I Think I'm OKAY

Eriko & Bret - Rusty Rose

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    Iniziamo col ringraziare il buon Dio o chi per lui ci ha concesso di svegliarci anche quest'oggi. Con una testa che sta per esplodere. Con le urla di mia madre. Col respiro affannato nel petto perché cazzo, altri cinque minuti me li sarei fatti volentieri. Però sì, lo ringraziamo. Lo ringraziamo per il pasto decente di ieri sera - che mi è rimasto bellamente sullo stomaco - e per il tetto che abbiamo sulla testa. Che sì, ecco, sarà modesto, ma è comunque un tetto. E ci si sta bene sotto, perché almeno due posti diversi in cui dormire ce l'abbiamo eccome, a prescindere da tutto e dai fogli che mamma si è convinta di saper come firmare. Che questo non sia il movimento per le emergenze abitative del Regno Unito magari l'ho capito solo io, eppure questo basta per far sì che, finalmente, una casa sia davvero nostra.
    Nonostante quello che comporti, s'intende, anche se al momento dell'accettazione non ho minimamente pensato a tutte quelle cose cose alle quali avrei dovuto - per forza di cose - rinunciare.
    Come una canna appena svegli. Un lusso che mi concedo dal rimasuglio di una cimetta intascata nel culo. La roba, da che mondo è mondo, la si fa entrare così. Che si tratti dell'aeroporto di Sidney o di Iron Garden, insomma. O te la fili tu nel culo o ce la infilano gli altri e per quel che mi riguarda, cagare st'ovetto di Maria non è stata questa gran tragedia. Soprattutto non quando Annette invade i miei spazi privati e con l'espressione apprensiva di una madre che dovrebbe preoccuparsi per suo figlio, finisce per osservarmi con le mani spinte lungo i fianchi. È una posizione che assumono tutte le donne dopo aver sgravato un pargoletto: non importa che lo facciano a venti o a cinquant'anni, loro si incazzeranno sempre così. E ti guarderanno sempre con quell'espressione mista tra il rammarico e la furia. Sentimenti decisamente troppo claudicanti se si pensa alla facilità con la quale li lasciano emergere.

    — Lo so. Lo so. Continuo a rollare noncurante della sua espressione. La riconosco solo perché so come prende a respirare quando si inalbera, allora in stanza cade il gelo. Si crea una cappa. Fa freddo e caldo insieme e solo lì tossisco. Tossisco, sì, ma non mi volto per ricambiare lo sguardo. Non sono in torto né tantomeno sono un cane, ma preferisco reagire così piuttosto che sorbirmi tutto il discorso. E no, non c'è un buongiorno tesoro mio a colorarlo. Anche perché non è più giorno. Ho persino saltato il pranzo.
    Se ci penso mi viene un po' da vomitare: com'è possibile che io riesca a sentire ancora il sapore della zuppa di cipolle e pane di ieri sera?

    — Ho ancora due ore Tesoro. Non posso arrivare in ritardo ad un posto di lavoro se il lavoro è...qui dentro. A volte, a forza di parlare solo io, mi sembra di vivere in uno di quei film dove, alla fine, ti rendi conto che il protagonista era solo e che era così matto da parlare da solo.
    Che tutto quello che hai visto non è altro che l'idea folle del regista. Qualcosa che dovrebbe sapere di futurismo ma che in realtà ha solo la capacità di dar fastidio allo spettatore. E per me, sinceramente, ritrovarsi scossi od emozionati da un film è provare fastidio. Se avessi sbatti di andare al cinema ci andrei per divertirmi, non per conoscere la storia di un matto come me che parla per tutta la sua vita con sua madre senza ottenere mai una cazzo di risposta.
    Almeno Annette è viva e me ne da dimostrazione quando, al primo tiro, si china verso di me per strapparmi la canna dalle labbra e fumarne un po'.

