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Bud & Eliphas

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    Vivo la vita ponendomi tante domande. E penso sia proprio questo il motivo per cui finisco per viverla male. O almeno, non come dovrei per far sì che mi venga facile star bene. Vivo la mia vita aspettando momenti come questi. Come un cane che aspetta il ritorno del padrone proprio davanti la porta di casa. A gambe distese, ma non per questo per nulla pronte a scattare. I muscoli, in effetti, li sento tesi da giorni. Forse perché tua madre ha avuto la grazia di annunciarmi il tuo arrivo inconsapevole del fatto che così facendo mi avrebbe spinto a non dormire più o a non mangiare un cazzo. Povera. Non voglio dare a lei la colpa per ciò che sono, non è davvero questo il mio intento né mi azzarderei mai di farlo, eppure, ecco, la morsa allo stomaco la sento. Soprattutto quando sta per giungere l'ora e mia madre, con disinvoltura, lascia scivolare lo sguardo sull'orologio della cucina. Un aggeggio vecchio ma che fingiamo sia utile a rendere questo posto "normale". Ma per chi o per cosa, non lo so nemmeno io. A volte sposto l'attenzione su dettagli diversi. Su quelli che, a voi altri, sembrano persino strani. E me ne accorgo solo a giochi fatti. Solo quando mia madre torna a guardare e me e con fare quasi stizzito mi chiede se "stai con i Luhng oggi?" a volte ho l'impressione che le persone non le piacciano. Che l'aver passato quello che ha passato l'abbia indurita, resa diversa da quella che avrebbe potuto diventare. E non importa se poi cambiamo città. Se ogni tot anni avviene il rinnovo: a mamma, per quel che ho potuto notare io, nessuno va così a genio come riesco ad andarci io. E a volte penso non sia perché sono suo figlio. Perché ha avuto la fortuna, se così vogliamo chiamarla, di aver tirato su un figlio senza apparenti problemi. Il fatto che io sia cagionevole non rende tutto così tragico come dovremmo pensare. A volte ho persino l'impressione che le piaccia prendersi cura di me. Soprattutto quando non mi sento bene. Soprattutto quando sto male come oggi. Allora lo stomaco si indurisce. Il collo idem. E se mi muovo quasi lascio scrocchiare le ossa. "È questione di qualche ora." Non so perché, ma ci tengo a precisarlo. A far sì che lei non possa dar nulla per scontato al punto da chiudersi di nuovo a riccio. L'ultima volta ci abbiamo messo mesi per far sì che si riprendesse. Mesi di terrori stupidi. Di folli aspettative. "Lo so." mi risponde in un sorriso, voltando il capo alla finestra. "Non stai mai fuori più di un giorno." Un altro appunto che devo capire bene come gestire. Nel dubbio le sorrido, mentre l'angoscia mi strappa via i respiri e allora torno a guardare fuori. Aspetto. Aspetto che mi vengano a prendere. "Non lo farei mai, mi mancheresti." Sorrido piano, un leggero accenno dell'affollamento degli incisivi. Osservo il mio riflesso alla finestra.

    Così come osservo il mondo che ci circonda. Campi sconfinati e costruzioni sconosciute. Mi muovo in un dedalo di vita, laddove la mia sembra fondersi perfettamente a quella altrui. Si fonde, sì, ma non vi si compenetra sufficientemente. Resta distante a volte, come se per natura fossimo portati a soffermarci solo su ciò che ci è vicino. Come se, il nostro voler guardare oltre, poi ci spinga a non farlo affatto. E mi sento braccato. Braccato in costruzioni che comprendo a malapena. Anche quando do una mano alla Signora Luhng e fingo che questo sia il mio mondo. L'unico, quello perfetto. Tutto ciò che sarei effettivamente capace di gestire. E non lo so se mi manchi, Eliphas. Quello di cui sono certo, però, è che nell'attesa mi tremano le gambe. Nell'attesa mi si asciuga la bocca. La testa mi gira tanto da rendermi conto che, beh, ad aspettare non sono più capace. Lo ha sempre saputo Leroy prima di me: è stato lui il primo uomo a scoprirmi. Il primo essere vivente a poggiar piede su questa superficie lunare del cazzo. Mi sento ricolmo di crateri: pozzi oscuri e profondi in cui è possibile perdersi. Ma mi appello alla tua famiglia. Mi appello a te e mi dico che l'importante, per quel che può valere, è il tuo benessere. Ovunque tu decida di voler stare. In qualsiasi modo tu possa sentirti bene.
    "Eliphas...ehi" Mi perdo nel qualunquismo. In quelle cose che vanno dette. Come a voler ricominciare ma andandoci giù piano. Come a voler esser certo di non sbagliare, di non dire cose sbagliate, di non rovinare tutto. Ma cosa possiamo ancora rovinare? Io non ho un giudizio su ciò che è successo. O almeno, non ne ho di negativi su di te. Ma sono solo uno e forse non ho la volontà di Aslan per certe cose. Forse sono solo un uomo capace di lasciarsi trascinare dallo scorrere del tempo.
    Sono quello che aiuta tua madre a cucinare, se serve. Quello che la segue per arrivare a te e quello che sorride, quando va giù col piccante e mi guarda, come se nelle mie reazioni alla sua cucina potesse in un qualche modo rivedere te. Che manchi, beh, a me sembra un concetto stupido. Per questo forse mi sfugge. A volte non sono nemmeno abituato a sentirmi così. So solo che in una famiglia certe dinamiche funzionano proprio in questo modo e, in una forma tutta tua, io so che, della mia, ne fai già parte da tempo.



     
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