Panem et circenses

Bud & Caleb | 27 gennaio 2024

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    "Quindi, alla prossima città?" Mormorò Bud lasciando dondolare i piedi giù dal letto. Le Converse già allacciare come si deve. I calzini bianchi ad ammucchiarsi contro le caviglie.

    "Alla prossima città, credo." Mugugnò Leroy, con le braccia piegate sotto la testa e lo sguardo rivolto verso il soffitto della sua tenda. Si erano sempre visti lì i due amici e, sempre nella tenda che il Circo aveva donato a Leroy e suo fratello, si erano più volte salutati. Quella volta non sarebbe stata diversa dalle altre: ad esser diverse non erano nemmeno le circostanze. Forse si poteva parlare di città o di età diverse, che a modo loro riuscivano già a lasciare dei segni, ma solo di quello. Nient'altro.
    Così come nient'altro avrebbero avuto da dirsi i due che, per un lungo, lunghissimo momento, decisero persino di restarsene in silenzio. Poi Bud si voltò verso di lui e piegandosi contro il suo busto, gli concesse un abbraccio di slancio.

    "Niente lettere..." Le loro voci si fecero sempre più basse. Quasi un lamento. "Niente lettere, sì, tanto non ne abbiamo bisogno." Bud sorrise, mostrando i denti pallidi e storti "No, esatto. Ci troveremo nella stessa città lo stesso giorno dello stesso anno" Buddy si stringe nelle spalle e fece per tirarsi su in piedi. "Sicuro! E io chiederò di te" "Sicuro che puoi?" "Una promessa è una promessa"


    Come vorrei poterla mantenere, Lele. Lo vorrei davvero, anche se suppongo di non aver tradito ancora alcuna aspettativa. D'altronde, io l'ho cercato il Place de Grève in tutti i luoghi in cui sono stato. L'ho fatto davvero, muovendo i muscoli ogni volta che un circo fosse giunto in città. Non ho fatto alcuna distinzione: ho chiesto a tutti di te. Giustificando questi dieci anni di sfortuna con un sonoro "avrà cambiato compagnia" e poi, "avrà trovato altro con cui vivere".
    Non nego che l'ultimo sia ormai divenuto il mio mantra. Quello che tento di ripetermi ogni volta che qualche artista fa visita alla città e allora, inconsciamente, mi spingo alla sua ricerca. Suppongo di poterti trovare ancora. Una parte di me ne è convinta, così come la parte razionale sa bene com'è che funzionano le cose a quest'età. Siamo due adulti, non più bambini ed ha senso che il proprio migliore amico possa - non so, vivere diversamente da come lo si ricordava.
    Molte cose sono cambiate per entrambi. Forse persino per me, che riverso nell'indagine il bisogno di staccare un attimo la spina. Un istante solo, ecco, anche se poi finisco per non saper dimenticare quali sono i miei compiti. Quei bei doveri che mi rendono orgoglioso ma - distante?
    Sta di fatto che questa parte razionale è felice, sì, di immaginarti fare un lavoro diverso da quello che ti ha mosso per una vita ma che, a modo suo, potrebbe piacerti di più. Valorizzarti di più, essere maggiormente nelle tue corde. Mi dico che qualsiasi cosa va bene se, accadendo, ci rende felici. Fingo di sapere com'è che debbano esser stati questi dieci anni per te e poi beh, al primo scampanellare di festa io corro.
    Corrono le gambe, i muscoli si attivano: fanno tutto loro al mio posto. Poi mi basta aprire un portale. Farmi trascinare da un'idea e lasciare che le luci e la musica rendano il tutto più assordante. Non ho un biglietto per questa sera, ma il Place de Grève non è cambiato dall'ultima volta che l'ho visitato: gli accessi sono sempre gli stessi e per quel che possa dirne, mediocramente controllati.
    Scusa se ci ho messo tanto a ritrovare questo posto ma questi sono stati periodi davvero - davvero pesanti. Forse, in realtà, non hanno mai smesso. Si limitano solo ad attenuarsi. A scivolare in secondo piano, con un gesto più che istintivo, infilo la testa nella prima tenda che mi ritrovo davanti. Qualcuno si sta esibendo, ma da che ne ricordi io, non tutti gli artisti salgono sul palco la stessa sera. Tu fai ancora parte della famiglia?



     
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    Tu non li conosci i rituali di Lele. Viaggi con loro solo da due anni, e questo è il primo spostamento a cui assisti. Uno dei primi grossi traslochi del Place.
    Non conosci l'eccitazione che freme ogni volta che Papà annuncia uno spostamento considerevole. Non vedi come Oswald guarda di sottecchi suo fratello per percepirne l'umore.
    Perché per dieci anni Leroy ha aspettato. Una volta è anche stato lui a dare la direzione al trasloco, così da tentare la fortuna di tanto in tanto. Magari avrebbe rivisto il suo migliore amico.
    Quindi sì, tu non lo sai. Non sai in dieci anni ha perso mordente, e forse perfino quella speranza che lo ha animato. Sono successe troppe cose da quando i due ragazzoni si sono visti l'ultima volta. Una tra tutti, la morte di Ezekiel. Un'altra, l'incidente coi drappi di seta. E tante cose che neanche tu sai.
    Però l'hai visto quando avete messo piede qui, l'hai visto aspettare fuori dalla sua tenda, preferire la solitudine. L'hai visto passeggiare distrattamente lungo gli accessi del Circo, come se dovesse misurarne l'ampiezza e prenderne nota.
    Ma la verità è più profonda, perché Lele ha un problema, e a te spezza il cuore. Lui non esce.
    Il Circo è il suo confine, qualcosa lo blocca da anni, e non capisci - anche se il circo lo ami alla follia - perché non abbia interesse a vedere dove siete arrivati, o come sia fatta Londra questi giorni.
    Tu sai solo che sta male, che anche se provi a farli qualche coccola, dopo è Oswald l'unico a riuscire a rimettergli insieme i pezzi. Leroy è come quei vasi giapponesi, ed Ozzy è l'oro che riempie le crepe.