    — Eviterei di farmela piacere tanto. Certo, ovviamente, parlo proprio io. — Ho dovuto finire una scatola di supposte per cagar fuori quella roba. Almeno lei se la prende a bene. Certo, ha i classici atteggiamenti da madre apprensiva, ma si rende conto che sto andando per i trent'anni e, anche se buona parte della mia vita l'ho passata al fresco, suppongo che si sia fatta un'idea di come siano cambiate le cose. Sono un adulto, ormai.
    Un adulto che si è svegliato alle quattro del pomeriggio e che alle sei deve presentarsi a lavoro. Fattibile, non credete? Se non fosse che all'appuntamento ci arrivo correndo. Perché sì, l'erba era buonissima, ma è evidente che l'abbiano bagnata con chissà cos'altro. Chissà mamma come starà svarionando in casa. Spero si rimetta in sesto per il suo turno di domani.

    Mi piego sulle ginocchia non appena l'insegna del Rusty Rose mi ricorda di essere arrivato in tempo. Quei dieci minuti in anticipo di cui si ha bisogno per spiegarmi le cose. E non perché sia tardo io, insomma, è così che si fa il primo giorno di lavoro. Magari invece che dieci minuti sarebbe meglio prendersene venti, ma immagino che lavorare qui non sia poi così complicato. Insomma, che tipo di laurea bisogna avere per portare due vassoi?

    — Salve! mi annuncio non appena entro. Con lo sguardo che saetta su ogni tavolo. Con i piedi che già sbattono alla prima zampa della sedia più vicina. — Sono Bret. non lo so se è con il secondo nome che mi conoscono. Insomma, tutti i miei vecchi amici mi chiamavano così. — Quello nuovo...


