma ora, con mani tremanti, non dalla paura, bensì dalla rabbia, sente che è quasi impossibile trattenerla. Non guarda più né Joshua, né Riley, e si concentra piuttosto sul ripulire a mani nude il proprio casino, pronta a trovare nelle vicinanze un mezzo che li trasporterà a Greensted, dove due dei loro compagni d'armi li stanno già aspettando, svegli e vigili. Oh dio, e ora come glielo spiego alla Morgenstern che ho fatto un'altra cazzata.


     
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    I Lycan non sono il mio unico problema, e quando Mia si risente di questo, il mio sguardo è fermo nel suo. Non retrocedo di mezzo passo su quanto ho detto.
    Non solo non li voglio attorno, in generale, ma non è-... beh non è così semplice e basta. Non voglio avere la scorta, né qualcuno che mi segua per la mia fottuta sicurezza. Bado a me stesso, e quando non lo faccio è solo un cazzo di problema mio. E, il resto che faccio, non deve sapersi e basta. Neanche per sbaglio.
    E sarebbe pronta a montare, la mia rabbia, se non fosse che Riley prende la parola. Le sue prime lettere sono esattamente quanto io ho provato ad esprimere. Ma sentirlo parlare con la maledetta professionalità di un Auro, non sa rassicurarmi fino in fondo. C'è qualcosa in me che ha bisogno di quello stupido "non ti succederà niente", ed un'altra parte, invece, che non crederà mai a nessun concetto simile.
    E sì non ho un addestramento per queste cose, Dio, ero solo venuto qui ad obliviare qualcuno non a prenderne le veci per un piano di cui ovviamente non so un cazzo.
    Perché non so cosa passa tra loro, cosa sanno e che cosa sia davvero questo Kai, se il simbolo di uno Stato corrotto o solo un uomo a cui farla pagare per la sua fame esagerata. E va bene, ho capito che gli equilibri non sono stabili, e tutto il cazzo che vogliono, ma il mio aiuto, e quanto posso offrire, non può ledere né me, né mio figlio.
    — Non lasci Remì da solo . Ecco, questo è un punto che scava quasi fino alle mie fondamenta.
    Lo sguardo si concentra un secondo su Riley, un moto che mi spinge ad annuire una volta sola, con cautela. Non lascio Remì da solo, e questo almeno a due persone importa, ed è giusto così.

    Solo che, nonostante tutto, il sentirmi già mezzo incastrato nella merda non mi fa stare tranquillo, quindi la mia risposta al ragazzo è quasi un ringhio. — Se si sveglia e si ricorda ancora troppe cose, chiamatemi. Per la polisucco potrei conoscere qualcuno anche io.

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    Non guardo più Mia, mi rendo conte che - pur non abbassando lo sguardo - non ho voglia di rivedere in lei le accuse di egoismo di Nilufar. Non è la cazzo di giornata per questo. Infilo una mano in tasca, l'altra si ferma un secondo lungo il polso di Riley.
    Non era proprio l'idea di serata che avevo in mente io, ma adesso prendo le cose un cazzo di respiro alla volta. Non riesco a capire quanto sapesse di questa stronzata prima di chiamarmi, ma immagino niente, il nulla fottuto cosmico, così come me. E' quello che spero.
    Stringo i denti nel tentare di mandar giù un grumo di fastidio arrochito in gola. Ti aspetto fuori, questa stronzata non è finita. Vorrebbe suonare minaccioso, sì, invece è solo una richiesta, gratta come una preghiera. Non intendo tornare a casa senza sapere a cosa ho detto di"sì".



     
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    Non tutto il piano sa suonarmi perfettamente. Così come so che ci sarà sempre qualcosa a stonare nelle mie orecchie. Note pestate sbadatamente da ragazzini che avranno sempre fatto meno pratica di me. Che ne sapranno, in un modo o nell'altro, sempre meno di me. Ma sono consapevolezze che lascio scivolare via. Che mi sforzo di accettare distanti dal mio controllo. Lontano da ogni mia presa. Anche se spesso fa male e prender questa posizione mi costringe a serrare la mascella e indurire i muscoli. So farmi scudo umano, ma a volte, nonostante mi sforzi di sfoggiare quell'impeccabile gentilezza, finisco per proteggere solo e soltanto me.
    Come se degli altri non mi importasse granché e fosse il mio mondo quello ad essere sempre sotto attacco. Sempre più indifeso e bramato fino all'ossessione. Non so se questo è lo strascico di anni di dipendenza o la concezione sbagliata di una vita che a conti fatti sa solo che strapparmi il respiro. Per questo non ne parlo. Mantengo il mio posto. Me ne sto composto fatta eccezione per la mano che stringe il cellulare e il pollice che diteggia nella chat con Esme e aspetto.
    Aspetto lasciando che questa volta sia la loro volta. Il momento in cui devo farmi parzialmente da parte per far sì che siano gli altri a plasmare la realtà. Mi sforzo, sì, di accettare questo loro estro creativo e di essere solo una spalla, un salvagente gettato in mare al momento del bisogno. Perché questo è il suo compito, così come lo è il mio, che lascio rimbalzare lo sguardo da Mia e Raiden pregandoli, seppur solo nella testa, di stare più accorti di così. Più meticolosi. Più sicuri.
    Perché non credo che vacillare possa esserci concesso. Io non lo concederei.

    — Mi sta bene è la sola cosa che dico. L'unico momento in cui mi concedo delle parole che non nascondano opposizioni. Ma lo sguardo di Raiden lo cerco come un disparato. Perché so che è tramite quello che si comunica meglio. Che solo così possiamo davvero comprenderci e metter in chiaro quei concetti che altrimenti daremmo per scontati. Non voglio sembrare paranoico né tantomeno distaccato. Ma voglio che le cose vadano semplicemente nel modo più liscio possibile. Che il casino mi eccita. Il caos mi emoziona, ma sempre fino ad un certo punto. Sempre in piccole quantità. Sempre e solo se posso tenerlo sotto il mio dominio.

    — Gradirei ricevere la posizione in cui lo lascerete. Per una questione di sicurezza in più, ovviamente. Inoltre, anche se così siamo già in troppi, cercherei la collaborazione di tua sorella, Raiden. In tante teste è più facile frammentare informazioni. La faccio un po' troppo semplice, ma non ho intenzione di star qui a spiegare com'è che Eriko lavora con me. Non ne è al corrente nemmeno Joshua che, per un certo verso, è persino uno di quelli implicati nella cosa.
    Faccio per avviarmi verso l'uscita. Lo sguardo ora scivola su Mia. Lascio che la tenerezza mi pervada, anche quando sono consapevole del fatto di non potermi comportare da padre con lei. È una ragazzina. Sono ragazzini, ma io devo avere fiducia. Io non posso in alcun modo abbandonare la speranza.

    — Accorti. L'ennesima raccomandazione. — Ci aggiorniamo.







     
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