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    Però la vita è questa, e per un Leory che non c'è a fare il suo esercizio di bellezza, ci sei tu a riempirti le braccia di sangue. Tu che crudelmente azzanni, che non ti lasci indietro niente, se non il pensiero che tornerai da Grace, accoccolato come un bravo cucciolo: hai fatto il tuo lavoro anche stasera, li hai sentiti gemere di fastidio e gridare di fame. Come hai sentito quell'uomo spezzarsi tra le tue braccia. "E' tutto finto" gridano alcuni, e ti piace che lo credano. Che pensino che siate tutti dei figuranti e che tu non ti metta realmente sotto i denti un uomo. Che tu non ingoi la sua carne, e non ti bagni del suo sangue. Che credano pure ai loro sogni, alla speranza di un mondo sano e meno crudo. Tanto alla fine la verità la sapete solo voi. Voi sapete che quell'uomo doveva imparare una lezione, che deve aver fatto qualche sgarro ad Austin e quindi essere finto tra le tue grinfie.

    E, quando lo spettacolo finisce, sei forse l'ultimo che resta - hai chiuso con il tuo spettacolo per lasciare gli incubi agli spettatori. Niente coccola per loro stasera, perché non c'è Leroy a mettere pace con la sua danza, con il suo librarsi a venti metri da terra creando un mondo meraviglioso sopra le loro teste.
    No, andranno a letto con ancora il rumore dei tuoi denti che si imprimono nella carne. Però ecco, di una cosa ti ricordi quando scendi dal retro, ciondolando.
    Grace stanotte non c'è, ha un cliente. Niente coccole per Caleb, devi già svuotare la mente.




     
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    Posso convincermi che per trovarti mi basta una semplice indagine. Che la presenza del circo sia sintomo di una tua apparizione. Ma non è sempre così, da che io ricordi. Non c'è sempre questa fortuna a guidarmi nei luoghi giusti, nei momenti giusti. Ho visitato tutti i circhi che potessero passare di qui e anche se nessuno di questi ha portato l'insegna del Place de Greve, io mi sono convinto di poter trovare te tra la loro famiglia sgangherata. L'adulto che è in me, ormai, tiene lo sguardo ben puntato e le orecchie ben aperte. Forse sono più allarmato del solito o forse ho bisogno di più attenzione per comprendere. Per trovare l'attracco giusto in certi atolli e dirmi che sì, forse questo, dopo tutti quegli anni a cercare aghi in pagliai, è il momento giusto. Anche se non lo è per la storia che ci perseguita e mi spinge a camminare con le spalle ricurve in avanti solo per incassare la testa ai colpi di una vita frenetica. Instabile.
    Londra è spaventosa, Leroy, peggio di tutte le altre città che abbiamo avuto modo di conoscere e questo posto, per quanto a me risulti come simbolo di speranza, qui è in pericolo.
    Ci penso umettandomi le labbra come se stessi parlando davvero qualcuno. Come se il solo sperare mi disidratasse e allora fosse in grado di arricciarmi la pelle sul volto. Di togliermi via tutto ciò che sa darmi colore e vitalità.
    Ma non mi tiro indietro, nemmeno quando lo faccio fisicamente e allora il capo lo tiro fuori dalla tenda. Una tenda, per me, è una tenda. Così come una casa è una casa. I suoi interni mutano e fintanto che non si ha modo di esser stabili per lungo tempo in un determinato posto, luoghi del genere non fanno altro che essere di passaggio. Ma in ogni landa che hai visitato, Lele, io sono sicuro tu abbia lasciato qualcosa di tuo. Qualcosa che a me non salta in mente di fare. Perché io alla vita fuori dai quartieri mi privo, cedendo solo in serate come queste, quando cercandoti, mi dico di essere, probabilmente, arrivato di nuovo in ritardo.

    "Ehi - "
    Mi chiedo perché questo posto non sia mai stato in grado di affiggere dei poster ben leggibili sui vostri spettacoli. Perché ad ogni evento cambiano, mettendovi non solo fisicamente, ma anche a livello immaginario e visivo in panchina. Mi chiedo se quell'aurea di mistero che aleggia e avvolge tutto all'interno del Place de Greve sia in un qualche modo avvalorata anche da questo.
    Se non conoscessi questo posto quel poco che basta per uscirne vivo, giurerei di sentirmi immerso in una grande tana da ragno.
    Avviluppato alle spire delle sue ragnatele. Imbozzolato e così in attesa di essere divorato dallo splendore delle vostre luci. Cullato dal suono delle vostre musiche.

    "Posso disturbanti un secondo?" Oso un passo in più verso il ragazzo che è appena uscito da uno dei tendoni. Il clangore della folla non sembra scemare, ma a modo mio, continuo a sentirmi solo.
    La nebbia che ha solitamente accompagnato il vostro ristoro, ora rende questo luogo minacciosamente suggestivo. Ho la pelle d'oca e forse l'impressione di non trovarmi davvero dinanzi ad un uomo. Forse più ad un demone dalle fauci lordate di oscurità. Il bambino che devo aver lasciato a Lione. Coi capelli ancora chiari dalla giovinezza e il muso all'insù di chi il mondo può vederlo e percepirlo solo restando in punta dei piedi.

    "Sto cercando Leroy Morales."