     
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    « E questo chi sarebbe? » Eriko sollevò lo sguardo dal foglio raffigurante la tabella dei turni settimanali mentre aggrottava leggermente la fronte. Si voltò dunque verso Jerome Wallace, nonché il diretto responsabile della sua confusione. Ad organizzare i turni, d'altra parte, era stato proprio lui. « Ah, non sei contenta, Rick? Abbiamo una new entry questa settimana. » Sulle labbra dell'americano si era dipinto un sorrisetto canzonatorio. Ci scommetto la testa che l'hai fatto apposta. Ma guarda tu 'sto stronzo. Un pensiero che la giapponese poteva essersi trattenuta dall'esprimere a voce alta, certo, ma che le si dipinse comunque in faccia, accompagnato inevitabilmente dall'occhiataccia, ormai di repertorio, che venne immancabilmente rivolta all'altro. « Fantastico. » Commentò dunque in tono piatto mentre si portava le mani sui fianchi. « Congratulazioni, immagino. » Una pausa solo apparente, gli occhi della lycan che grondavano sarcasmo. Ma certo, assumiamo pure altre persone! C'è così tanto lavoro ed è una posizione anche così ambita che chi siamo noi per dire dii no, giusto? Storse il naso, prima di procedere. « E l'hai messo in turno con me per quale motivo? » Il giovane Wallace sorrise angelico, lo sguardo tinto di una nota divertita. « Perché sei bravissima, no? Così paziente. » Lei emise una risata vuota e palesemente fintissima. « Sì, prendi meno per il culo. » Una risposta data con lo stesso tono piatto di prima, il sopracciglio sollevato in attesa dell'effettiva risposta di Jerome. « Dai, fattela una risata. » Certo. « Mi sembra ovvio. Battesimo di fuoco. » Il giovane Wallace le si avvicinò per darle una pacca sulla spalla, un luccichio divertito, specchio dell'ombra del sorrisetto che ancora aleggiava sulle sue labbra piene. « Se scappa via piangendo dopo un turno con te, sappiamo che qui dentro non ci può lavorare. » La giapponese sbuffò scuotendo la testa. Poi, molto elegantemente, sollevò la mano per mostrargli il medio.
    Bisogna dire, a questo punto della storia, che Eriko non fosse una persona così terribile con cui lavorare - Jerome Wallace amava semplicemente creare caos attorno a sé e darle ai nervi. Quello era un elemento essenziale del loro rapporto, un punto di contatto inevitabile tra due personalità tendenzialmente così differenti. Probabilmente Jerome non pensava nemmeno che la giapponese fosse inadatta a formare nuove leve; sapeva semplicemente che quella parte del loro lavoro potesse non essere la sua preferita. Eriko, d'altra parte, era una persona che raramente mandava giù cose che non le piacevano o tollerava che un lavoro venisse svolto in maniera approssimativa. Qual era il problema di tutto questo? Beh, secondo lei proprio nessuno; secondo lei era più che evidente che il problema vero risiedesse più che altro negli standard altrui. E questo era un altro motivo per il quale il collega americano doveva aver scelto di collocare la new entry in turno con lei per divertimento personale: voleva vedere chi dei due l'avrebbe avuta vinta. Anche perché Eriko dubitava fortemente che qualcuno potesse essere inadatto a lavorare al Rusty Rose. Il posto rispettava in toto gli standard di ciò che Iron Garden rappresentava; era insomma poco più di una bettola. Ovviamente, però, trovandosi all'interno di un vero e proprio ghetto, le grane da evitare erano tante quante le regole da rispettare per evitare di finire nei guai. E guarda un po', il fatto che qui dentro ci lavori pure io, in quelle occasioni torna molto comodo a tutti. [...]
    « Salve! » Stava finendo di sistemare i bicchieri puliti quando alle sue orecchie giunse una voce maschile che non conosceva. Mancava ancora qualche minuto all'apertura, per cui poteva soltanto trattarsi del nuovo arrivato. « Sono Bret. Quello nuovo... » Eriko si era voltata verso di lui solo dopo aver finito di disporre i bicchieri - sebbene l'avesse fatto con la magia aveva preferito non distogliere lo sguardo prima di aver terminato, per evitare disastri - ma non le era comunque sfuggito un rumore più o meno in concomitanza con le parole di lui. Ne osservò la figura slanciata per qualche breve istante, prima di lasciare la sua postazione al bancone e raggiungerlo, percorrendo la distanza con rapide falcate. « Ciao, Bret. Eriko Yagami. » Gli disse, presentandosi brevemente. Al locale non avevano una vera e propria uniforme, ma Eriko indossava comunque abiti scuri accompagnati da un paio di pesanti anfibi, ed aveva raccolto i lunghi capelli corvini in una coda di cavallo. « Oggi sei in turno con me. » Purtroppo, direbbe Jer. « Hai già lavorato nel settore o è la prima volta? » Le serviva, quell'informazione, per capire come muoversi nello spiegargli le basi. Se, in generale, ce ne fosse bisogno o no. « Comunque gli orari sono quelli che vedi affissi sulla porta. Di solito noi attacchiamo una ventina di minuti prima - tranne se c'è da fare una pulizia più profonda o in caso di qualche imprevisto. Stesso ragionamento per la chiusura - conta venti minuti in più. Ma questo immagino te l'abbiano già spiegato? » Una domanda che lasciò ad aleggiare tra loro mentre osservava il biondo. « Sarà tutto molto tranquillo per ancora un'oretta, per cui posso farti un briefing con calma. » Gli fece cenno di seguirla verso il retrobottega, per mostrargli un po' come muoversi e, eventualmente, recuperare un grembiule da dargli.


    Edited by masterm#nd - 3/3/2024, 00:26
     
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    Mi sono messo in testa di fare le cose nel modo giusto. Non solo perché finalmente sono fuori, ma perché il fuori tanto agognato non è poi così tanto roseo. La merda resta merda e se della matematica ci ho capito qualcosa, se aggiungi merda alla merda non l'annulli. È semplice addizione. Poi ecco, magari le cose iniziano a farsi toste già dal primo istante in cui metto piede nel posto - giusto perché mi basta guardare la tipa per capire di volermi addizionare a lei - ma giusto che se sorrido è perché sto cercando di fare le cose al meglio. Di concentrare l'attenzione su tutti i denti che ho in bocca e su quelli che sto tirando fuori con l'intento di sorriderle piuttosto che sull'elenco delle esperienze da depennare. E sì, magari l'avrò anche perso quando ero dentro. Magari semplicemente non l'ho mai stilato e sto inventando tutto sul momento solo per dare al cervello, cazzo ne so, una via di fuga dall'impegno imminente, ma sta di fatto che no, no: qui non ho spuntato la voce "scopare con una cinese".
    E lo so che è un pensiero che corre a violentarmi il cervello per una frazione brevissima di secondo che a me sembra eterna, ma cazzo, ecco, cazzo se mi freezo. Se devo darmi cinque secondi di recupero solo per dirmi che sono un coglione del cazzo e che magari non posso iniziare così il mio primo giorno di lavoro. Decisamente. Né per me, ma neanche per mia madre: dobbiamo pur campare in un qualche cazzo di modo e sì, mostrarsi volontari per 'sto posto è stata una genialata, ma per quanto potremmo durare? A me già manca fumare in santa pace come lo facevo prima.