     
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    Quando Lele e Bud si sono lasciati, l'ultima volta, Ezekiel era ancora vivo. Ma tu non lo sai questo. Sai che il più grande mangiafuoco ed acrobata, nonché l'uomo che ha educato i due elementi più armoniosi del Place, è morto tanti anni fa, e basta.
    Se ti sei guardato un po' in giro hai capito che era una pietra miliare del circo, ma non più di questo. Perché Oswald ha la resilienza nell'anima, lui va avanti per natura.
    Mentre Leroy... beh tu l'hai sempre visto così. Schifo, spesso incredibilmente triste. Elegante, si, da morire ma inarrivabile. Non si è mai avvicinato ad un falò da che tu sei qui, e sai per certo che non è a causa tua. Quando Grace ti ha inserito erano tutti pronti ad amarti. È solo che Lele vive una realtà diversa. O almeno così ti hanno detto.
    Tu hai provato a farci amicizia, ma lui è sempre stato distante. Sulle sue. Confida solo in chi già conosce, fatica ad aprirsi con chi è nuovo. A volte ti spaventa. Hai paura che l'oscurità della sua mente ricordi anche a te quanto cazzo si può star male in questa vita.
    Per tutta la calma che Leroy sa donare con i suoi spettacoli, poca ne resta a lui quando finisce.
    È una candela che tu hai sempre visto spegnersi. Rare volte l'hai percepita brillare ma questo, beh, questo non è un argomento da faló.
    Leroy ha scelto Londra. Ma se ne è già pentito, questa città non gli piace. Il clima cupo non fa bene al suo umore. Leroy è una statua che raffigura un volto triste, anche quando abbaglia le poche volte in cui sorride.
    Froy ti ha raccontato di un Lele felice, ma quando era più bambino, poi le cose lo hanno abbattuto e lui... beh lui ha deciso di reagire nascondendosi. Restando la gemma nascosta del circo.
    Tu ti meravigli quando lo vedi in giro, e per quello che sai di Lele, speri solo che un giorno ti accolga. Speri di poter essere tra chi lo stringe quando va in crisi, speri ti elegga a suo amico, perché gli daresti tutto ciò che hai: sei fatto così.
    Certo magari la metti un po' male mh? È che è successa una cosa alle prove di ieri, una cosa che ha riacceso un Lele il suo "problema".
    Ed ora lui è stanco. Troppo stanco per tirarsi su e librarsi come l'airone che è.
    Quando ha le sue crisi, beh lui poi ha bisogno di riposare, e cazzo se li capisci. Ti dispiace solo che non si fidi ancora di te.

    "Oh, per un attimo speravo fossi qui per me, Caleb il Magnifico"ti inchini, ma scherzi, mantieni un piccolo ghigno che ti puoi permettere, perché ora ti sei ripulito dal sangue e le labbra sono tornate del tuo stupido rosa. Però hai sentito bene cosa ti ha chiesto, e tu lo guardi.
    La tua prima risposta consiste nel guardarlo. Sai che il Circo è protetto, ma ancora a Londra non hai capito come funzionano le cose. Non puoi spiattellare a tutti dove sono gli artisti, ma...
    "Lui non si esibisce stasera, purtroppo non abbiamo una politica di rimborso." Alzi le spalle, sfili una cicca dalla tasca e te la stringi tra le labbra. "Conosci Lele o sei un fan?"




     
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    Sai, Lele, non ho pensato minimamente a cosa avrei potuto dirti. Per un certo verso, ho dato per scontato che non fossero passati poi così tanti anni a dividerci. Che le cose, a modo loro, sarebbero tornate automaticamente al posto che gli spetta e che tutto si sarebbe svolto nel migliore dei modi. Anche se, ecco, non conosco con precisione le previsioni di questi modi. E mi ritrovo un po' in bilico sui miei stessi piedi quando, pur tirando su le labbra in cenno di sorriso, vacillo un po', ma non per questo perdo necessariamente la presa su ciò che mi sembra importante e tu, tra le tante cose, lo sei sempre stato. Forse per un istinto che ho ripreso da mia madre. Quel barlume di speranza che non sa più illuminare i suoi occhi.
    Così avanzo un passo verso l'estraneo e se lui accenna un inchino allora, ridacchiando, lo accenno anche io. Fingo sia così che si salutano le persone in un posto come questo, anche se dei vostri usi e costumi forse dovrei ricordare qualcosa. Anche se, beh, questo ragazzo non lo ricordo affatto. Allora mi immagino sia giunto qui da poco. Sembra persino molto giovane rispetto all'età che dovresti avere tu.

    "Mi dispiace, non era mia intenzione venir a mancare in un qualche modo alla vostra magnificenza." Non lo so perché, ma sento di dover giocare. O almeno, ecco, di dover star al gioco perché a farlo sono bravo: mi hai ammorbidito tu negli anni. Mi hai reso tu la persona - forse - socievole che sono.

    "Io sono Bud, Magnifico Caleb." Un sorriso che però si spegne subito. Che si fa serio quando, parlando di te, mi dice che non ti sei esibito. Immagino tu stia male. Che abbia avuto la febbre o qualcosa del genere. Non so con precisione perché è a questo che penso, forse è perché sono sempre stato convinto della tua ineluttabilità. Tu eri forte, lo sei sempre stato ed è proprio da te che fingo di aver acquisito i miei superpoteri. Siamo sempre stati invincibili, giusto? Diceva così Grace quando mi fermava davanti la tua tenda. "Super Lele ti aspetta dentro" però, ecco, perché Super Lele non si esibisce oggi?

    "C-come non si esibisce?" Un nodo in gola, ma è la prassi. L'abitudine che mi porto dietro quando mi rendo conto di non aver alcuna capacità di gestione dell'ansia. Devo pur ricordare, in un qualche modo, mia madre...no?
    E sono combattuto, perché c'è una parte di me che trema di gioia. Come se avessi il corpo diviso a metà e allora tu fossi così potente, così bravo, da farle danzare entrambe. Solo che una, appunto, balla dalla felicità di averti trovato mentre l'altra - beh, l'altra sta morendo. Si sta accartocciando su se stessa. "Cioè, io - io non voglio un rimborso io." Prendo fiato. Butto aria vecchia fuori per recuperarne altra nuova. "...io vorrei solo vederlo - ma in qualsiasi salsa, insomma, uhm, sono il suo - " miglioreamico "Un suo amico. " Perché, beh, sono passati così tanti anni che avrebbe senso se, almeno per te, questo senso di folle amicizia fosse un po' sfumato.