    — Ciao Eriko Sorrido. Ma non era meglio Erica? sapevo che i cinesi una volta trasferiti in un posto diverso dal loro paese natale prendessero i nomi del posto nuovo, giusto per farsi riconoscere con più facilità da quei deficienti che non hanno sbatti di imparare i loro nomi. Io lo trovo un po' meh, insomma, non cambierei mai il mio nome per qualcuno, ma perché sbagliare e chiamarsi Eriko? Ovviamente non glielo chiedo: voglio tenermi questo posto anche se no, non ho mai avuto esperienza, soprattutto non negli ultimi anni.

    — Vorrei risponderti diversamente ma - già, purtroppo sarebbe la prima volta. Mi dondolo un po' sulle gambe, tenendo le braccia dietro alla schiena come un vecchio. Non è la posizione di chi sta nascondendo qualcosa: non sono un ragazzino. Mi sembra semplicemente la posizione di chi deve in un certo senso passare per quello serio. Solo così, ecco, mi rendo conto di non aver nemmeno allungato una mano per presentarmi. Un idiota.

    — Oh ehm, sì, devono avermelo accennato. La seguo senza emettere fiato, d'altronde non so bene cosa dire o cosa chiedere: il lavoro verrà da sé e credo di essere bravo abbastanza ad apprendere guardando. Per questo l'ultima volta mi hanno inculato: perché questi occhi non sono mai riuscito a spingerli lontani dai casini. Ma così è come mi ha cresciuto mia madre: Divora con lo sguardo o una cosa del genere.

    — Ci tieni tanto a questo posto? Domanda del cazzo, me ne rendo conto solo dopo averla pronunciata. — Nel senso, ci lavori da parecchio? Immagino che in giornate come queste, che sono un po' di conoscenza e un po' di prova, bisogna parlare in questo modo. Parlare del lavoro e delle proprie esperienze personali. Poi basta. E se riesco a far virare il discorso sulle sue esperienze piuttosto che sulle mie, magari mi sono salvato.