     
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    Da che ne sai, Lele non si ferma mai con nessuno dopo i suoi spettacoli. Se va bene, quando è in vena, si fa due chiacchiere con le gemelle, fuma una sigaretta rubacchiata - che in genere nemmeno quello fa - e poi torna nella sua zona. L'area di tende degli acrobati non è poi così distante dalla tua, Caleb, ma quando Lele ci si rintana sembra stia a chilometri di distanza.
    Quando invece non è in buona, quando neanche spingersi a venti metri d'altezza lo placa, allora si fa indietro. Finisce il suo spettacolo, e diventa metodico. Stranamente a te guardarlo calma da morire. Tu lo osservi mentre si sfila le polsiere, si pulisce le mani dalla polvere di gesso, scrocchia le spalle, e divincola gli arti. Lo fa spesso mentre cammina lungo i corridoi stretti dei camerini dietro il tendone. L'hai guardato perché la sua schiena ti piace da morire. Richiama quella di Oswald ma con toni più accentuati. Leroy è bello, forse più di Sissi, ma sempre meno di Grace s'intende. Non sia mai che tu riesca a credere che al mondo esista qualcuno di migliore del tuo ragazzo.
    Nessuno te lo tira subito di marmo come fa lui.
    Ma, anche senza divagare, puoi dire con certezza che Leroy è un'anima in pena. Tu ne sai qualcosa, e conosci il senso di colpa. Sembra che nella mente dell'acrobata non giri altro che questo. Forse c'è dell'altro? Ma che ne sai?
    Non sai mica che - i primi giorni qui - Lele li ha passati con il cuore a mille. Non sai che ha voluto dormire con Oswald perché lo placasse solo lui, e al massimo Froy.
    In più, già per questo affronto, Austin gliela farà pagare doppia. Lele è nei guai per non essersi presentato al suo spettacolo, chiaramente e questo non va mai bene.
    Quello che hai capito di Papà è se da un ordine, non importa che mood mentale tu abbia, esegui e taci. E lo fai al massimo della tua capacità. Dio se lo hai imparato su pelle.

    Ti diverte però il modo in cui Bud gioca. Che se tu ti inchini, lui si inchina e ti tratta al punto da farti buttar il petto in fuori. È carino, sto tipetto.
    "Molto bene, Bud! Finalmente qualcuno che si rivolge a noi medesimi con il giusto titolo" scherzi, gli fai l'occhiolino, ed il tuo sorriso si distende. Lo fa anche quando l'espressione di Bud torna seria.
    Sembra... cosa sembra Caleb? Preoccupato, deluso, triste? Magari è un affezionato degli spettacoli di Leroy. D'altronde chi non lo è? Tutto quanto si annida dentro l'acrobata finisce per diventare arte quanto stringe in mano quei tessuti e si libra con la sola forza del suo corpo.
    Dio, se lo fai entrare papà ti uccide, lo sai. Gli ospiti noi potete avere, certo, ma se qualcuno disturba gli artisti, beh le cose vanno molto male e molto in fretta.
    Ma Bud non è qui per dare fastidio, vuole solo vedere Leroy.
    È solo che tu lo sai in che stati si trova Lele e immagini che se si sapesse che—
    Sei a disagio. Stringi i denti, perché davvero non ti ha fatto una brutta impressione questo tipo, anzi. Anzi... tu di lui ti fideresti. Cazzo, Caleb... dai!
    "N-o lui è..." ma ti avvicini, lo preghi quasi. "Giurami che non gli darai fastidio" Anzi, lo preghi davvero. "Ti prego, ti prego giurami che non sei qui per una resa dei conti o cose così, perché non ho fame stasera e non voglio rogne" Perché stai aspettando Grace e sei teso.

    Aspetti quello stupido giuramento, hai quasi una mano sul cuore, ma è così che ne approfitti e mostri a Bud il vero ingresso, alle tue spalle. Per la via che conduce alle tende degli artisti. L'accesso a chi resta a giocare con i figli di Papà. A patto che poi se ne vada in fretta, proprio come non hai fatto tu. Dall'ultima volta che ci è stato, il Circo ha aggiunto molte più tende, ma quelle principali potrebbe trovarle da sé, sì. "Io non ti ho detto niente, ma sta attento con lui, ultimamente non è l'anima della festa e insomma, se sei suo amico lo saprai." L'hai resa troppo greve, te ne rendi conto quando provi ad alleggerire "Oh se poi non ti va bene, ti offro una birra da me" ma non sei certo di come ti esca. Forse stai facendo l'ennesima cazzata.




     
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    Ascolto tutto ciò che Caleb il magnifico ha da dirmi. Ogni singola parola. Studio in altrettanto modo i movimenti del suo corpo: noto il modo in cui si protende verso di me, che direzione prendono i suoi piedi e quale incrinazione prende la sua voce. Ci provo, comunque, ad aver un controllo totale della situazione. A sentirmi padrone, sì, di questa incertezza, anche quando sento i piedi agitarsi e i muscoli pronti a scattare verso la tua tenda. Che l'ho capito, sai, dov'è che sei. Ora sono convinto di aver la fortuna dalla nostra parte. Di essere fortunati quanto basta per ridere in faccia a tutti questi anni di niente. Che ci fa bene, ce lo meritiamo. Così come Caleb il magnifico merita un altro inchino. Un sorriso che mi si tira su in viso a trentadue denti. E sai, sì, come non mi piaccia mostrare il sovraffollamento degli incisivi. Ma sono davvero felice adesso. Davvero risollevato, per un certo verso. Quasi stordito dalla contentezza tanto da riuscire a metter da parte ogni paura. E ce l'ho, certo, così come l'ho sempre avuta. Paura di scoprire di non essere più adatto ad un'amicizia come la tua, soprattutto dopo tutto questo tempo. Soprattutto per le differenze che intercorrono nelle nostre vite.

    "Oh io - io te lo giuro, Magnifico Caleb" Borbotto guardando dov'è che punta il suo dito, il suo sguardo, ogni cosa. Cerco quante più informazioni possibili dalla sua presenza. E non mi soffermo, sai, a capire com'è che è fatto. A scorgere le sfumature che potrebbero colorargli il viso. Caleb il magnifico è solo un mezzo, per oggi e il solo pensiero un po' mi intristisce. Ma è così, già, che funzionano queste cose sciocche. Folli, per un certo verso.

    "Grazie, sì! Sì che starò attento! " Lo sono sempre stato. Insomma: attento, accorto, delicato, sono tutti aggettivi che credo mi descrivano a pieno. E so com'è che funzionano certe cose, anche se ho l'impressione che molti dettagli mi siano stati strappati via da questi anni separati. Sono concetti che sento di poter comprendere già adesso. Condizioni che non posso che accettare. D'altronde non ho il potere di tornare indietro e di desiderare qualcosa di diverso. Non ora, almeno, che il mio pensiero resta un binario fisso dinanzi ai miei occhi. E lo percorro. Insomma, non sono mai stato bravo a tirarmi indietro, non per quelle cose che so di voler fare più di tutto il resto. Così come quando si tratta della mamma o dello studio. Ho i miei limiti, ma non sai quanto so esser felice di rispettarli in quanto tali.
    Allora corro. Mi sento come un ragazzino in calzoncini che sbatte i piedi nel fango. Che rischia di slogarsi una caviglia se non si concentra a farlo bene, a mantenersi in equilibrio e a controllare il fiato respiro dopo respiro.
    Mi fermo solo quando la tua tenda mi sembra una barriera inespugnabile. Quando mi rendo conto di non conoscerne il codice, la serratura, il giusto modo per accedervi.
    Allora fingo di bussare. Il pugno alto verso la stoffa. Il cuore in gola.

    "Questa è la tenda di SuperLele? Io sono - sono un fan."




     
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    Anche stavolta tu ci hai creduto, Lele. Per questo adesso chiudi gli occhi e stringi i denti. Perché ogni trasloco è un incubo ed ogni incubo non sembra avere fine. E quando una sola cosa — certamente molto importante — va male, allora tutto andrà male per sempre.
    Allora tornano le giornate nere, torni a vedere Ezekiel che ti passa accanto, a sentire la sua mano lungo la spalla ed il tuo vento che lo respinge.
    Torni a cadere da trenta metri impattando violentemente al suolo. E lo fai da fermo, nella sicurezza della tua stanza.
    Lo fai fissando un punto della tenda, rannicchiato trai cuscini. A volte lo fai ad occhi chiusi, che tanto li stai facendo incazzare tutti di nuovo. Anche quelli che ti amano. Perché le tue mancanze sono pronti a coprirle ma resti uno dei "primi figli" di Austin. Assieme ad Oswald, Froy, Elliot e Grace. Gli eredi della Place e quelli che non potranno mai tradire Papà.
    Stasera lui non è soddisfatto di te e sai che questo ti costerà parecchio caro perché la gente paga i tuoi spettacoli. La gente paga perché la calma che puoi infondere li attira a venirci un'altra volta. Consente un placebo agli orrori. Orrori come Caleb.
    Tu non sai che lui ha visto Bud prima di te. Non sai che l'ha fermato con l'incertezza se farlo entrare o meno. E fa bene. Certo non perché tu non voglia vedere il tuo amico, cavolo se vuoi, ma il circo si protegge dalle intrusioni. Lo fa soprattutto ora che Londra sembra tremendamente pericolosa.
    Vorresti che piovesse, maschererebbe i tuoi occhi arrossati e l'espressione triste.
    Londra è brutta, e tu la odi. Ed io so perché. Ma non sai che il tuo fastidio verrà presto placato. Anche se chiudendo gli occhi, in quella tuta che sembra un pigiama da quanto è scura, appoggi la testa allo schienale nel letto.
    Tiri le gambe in petto e respiri. Adulto e bambino nello stesso istante.

    Poi lo senti.
    Super Lele.
    C'è solo una persona che sa chiamarti così in tutto questo stupido mondo, ed il tuo cuore si fiamma. Apri gli occhi, ne vedi la sagoma e sai già riconosce dalla curvatura della schiena che quello è Bud. La sua voce è un po' più adulta, ma i toni sono quelli e sapresti riconoscerlo ovunque.
    Fai per scendere dal letto quando ti rendi conto che, in questo stato, tu di super non hai più niente. Te lo dice lo specchio in cui ti fissi quando, per interminabili secondi, non gli rispondi.
    Non è questo il modo in cui merita di vederti e tu non vorresti essere visto. Perché diavolo Caleb non l'ha fermato?
    Ma sai bene che avresti strangolato Kelly - metaforicamente - per molto meno.

    "Buddy? Cazzo, Buddy! E-hi" ti senti dire, biascicando perché la tua voce si è arrochita in questi anni, ti sei fatto uomo già da un po', come lui. Vorresti vederlo, Lele, vorresti che scostasse la tenda ma anche che non lo facesse mai.
    Ne resterebbe deluso a vederti così, mh? Non ti rendi conto di quanto potresti essere bello perfino ai suoi occhi, che è solo il viso a lasciare le tracce del tuo dolore.
    Ti accosti alla tenda, ma non la apri. Spingi una mano come quando giocavate da bambini, come quando vi abbracciavate ancora. Dio moriresti per un abbraccio oggi. "Pensavo non fossi a Londra" sussurri. Vorresti che stringesse la tua mano nella sua attraverso la spessa tenda.