     
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    C'era un motivo molto preciso per cui la giovane Yagami non aveva mancato di pronunciare il proprio nome completo nel presentarsi al nuovo collega. Contrariamente a quanto si sarebbe potuto credere visto il suo atteggiamento tendenzialmente distaccato nei confronti degli estranei - categoria di cui il suo interlocutore faceva indubbiamente parte - Eriko non era affatto una persona pomposa. Quella di presentarsi a modo, piuttosto, in particolare quando si trattava di incontri dal vivo, era un modo per mettere alla prova la nuova conoscenza. D'altronde non ci voleva un genio per collegare Eriko Yagami ad almeno uno dei suoi fratelli. Il suo, d'altra parte, era un cognome raro persino nella sua terra di provenienza; veniva da sé che nel Regno Unito fosse praticamente impossibile pensare che lei, con Raiden Yagami, la cui faccia era sui manifesti di ogni distretto magico, non c'entrasse proprio nulla. Sia Raiden che Hiroshi - il collegamento col quale tuttavia non era altrettanto immediato - erano ricercati di alto profilo. Le taglie sulle teste dei fratelli ammontavano pure ad una bella somma, e la lycan trovava quello di mettere le mani avanti un ottimo escamotage. C'era di più, inoltre - se Bret non avesse passato il suo personale screening, la Yagami avrebbe trasformato il rendergli la vita al Rusty Rose impossibile nella propria missione personale. Non poteva, né voleva, vivere in un clima di tensione anche tra i colleghi - bastavano i clienti per darle gatte da pelare. Quando l'altro si limitò semplicemente a salutarla, tuttavia, con un sorriso che pareva dire solo no thoughts, head empty - comunicandole al massimo un leggero disagio - la ragazza si trovò presa quasi in contropiede. Qui le cose sono due: o non gliene frega niente, oppure non ha collegato.. Inutile dire che la prima opzione fosse quella auspicabile. Non aveva avuto sufficiente preavviso per informarsi in merito al biondo - ed in ogni caso informarsi in merito non le avrebbe dato alcun potere decisionale - decise perciò di osservarlo abbastanza da farsene un'idea più precisa in quel turno. « Vorrei risponderti diversamente ma - già, purtroppo sarebbe la prima volta. » Al disagio di lui, la mora contrappose un sorriso appena accennato.
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    « Fa niente. » Si strinse nelle spalle, osservandolo per qualche istante quasi stesse riflettendo sul da farsi in merito. « Vorrà dire che tra una decina di minuti, il tempo che si asciughino i pavimenti in cucina, ti mando dai ragazzi perché ti spieghino come preferiscono tu prenda le comande. » Pausa. Un altro mezzo sorriso. « Comunque non ci va chissà quale arte. L'importante è saper portare due piatti. » Eriko intanto si era fatta strada sul retro - uno stanzino non troppo grande, contenente il frigo, un paio di sgabelli e tutte quelle cose che per un motivo o per un altro non avevano ragione di essere viste dagli avventori del locale. Recuperò un grembiule che gli allungò con rapidità. « Qui come vedi stanno le scorte, è dove veniamo a fare pausa - se fumi è meglio qui che altrove - ed è dove ci troviamo in caso di questioni interne. L'anta del congelatore è difettosa, controlla che faccia lo scatto quando si chiude se ti capita di aprirlo. » Poi indicò gli appendiabiti liberi e uno dei pochi, non proprio nuovissimi, armadietti liberi. « Se hai cose da lasciare, l'ultimo a sinistra dovrebbe essere vuoto. Ti sconsiglio di metterci cose che non vuoi vengano trovate. » A buon intenditore... Il problema non erano tanto i colleghi - un nucleo piuttosto compatto - quanto il fatto che i locali di Iron Garden venissero perquisiti a sorpresa. Questo significava non potessero permettersi di rischiare perché ci sarebbero andati di mezzo tutti. Si prese ancora qualche minuto per spiegargli brevemente dove avrebbe potuto trovare le scorte di alimenti e bevande, poi si diresse di nuovo verso la sala principale. « Ci tieni tanto a questo posto? » Aveva iniziato a disporre qualche bicchiere pulito e qualche posata su di un vassoio al fine di spiegare a Bret la logistica dell'apparecchiare e sparecchiare, approfittando di avere ancora a disposizione qualche minuto prima dell'apertura, quando il giovane le pose quella domanda. « Non saprei - tu ci tieni a mangiare, solitamente? » Aveva sbuffato una risata ironica, guardando il suo interlocutore con un sopracciglio inarcato. « Nel senso, ci lavori da parecchio? » La giapponese sistemò un ultimo bicchiere sul vassoio, poi sollevò lo sguardo su di lui. « Praticamente da quando sono ad Iron Garden. » Una breve pausa nell'inclinare la testa di lato. « Però la tua domanda mi lascia supporre che tu non sia arrivato qui da molto. » Altrimenti avresti una minima idea non solo di chi hai di fronte, ma anche del fatto che io sono quella con cui qua dentro nessuno vorrebbe litigare. « Hai fatto tu domanda per farti mandare qui o ti ci hanno assegnato? » Gli chiese dunque, spingendo finalmente il vassoio nella sua direzione. « Senti. Apparecchia e sparecchia intanto - voglio vedere un po' se riesci a farlo senza problemi. Sennò ti spiego velocemente come si distribuisce il peso. »


    Edited by masterm#nd - 22/3/2024, 21:01
     
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