    I tuoi occhi sono lucidi, ma è solo una brutta giornata, Lele. Puoi ancora essere il suo Super Lele ora che è qui. Non dovresti, ma ti sfugge un tono appena più leggero. "Odio questa città"

    "Ti va di entrare? Non so cosa ti abbiano detto di me, ma..." e ci scherzi, si, ma in fondo è solo un modo per dire che lo sai cosa dicono di te. "... era solo una brutta giornata" mormori. Era?



     
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    Conosco questo tono di voce come se lo avessi portato con me per tutta una vita. Conosco ogni sua sfumatura, anche quando scivola di bocca in bocca e anima sguardi diversi. Lo riconosco perché è lo stesso che s'arroccava nella gola di mia madre. Quando era stanca e di vedermi non ne aveva voglia. Lo conosco perché ho cercato di modularlo a mia volta. Di stenderlo lungo la lingua come se fosse possibile rilassarlo. Massaggiarlo un po'. Allo stesso modo, riconosco l'emozione che agita il mio di sguardo. Il batticuore che sento quando mi rispondi e lasci scivolare una mano oltre la tenda. Io quella mano la osservo prima di stringerla. Prima di spingere le mie dita contro le tue e accarezzarle appena. Sentirle, almeno. Come a voler rendermi conto di non star vivendo un ricordo che a me sfugge leggero. Un barlume di speranza. L'immagine di un bambino che ripercorre i sogni delle sue notti turbolente. Trattengo il respiro per una questione di abitudine. Con la fronte a premere contro la tenda come per ricercare la tua. Che se la premi poi mi aiuti a tornare a casa. A sentirmi finalmente al posto giusto. Per un istante, quello dei brividi che percorrono la schiena. La risalgono in silenzio. Mi tirano su i capelli dalla nuca.
    "Io vivo qui da - " da tanto, così tanto che mi sento in colpa per non essere corso prima. Per non aver scalpitato all'arrivo dell'ennesimo circo. Per non essermi informato. Per essermi lasciato andare agli impegni. "Dio, Lele, non avevi questa voce prima." Mi viene da ridere e lo faccio, piano, pianissimo, perché se mi scuoto troppo poi rischio di ammalarmi e allora non voglio che mi risalga la tosse. Che la schiena mi si curvi in avanti. Che mi impedisca di cercare il tuo viso oltre la tenda. Chiudo gli occhi nel farlo. Nel sentire la stoffa del tendone contro la faccia. Profuma di viaggio, di terre che non abbiamo percorso insieme. C'è una tristezza strana che sa montarmi in petto solo in queste circostanze. Quando mi rendo conto di esser stato così distante da dover ricominciare da capo. Allora tremo e se così deve essere, così sarà. Non mi tirerei indietro per nulla al mondo. Non adesso. Nemmeno quando il tono della tua voce ricorda quello di mia madre, allora il cuore finisce per stringersi in un pugno. Lo sento far male, contorcersi su se stesso. Mancare battiti laddove dovrebbe invece recuperarli. Farne suoi perché momenti come questi sono comunque vita.
    "Io - la odiavo anche io." Mi spingo in avanti. "Piove sempre" e la pioggia non mi rilassa. No. La pioggia mi fa paura, mi spinge con gli occhi alla finestra. Con il naso chiuso. Con il freddo nel petto.
    Spingo il viso oltre la tenda quando mi inviti ad entrare. Quando lo sguardo sono costretto a spingerlo in basso perché di guardare i tuoi faccio fatica. Almeno all'inizio, quando ho più colpe che gioie e allora sento di non poter far nient'altro se non essere soggetto in balia del tempo. Di ciò che ci riserverà il mondo nel modo in cui vorrà riservarcelo. "Caleb il magnifico mi ha detto di - " ma lentamente ti osservo. Lascio risalire lo sguardo nella tua stanza. La ripercorro così come facevo da bambino, quando avevo l'impressione che tu avessi molte più cose di me. Molta più magia di quanta ne possedessi io. "Di non fare lo stronzo" non ha detto proprio così, ma fingo di averci letto quest'antifona qui. E funziona proprio così: che se non devo fare una cosa poi finisco per infrangere le promesse. Fastidio, sì, mi aveva detto di non darti fastidio. Ma dov'è che finisce la legittimazione è inizia il fastidio? Io non lo so bene. Non quando mi getto verso di te e faccio per stringerti.
    "Lele!" mi sembra di realizzare le cose solo così. Solo con le mani a stringerti la schiena. Con la testa ad incassarla nel tuo collo. I capelli corti a grattarti la pelle. "Dio, Lele, come sei - grande?!"



     
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    Le tue dita incontrano le sue oltre la tenda. E' un gioco, Lele. Lo stesso che facevi con Oswald quando eravate piccoli, e allora fingevate di presentarvi ogni volta con visi nuovi. Ma eravate sempre voi, incapaci di leggere la crescita nelle ossa vedendovi ogni giorno vicini.
    E tu hai un fremito non appena Bud ti asseconda. Ti guardi la mano con quel nodo di tristezza che risale in gola, gli occhi lucidi brillano di confusa gioia. Eppure sei tremendamente cauto.
    Hai paura di sentire come i battiti accelerino, di come un piede sia già pronto a farsi avanti, perché non te lo stai immaginando, lui è qui per davvero stavolta.
    La fronte, titubante, la appoggi alla sua, ti senti trattenere il fiato perché non legga alcun singhiozzo nel tuo modo di fare o nella postura.
    Hai paura, Lele. Hai paura di cosa voglia dire sentire il cuore esplodere perché potrebbe andare in mille pezzi e sarebbe sempre colpa tua. E' colpa tua se stai così, se dal fango a volte non ti rialzi e allora guardi fuori.
    Come le vecchie signore d'altri tempi, mh? Guardi da una finestra che non hai, sperando che - beh che accada questo, magari. Nel chiudere gli occhi ti scivola giù una lacrima.
    Bud è di Londra. O almeno ci sta da parecchio, magari si è stanziato qui dopo l'ultima volta e voi, anche per capricci di Austin, non ci siete mai venuti. Chissà perché cazzo stavolta il tuo suggerimento l'ha preso bene.
    "Gliel'avevo detto che dovevamo venire qui" sfiati, lento lento, quasi danzando in quel contatto che non è stabile, ché non puoi restare del tutto immobile, tu vuoi scoprirlo di nuovo. Lo senti come la sua mano è più grande dell'ultima volta, ma le dita sono più corte delle tue.
    Sorridi, lo fai senza mostrare i denti, quelli ormai escono solo se stai male. E tu, beh tu stai sempre male Lele. Per questo non ti verrà concesso qualche altro giorno di malattia, lo sai già che Austin vuole parlarti, e non è mai niente di buono.
    Se lo ammansiscono abbastanza, con gli incassi di Caleb, magari ti becchi solo una ramanzina sulla vita e sui soldi e sull'amore che prova lui per te, e poi di nuovo a trenta metri d'altezza come se nulla fosse. "Che voce?" morbido, sospiri. La tua che è cresciuta con voi.

    Ma Buddy entra, e nel farlo ti spingi indietro di un passo, ha bisogno di spazio per rubare con gli occhi ogni cosa che può. Tu fatichi ancora a respirare, ma questo perché speri che rallenti il momento in cui ti guarderà negli occhi ed ogni illusione andrà a pezzi.
    "Caleb ti ha detto di...?" sta arrivando, quel momento Lele, lo senti. Arriverà inesorabile, perché ti vorrà guardare come lo stai guardando tu. Come stai sorridendo con gli occhi in fiamme, ché di lui ti ricordavi tutto e adesso è solo più... non sai dirlo, è solo così irreale dopo tutti questi anni. Il desiderio di tenerlo stretto ed annullare un tempo eterno che vi ha divisi fa a pugni con la sensazione di non rispecchiare nessuna aspettativa.
    Caleb gli ha detto di non fare lo stronzo e tu stringi i pugni, ché odi quando ti trattano come una specie protetta, come un intoccabile.
    "Quel ragazzino, io lo o-" dio. Non hai tempo di inveire contro Caleb, perché Buddy ti stringe e tu resti fermo. E' il contraccolpo della canna di fucile, è quel "stai bene?" che non si chiede a chi è sull'orlo di una crisi.
    Il mondo rallenta, Leroy. Quasi si ferma, la clessidra risucchia i granelli di sabbia ed il tuoi occhi si chiudono con forza per cacciar via le lacrime dalle ciglia lunghe. "Buddy" la voce si spezza in un singhiozzo veloce, ma poi lo stringi più forte di quanto la tua paura ti consenta. Prendi il contraccolpo del suo slancio e ti mantieni in equilibrio, lo fai grazie alla forza che genera. Ti contrapponi, a tua volta gli stringi la schiena, ché sei tanto alto da poterti appoggiare lui, guancia a tempia. "Mi sei mancato, è stato un'idea di merda quella di non scriverci mai" butti fuori d'un fiato, ridi quasi di te, di voi, delle stupide idee di due adolescenti. In un abbraccio che - anche attenuandosi - tu non sciogli. "Anche la tua voce è diversa" mormori, in un complimento lieve, che scende già fino in gola, gratta proprio lì. Mi dispiace se non sono come mi ricordi, Bud. Dieci anni sono tanti, spero non troppi. Lo stringi ancora.



     
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    Non mi è mai stato insegnato che i maschi non possono abbracciarsi. Che la loro amicizia non debba per alcun motivo contenere esternazioni fisiche. Che è nella loro solidità mantenersi a distanza. Sfiorarsi solo con lo sguardo e accennare sorrisi d'assenso quando l'affetto che l'uno può nutrire per l'altro è confermato come intenso. Non mi è mai stato insegnato a contenermi in questo senso. Nemmeno quando un bacio porta al mal di gola e le spalle scoperte alla febbre. Che se nel movimento di una stretta malauguratamente mi si dovesse alzare la maglia, scoprendomi i reni, allora una settimana passata a letto spetterebbe solo che a me. Ma, ovviamente, non sono cose a cui penso ora. Non quando stringerti mi viene spontaneo e nel farlo, struscio piano il viso contro il tuo. L'accenno di barba sulla mia pelle. Irritazione immediata.

    "Devo darti il mio numero" Dico in un sorriso che mi si perde in viso, accentuando rughe che non sapevo nemmeno di avere e tirando su le labbra tanto da scoprire i denti. Neanche ci penso al modo in cui te le spingo contro. Non è un vero e proprio bacio. Non come quello che si danno gli amici, ma ad una certa età quando le mani tremano così tanto che una stretta non basta. Non fa bene. La mano te la lascio scivolare lungo la schiena. La colpisco piano con le dita, in un moto divertito. Nella sensazione di poterti tenere ulteriormente ancorato a me. Così da non lasciarci, non subito.

    "È stato davvero stupido negarselo per tutto questo tempo" e io lo so che sino ad oggi ci siamo lasciati guidare dalla speranza. Che è quella ad averci spinti fin qui anche se in ritardo di dieci anni. Che se ti riconosco è solo per i ricordi che ho di te. Per quei pezzi di puzzle che collego insieme, prendendomi il tempo di cui ho bisogno per esplorarti e respirare questo posto. Affinché l'odore dei pop corn al caramello torni ad obnubilare la mia mente. È sempre stato grazie a quello che mi son mosso. Come se il caramello salato fosse la mia Stella Polare e lo zucchero filato il mio concetto di casa. Sei sempre stato più concreto tu, in effetti, che tutto il resto. Anche se persone come noi le educano al viaggio e alla perdita. Forse restar distanti per dieci anni deve esser servito a qualcosa o, in alternativa, esser parte di un insieme di insegnamenti che ancora non riesco a far miei nella loro totalità.
    Ma sciolto la presa per così tornare a guardarti. Che al tuo viso devo farci l'abitudine. Devo risistemare i connotati, dargli anni in più e chiedermi se è proprio così che sapevo immaginarti un tempo. Un gioco stupido, il mio, che è solo figlio della curiosità.
    Chissà chi e cosa saremo tra altri dieci anni, Lele.

    "Ho una voce più bella adesso?" Me la tiro, a tratti scherzo. So che di cantare non mi dispiace: a volte lo faccio per far rilassare la mamma, ma non sempre è così facile. Cantare fa venire il mal di gola, soprattutto se non si usa bene il diaframma.
    E anche quando lo uso, una tisana calda a scaldarmi le corde vocali è d'obbligo. Così come uno scialle a coprirmi il collo. Ma non sa tornarmi la paura qui dentro. Non quando me le ricordo tutte le malattie che sono stato costretto ad ammettere dinanzi a mia madre quando anche solo correre per queste tende sapeva farmi venire un malanno. Dicono sia normale, star male, dico. Star tanto male quando la mia nascita è, per un verso solo, una fortuna. "Perché la tua lo è. Insomma - " Ti prendo per mano e non importa se sono passati anni che a volte sembrano secoli: io mi rivolgo verso il tuo letto. Ci trascino lì. Ci costringo seduti sulle sue coperte. "Voglio che la usi per raccontarmi ogni cosa. Quante belle cose hai fatto in questi anni? Io - a me dispiace di non esserci stato. Avrei voluto vedere i tuoi spettacoli. Fai ancora quelle cose strane? Giuro che devo aver smesso di averne paura." Rido



     
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    Come faccia a spezzarti l’ansia in gola, lo sa solo lui. Come se tu avessi vissuto in continua attesa.
    E questo sei stato, Lele. Certo hai avuto i tuoi momenti, ed Oswald è la tua roccia, ti aggrappi al suo amore per te ogni volta che puoi, ogni volta che questo non finisce per tirarlo giù con te. Lui e la sua gamba perfetta, quella con cui fingi di prenderti cura a tua volta di tuo fratello. Quando è lui a farti da àncora.
    Ma è vero che, dopo Ozzy, viene Buddy. Quella speranza adolescenziale di avere un amico in ogni luogo, qualcuno che speravi ti avrebbe trovato sempre. Qualcuno che forse sarebbe arrivato prima di voi sul posto, che ti avrebbe aiutato a montar su i tendoni e con cui avresti scambiato le avventure più sciocche.
    Questo immaginavi quando stupidamente gli hai detto addio lasciando il vostro destino nelle mani del fato. Quanto cazzo ti sei mangiato le dita. Tanto che sentirlo confermare che - magari - stavolta vi scambierete il numero, ti libera un sospiro profondo. Uno che magari sente ora che si fa più vicino.
    Quando batte con le dita un ritmo dietro la tua schiena. Una schiena che negli anni hai rinforzato, lì dove passano le corde di seta, i drappi che usi per volteggiare come un perfetto airone sulle teste di tutti.
    “Già, pensavo avremmo… accumulato storie, ma non così tante” perché in questo ci hai creduto, come in quei stupidi film dove i due protagonisti poi si danno appuntamento dopo dieci anni. In un punto, in una città, fuori da un palazzo. Io mi lancerò e tu a quell’ora sarai lì sotto con un materasso per me.

    E Buddy ti guarda, così lo guardi anche tu. Puoi contare i dolori che ha sentito anche solo guardandolo. Puoi vedere le volte in cui - più cagionevole degli altri - si rintanava a casa con un raffreddore, un mal di gola, la schiena a pezzi e la febbre a mille. E ti viene spontaneo spostargli una ciocca di capelli folli che ti mostra ora. Sono cresciuti anche loro, ma non hanno cambiato voglia di ribellarsi.
    “Beh-“ beh sì? Sì che la sua voce è più bella, si che ti distrae quando ti prende per mano e ti porta in quel letto. Lo stesso che ti ha visto soffrire, solo come un cane anche quando sei stato circondato d’amore.
    La mano non gliela lasci quando siete lì. Te la tieni per te, infossata trai cuscini. Ché sugli occhi di Buddy si riflette il tuo vecchio mondo, quel Lele felice che lo trascinava trai tendoni, a fargli vedere ogni stupida novità: come quando i pop-corn hanno iniziato a farli con il caramello salato sopra.
    Adesso invece le novità ti muoiono in gola, perché alla sua felicità contrasti con il tuo dolore.
    “Oh, in realtà non faccio più quelle cose che ricordavi tu…” non è difficile fingere tristezza, perché nel dolore tu vivi da anni, da quanto Ezekiel vi ha lasciati, e ti ha tolto tutte le basi facendoti traballare a venti metri d’altezza. Per quello, per dimostrare allo spirito di tuo padre che puoi sempre spingerti più su, ore le tue acrobazie sono molto più pericolose.
    “… io faccio di peggio” affermi abbassando la voce, ti fai vicino a lui, estrai un sorriso che non sai come riesca ad uscire in un giorno di merda come oggi. Un giorno che forse Buddy ha già cambiato con la sua presenza. “Ora danzo a trenta, a volte quaranta metri d’altezza, su drappi d’oro e seta, dondolandomi in equilibrio solo su un polso, o su un piede” vuoi quasi fargli venire i brividi. “Sicuro che non avresti paura?” Alludi, in parte stranamente divertito. Hai il cuore caldo adesso, e vuoi terribilmente farti più vicino, tanto da sfiorare il suo naso col tuo.
    “Abbiamo visto tanti posti, siamo stati a Parigi - di nuovo - poi a Tokyo, a Orlando ed a Pisa, ma io… io non ho visto niente perché-“ perché non c’era lui, e allora non valeva la pena nulla di tutto ciò che ti veniva raccontato dai tuoi amici.


     
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